Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Da Bramante a Canova

250949
Argan, Giulio 1 occorrenze

Le statue che le occupano sono state eseguite e collocate più tardi, al principio del Settecento; ma è evidente che le edicole, benché abbiano un significato simbolico in proprio (alludono alle dodici porte della Gerusalemme celeste) sono sta-te ideate per contenere statue gigantesche ed enfaticamente atteggiate, come quelle dei pilastri della tribuna di San Pietro. I precedenti disegni dimostrano come Borromini avesse dapprima immaginato, nei pilastri che racchiudono i vecchi sostegni della navata, aperture minori architravate, che venivano così ad alternarsi ai grandi archi; e come poi le avesse chiuse, trasformandole in edicole a fondo piatto, integrate alla struttura del pilastro. Soltanto all’ultimo le «enuclea», le rende plasticamente autonome, le fa sporgere nella navata, quasi fossero pulpiti portatili collocati davanti ai pilastri eccepiti dal contesto anche per la qualità della materia e del colore. È un appello che richiama l’attenzione del pubblico in una data direzione. Nulla di più probabile che la decisione di «enfatizzare» le edicole, collegandole con un elemento apertamente oratorio, sia in rapporto con la rinuncia alla costruzione della volta, quasi per compensare con quel «fortissimo» in basso la mancata catarsi luminosa in alto; ma è comunque una decisione che implica il ripensamento, la re- interpretazione di tutta la parete.

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Della scultura e della pittura in Italia dall'epoca di Canova ai tempi nostri

251427
Poggi, Emilio 6 occorrenze
  • 1865
  • Tipografia toscana
  • Firenze
  • critica d'arte
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Se i grandi esempi dell'antichità furono adunque di norma anco al genio più sublime che abbiano avuto le arti, perchè dorranno da alcuni esser questi disprezzati e banditi, reputandoli dannosi alle nostre ispirazioni? E allorchè la scultura è costretta a comparire nel campo mitologico ed allegorico, dove troverà essa ricchezza di precetti se non nel classico artistico dei Greci? E quando in specie deve trattare argomenti che richiamano a quei tempi, a quei luoghi? lo studio di quelli diventa necessità, ed è la più giudiziosa investigazione. In quali altri tempi dovrà la Scultura rinvenire la più nobile parte di sè, quando specialmente deve campeggiare in soggetti mitologici o greci, se non la ritrova là dove ebbe la scultura la sua prima origine e la sua maggior perfezione?

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Ma si abbiano cura che nella scelta di quei materiali l’occhio del genio sia educato e capace di informarsi nel vero bello sparso in tutti gli esseri del creato, i quali dalla mente riuniti, debbono formare il poema della sua produzione, perchè, lo ripeto, la sola scorta delle cose create non basta a formare un'opera che istruisca e risvegli interesse. E che sono le più famose produzioni dell’arte se non che il complesso di tutte quante le bellezze intellettuali e fisiche sviluppale in una tela per dar vita e sublimare un gran fatto? Fu la natura o Parte che fece ideare a Raffaello le due grandi composizioni della Disputa e della Scuola di Atene? Nella scena della umana vita le trovò egli disposte in quel modo artificioso e sublime? E in quali delle nostre abitudini domestiche avrebbe egli potuto ricevere la scintilla della ispirazione, per rappresentarci le immagini della Vergine, e, meraviglia del mondo, la Trasfigurazione?

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Però è da osservare che fra i molti pittori tacciati di manierismo ve ne furono e ve ne possono essere alcuni che abbiano in una parie dell’arte genio non comune, come per esempio lo ebbe fra i moderni il Professore Luigi Ademollo, il quale dotato di una fervida immaginazione e profonda cultura, seppe ideare componimenti biblici, mitologici, e storici con una scienza straordinaria, sicchè tutti gli artisti intelligenti e spassionati dovranno ammirare le sue composizioni, deplorando al tempo stesso che sieno prive affatto di disegno, di forma, di sentimento e di colorito. Da questo apparisce che un pittore può, anco che sia troppo convenzionale, e manierato per eccellenza distinguersi in qualche ramo dell’arte. Credo che questa mia logica basterà per far comprendere che mentre ammetto la convenzione, desidero però che sia usata dentro quei limiti che possono render l’arte più vera e più bella.

