Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le due vie

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Brandi, Cesare 34 occorrenze

La grande bipartizione che abbiamo tracciato per la critica d’arte, in primo luogo come indagine sulla struttura dell’opera in quanto opera d’arte, e in secondo luogo quale indagine sull’opera d’arte in quanto maturata in un certo mondo e in una certa cultura e di qui implicitamente offerta all’esperienza delle generazioni successive, viene a configurare lo spettatore-fruitore dell’opera, se ed in quanto ne realizzi la recezione, in una posizione che finora non era stata chiaramente isolata, posta l’indistinzione fra i due generi di critica. Anche nei casi nei quali è stata fatta, e magari egregiamente, una storia della fortuna critica di un’opera o di un autore, questo panorama storico finiva per essere più passivo che attivo, registrava i sismogrammi, per così dire, che la recezione dell’opera provocava in un individuo storicamente determinato o più genericamente in un’epoca, mentre non si tratta di trascrivere un mero rispecchiamento dell’opera attraverso lo spettatore, ma di prendere atto del rapporto dialettico che si stabilisce fra lo spettatore e l’opera; e proprio come rapporto dialettico, con conciliazioni sempre nuove, dà ragione della diversità di accoglienza nelle varie epoche e individui, di un’opera di cui pure dobbiamo postulare la permanenza e l’identità nel tempo.

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Più tardi abbiamo ravvisato la seconda, nell’Astrattismo prima e poi più specificatamente nell’Informale. Dopo di che chiaramente individuammo e nella pop-art e nel neo-dada l’evidente presentazione dell’oggetto costituito, senza ulteriore o con minima elaborazione. Dovrebbe essere superfluo, ma non lo è, notare a questo punto che, così facendo, e cioè dando atto della possibilità che l’atto creativo si autolimiti contraendosi in una delle due fasi, e che pertanto sia lasciata la fase mancante come in balia dello spettatore-ricevente; noi non inventiamo per comodo tre modi di essere dell’opera d’arte, quello in cui è generata normalmente e altri due nei quali è quasi focomelica rispetto alla prima. L’ammettere le due possibilità abnormi non significa svalutare il processo fondamentale da cui scaturisce l’opera d’arte; ma la ricognizione di questo processo fondamentale non può dar luogo ad una condanna definitoria di tutti quei casi in cui non si attua completamente.

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L’interpretazione che abbiamo proposta 2 per le opere d’arte contemporanee, nella loro maggioranza, e che va dalla pittura e scultura alla poesia e alla musica (a parte si vedrà dell’architettura e di altre manifestazioni) si basa dunque non sul processo transazionale che l’opera provoca nel ricevente — si integri, questi, o no — ma sull’apertura che è offerta dalla stessa struttura formale dell’opera. È chiaro che, pur se la possibilità da parte del ricevente di inserirsi nel processo creativo è data dalla struttura dell’opera, questa, come opera d’arte, proprio in quanto, a differenza dell’opera d’arte tradizionale, conclusa inappellabilmente nelle sue clausole formali, esige l’intervento come collaborazione, almeno virtuale, dello spettatore, non si esibisce affatto quale il paradigma stesso dell’opera d’arte, e tanto meno come un traguardo a cui in un certo senso l’arte, nel suo sviluppo, dovesse arrivare, come fu, ad esempio, ed è esempio di sviluppo quasi ineluttabile, l’avvento della dodecafonia per la musica. Ma è altrettanto vero che la possibilità di un tale sviluppo, in apparenza abnorme, era insita nella struttura stessa in due tempi del processo creativo: al punto che, chi non riconosce tale strutturazione, si trova nell’assoluta incapacità di motivare, se non in modo emotivo, sia l’assenso che il diniego all’arte contemporanea, la quale pur storicamente si è prodotta e non come un prodotto del caso.

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Certamente noi non abbiamo mai asserito che sia una situazione privilegiata, quella delle arti del nostro tempo, di avere rinunciato ad una fase del processo creativo per favorire l’integrazione dello spettatore: ma, senza essere un privilegio, è una realtà. Come è possibile, che l’architettura vi sfugga? In primo luogo si potrà notare che l’architettura, per la sua stessa struttura che implica la funzionalità come sostanza conoscitiva della forma, un’integrazione dello spettatore nella figura di utente l’ha sempre posseduta, anzi fin dalla fase pre-architettonica della caverna e della capanna. Ed è forse questa istituzionale integrazione dell’utente che si può credere averla salvata dall’integrazione attuale, ancorché questa, senza alcun dubbio, sia di genere del tutto diverso. Infatti l’integrazione dello spettatore, se finisce per rientrare nella struttura dell’opera, non avviene istituzionalmente, ma, come si è spiegato, in surrogazione di un processo rimasto mutilo o volutamente interrotto. Si tratta dunque solo di un’apparente somiglianza fra l’utensilità dell’architettura a beneficio dell’utente, e l’intervento che spontaneamente realizza lo spettatore sull’opera che è nata del tutto indenne da una determinata utensilità, ma solo per consentire allo spettatore-fruitore un intervento integrativo a metà strada. Quindi, anche se possa essersi prodotto uno slittamento, nel senso che la costituzionale utensilità dell’architettura si sia ad un tratto configurata — nella coscienza attuale e sempre oscuramente — come un’integrazione dello spettatore, nella figura di utente, all’opera, resta sempre il fatto basilare, e viene a contrastare a tale ipotesi, che, nella pittura come nella scultura, l’oggetto messo in vista, isolato ed esposto, è di colpo inutilizzato. L’impermeabile che Jim Dine appende al quadro o la stoviglia che Spoerri appiccica sul piano della tavola, cessano di servire, anche se continuano a fungere da impermeabile e da stoviglia: mentre una casa si deve potere abitare. Non si dà né si può dare una casa in vetrina, che diverrebbe quello che è la ciotola di Spoerri attaccata alla tavola: un oggetto costituito. Quindi è chiaro che, per l’architettura, non si realizza, o per lo meno non si è realizzata finora, la costituzione d’oggetto come fase offerta in proprio allo spettatore-utente.

