Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La pittura moderna in Italia ed in Francia

252850
Villari, Pasquale 3 occorrenze
  • 1869
  • Stabilimento di Gius. Pellas
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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È un fatto singolare, che quasi tutti gli scultori toscani abbiano avuto la medesima origine: cominciano coll’essere scalpellini, intagliatori in legno o in pietra, alabastrini, e poi per forza del proprio genio divengono artisti. Che diverrà mai questo popolo, quando sapremo diffondere in esso la cognizione del disegno e una solida cultura, che all’arte è più necessaria che non si crede?

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Il Morelli, invece, non si contenta d’una misura secondo le regole; vuole ancora che una mano o un braccio, oltre al non essere troppo lunghi o corti, abbiano carattere, e in ciò pone l’importanza maggiore del disegno. Ma questo carattere egli lo cerca col colore, e vuole innanzi tutto l’effetto, l’unità, l’evidenza della macchia generale del quadro. La sua tavolozza manifesta una ricchezza infinita, da cui risulta una luce mirabile, che agli accademici, i quali disegnano generalmente senza alcun vigore di colorito, pare chiasso pericoloso ed evitabile. Egli s’è formato collo studio del vero, della pittura francese, veneziana, fiamminga; ma in lui vive ancora lo spirito della vecchia scuola napoletana, illustrata da Salvator Rosa, dallo Spagnoletto, dal Cavaliere Calabrese, e tanti altri, che furono tutti pittori arditi, audaci e coloristi. Cosi quando a lui si presenta un soggetto, non può innamorarsene, se prima esso non si trasforma in un effetto di luce. Le immagini sorgono nella sua fantasia vestite già di colori, e quando una lo ferma e lo innamora, diviene subito e di necessità come la chiave del quadro, determina la macchia, decide la composizione; perchè in lui l’unità generale del colore è grandissima, e i suoi bozzetti sono perciò sempre stupendi. In questo modo però il carattere dei suoi personaggi viene qualche volta a soffrirne. Essi debbono piegarsi alle leggi inesorabili di questa magica armonia, la quale, nelle opere del Morelli, come in quelle dei veneziani, è la vita del quadro e del pittore. — Il Tasso che legge il suo poema alle tre Eleonore forma il soggetto del suo quadro principale all’Esposizione. Non è un soggetto nuovo, nè di grande importanza storica. Ma lo studio delle varie espressioni di queste tre donne, che ascoltano ed ambiscono l’amore del poeta, sebbene una sola ne sia sicura; e la difficoltà in cui deve trovarsi il Tasso che, innamorato d’una, non deve offendere le altre, presenta un contrasto di passioni, uno studio di caratteri e d’espressioni, che rende nuovo un soggetto antico. Se non che, a poco a poco, tutto questo è divenuto nel quadro parte secondaria; perchè le difficoltà di luce che l’artista ha superate, chiamano tutta l'attenzione dello spettatore. Quella delle tre donne che è seduta più vicina al poeta, seduto anch’esso, trovasi in ombra, ed è dipinta con una maestria di colore e una trasparenza inarrivabile. Essa segue con l’occhio la lettura del poeta, e rifugge dal guardare la rivale che le sta di contro. Questa, malata e abbandonata sulla poltrona, viene illuminata da una luce diretta, ed è dipinta con una finezza e delicatezza grandissima. È una nobile e gentile figura, che raccoglie la luce principale del quadro, come attira gli sguardi innamorati e i pensieri del poeta che legge. L’altra delle tre Eleonore, posta fra le due prime, s’accorge, sorpresa, che è tra due rivali, rivale anch’essa. Tutto ciò segue presso un verone che forma il fondo del quadro, e dal quale penetra una luce che lo illumina mirabilmente. Ed è ciò che forma il prestigio e lo scopo principale di questo lavoro, in cui il carattere dei personaggi, trovato e capito assai bene, viene in parte sacrificato al Dio onnipotente della luce. — Il Bagno di Pompei è anch’esso uno stupendo effetto di luce: una figura in mezzo del quadro, semi-nuda, illuminata dall’alto; un gioco stranamente difficile di riflessi che produce l’effetto proprio del vero. L’artista ha studiato l’architettura, i costumi del tempo, e li riproduce; ma lo spettatore s’avvede che lo scopo principale è l’effetto difficilissimo di luce; tutto il resto, un mezzo secondario: la vita romana e pompeiana nei bagni, è quasi l’accessorio del quadro.

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I pubblici edifizi, pei quali abbiamo speso parecchi milioni, sorgono senza che lo scultore o il pittore sieno mai chiamati a dare un compimento di cui si crede che non abbiano più bisogno. Si dice che è risparmio di spesa; ma una linea barocca costa quanto una elegante, e quello che si spende nei nostri saloni, per supplire con un lusso sfoggiante alla mancanza d’arte, basterebbe certo a fare il contrario. Ristabilire l’unità e l’armonia delle arti, sarebbe il più efficace sussidio che si potrebbe dare ad esse. I basso-rilievi del Partenone non potrebbero stare ovunque. Gli affreschi del Vaticano perderebbero assai in un altro edifizio. Perfino i barocchi erano, sotto questo aspetto in condizioni assai migliori di noi. Dai loro palazzi d’un’architettura esagerata e sfoggiante, dalle ampie scale ornate di statue, dalle terrazze che davano sui giardini, dai saloni colle mura e le volte ornate di grandi freschi, sino alla più minuta suppellettile, agli abiti, alla tabacchiera, all’orologio del cicisbeo, essi serbavano il medesimo stile; e l'arte loro, scorretta ed esagerata, aveva pure un carattere che manca alla nostra, e degli artisti le cui opere saranno pur sempre ammirate. Non si può, noi lo sappiamo, vincere affatto o fermare l’andazzo dei tempi; ma un efficace rimedio sarebbe l’istituzione d’una grande scuola di architettura, e d’un tirocinio regolare, se non imposto almeno indicato ed aperto a tutti. È una parte indispensabile d’un buon sistema d’istruzione in ogni paese civile.

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