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Il Bartolini, il Sabatelli, il Fedi, il Duprè saranno andati in traccia di un tipo che meglio si avvicinasse al carattere del soggetto che volevano rappresentare: ma nella difficoltà di trovare sempre riuniti in un solo, per le ragioni esposte, tutti i pregi richiesti e voluti per la creazione di quelle figure o gruppi che volevano compiti, nulla di più facile che abbiano dovuto risolversi di comporle da più e diversi modelli. — Il Fedi, per esempio, avrà per caso posto gli occhi sopra un barocciajo, un renajolo, un contadino etc: i lineamenti di alcuno di essi lo avranno colpito, ed esaminatigli con più accuratezza, avrà giudicato che nobilitandoli con la estetica dell’arte, potevano a meraviglia servire a comporre il fiero volto del Pirro; e così avrà fatto. Però, se al carattere della faccia e della testa corrispondevano il collo e le spalle, al contrario avrà osservato che le braccia, la mani, il torso e la parte inferiore del corpo non armonizzava con quelle, ed in tal caso avrà dovuto l'artista ricercare in altro modello quella perfezione di parti che non trovò tutte raccolte nel primo, onde ottenere il bell’insieme che si aveva ideato. Ora così facendo, non difettò il Fedi, ma invece adempì al dovere di artista classico e intelligente che sa studiare e scegliere la natura nel suo vero bello.

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classici autori, quando modella, disegna o dipinge una figura, non avrà bisogno, allorchè lavora col vero sotto gli occhi, che sia questo assolutamente perfetto, ma col tesoro delle sue vaste cognizioni, formatosi, come ho detto, collo studio dei buoni maestri, e dell'anatomia, ancorchè abbia davanti un modello che difetti in qualche parte del corpo, e manchi del carattere e della scelta di quelle forme che gli abbisognano, potrà e saprà come e dove abbiano luogo le correzioni onde rendere fra loro in armonia tutte le parti della figura e senza difetti.

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. — E come mai, o nostri odierni pittori naturalisti, che predicate le novità straniere e a quelle prostituite e cuore e mente, ignorate, o volete disconosce come anco all'estero abbiano fatto e facciano così poca breccia le stranezze nell'arte? E se gli accennati pittori francesi e belgi divennero grandi, oltre al genio naturale, lo debbono anco allo studio che essi fecero sulle opere dei grandi maestri italiani, che voi, italiani, vorreste oggi senza arrossire porre in oblio.

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Il divenire della critica

252196
Dorfles, Gillo 8 occorrenze

Codesti artisti si sono arresi di fronte al fatto che è ormai necessario rinunciare alle «belle forme», al «buon impasto», si accontentano di creare degli oggetti che siano in sé compiuti, che abbiano quel rigore cui la macchina ci ha avvezzati (senza tuttavia essere di per sé «meccanici»), che rispondano quindi a certi requisiti d’ordine, di disciplina, che - nel caos dell’esistenza attuale - possa costituire una fonte di soddisfazione e di godimento.

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Sculture, ma non più gettate in bronzo, curate nella preziosità delle patine e del tocco manuale, e neppure sculture che abbiano pescato nei detriti della junk-culture (come a suo tempo quelle di Chamberlain o di César), ma plastiche che usano i materiali offerti dalla tecnologia attuale (alluminio, filo di ferro, lamiere verniciate a colori acrilici, acciaio inossidabile) e li impiegano per costruire delle «forme inutili» che ora echeggiano quelle di macchine e strumenti agricoli (Garelli), scientifici (Shinoda), ora quelle di semplici costruzioni geometriche (Caro), ora, addirittura, il mondo microscopico degli infusori e delle diatomee attraverso l’uso di spirali metalliche e ingranaggi d’orologeria (Haese).

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Analogon che potrà vertere piuttosto sul versante iconologico (ed ospitare quindi le figurazioni o gli eidola delle figurazioni che la civiltà dei consumi ci offre); o piuttosto sul versante architettonico-formale (ed allora verrà a costruire forme più o meno semplici con l’impiego di materiali nuovi e attuali, compiacendosi nell’uso autentico o paradossale di tali materiali e mirando solo alla creazione di archetipi formali che non abbiano alcun riferimento con gli aspetti del mondo esterno). Così inteso il linguaggio plastico odierno, anche la sua decodificabilità ci sembra quanto mai piana: siamo tutti già in possesso degli elementi primi, degli stoiheia, che possono valere alla costruzione e all’elaborazione dell’opera e alla sua decifrazione.

Pagina 120

Se, perciò, la crisi nell’ideazione degli oggetti di design è solo modesta e parziale, giacché è compito e dovere d’ogni onesto designer di soddisfare alle richieste del mercato mettendo a punto oggetti che abbiano alcuni requisiti tecnici ed estetici quanto più possibile inediti ma comunque limitati da ben precise esigenze economiche, nel caso dell’artista «puro», il telos del suo lavoro appare il più delle volte come dettato non dalla fantasia creatrice, dalla necessità espressiva, ma dalla volontà di raggiungere quella novità di formulazione che permetta all’opera di essere più facilmente smerciabile.