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Eppure abbiamo i più fondati dubbi che ciò accada o accadrà. Le ragioni di questi dubbi sono le seguenti. L’integrazione non può avvenire che sulla prima o sulla seconda fase del processo creativo: ima terza ipotesi non c’è. Anche a prescindere dall’edificio in sé e per sé, e assumendolo nel contesto urbanistico, di cui l’edificio, allora, non è che una «battuta», un momento provvisoriamente isolato in un continuum, non si riesce a vedere in che modo questo insieme urbanistico possa presentarsi come oggetto costituito piuttosto che come immagine già formulata. In secondo luogo, sia l’oggetto costituito che l’immagine formulata, come pure l’integrazione alla fase mancante, esigono un punto di stazione, una distanza, una inutilizzazione o una irrealizzazione dell’oggetto come dell’immagine. Ora, l’urbanistica moderna non è pensata da fermo, ma nel vivo del movimento. L’uomo moderno non va a piedi e si ferma e guarda: va in automobile e si ferma solo ai semafori. Di qui le esigenze come quella viabilistica, sociale, sanitaria ecc., che nell’urbanistica moderna sono nettamente prioritarie: mentre l’integrazione ha carattere indelebilmente estetico. Nasce allora il sospetto che il declino dell’architettura non sia solo attuale ma irrimediabile, perché l’architettura, nella civiltà odierna, avvicinandosi sempre più alla macchina come all’oggetto in serie, ha finito per costituire proprio una delle antitesi a quel desiderio di integrazione che l’uomo moderno chiede alle arti figurative: l’uomo individuo, o in quel che sopravanza dell’individuo, rispetto all’uomomassa, di cui l’architettura costituisce proprio uno dei mass-media. E come sarebbe possibile integrarsi ad una architettura come oggetto in serie, allo stesso modo di come una bottiglia di Coca Cola appare in un combine-painting di Rauschenberg? Né si prende un grattacielo e si incolla su una tavola appesa verticalmente alla parete. L’architettura come uno dei mass-media di fronte alla quale si ribella la coscienza individuale e cerca altrove l’integrazione, ci sembra l’unica visione possibile e la spiegazione della situazione attuale.

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Lasciando da parte quanto si riferisce al primo punto di stazione, per cui ci riferiamo a quello che, a diverse riprese, abbiamo scritto in proposito 2, tratteremo allora del secondo punto, a cui facemmo già esplicito riferimento per costruire la Teoria del restauro3, che tratta dell’opera d’arte in quanto viene recepita dalla coscienza, e quindi della possibilità e dei limiti di un intervento effettuale e conservatorio sull’opera d’arte medesima.

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Che questo pericolo non sia d’oggi, ma si sia presentato nel corso di qualsiasi civiltà artistica, è certo, e basterebbero la diffusione degli stili, le copie e le imitazioni che sempre hanno accompagnato l’opera di successo, le quali se, come altrove abbiamo avuto modo di scrivere, esautorano l’originale, dimostrano d’altro canto la feticizzazione dell’opera di successo, desacralizzata come bene di consumo e risacralizzata per il prestigio riflesso dal successo. Ma certamente nell’attuale massificazione della civiltà la feticizzazione dell’opera d’arte è fenomeno dominante e preoccupante proprio per quanto incida, e magari inavvertitamente, sugli stessi artisti. A questa feticizzazione e alla stanchezza che i moti esteriori di sacralizzazione producono in un mondo che ha perso la sacralità, e di questa conserva come un oscuro complesso simile alla nostalgia dell’infanzia, si riporta allora anche la erosione delle correnti artistiche, l’impossibilità a tenere più in là di una stagione, per cui la permanenza di un artista in determinati modi formali si configura, anche se non lo è, come un attardamento, un regresso, perché la feticizzazione avviene non sul valore formale ma sul valore di scambio dell’opera, sul successo come l’avrà in quel solo presente a cui è ridotta l’esistenza umana attuale.

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L’interpretazione che abbiamo delineato, facendo perno su una carenza ontologica comune all’intera epoca, dovrebbe potere estendersi a tutte le manifestazioni tipiche dell’epoca stessa. A questo punto viene allora il sospetto che, nell’ambito medesimo delle attività artistiche, ne rimanga invece eccettuato un filone che non rappresenta né il protendersi nel presente di un passato tradizionale né la resultanza d’imperio di un indirizzo politico, e cioè il filone che si denomina a turno neo-costruttivista, gestaltico, arte programmata, ed ora op-art, ma la cui caratteristica comune e fondamento è di porsi in relazione con l’industria, sia che ne assorba la tecnica sia che intenda controllarla.

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Abbiamo detto che la massificazione è certamente collegata al processo tecnologico industriale ma non intendiamo inferirne che questo ne sia la ratio. La ratio prima è la carenza ontologica e la riduzione al presente che sta alla base dello stesso processo di incremento forsennato dell’evoluzione industriale. Il suo svolgimento dalla base artigianale e individuale attraverso la divisione del lavoro e la elaborazione di nuove tecniche a mezzo delle macchine, iniziò con l’illuminismo, ed Argan l’ha visto assai bene, come ha visto bene che l’emergenza delle ideologie designa la secolarizzazione dell’antico affanno per la salvezza eterna, la trasposizione di questa dal trascendente nel contingente 4.

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Ma le considerazioni precedenti spiegano perché noi non abbiamo affatto bisogno, per interpretare l’arte del nostro tempo, di rispolverare l’hegeliana morte dell’arte. Intanto il senso che aveva per Hegel, nel suo sistema, lo svuotamento della funzione dell’arte è ben diverso da quello che vorrebbero attribuirgli taluni per farne il profeta della situazione attuale, e, inverandosi la profezia, constatare il decesso.

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Nella prima parte di questo saggio, riportandoci ad una analisi strutturalista di Barthes, abbiamo rilevato che il messaggio implicito nella fotografia non è solo denotato, ma che la struttura del messaggio fotografico è proprio di presentarsi come coesistenza in atto di due messaggi, uno denotato, messaggio senza codice, l’altro connotato e dunque in codice. In base a tale analisi semantico-strutturale già risultava la divergenza fondamentale fra fotografia e pittura. Riprendiamo ora questo esame da un punto di vista fenomenologico, indipendentemente dalla duplice struttura di messaggio che la fotografia comporta.

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La scelta, la messa in posa, l’individuazione simbolica è comune alla pittura e alla fotografia: è quanto abbiamo chiamato costituzione di oggetto. Ma a tale fase si arresta la fotografia, in cui pertanto si può riconoscere un’aspirazione alla forma, ma non la clausola della forma: a questa arriva solo la pittura con la formulazione di immagine. Il fatto di partecipare con la pittura alla prima fase non confina per altro la fotografia a un semplice verbale ottico; in quella prima fase, infatti, l’investimento simbolico, che è essenziale all’artista nella scelta e la messa in posa, deve riconoscersi anche nel fotografo. E se è un caso che il più antico dagherrotipo sopravvissuto sia una Natura morta (1837), non è però un caso che fra le prime fotografie si facesse quella di una natura morta, in cui, più facilmente che in un ritratto, si può riconoscere o accusare l’investimento simbolico. Questo fatto di porsi, per la fotografia, a metà strada fra la natura e l’arte non deve comunque essere sottovalutato, in quanto che quella «metà strada» si trova ad essere la coscienza, attraverso cui, prima che dalla lente, passa l’immagine che il fotografo intenziona di fissare. Perciò, anche a restare a queste considerazioni, il riscatto della fotografia da una condizione artigianale è indubbio e sensato.

