Abbiamo dedicato la prima puntata del "vademecum" al concetto di "cyber space" divenuto, progressivamente, una sorta di vero e proprio "campo di battaglia"; non è un caso che tra le diverse definizioni elaborate dalla letteratura specialistica troviamo anche quella di "quinto dominio della difesa militare, dopo terra, mare, cielo e spazio". Ci siamo soffermati sulle principali tipologie in cui si declina la minaccia informatica, su alcuni attori della medesima, tra cui gli stati potenzialmente ostili, i terroristi e gli "hacker", dando spazio agli snodi fondamentali delle strategie di contrasto. Abbiamo iniziato a tratteggiare le diverse forme di "malicious activity", relative finalità ed effetti. In questo secondo capitolo ne completiamo il quadro, con il "focus" sulle più recenti versioni di "malware", connotate da uno spiccato indice di offensività.
Nel numero precedente di GNOSIS abbiamo già pubblicato un articolo, a firma di Carlo Jean, dedicato ai combattenti stranieri in Siria e al rischio che essi possono costituire per l'Occidente. Mentre quella guerra civile prosegue proponiamo un'ulteriore riflessione sul fenomeno del reducismo, ovvero dell'incognita rappresentata da quei militanti che, una volta rientrati dal teatro bellico nei rispettivi paesi d'origine o di residenza, possono sfruttare le competenze e il carisma acquisiti sul campo al fine di compiere attentati o svolgere una funzione catalizzatrice della propensione "jihadista" delle nuove generazioni di fondamentalisti islamici. Si tratta di un evento già visto nel passato, in Bosnia come in Iraq - che mentre scriviamo va assumendo la foggia di una polveriera capace di rimescolare le carte dell'intero Medio Oriente - e che la crisi siriana rischia di acuire mettendo a repentaglio, in particolare, la sicurezza europea.
Probabilmente perché, almeno nelle parti più fortunate del pianeta, abbiamo dimenticato da tempo quello che, come essere umani, abbiamo fatto in forme e modalità diverse per milioni di anni: cercare cibo.
La diffusione di "internet" e delle nuove tecnologie ha scompaginato il tradizionale panorama dei "media" così come lo abbiamo conosciuto sino a non molti anni fa. La facilità e la velocità delle comunicazioni hanno consentito la rapida diffusione di enormi quantità di documenti riservati - o, addirittura, segreti - in poco tempo. Precursore del fenomeno è stato il noto sito "WikiLeaks". Un fenomeno ispirato alla c.d. "open diplomacy", ovvero a un assetto di relazioni internazionali tra Stati completamente trasparenti. Si tratta di una visione in realtà non del tutto originale, ma le tecnologie oggi a disposizione offrono strumenti molto più potenti che nel recente passato. L'articolo si pone l'obiettivo di analizzare la genesi e le caratteristiche di questo nuovo scenario, approfondendo anche le ragioni che consigliano cautela verso questo modello di totale trasparenza.
Nel precedente numero abbiamo accennato ad alcune iniziative, avviate da organismi internazionali e da paesi tecnologicamente avanzati, per fronteggiare la minaccia "cyber". Il presente articolo delinea, quindi, un sintetico panorama su quanto intrapreso in ambito nazionale per analoghe finalità. È opinione abbastanza diffusa che l'Italia abbia acquisito tardivamente la consapevolezza dei rischi cui sono soggetti i sistemi informatici e le reti; il quadro che viene descritto dimostra, al contrario, che nel corso di oltre un decennio sono stati affidati compiti e responsabilità a Enti e organismi di Stato, pervenendo, nel gennaio 2013, all'adozione di un d.p.c.m. che ha definito il "Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico", identificandone gli attori, le responsabilità e le procedure.
A causa dell'ennesima esplosione del c.d. sovraffollamento carcerario abbiamo assistito ad una riscoperta del c.d. "braccialetto elettronico". L'A. ne affronta alcune pressanti questioni, a cavallo fra la pratica e l'elaborazione teorica.