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Ma a questo si accompagnava un’ulteriore preoccupazione: mettere in evidenza alcune nuove (o ritenute tali) costanti estetico-percettive, che abbiano il loro punto di partenza non più soltanto nel colore, nella forma, nella composizione; ma, ad esempio, nel «peso», nella composizione chimica, nella trasformazione d’una forma in seguito ad agenti atmosferici, chimici, come nel caso del blocco di cera di Merz che si scioglie per effetto d’un tubo di neon acceso, come nel caso della stanga di ghiaccio di Calzolari, o come nel caso degli elementi chimici di Zorio che mutano colore...

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Ritengo che, tutto sommato, queste operazioni abbiano segnato un’importante svolta nell’indirizzo della nostra arte visuale. Infatti - dopo la parentesi informale che, in Italia e in Europa, aveva segnato un momento reazionario ed ambiguo - l’Italia aveva assistito ad un’esplosione di forme piuttosto provinciali di pop art evidentemente influenzate dalle più rigogliose e violente esperienze statunitensi, che si erano alternate alle esperienze di tipo op e cinetiche (Colombo, Boriani, Alviani, Mari) e a quelle di alcuni «oggettualisti» come Castellani, Bonalumi, Aricò, Verna, e di alcuni programmatori e «minimalisti» come Carrino. Ecco, invece, che con il movimento concettuale, nelle sue varie proliferazioni povere, comportamentali, ecc., l’Italia ritrovava un’autonomia espressiva assai lontana da quella di altri paesi dell’Occidente industrializzato.

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(posto che non possediamo né quello appartenente alle popolazioni dell’epoca, né quello che libri e documenti delle stesse ci abbiano tramandato).

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., abbiano partecipato, sia pur saltuariamente, alle iniziative del movimento milanese, è la miglior prova della vitalità e dell’efficacia dello stesso.

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La pittura moderna in Italia ed in Francia

252850
Villari, Pasquale 1 occorrenze
  • 1869
  • Stabilimento di Gius. Pellas
  • Firenze
  • critica d'arte
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È un fatto singolare, che quasi tutti gli scultori toscani abbiano avuto la medesima origine: cominciano coll’essere scalpellini, intagliatori in legno o in pietra, alabastrini, e poi per forza del proprio genio divengono artisti. Che diverrà mai questo popolo, quando sapremo diffondere in esso la cognizione del disegno e una solida cultura, che all’arte è più necessaria che non si crede?

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La storia dell'arte

253267
Pinelli, Antonio 1 occorrenze

Ma vediamo ora come i due artisti, Ghiberti e Brunelleschi, abbiano ricavato da questo tema due composizioni molto diverse, pur adattandole entrambi alla cornice mistilinea e polilobata prescritta dal concorso. Ghiberti, benché coetaneo di Brunelleschi, appare artista più maturo sul piano delle capacità tecniche, tanto da esser stato capace, diversamente dal suo concorrente, di fondere la propria formella in un unico pezzo. Egli, inoltre, dimostra maggiore abilità nell’organizzare la scena in modo chiaro ed accattivante, alternando parti più lisce e levigate, su cui la luce scorre e risplende, a parti più accidentate, come la quinta rocciosa, che frantuma la luce, incanalandola nel buio dei solchi più profondi e facendola brillare sulle creste e sulle sporgenze più acuminate. La quinta rocciosa di Ghiberti ha, inoltre, un importante ruolo nello spartire nettamente, ma in modo quanto mai verosimile, la composizione: sulla destra il sacrificio, sulla sinistra, l’asino al pascolo e i due accompagnatori che conversano fra loro, indifferenti e ignari al dramma che si sta compiendo a poca distanza. Nella formella ghibertiana le rocce fungono dunque, oltre che da piano d’appoggio per lo svolgimento di tutta la scena, anche da elemento di suddivisione dell’episodio biblico in due azioni, una principale ed una secondaria. Nella prima agiscono i protagonisti del dramma, nella seconda le comparse, che rimangono estranee all’azione drammatica perché non in grado di elevarsi ad una dimensione eroica, la dimensione del sacro.

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L'arte contemporanea tra mercato e nuovi linguaggi

257041
Vettese, Angela 2 occorrenze

Ma ci vorrà tempo anche perché gli artisti di paesi emergenti abbiano il coraggio di attingere alla loro specifica storia senza sentirsi troppo estranei al flusso maggiore e quindi indigesti al sistema di promozione.