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In questo caso, tanto se si tratti di un frammento di materia tratto dal mondo organico o inorganico, che di un manufatto, si manifesta come fenomeno colpito da una speciale epoché sospensiva Ora a questo si riconduce la prima fase del processo creativo, che abbiamo chiamata costituzione d’oggetto. E perciò il fenomeno così isolato non dà parallelamente, rispetto a ciò che abbiamo chiamato opera d’arte, un altro fenomeno-che-fenomeno-non-è, ma piuttosto il fenomeno sull’orlo di trapassare in fenomeno-che-fenomeno-non-è: e a ciò si giungerà solo con la formulazione d’immagine.

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Quando si è trattato del rapporto fra fotografia e pittura, abbiamo accennato alla calamitazione, per la pittura, verso la resa dell’oggetto, reintegrato, nella formulazione, nella più minuta particolarità; e, in tal senso, si notava che varie volte si è ripresentato questo sviluppo durante la storia della pittura. Vale tuttavia soffermarsi su questo argomento, perché è una delle fonti di maggiore ricorrente equivoco nella storia della pittura, anche recente. E d’altronde serve sempre meglio ad accentuare le somiglianze e le divergenze fra pittura e fotografia, anche quando queste sembrano più riavvicinate. Il problema si può porre subito con la necessità di distinguere se l’adeguazione dell’immagine all’oggetto deriva da sottrazione, da prelevamento sul vivo al momento in cui l’oggetto dovrebbe costituirsi, oppure da reintegrazione al momento della formulazione dell’immagine. Così enunciato resulterà chiaro che nel primo caso si tratterà unicamente di un fenomeno riproduttivo, in cui l’oggetto, come si è spiegato differenziando l’attitudine del fotografo da quella del pittore, viene isolato ma non dialettizzato: nel secondo caso invece si avrà arricchimento legittimo, che non offuscherà la formulazione dell’immagine.

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Quello che noi abbiamo detto appartenere alla seconda via della critica d’arte

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La critica letteraria, ancor più che la critica d’arte, mostra in atto la divisione fra critica estetica e critica storica, divisione che è impossibile riassorbire per il fatto che, come abbiamo mostrato, le due critiche fanno capo a due punti di stazione diversi, dei quali nessuno può sopprimere l’altro, in quanto corrispondono alla bipolarità dell’opera d’arte. Si è già detto che per la stessa ragione è impossibile pensare contemporaneamente l’opera d’arte nella sua struttura e nella sua genesi, perché la prima mira all’opera d’arte come astanza, la seconda al fatto storico di questa epifania, e perciò individuano due livelli diversi del pensiero. Giustamente nota allora Starobinski a proposito di Leo Spitzer: «una volta che le opere d’arte sono comprese fuori da ogni altra considerazione che sia ad esse estranea, non è meno legittimo di considerarle come ricercatrici e donatrici in seno al movimento storico della cultura. Un movimento di va-e-vieni s’instaura, e tanto più utilmente se lo studio dello stile e quello della storia avranno saputo rispettare meglio le regole delle rispettive discipline. Anche quando Spitzer associa strettamente i due modi di avvicinamento all’opera d’arte, si assiste sempre ad una ‘ congiunzione ’ dei metodi piuttosto che ad una loro fusione. E secondo la maniera polemica in cui la sua vitalità si esplicava, ha affermato i suoi princìpi tanto combattendo una stilistica priva di informazione storica (il new criticism americano) quanto ironizzando sulla storia delle idee, quando i suoi rappresentanti gli pareva che mancassero di riguardo per il valore ‘ unico ’ dell’opera d’arte letteraria»2.

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Quanto abbiamo opposto alla lettura in chiave psicoanalitica delle opere d’arte, a questo ridurle arbitrariamente alla stregua di un mero documento psicologico, senza tenere conto del fatto fondamentale che, nella loro essenza, non sono state create per trasmettere un messaggio ma per determinare un’astanza, non esclude certamente, come abbiamo già lungamente spiegato in antecedenza, che un messaggio o vari messaggi possano essere contenuti nell’opera d’arte, o che ne vengano tratti in via indiretta, anche senza che il messaggio fosse inserito coscientemente, intenzionalmente, nell’opera d’arte. La ricerca e l’esplicitazione di tali messaggi è dunque il compito della seconda branca della critica d’arte e corrisponde all’area della filologia intesa nel senso più vasto e antropologicamente umanistico; è perciò comune a tutte le arti, e particolarmente da considerare per le opere d’arte dette figurative, o che in via lata vi si aggregano. Si pone in primo piano, fra i vari messaggi che l’opera convoglia, quello che comunemente si chiama il soggetto, e potrebbe sembrare che, questo messaggio, appartenesse alla struttura primaria dell’opera d’arte in quanto tale, mentre, se è certamente conglobato nel manifestarsi sensibile dell’opera, non può ritenersi indispensabile al manifestarsi stesso, se non come sostanza conoscitiva e mezzo per adire alla fruizione del testo. Viceversa c’è un messaggio che trapassa nella struttura primaria dell’opera, ed è la tipologia iconografica: vi trapassa, non nel senso che, se opera d’arte è, non possa determinarsi come astanza, se se ne ignorino le connotazioni tipologiche, ma perché lo schema iconografico o comunque tipologico ha penetrato la forma, come lo scheletro la carne.

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Circa il primo strato, che è quello della denotazione o sostanza conoscitiva, dove vi sia, non abbiamo ormai da dilungarci; circa il secondo, se interessa veramente la struttura figurativa dell’opera nello schema iconografico che assume, l’interpretazione non è indispensabile alla recezione dell’opera come opera d’arte. L’esempio più eloquente è proprio quello che sembrerebbe dovere essere fatale, e non lo è, per il manifestarsi dell’opera d’arte come tale: il cambiamento di soggetto nella cosiddetta Derelitta del Botticelli. Che l’interpretazione romantica come Derelitta abbia enfasizzato e reso celebre l’opera non c’è dubbio, come non c’è dubbio che, se veramente raffigura Mordecai che piange davanti alla porta del Re (dal Libro di Esther), apparirà meno «poetica»13. Ma questo rientra unicamente nella recezione storica dell’opera: nella sua essenza è quello che si manifesta e non il messaggio che trasmette o convoglia.

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In quanto poi al terzo strato, a cui corrisponde l’intento interpretativo più ambizioso, ma anche quello più manifestamente meccanicistico, si fonda sulla sistematica applicazione del principio di causa, che abbiamo respinto. D’altronde, come il Panofsky stesso ammette esplicitamente, per passare all’analisi del terzo strato, analisi che egli ha chiamato, rinfrescando un vecchio termine, iconologica, non è più sufficiente l’armamentario filologico con cui si riesce o si tenta di esplicitare il primo e il secondo strato, occorre «un’intuizione sintetica che può essere più sviluppata in un profano di talento che in un erudito specialista» 14. E con ciò si ammette senza ambagi che all’indagine sull’opera si sostituisce la proiezione di quello che il fruitore connette all’opera stessa «condizionato dalla psicologia e dalla Weltanschauung personale»15. Per questo le indagini iconologiche non rappresentano il grado supremo della critica d’arte, ma appartengono alla recezione dell’opera d’arte, e non rendono più scientifica la critica d’arte, ma solo costituiscono un tentativo di avvicinamento antropologico invece che estetico all’opera d’arte.