A forza di parlare dei grandi temi abbiamo tralasciato di formare dapprima una coscienza di cosa significhi davvero essere imprenditori e, subito dopo, abbiamo omesso di fornire quel necessario supporto che non può ridursi solo ad iniziative di tipo propagandistico/promozionale che lasciano il tempo che trovano (e sprecano fior di risorse). Alle parole, dunque, non sono seguiti i fatti. E lo scrive - qui - uno che ha provato (dal lontano 1997) a promuovere una cultura giuridica in materia. Questo contributo, lasciando da parte ricostruzioni normative (troppo lunghe per la limitata sede), mira a dare qualche "spaccato" di quel futuro che è dietro l'angolo. Nonostante alcuni temi sembrino pura fantascienza, qualcuno si muove. Forse non arriverà in alcun luogo, ma, spesso, il percorso intrapreso è, esso stesso, il viaggio.
Nell'analizzare, pertanto, la questione della rilevanza penale dei vizi dell'azione amministrativa, abbiamo provato a distinguere questi ultimi nelle due categorie del c.d. vizio "proprio", che attiene esclusivamente all'azione di accertamento tributario, e del c.d. vizio "collegato", che invece coinvolge regole o attori del processo penale. L'analisi della giurisprudenza ha mostrato una decisa riluttanza della Suprema Corte ad attribuire rilevanza penalistica al c.d. vizio "proprio"; il vizio c.d. "collegato", invece, è stato ritenuto rilevante solo quando comporta, anche potenzialmente, la lesione di garanzie previste dal codice di procedura penale per la formazione o l'acquisizione della prova. I consolidati orientamenti della Suprema Corte, però, pongono una serie di dubbi che riguardano tanto la rilevanza del vizio "collegato", quanto la rilevanza del vizio "proprio", nel caso in cui questi vizi comportino la violazione di principi e garanzie fondamentali previsti e tutelati dalla Costituzione.
Useremo un prospettiva che abbiamo chiamato "Medicina dell'Invisibile", focalizzata sul valore. Il Piccolo Principe ci suggerisce di cercare l'invisibile come un nuovo tipo di "dato clinico" che può aiutare a rendere l'intervento assistenziale più etico ed efficace. Tale invisibile - che è la "cosa importante", la "cosa seria", anche su un piano gnoseologico ed epistemologico - è raggiungibile solo all'interno di una relazione. Perciò, il medico ha bisogno di essere "addomesticato" dal paziente, e il paziente dal medico - ognuno diventando responsabile dell'altro, ognuno diventando se stesso attraverso il dialogo con l'altro. Ma responsabilità significa anche attenzione al futuro, verso minacce alla vita che sono ancora ignote. Infatti, il Piccolo Principe ci insegna che possedere una parte di mondo - il "possesso utile" - implica l'imperativo etico di agire, al fine di salvaguardare la vita. Ma, senza la concretezza di una relazione - impregnata di tempo vissuto, di esperienze condivise, e dell'unicità individuale - non si dà alcun significato né valore. Per questo motivo la "Medicina dell'Invisibile" ricorda alla Bioetica che "quello che è importante, non lo si vede".
Il sommarsi di tanti fattori, dai carichi eccessivi alla mutata cultura diffusa, dalla nuova disciplina ordinamentale al peso crescente dell'immagine, ha favorito le degenerazioni dei comportamenti e i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Basta osservare con distacco alcune forme di degenerazione per comprendere l'urgenza di una riflessione spassionata e di un ritorno all'approccio critico che in passato abbiamo saputo dedicare a forme di potere diverse e, come quelle di oggi, preoccupanti per la giurisdizione e la collettività.
Sulla base della esperienza acquisita prima con il servizio civile degli obiettori di coscienza e dopo con il SCN abbiamo indicato quelli che sono a nostro avviso i punti di forza, i limiti e i nodi non affrontati nel disegno di legge.
L'aspetto più preoccupante, tuttavia, è il modo in cui tale affermazione è stata argomentata: la decisione appare sorretta da un "iter" motivazionale che lascia interdetti, in cui la Corte inquadra l'art. 55 del D.Lgs. n. 346/1990 come norma sull'assoggettabilità "in ogni caso" degli atti di donazione alla tassa fissa prevista per il servizio di registrazione, applicabile a questo punto, se non abbiamo frainteso il pensiero dei giuridici, in aggiunta (non in alternativa) al tributo proporzionale.