Pagina 111

Sappiamo bene come prima la Grecia e poi Roma abbiano esportato il proprio canone per secoli, anche ben oltre la loro caduta come centri politici e militari, proprio perché erano stati fulcri del potere mondiale. Allo stesso modo, la Francia, e in misura minore la Germania, sono risultate dominatrici incontrastate dell’arte nella prima parte del Novecento, quando si sono fatte strada con vigore le avanguardie, poi smorzate, se non addirittura spazzate via, dall’avanzare delle grandi dittature.

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Manifesti, scritti, interviste

257985
Fontana, Lucio 2 occorrenze

Nell’architettura moderna, d’accordo né pittura né scultura, ridotte a funzioni da pezzi da collezionisti, o architettura luce, l’architetto può creare e creerà la nuova architettura solo abbinato con artisti che abbiano capito a che punto stiamo con l’architettura, gli artisti aspettano che alla rivoluzione dell’architettura provocata dal cemento sia abbinata la funzione d’arte spaziale dell’artista contemporaneo.

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Sono convinto che le loro recenti opere abbiano una parte importante nel campo della giovane pittura, perciò è con tutta stima ed entusiasmo che mi sento di appadrinare questa loro mostra.

Pagina 65

Manuale Seicento-Settecento

259876
Argan, Giulio 2 occorrenze

Poiché non si tratta più di realizzare forme che abbiano un valore assoluto ed eterno, ma di agire sull’animo della gente, si ammette che vi siano vari modi di esprimersi e di persuadere: si delineano perciò, diverse tendenze che, non corrispondendo più a diversi schemi di interpretazione della realtà ma soltanto a diversi atteggiamenti e modi di essere e comunicare, possono facilmente combinarsi o intrecciarsi. La necessità di delimitare un campo così vasto, nonché di rispondere alle richieste di una società sempre più stratificata, determina la distinzione di diversi generi artistici, a cui corrispondono altrettante categorie di specialisti.

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Chiude le antiche mura come in una teca, sfrutta tutta la luminosità del vano per dar valore ai diaframmi chiarissimi delle pareti e alla decorazione elegantissima che li adorna, quasi fingendo che i fedeli abbiano adornato di fiori e di palme la chiesa nel giorno della festa.

Pagina 172

Personaggi e vicende dell'arte moderna

260906
Venturoli, Marcello 3 occorrenze
  • 1965
  • Nistri-Lischi
  • Pisa
  • critica d'arte
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Soprattutto dobbiamo ammettere di aver errato in una delle nostre proposizioni critiche: che cioè non si potesse oggi dipingere o scolpire fuori di un riferimento, anche minimo, alla realtà esterna: Pollock, dopo Kandinskij, è riuscito a persuaderci autorevolmente del contrario, ci ha fatto assumere un vivo sentimento di simpatia verso le pure «non figurazioni»: siano esse geologiche o geometriche, tattili o materiche, ritmiche o musicali, un fatto è certo, la pittura — ci dichiara Pollock — non ha bisogno di puntelli esterni, può vivere e svilupparsi «in se stessa», come una dimensione, o una dichiarazione, un atto di fede o una protesta, che nulla abbiano a che fare con il ponte gettato dall’avanguardia verso la tradizione.

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I nazionalisti spinti, che guardano a quest’arco di sviluppo dell’arte nostra, ancor convinti che il mercato francese e lo chauvinismo organizzato dei nostri cugini abbiano tradizionalmente impedito a noi di brillare, sono una sparuta e polverosa minoranza, cui si uniscono talvolta certi cultori romantici del figurativismo realista, i quali, senza volerlo, accettano la provocazione dei colleghi nazionalisti: quelli si battono per la autonomia dell’arte italiana dalle avanguardie, in virtù di una non ben precisata «poesia», di una vaga «purezza» di un non meno accertabile «equilibrio italiano»; questi si trovano, malgrado la loro superiore vivezza e intelligenza, nel medesimo fronte nazionalista, nella difesa ad oltranza dei valori dell’antinovecento, che costituirebbero la premessa indispensabile per l’affermazione attuale delle forze realiste: è tesi piuttosto agitata, infatti, quella che tende a dimostrare la continuità di sviluppo dai modi antinovecenteschi a quelli realisti fioriti dopo la Liberazione.