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Si demanda allora se è consentaneo all’essenza dell’opera d’arte, che abbiamo concettualizzato come realtà pura, di rappresentare o comunque contenere un messaggio. Ma parlare di messaggio, è porre al tempo stesso la necessità di decifrarlo. Si domanda perciò in seconda istanza se l’attitudine che assume la coscienza per decifrare (decodificare) un messaggio sia compatibile o no con l’attitudine per cui si realizza la presenza dell’opera d’arte.

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Abbiamo voluto soffermarci su una delle più dibattute applicazioni all’Estetica della teoria dell’informazione, nella sterminata bibliografia che la teoria medesima ha suscitato, perché indizia l’impossibilità di risolvere i problemi di fondo della semantica sulla base positivistica su cui si regge la semantica stessa, sicché bisogna contentarsi al più di risultati parziali.

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A questo punto abbiamo dunque raggiunto un’importante certezza: l’opera d’arte è opera d’arte in quanto realizza una presenza, si costituisce astante, ma, così dandosi in proprio, non comunica; se comunica, non è in questo darsi in proprio, ma per i caratteri secondari che porterà in sé e che non sono fondati in questo suo prodursi in presenza.

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Dopo quello che abbiamo analizzato riguardo all’arte come messaggio e dunque segno vale appena sottolineare che la caratterizzazione dell’arte come segno è una classificazione ancor più apparente che generica, una classificazione cioè da cui esula l’essenziale di quello che fa opera d’arte l’opera d’arte, come chi si arrestasse, per definire l’uomo, a dire che è un animale o una scimmia sui generis. Quanto conta, per l’uomo, sta allora in quel sui generis, dove si cela la differenza specifica fra l’uomo e la scimmia. Così, asserire che l’arte è segno, mira a colpire unicamente il fatto che l’opera d’arte è recepita come opera dell’uomo e come tale è un «segno della presenza dell’uomo nel mondo», ma alla stregua di tutti gli infiniti altri segni di questa presenza: è dunque una distinzione inoperante, che, invece di mettere in evidenza la peculiarità dell’arte, l’accomuna e la livella a tutti i prodotti del fare umano. Tuttavia bisogna riconoscere che il tentativo di partirsi dalla semanticità del segno mirerebbe invece a salvare la specificità dell’opera d’arte, in quel che l’opera d’arte significa, naturalmente per il ricevente o fruitore. Sennonché, un tentativo del genere, si prospettava come un olocausto, quando si consideri che è stato consumato proprio in pieno dominio, per le arti figurative, dell’astrattismo e dell’informale, sicché alle arti a-semantiche (per riprendere, ma solo per un momento, una classificazione morta sul nascere) veniva ad aggiungersi quella che, con la poesia, era l’arte semantica per eccellenza, la pittura con la gemella scultura. E che in genere alla base dei semanticisti-neopositivisti possa esserci anche una collusione marxista, non ha spronato, a dir vero, i semanticisti a buttare a mare l'astrattismo-informale per rifugiarsi nel neo-realismo e salvare una semanticità «letterale» o estrinseca dell’arte. Piuttosto, questa aporia iniziale, in uno dei più notevoli tentativi di costruire un’estetica semantica, nel Kaplan cioè, si esplicava sacrificando, praticamente, proprio il riferimento su cui la nuova estetica doveva o voleva basarsi. «La tesi di questo scritto — asseriva in limine operis il Kaplan — è semplicemente che dove esiste riferimento nelle arti esso è veramente essenziale, non in quanto riferimento, però, bensì in quanto contributo dell’espressione, ma che l’espressione può avere luogo anche senza riferimento.» 48 Parole sacrosante, ma che distruggevano sul nascere l’estetica semantica, e che potrebbero quasi essere sottoscritte da Croce o dalla Langer: estetici, come si sa, seppure da provenienze diverse, dell’espressione.

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E noi non abbiamo nulla da obbiettare se non quanto abbiamo già detto, che l’intenzionalità così estesa pariteticamente a tutti i campi accessibili alla coscienza, costituisce il campo gravitazionale generale in cui si determina l’intenzionalità tipica che è matrice dell’opera d’arte; questa, nella prima fase del processo creativo, nella costituzione di oggetto, rivela proprio il momento in cui si sospende l’oggetto dalla oggettività e s’inizia il trapasso all’oggettualizzazione: una oggettualizzazione sui generis. L’estetica sta appunto nell’esplicare quel sui generis. Ed è proprio per questo che noi scrivemmo Segno e immagine, per distinguere la particolare accezione di segno che certe immagini assumono o conservano, pur nell’ambito generale di segnicità o di semanticità in cui rientra ogni prodotto della coscienza umana, e perfino, di eventuali forme larvali di coscienza non umana, se veramente le api hanno potuto elaborare un loro codice segnico, di danza o quasi, col quale comunicano e quindi, a lor modo, oggettualizzano i moti naturali dell’istinto.

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Riferendoci allora all’analisi del linguaggio che abbiamo fatto nel Celso 55; partendoci dallo schematismo kantiano, se riprendiamo il problema in termini di semantica, troviamo che il momento connotativo della parola è tanto più intenso nello schema preconcettuale che nel concetto, empirico o no, a cui la parola perviene, proprio perché la depurazione, ovvero categorializzazione che nel concetto si persegue, tende ad estrarre una scarna denotatività dalla più rubesta connotazione originaria.

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Si precisa allora il problema dell’ambito a cui appartenga in via assoluta il primo e fondamentale momento della critica d’arte, che abbiamo definito come rivolto all’essenza, e che costituisce il momento di individuazione dell’opera attraverso l’indagine sulla sua struttura.

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Abbiamo detto che i vari messaggi contenuti a differenti livelli dall’opera ne fanno parte integrale, ma non della struttura per cui un’opera d’arte è tale. Sorge allora il quesito circa il criterio per distinguere quale sia la struttura veramente essenziale, perché un’opera d’arte si manifesti opera d’arte. E qui si dovrà andare molto cauti, perché l’essenzialità di tale struttura non va intesa nel senso che sia la sola che, se mutasse, l’opera d’arte o non più sarebbe tale o sarebbe diversa, in quanto che l’opera d’arte è un tutto in cui tutte le parti si tengono a vicenda, e perciò anche i messaggi collaterali che convoglia, se cambiano o scompaiono, producono una variazione che può giungere fino ad annullare l’opera d’arte come tale. L’esempio più eloquente è dato dal fatto che per la poesia occorre conoscere la lingua in cui è scritta, e conoscere una lingua significa essere in possesso di questa lingua come codice. Pure è indubbio che, nella poesia, la trasmissione di messaggi in quel determinato codice è strumentale: la poesia non consiste nell’informazione che ci dà, per riprendere l’esempio, «erano i capei d’oro all’aura sparsi» e neppure nel giochetto l’aura/Laura che rappresenta un secondo messaggio criptografico. La conoscenza della lingua italiana, che è indispensabile per appropnarsi di quel sonetto del Petrarca, non è sufficiente a dar conto del sonetto stesso come poesia. La cui struttura andrà cercata attraverso la lingua, la metrica e i riferimenti biografici e culturali dell’autore, ma non al di là di quella lingua, di quella metrica e di quei riferimenti particolari, proprio perché la poesia non è un messaggio che possa trasmettersi in differenti codici. In differenti codici si trasmetterà solo quello che in essa è messaggio, e perciò traducibile in differenti codici e cioè nelle varie lingue.

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«Il più importante nuovo risultato della fisica atomica — ha affermato Heisenberg 28 — è stato il riconoscimento della possibilità di applicare diversissimi schemi di leggi naturali agli stessi processi fisici, senza contraddirsi.» 29 Per questo abbiamo parlato di sinecismo per i due principi. Ma è pacifico che la verifica sperimentale, che assicura su basi certe e non supposite, la correlazione effettiva di causa ed effetto, si può avere solo dove vi sono delle quantità che si possono misurare: dove le quantità non si possono misurare il principio di causalità deve cedere il posto al principio di indeterminazione.

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Qui dunque avviene l’insorgere dei giudizi di possibilità oggettiva, che superficialmente si ritengono oziosi (e tale era anche l’idea del Meyer a cui si contrapponeva il Weber) ma senza i quali non si può fare storia, ovvero, secondo che abbiamo detto, integrare la rilevazione di nessi causali con la ricerca delle motivazioni, perché tale ricerca si risolve in realtà in una catena di ipotesi di possibilità oggettive e quindi di giudizi. Il nesso causale vero e proprio si configurerà allora quello in cui determinati complessi di ‘ condizioni ’, congiunti ad unità mediante la considerazione storica e concepiti come isolati, corrispondono alla causazone adeguata dell’effetto; mentre questa sarà accidentale «laddove sugli elementi dell’effetto, che cadono sotto la considerazione storica, hanno agito fatti i quali hanno prodotto una conseguenza che non era in questo senso ‘ adeguata ’ ad un complesso di condizioni connesse concettualmente in unità». L’esempio specifico a cui si riferiva il Weber era quello, tratto dal Meyer, dei due colpi sparati davanti al castello di Berlino a cui seguì la rivoluzione, la quale si sarebbe comunque prodotta, stante la situazione, a dire del Meyer, anche senza quei colpi. Accettando l’opinione del Meyer, sia pure prescindendo dal contenuto dell’opinione stessa, il Weber osserva che se «qualsiasi caso doveva fare scoppiare ugualmente il conflitto, ciò vuol dire che nella costellazione storica data possono venir isolate concettualmente determinate ‘condizioni’, le quali avrebbero appunto prodotto quell’effetto anche in presenza di un gran numero di altre condizioni concepibili, che potevano presumibilmente aggiungersi, mentre l’ambito dei momenti causali la cui aggiunta ci faccia sembrare probabile un’altra conseguenza (nei punti decisivi) risulta relativamente limitato». Ma lo sviluppo dato alla proposizione del Meyer in questo ragionamento dimostra appunto che la proposizione stessa presumeva la formulazione di ipotesi di possibilità oggettiva. Ed è evidente che allora implicitamente queste rappresentano una attenuazione del concatenamento causale deterministico, attraverso la proiezione di possibilità che altro non sono che rilevamento o imputazione di intenzionalità.

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La nostra indagine non tanto partirà allora da quello che è stato scritto (e noi stessi abbiamo scritto) sull’arte, quanto dal punto di stazione da cui guardare all’arte.

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E come la dialettica struttura costituzionalmente lo stesso proporsi dell’oggetto nell’affabulazione creativa — quello che noi abbiamo chiamato la costituzione dialettica dell’oggetto 39 — così, con una catena di reazioni, per lo più irrecuperabili e veloci, avviene la contrapposizione di un artista all’altro, di un gusto ad un altro gusto, il cui complesso tessuto materia un’epoca.

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Abbiamo detto che la concezione dialettica della storia rappresentava la vivificazione del materialismo storico, ma dovremmo aggiungere che in nessun campo come in quello della storia dell’arte, sia pure intesa solo come storia dell’epifania dell’opera d’arte, questa vivificazione ha avuto tanto poco luogo 40.

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Poiché abbiamo già chiarito in qual caso si possa e dove non si possa far pernio sul concetto di causa, anche per la storia dell’arte come apparizione dell’opera nel mondo dell’esperienza, mentre la struttura dialettica si rintraccia in primo luogo nell’affabulazione stessa dell’artista, occorre tuttavia dare almeno un esempio significativo, nel contrasto fra un filosofo e un critico d’arte marxista, delle incertezze a cui dà luogo un metodo d’indagine pensato e svolto indipendentemente dalle opere d’arte, e a queste applicato d’autorità. Frederick Antal nel suo libro sulla Pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento 45 >ha inteso dare una caratterizzazione della pittura fiorentina dei due secoli ricavandola dalle varie interazioni sociali, politiche dell’epoca, con un chiaro intento marxista.

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Abbiamo preferito dare la critica di un marxista ad un saggio di critica d’arte marxista, per esemplificare, senza che ci si possa accusare di preconcetto, come il difetto peggiore di una storia dell’arte causale, rinfrescando il sofisma post hoc ergo propter hoc, stia proprio nella giustapposizione e nella mancanza di dialettizzazione. Nel caso in parola si deve osservare che la dialettizzazione avviene proprio fra lo stile di Gentile e quello di Masaccio, e quel che ne estrae Masaccio, in contrapposto al chiaroscuro descrittivo di Gentile, è un chiaroscuro plastico, che rappresenta la geniale conciliazione degli intenti plastici di Masaccio, già apparsi chiari nella quasi giottesca Madonna del Trittico di San Giovenale a Cascia (del 1422), con la modulazione squisitamente descrittiva dell’Adorazione dei Magi di Gentile. Che poi Gentile lavorasse per Palla Strozzi e i Quaratesi e Masaccio per il notaio Ser Giuliano di Colino degli Scarsi, proprio non si sa dove possa risiedere, fra i tre, una distinzione di classe, come vorrebbe l’Antal.