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Un altro padiglione che tradizionalmente ha presentato opere assai bene scelte e quanto di meglio pittori e scultori abbiano creato in patria, è quello dell'Inghilterra, che presenta due soli artisti, il pittore Victor Pasmore e lo scultore Eduardo Paolozzi, del quale ultimo ci è accaduto di fare il nome nei precedenti commenti sulla Biennale. Del Pasmore è singolare... il puntuale ritardo col quale imita le avanguardie. Scopre il divisionismo quarant’anni dopo; ne prende un campione raffinato, diciamo quello del Severini del 1908, vi mescola qualche tassello magico del liberty che piacque al Kandinskij prima del 1910 e il «fioretto» è pronto; quindi, quasi con il medesimo ritardo, il Pasmore si esercita nei collages storici («Motivo quadrato, bruno, bianco, azzurro e oliva» 1948), si aggiorna con lucido zelo dinnanzi agli ovali del cubismo analitico, e poi... poi, al momento in cui si potrebbe pensare che tale adolescenza nei confronti della pittura adulta fosse finita, ecco questo ritardatario per scommessa come in una gara di regolarità entrare negli schemi di Mondrian: e fa di tutto per comprenderli, amarli, divulgarli, variarli con spessori, listelli, vuoti e pieni; tanto che il nome di Mondrian vien letto in varia guisa: Mondrian, oppure m-o-n-d-r-i-a-n, o anche mo-nd-ri-an, ma, per quanti sforzi abbiamo fatto dinnanzi ai polimaterici puristi dell’artista, non siamo stati capaci di leggere altro nome.

Pagina 73

Pop art

261353
Boatto, Alberto 2 occorrenze

Non passa giorno in cui i fatti diversi dell’attualità, i prodotti di consumo e i loro costrittivi ideali non abbiano guadagnato terreno a scapito della vita personale, tanto che l’esperienza compiuta sulle pagine dei giornali e sulle immagini artificiali sta divenendo l’unica esperienza dell’uomo moderno. Da tempo messa in liquidazione, la sfera privata riesce a sopravvivere soltanto quale appendice della sfera pubblica e da questa ricava tutti i suoi contenuti. Andy Warhol ha tratto una chiara conseguenza da questa trasformazione, e nella sua opera l’esperienza privata, con le idee connesse di soggetto e di singolarità spinta fino ad una pittoresca idiosincrasia, ha ceduto l’intero posto a quella collettiva. Quanto c’è in comune oggi tra gli uomini non sono soltanto certe immagini e certi avvenimenti, una somma di cerimoniali e di volti mitici, ma i modi stessi con cui quelle figure e quei frammenti di mitologia vengono manipolati e trasmessi, sino ad influenzare senza eventualità di scampo ognuno di noi. I modi dell’emissione e della veicolazione prima, e poi quelli della ricezione, hanno acquistato maggiore importanza del messaggio e del prodotto; lo strumento condiziona se non determina la sua qualità. Qui entrano ovviamente in campo i mezzi di comunicazione di massa; ed è a questo punto che interviene anche Warhol.

Pagina 158

È noto come la vicinanza e la frequentazione prolungata abbiano un effetto riduttivo sulla nostra percezione di qualsiasi oggetto: esse finiscono per velarlo, per spingerlo nell'amalgama dell'indistinto. Per tornare a rivederlo è necessario creare un nuovo punto di vista nei confronti dell’oggetto, ed a ciò provvede il pittore della bandiera USA. Vedere e contemplare si trasformano così in un’azione di pignoleria attiva con cui aderiamo all’apparenza dell’oggetto, sbarazzandoci del grigiore della familiarità e della crosta dei significati sovrapposti. Non ci troviamo più di fronte alla bandiera ma a quella specifica bandiera: il cammino procede in modo paradossale dall’universale istituzionalizzato al particolare, all’individuo, al singolare 22.

Pagina 50

Scritti giovanili 1912-1922

264826
Longhi, Roberto 12 occorrenze

Il fondo assai vicino formato di un edificio semifantastico di sobborgo diruto e sucido, in un cielo afato di poche nuvole biancastre, e che solo a sinistra si apre in un paesaggio trattato sommariamente, dove, scenetta di macchia rapidissima, una famiglia si denutre col latte di una capra, ha servito all'autore per dare alle persone proporzioni più grandi e solide che non abbiano nel quadro di Savona.

Pagina 123

Basterà dire che Battistello era una personalità smembrata da ricostruire per intero e che nessuno s'era preso per davvero la pena di farlo: o per incapacità o per la curiosa credenza ancora parecchio vigente nelle menti degli studiosi che le individualità artistiche del '600 non abbiano subito la stessa dispersione che gli artisti del '400, epperciò ànche nel caso di Battistello non ci fosse nulla da ricostruire e da raccogliere: o; infine, per qualcos'altro ancora di meno in colpevole, o di meno ingenuo.

Pagina 179

D'altronde non si potrebbe negare che le personalità più violente dei due artisti non abbiano un po' forzato la mano allo scrittore della storia d'ambiente e non gli abbiano imposto un accentramento maggiore, una partizione più chiara. E infatti «Bramante» e « Leonardo» sono anche i titoli dei due unici lunghissimi capitoli del volume.

Pagina 290

Ma quando la coltura media è a tal segno in Italia, che i direttori delle biblioteche di Stato - quegli stessi, naturalmente, che nel «Bollettino delle Pubblicazioni straniere» sotto la rubrica «Arte» inseriscono la «Chartreuse de Parme» di Stendhal - si affrettano a riporre in sala di consultazione il libro del Corna soltanto per aver letto sul dorso: «Dizionario della storia dell'arte in Italia»; tutto il resto viene da sé; che editori stampino, e incompetenti scrivano, e abbiano scritto.

Pagina 317

Il problema artistico dei bresciani passa immediatamente dalle mani di Foppa a quelle di Moretto; e che Civerchio e Ferramola non abbiano nel frattempo servito a nulla è dimostrato dal fatto incontrastabile che essi si lasciano nel loro periodo tardo trascinare a rimorchio dai tentativi dei più giovani di loro. Essi non riescono a liberarsi dalle superficialità delle mode milanesi, altro che per provarsi, Civerchio nello studio delle stampe nordiche, ch'era corrente nell'Italia settentrionale nei primi decenni del Cinquecento, e nelle nuove applicazioni di Romanino; Ferramola nelle nuove vastità cromatiche ad uso d'affresco che Romanino e il giovine Calisto stendevano nei cori della Valle Camonica; poiché noi non dubitiamo che un più acuto studio di quella serie d'affreschi rivelerà qualche volta le ultime «cartucce» del vecchio Ferramola, che si rjeducava alle nuove tendenze dei suoi giovani discepoli. Per esempio negli affreschi di San Giovanni in Edolo, e in un frammento di Mu, comunemente attribuiti a Romanino o a Calisto 10 sebbene già il Cavalcaselle avesse riconosciuto ch'essi erano di altro artista ed esitasse tra Calisto e «Foppa il giovine» 11.

Pagina 329

Ora non è improbabile che simili ricerche abbiano stimolato Moretto verso il 1521 ad escire dal venezianismo, per una forma corsiva più rapida, più adatta a un trattamento pittorico. Ed anche qui il problema non si può ben risolvere per insufficienza di prove. Ma ad ogni modo anche più tardi corrono analogie continue e secrete fra i modi di Moretto e di Savoldo nell'intendere la figura e nel trattare il paese. Se la veduta di Venezia che Savoldo pone in calce alla grande pala di Brera è più simile a un olandese del '600 che a un Bellini, ciò non si deve soltanto alle innovazioni giorgionesche, ma ai lieviti provinciali lombardi. E talora basta uno scorcio rappreso di mano, per accomunare nelle stesse ricerche di forma «corsiva» Moretto e Savoldo.

Pagina 339

Se questi superbissimi tentativi abbiano creato qualcosa essenzialmente generativo di nuove forme è cosa che non ci tocca discutere qui; dove basta ricordare apertamente che, sebbene per intelletto più modesti, furono senza dubbio sommamente risolutivi e pieni di avvenire gli studi novissimi di Lotto, che già nel 1516 poteva lasciare in Bergamo quella pala di S. Bartolomeo, la quale si stacca completamente dall'arte veneziana contemporanea, e gli studi di forma corsiva ed espressa non plasticamente ma quasi « pittoricamente», di che ci dànno esempi chiari ed aperti Girolamo Savoldo e Alessandro Moretto, pittori di Brescia.

Pagina 342

Ma possibile che non abbiano mai letto costoro le vecchie vite dei pittori di Spagna? Dal tempo del Palomino la verità ha velato sempre più la sua faccia così che oggi è quasi dimenticata, salvo che da un savio autentico: Menendez y Pelayo.

Pagina 390

Nuovi preraffaelliti si appellano a Giotto, invece che a Botticelli, ma non intendono dell'eccellenza plastica, spaziale, e prospettica di certi nostri antichi, più di quello che dell'eccellenza lineare di alcuni altri vecchi maestri abbiano inteso Rossetti e Burne-Jones. S'illudono di poter controllare le ideazioni di queste novelle mitologie coi lumi dei trecentisti, e si giurerebbe li conoscessero soltanto attraverso i pallidi neoclassici del 1830, come sarebbero Francesco Coghetti o il barone Camuccini.