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Storie naturali

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Levi, Primo 7 occorrenze

Anzi, guardi, metta in macchina quella carta intestata listata a lutto, sa bene, quella che abbiamo fatto stampare per la morte dell' arciduca di Sassonia. Veda di non fare errori, così magari evitiamo la copiatura. SEGRETARIA (esegue: passi, fruga in un cassetto, mette i fogli in macchina) Pronti. Detti pure. POETA (liricamente, ma sempre con fretta) "Compianto in morte del marchese Sigmund von Ellenbogen, prematuramente scomparso". (La segretaria batte). Ah, dimenticavo. Guardi che lo vogliono in ottave. SEGRETARIA In ottave? POETA (sprezzante) Sì, sì, ottave con la rima e tutto. Sposti il marginatore. (Pausa: sta cercando l' ispirazione) Mmm ... ecco, scriva: Nero il ciel, buio il sole, aridi i campi Son senza te, marchese Sigismondo .... (La segretaria batte). Si chiamava Sigmund, ma devo pur chiamarlo Sigismondo, capisce, se no addio rime. Accidenti a questi nomi ostrogoti. Speriamo che me lo passino. Del resto, ho qui l' albero genealogico, ecco .... "Sigismundus", sì, siamo a posto. (Pausa). Campi, lampi .... Mi dia il rimario, signorina. (Consultando il rimario) "Campi: lampi, accampi, scampi, crampi, rampi ..." cosa diavolo sarà questo "rampi"? SEGRETARIA (efficiente) Voce del verbo "rampare", immagino. POETA Già: le trovano tutte. "Cialampi" ... no, è dialettale. "Avvampi". (Liricamente) "O popolo di Francia, avampi, avampi!" ... Ma no, che cosa sto dicendo! "Stampi". (Meditabondo) ... poiché, prima che un altro se ne stampi .... (La segretaria batte poche battute). Ma no, aspetti, è solo un tentativo. Neanche, un tentativo: è una idiozia. Come si fa a stampare un marchese? Via, cancelli. Anzi, cambi foglio. (Con collera improvvisa) Basta! Butti via tutto. Ne ho abbastanza di questo sporco mestiere: sono un poeta, io, un poeta laureato, non un mestierante. Non sono un menestrello. Vada al diavolo il marchese, l' epicedio, l' epinicio, il compianto, il Sigismondo. Non sono un versificatore. Su, scriva: "Eredi von Ellenbogen, indirizzo, data, eccetera: Ci riferiamo alla Vostra pregiata richiesta per un compianto funebre, in data eccetera, di cui Vi ringraziamo sinceramente. Purtroppo, per sopravvenuti urgenti impegni, ci troviamo costretti a declinare l' incarico ...". SEGRETARIA (interrompe) Mi perdoni, maestro, ma ... non può declinare l' incarico. C' è qui agli atti la nostra conferma d' ordine, la ricevuta dell' anticipo ... c' è anche una penalità, non ricorda? POETA Già, anche la penalità: siamo ben combinati. Poesia! Puh, è una galera, questa. (Pausa: poi, con brusca decisione) Mi chiami il signor Simpson al telefono. SEGRETARIA (sorpresa e contrariata) Simpson? L' agente della NATCA? Quello delle macchine per ufficio? POETA (brusco) Sì, lui. Non ce n' è mica un altro. SEGRETARIA (compone un numero al telefono) Il signor Simpson, per favore? ... Sì, attendo. POETA Gli dica che venga qui subito, con i prospetti del Versificatore. Anzi, no, me lo passi: gli voglio parlare io. SEGRETARIA (sottovoce, di malavoglia) Vuole comprare quella macchina? POETA (sottovoce, più calmo) Non metta su codesto broncio, signorina, e non si cacci in capo idee sbagliate. (Suadente) Non si può restare indietro, lei lo capisce benissimo. Bisogna tenere il passo coi tempi. Dispiace anche a me, glielo assicuro, ma a un certo punto bisogna pure decidersi. Del resto, non abbia preoccupazioni: il lavoro per lei non mancherà mai. Ricorda, tre anni fa, quando abbiamo comperato la fatturatrice? SEGRETARIA (al telefono) Sì, signorina. Mi passa il signor Simpson, per favore? (Pausa). Certo, è urgente. Grazie. POETA (continuando, sottovoce) Ebbene: come si trova oggi? Ne potrebbe fare a meno? No, non è vero? È uno strumento di lavoro come un altro, come il telefono, come il ciclostile. Il fattore umano è e sarà sempre indispensabile, nel nostro lavoro; ma abbiamo dei concorrenti, e perciò dobbiamo pure affidare alle macchine i compiti più ingrati, più faticosi. I compiti meccanici, appunto .... SEGRETARIA (al telefono) È lei, signor Simpson? Attenda prego. (Al poeta) Il signor Simpson al telefono. POETA (al telefono) È lei, Simpson? Salute. Senta: lei ricorda, vero, quel preventivo che mi aveva sottoposto ... aspetti ... verso la fine dell' anno scorso? ... (Pausa). Sì, precisamente, il Versificatore, quel modello per impieghi civili: lei me ne aveva parlato con un certo entusiasmo ... veda un po' se può rimetterci le mani sopra. (Pausa). Eh, sì, capisco: ma ora forse i tempi sono maturi. (Pausa). Ottimo: sì, è piuttosto urgente. Dieci minuti? Lei è molto gentile: l' attendo qui, nel mio ufficio. A presto. (Appende il ricevitore; alla segretaria) È un uomo straordinario, Simpson: un rappresentante di classe, di una efficienza rara. Sempre a disposizione dei clienti, a qualunque ora del giorno o della notte: non so come faccia. Peccato che abbia poca esperienza nel nostro ramo, se no .... SEGRETARIA (esitante; via via più commossa) Maestro ... io ... io lavoro con lei da quindici anni ... ecco, mi perdoni, ma ... al suo posto non farei mai una cosa simile. Non lo dico mica per me, sa: ma un poeta, un artista come lei ... come può rassegnarsi a mettersi in casa una macchina ... moderna finché vuole, ma sarà sempre una macchina ... come potrà avere il suo gusto, la sua sensibilità ... Stavamo così bene, noi due, lei a dettare e io a scrivere ... e non solo a scrivere, a scrivere sono capaci tutti: ma a curare i suoi lavori come se fossero i miei, a metterli in pulito, a ritoccare la punteggiatura, qualche concordanza, (confidenziale) anche qualche errorino di sintassi, sa? Può capitare a tutti di distrarsi .... POETA Ah, non creda che io non la capisca. Anche da parte mia è una scelta dolorosa, piena di dubbi. Esiste una gioia, nel nostro lavoro, una felicità profonda, diversa da tutte le altre, la felicità del creare, del trarre dal nulla, del vedersi nascere davanti, a poco a poco, o d' un tratto, come per incanto, qualcosa di nuovo, qualcosa di vivo che non c' era prima .... (Freddo ad un tratto) Prenda nota, signorina: "come per incanto, qualcosa di nuovo, qualcosa di vivo che non c' era prima, puntini": è tutta roba che può servire. SEGRETARIA (molto commossa) È già