Pagina 429

L'idea che i Lombardi avessero usato la volta dalla prima metà dell'XI secolo (che il Porter riprende dal Rivoira) non incontra grazie presso il Mâle; e tanto meno l'altra che dal 1040 a San Nazzaro Sesia (che lo pregheremmo di non scrivere Sanazzaro Sessia) essi abbiano usato la volta a crocera d'ogive, ciò che sarebbe quanto lasciarle il merito di aver trovato il principio generatore dell'architettura gotica. Noi veramente non ci affanneremo troppo a prender partito per questo problema che, se appartiene alla storia, non riguarda tuttavia la storia dell'arte architettonica, ma solo dell'ingegneria.

Pagina 443

Che ricerche siffatte non abbiano alcun valore per la storia dell'arte, è dimostrato dalla soave confusione che vi regna fra opere certe e opere spurie, sicché non si può dare alcun peso agli specchietti, alle serie d'indizi, eccetera, che sono indifferentemente tratti dalle prime come dalle seconde e sia pure con grande parvenza positiva.

Pagina 449

Non so se abbiano lo stesso significato, nelle opere di indole più complessa, la calata laterale degli angeli nella Natività Crespi, il procedere sbieco dei Magi nell'Adorazione di Brera, il grande gesto inchinevole del San Francesco nella pala di Dresda, col quale forse Correggio vorrebbe negare la discendenza troppo palese dalla Madonna di Fornovo, o la strana costruzione, per me alquanto difficile, del Congedo della Collezione Benson.

Pagina 470

Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266384
Boito, Camillo 5 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
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Le sue mezze figure, grandi al vero, di donna paiono castellane sentimentali e candide, prima che abbiano trovato il loro menestrello. Nel bosco delle Cascine immagina un uomo disteso con la faccia a terra, morto, e una pistola vicina; poi lungo l’Arno, con un bel fondo poetico, due giovani signore, tanto carine, che leggono insieme allegramente una lettera.

Pagina 197

Artefici e botteghe non bastano; ci bisognano centri di produzione, che si giovino delle tradizioni locali, abbiano un carattere proprio, raccolgano le forze di molti, e, non mutando a ogni tratto, si perfezionino via via, a poco a poco accrescendosi e sviluppandosi, come fanno appunto il Salviati e il Ginori. La scuola, perchè sia scuola davvero, ha da essere tenace, ma nello stesso tempo progressiva. Le filigrane di Genova, le incastonature di Firenze, i mosaichetti di Roma, le lave e i coralli di Napoli, i pizzi di Burano sono industrie, che possono essere o possono diventare floride commercialmente, ma che non bastano a formare, sinché giacciano nelle loro pigre consuetudini, un centro vivo d’arte industriale.

Pagina 248

Mentre nel quadro dell'Esopo niuno può chiedere senza sembrare un pedante assai goffo, dove la più parte delle figure abbiano le gambe e come sieno messe a giacere; nell’altro, se uno sgabello sta qualche centimetro più in là del punto in cui forse dovrebbe stare, se il pavimento ha in un certo canto una intonazione un po’freddina rispetto al resto della scala cromatica, apriti cielo. Ma lo stesso è nella vita sociale: ecco una dama di specchiata virtù, che un giorno stringe la mano a un giovinotto ridendo, e gli altri a mormorare: ahi, ahi, ci siamo! e l’uomo che invece n’ha fatte di tutte quante le risme, getta un soldo di elemosina un dì per istorditezza o per boria, e la gente, quasi con le lagrime agli occhi, a esclamare: oh, il buon cuore, il buon cuore! Insomma, vogliamo metterci tutti e in ogni cosa un poco del nostro caro cervello, trovare il bene nel male, il male nel bene: ed ecco perchè la giustizia nella società civile e la critica nell’arte son cose piene di sincerissima falsità.

Pagina 283

Non è egli probabile che, lasciando dall’un dei lati le uggie dell’architettura e della prospettiva, abbiano inteso senz’altro a compiere delle figure che, vedute nello studio, paressero buone?

Pagina 310

Peccato che alcuni degli ottimi nostri paesisti abbiano esposto un lavoro per uno e neanche dei più notevoli; peccato che altri non abbiano esposto nulla! L’Italia avrebbe avuto a Vienna, in grazia del paesaggio, quella lode dagli uomini colti, della quale per le figure dipinte non è stata creduta degna.

Pagina 380

Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale

267193
Dorfles, Gillo 5 occorrenze
  • 1999
  • Feltrinelli
  • Milano
  • critica d'arte
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Il che non significa che alcuni dei nomi che abbiamo fatto nelle prime pagine di questo volume non abbiano più nulla da dire. Se questo è vero per alcuni dei “grandi maestri” sopravvissuti “sino ad oggi” (Ben Nicholson, Miró, Melotti), lo è anche per altri, di questi più giovani, ma la cui maniera è ormai da molti decenni “consolidata” sopra un “basso continuo” che non può, e probabilmente non deve, mutare. E potrei citare altri importanti nomi come quelli di Burri, Pasmore, Matta, Vedova, Santomaso, Dorazio, ma anche Bill, Tapies, De Kooning, Vieira da Silva, ecc. ecc.

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Ho già accennato all’arte del corpo la body art nel capitolo undicesimo soprattutto a proposito della Scuola di Vienna che ha fatto capo, come è noto, ad artisti quali Brus, Schwarzkogler, Muehl, Rainer, e non intendo ritornare su questo periodo che rimane quello di maggior peso e intensità creativa; ma vorrei aggiungere alcuni dati a proposito degli sviluppi che tale tendenza ha avuto negli ultimi dieci anni; anche perché nel frattempo, all'aspetto orgiastico e cruento dell’azionismo viennese, si è venuta sostituendo una predilezione soprattutto da parte di artisti americani come Robert Mapplethorpe e Joel Peter Witkin (questi ultimi attraverso il mezzo fotografico) per ideazioni e rappresentazioni prevalentemente sadomasochistiche e pomografiche, con insistenza, spesso decisamente patologica, sugli aspetti necrofili e le deviazioni sessualmente più morbose (visioni di creature deformi, ermafroditi, genitali e seni oltraggiati attraverso maschere, tatuaggi, catene e lacci, con sgradevoli esibizioni scatologiche), che non mi sembra abbiano accresciuto il valore d’un recupero della corporeità. Non bisogna inoltre confondere i due schieramenti anche perché in quello della primitiva body art era ancora presente un’indubbia valenza estetica che spesso (non sempre) viene a far difetto nei nuovi artisti del corpo.

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È bene poi — prima di affrontare lo studio dei singoli artisti che ho nominato — accennare al fatto di come tutta una serie di artisti abbiano accettato almeno il lato estrinseco di questa maniera: la formulazione, cioè, di segni e di gesti prevalenti rispetto allo “sfondo” e al tessuto, servendosene in maniera diversa, vuoi con un ritorno verso atteggiamenti dadaisti, vuoi per rendere più accettabile ed attuale una nuova figuralità che altrimenti sarebbe apparsa ormai scaduta.

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Non so se tali distinzioni possano esser considerate Antonio Saura, Disegno come opportune, mentre del resto — a puro titolo di cronaca — ricorderò come questi artisti abbiano fatto parte di due importanti raggruppamenti: quello costituitosi nel 1948 a Barcellona di “Dau al Set" (a cui parteciparono Tapies, Cuixart, Tharrats, Joan Pons) e quello madrileno di "E1 Paso” che raccolse tra le sue schiere: Millares, Feito, Canogar e Saura. In realtà, degli artisti spagnoli, i più prossimi a Tapies si possono considerare, almeno in un certo periodo del loro sviluppo, Feito e Muñoz, mentre indubbiamente Rafael Canogar, Saura, Vela sono assai più prossimi a una pittura di nuova figurazione mentre sono più prossimi ad un genere di informalismo internazionale Modesto Cuixart, Cesar Manrique, Antonio Suarez e Manuel Viola. Ricorderò qui, sempre nel panorama iberico, lo sperimentalismo assai raffinato di J. J. Tharrats nei suoi collage e nei disegni polimaterici, Lucio Muñoz che spesso si vale di tavole di legno intagliate e corrose, Manolo Millares che si è talvolta servito di sacchi impastati sulla tela e Juana Francés, che, dopo una fase informale, si è volta ad una sorta di figurativismo emblematico e Genovés, che, si è affermato nel periodo pop, con le sue minute figurazioni pseudo-fotografiche.

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Il problema è troppo complesso e troppo incerto perché si voglia qui sviscerarlo; mi preme soltanto di far notare come alcuni pittori abbiano posto tutti i loro sforzi nella strutturazione d’una nuova spazialità; che di solito mirava ad essere qualcosa di diverso e di più importante di quella atmosferico-impressionista, e anche di quella astratto-costruttivista; che mirava dunque alla costituzione d’uno spazio “artistico’’ differenziato rispetto all'ambiente, ma al tempo stesso del tutto astratto e non riferìbile ad alcuna realtà estrinseca o intrinseca.

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