fatto, maestro. Lo faccio sempre, anche quando lei non me lo dice. (Piangendo) Lo conosco, il mio mestiere. Vedremo se quell' altro, quel coso, saprà fare altrettanto! Suona un campanello. POETA Avanti! SIMPSON (alacre e gioviale; leggero accento inglese) Eccomi: a tempo di primato, no? Qui c' è il preventivo, qui c' è l' opuscolo pubblicitario, e qui le istruzioni per l' uso e la manutenzione. Ma non è tutto: anzi, manca l' essenziale. (Teatrale) Un momento! Rivolto alla porta) Avanti, Giovanni. Spingilo qui dentro. Attento allo scalino. (Al poeta) Fortuna che siamo al pianterreno! (Rumore di carrello in avvicinamento). Eccolo qui, per lei: il mio esemplare personale. Ma a me non serve, per il momento: siamo qui per lavorare, no? GIOVANNI Dov' è la presa? POETA Qui, dietro la scrivania. SIMPSON (tutto d' un fiato) Duecentoventi volt, cinquanta periodi, vero? Perfetto. Ecco qui il cavo. Attento, Giovanni: sì, lì sul tappeto andrà benissimo, ma lo si può sistemare in un qualunque angolo; non vibra, non scalda e non fa più fruscio di una lavatrice. (Pacca su una lamiera). Gran bella macchina, solida. Fatta senza economia. (A Giovanni) Grazie, Giovanni, vai pure. Ecco le chiavi, prendi l' auto e torna in ufficio; io starò qui tutto il pomeriggio. Se qualcuno mi cerca, fammi chiamare qui. (Al poeta) Lei permette, non è vero? POETA (con un certo imbarazzo) Sì, certo. Ha ... ha fatto bene a portarsi dietro l' apparecchio: io non avrei osato chiederle di disturbarsi tanto. Magari sarei venuto io. Ma ... non sono ancora deciso sull' acquisto: lei capisce bene, volevo più che altro farmi un' idea concreta della macchina, delle sue prestazioni, e anche ... rinfrescarmi la memoria sul prezzo ... SIMPSON (interrompe) Senza impegno, senza impegno, che diamine! Senza il minimo impegno da parte sua. Una dimostrazione gratuita, in sede di amicizia: ci conosciamo da tanti anni, no? E poi, non ho dimenticato certi servizi che lei ci ha reso, quello slogan per la nostra prima calcolatrice elettronica, la Lightning, ricorda? POETA (lusingato) E come no! Non ci arriva la ragione, Ma ci arriva l' elettrone. SIMPSON Già, proprio quello. Quanti anni sono passati! Ha avuto tutte le ragioni a tenere alto il prezzo: ci ha reso il decuplo di quanto è costato. Quel che è giusto è giusto: le idee si pagano. (Pausa: ronzio crescente del Versificatore che si sta riscaldando) .... Ecco, si sta riscaldando. Fra pochi minuti, quando si accende la lampadina spia, si potrà cominciare. Intanto, se permette, le dirò qualcosa sul funzionamento. Prima di tutto, sia ben chiaro: questo non è un poeta. Se lei cerca un poeta meccanico vero e proprio, dovrà aspettare ancora qualche mese: è in fase di avanzata progettazione presso la nostra casa madre, a Fort Kiddiwanee, Oklahoma. Si chiamerà The Troubadour, "Il trovatore": una macchina fantastica, un poeta meccanico heavy-duty, capace di comporre in tutte le lingue europee vive o morte, capace di poetare ininterrottamente per mille cartelle, da -100ä a +200ä centigradi, in qualunque clima, e perfino sott' acqua e nel vuoto spinto. (Sottovoce) È previsto il suo impiego nel progetto Apollo: sarà il primo a cantare le solitudini lunari. POETA No, non credo che farà al caso mio: è troppo complicato, e del resto io lavoro raramente in trasferta. Sto quasi sempre qui, nel mio ufficio. SIMPSON Certo, certo. Glielo accennavo solo a titolo di curiosità. Questo, vede, non è che un Versificatore, e come tale dispone di minore libertà: ha meno fantasia, per così dire. Ma è quello che ci vuole per lavori di routine, e d' altronde, con un po' d' esercizio da parte dell' operatore, è capace di veri prodigi. Questo è il nastro, vede? Normalmente, la macchina pronuncia le sue composizioni e simultaneamente le trascrive. POETA Come una telescrivente? SIMPSON Esattamente. Ma, se occorre, ad esempio in casi di urgenza, la voce si può disinserire: allora la composizione diventa rapidissima. Questa è la tastiera: è simile a quella degli organi e delle Linotype. Qui in alto (scatto) si imposta l' argomento: da tre a cinque parole per lo più bastano. Questi tasti neri sono i registri: determinano il tono, lo stile, il "genere letterario", come si diceva una volta. Infine, questi altri tasti definiscono la forma metrica. (Alla segretaria) Si avvicini, signorina, è meglio che veda anche lei. Penso che sarà lei a manovrare la macchina, vero? SEGRETARIA Non imparerò mai. È troppo difficile. SIMPSON Sì, tutte le macchine nuove fanno questa impressione. Ma è solo una impressione, vedrà: fra un mese la userà come si guida l' auto, pensando ad altro, magari cantando. SEGRETARIA Io non canto mai, quando sono sul lavoro. (Suona il telefono). Pronto? Sì. (Pausa). Sì, è qui: lo passo subito. (A Simpson) È per lei, signor Simpson. SIMPSON Grazie. (Al telefono) Sono io, sì. (Pausa). Ah, è lei, ingegnere: (Pausa). Come? si inceppa? Scalda? Spiacevole, veramente. Mai visto un caso simile. Ha controllato il pannello indicatore? (Pausa). Certo, non tocchi nulla, ha perfettamente ragione: ma ho tutti i montatori fuori, è una vera disdetta. Non può aspettare fino a domani? (Pausa). Eh sì, naturale. (Pausa). Certo, è in garanzia, ma anche se non lo fosse ... (Pausa). Guardi, sono qui a due passi: un minuto, salto su un taxi e sono da lei. (Attacca il ricevitore; al poeta, frettoloso e nervoso) Mi perdoni: devo scappare. POETA Nulla di grave, spero? SIMPSON Oh no, nulla: una calcolatrice, una sciocchezza; ma sa bene, il cliente ha sempre ragione. (Sospira) Anche quando è un dannato pignolo, e fa correre dieci volte per niente. Guardi, facciamo così: io le lascio l' apparecchio, a sua completa disposizione. Lei dia un' occhiata alle istruzioni, e poi provi, si sbizzarrisca. POETA E se lo guasto? SIMPSON Non abbia paura. È molto robusto, foolproof, dice l' opuscolo originale americano: "a prova di pazzo" ... (con imbarazzo: si è accorto della "gaffe") ... sia detto senza offesa, lei mi intende. C' è anche un dispositivo di blocco in caso di falsa manovra. Ma vedrà, vedrà come è facile. Sarò qui fra un' ora o due: arrivederci. (Esce). Pausa: ronzio distinto del Versificatore. POETA (legge borbottando l' opuscolo) Voltaggio e frequenza ... sì, siamo a posto. Impostazione argomento ... dispositivo di blocco ... è tutto chiaro. Lubrificazione ... sostituzione del nastro ... lunga inattività ... tutte cose che potremo vedere dopo. Registri ... ah ecco, questo è interessante, è l' essenziale. Vede, signorina? sono quaranta: qui c' è la chiave delle sigle. EP, EL (elegiaco, immagino: sì, elegiaco, infatti), SAT, MYT, JOC (cos' è questo JOC? Ah sì, jocular, giocoso), DID .... SEGRETARIA DID? POETA Didascalico: molto importante. PORN .... (La segretaria sobbalza). "Messa in opera": non sembra, ma è di una semplicità estrema. Lo saprebbe usare un bambino. (Sempre più entusiasta) Guardi: basta impostare qui l' "istruzione": sono quattro righe. La prima per l' argomento, la seconda per i registri, la terza per la forma metrica, la quarta (che è facoltativa) per la determinazione temporale. Il resto lo fa tutto lui: è meraviglioso! SEGRETARIA (con sfida) Perché non prova? POETA (in fretta e furia) Sicuro, che provo. Ecco: LYR, PHIL (due scatti); terza rima, endecasillabi (scatto); secolo xvii. (Scatto. A ogni scatto, il ronzio della macchina si fa più forte e cambia tono). Via! Segnale di cicala: tre segnali brevi e uno lungo. Scariche, disturbi, indi la macchina si mette in moto con scatti ritmici, simili a quelli delle calcolatrici elettriche quando eseguono le divisioni. VERSIFICATORE (voce metallica fortemente distorta) Bru bru bru bru bru bru bru bru bru endi " " " " " " " " " acro " " " " " " " " " endi Bla bla bla bla bla bla bla bla bla acro " " " " " " " " " enza " " " " " " " " " acro Forte scatto; silenzio, solo il ronzio di fondo. SEGRETARIA Bel risultato! Fa solo le rime; il resto deve mettercelo lei. Che cosa le dicevo? POETA Be' , non è che la prima prova. Forse avrò fatto qualche sbaglio. Un momento. (Sfoglia l' opuscolo) Mi lasci un po' vedere. Ah ecco, che sciocco! Avevo proprio dimenticato il più importante: ho impostato tutto salvo l' argomento. Ma riparo subito. "Argomento": ... che argomento gli diamo? "Limiti dell' ingegno umano". Scatto, cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce metallica, meno distorta di prima) Cerèbro folle, a che pur l' arco tendi? A che pur, nel travaglio onde se' macro Consumi l' ore, e dì e notte intendi? Mentì, mentì chi ti descrisse sacro Il disio di seguire conoscenza, E miele delicato il suo succo acro. Forte scatto; silenzio. POETA Andiamo meglio, no? Mi faccia dare un' occhiata al nastro. (Leggendo) ... "nel travaglio onde se' macro" ... "il disio di seguire conoscenza" ... Non c' è male, in fede mia: conosco diversi colleghi che non se la caverebbero meglio. Oscura ma non troppo, sintassi e prosodia in ordine, un po' ricercata, sì, ma non più di quanto si addica a un discreto secentista. SEGRETARIA Non vorrà mica sostenere che questa roba è geniale. POETA Geniale no, ma commerciabile. Più che sufficiente per ogni scopo pratico. SEGRETARIA Posso vedere anch' io? "Chi ti descrisse sacro" ... mmm ... "e miele delicato il suo succo acro". "Succo acro". Acro. Mai sentito: non è mica italiano, questo. Acre, si dice. POETA Sarà una licenza poetica. Perché non dovrebbe farne? Anzi, aspetti: c' è un capoverso, qui, proprio nell' ultima pagina. Ecco, senta che cosa dice: "Licenze. Il Versificatore possiede l' intero lessico ufficiale del linguaggio per cui è stato progettato, e di ogni vocabolo impiega le accezioni normali. Quando alla macchina si richiede di comporre in rima, o sotto qualsiasi altro vincolo di forma, ...." SEGRETARIA Che significa "vincolo di forma"? POETA Mah, ad esempio l' assonanza, l' allitterazione, eccetera. "... sotto qualsiasi altro vincolo di forma, essa ricerca automaticamente fra i vocaboli registrati nel lessico, sceglie per primi i più adatti come senso, e attorno ad essi costruisce i versi relativi. Se nessuno di tali vocaboli si presta, la macchina ricorre alle licenze, e cioè deforma i vocaboli ammessi, o ne conia dei nuovi. Il grado di "licenziosità" del componimento può essere determinato dall' operatore, mediante la manopola rossa che si trova a sinistra, all' interno del carter". Vediamo: .... SEGRETARIA Eccola, è qui dietro, un po' nascosta. È graduata da uno a dieci. POETA (continua a leggere) "Esso" .... Esso che cosa? Ho perduto il filo. Ah sì, il grado di licenziosità: in italiano suona un po' strano. "Esso viene normalmente limitato entro due-tre gradi della scala: al massimo di apertura si ottengono esiti poetici notevoli, ma utilizzabili solo per effetti speciali". Affascinante, non le pare? SEGRETARIA Uhm ... si immagini un po' dove si andrebbe a finire: una poesia fatta tutta di licenze! POETA Una poesia fatta tutta di licenze ... (Punto da curiosità puerile) Senta: lei pensi quello che vuole, ma io vorrei proprio provare. Siamo qui per questo, no? Per renderci conto dei limiti dell' apparecchio, per vedere come se la cava. A cavarsela con i temi facili sono buoni tutti. Vediamo un po': intuito ... fortuito, circuito: no, è troppo facile. Incudine: solitudine, abitudine. Alabastro: no, no, disastro, giovinastro, eccetera. Ah, ecco ... (alla macchina, con gioia maligna) "Il Rospo" (scatto), ottava, ottonari (scatto); genere ... DID, sì, facciamo DID. SEGRETARIA Ma è un tema ... un po' arido, mi pare. POETA Non tanto quanto sembra: Victor Hugo, per esempio, ne ha cavato del buono. La manopola rossa a fondo corsa ... ecco fatto. Via! Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce metallica stridula; meno veloce del solito) Fra i batraci eccovi il rospo Brutto eppure utile anfibio. (Pausa, disturbi; voce distorta: "anfibio polibio fastidio invidio eccidio clodio maclodio iodio radio armadio stadio ..." in dissolvenza fra rantoli. Silenzio: poi riprende con fatica) Nelle prode sta nascospo, Al vederlo tremo e allibio. Verrucoso ha il ventre e il dospo, Ma divora i vermi, cribbio! (Pausa; poi, con evidente sollievo) Vedi come in turpi veli La virtù spesso si celi. SEGRETARIA Ecco: ha avuto quel che voleva. È francamente detestabile, fa venire la nausea. Un vilipendio: è contento, adesso? POETA È un vilipendio, ma ingegnoso. Interessantissimo. Ha notato come si è ripreso nel distico finale, quando si è sentito fuori dei guai? Umano, proprio. Ma torniamo agli schemi classici: licenze limitate. Vogliamo provare con la mitologia? Mica per capriccio, solo per controllare se la cultura generale è quella vantata nell' opuscolo. A proposito, cosa aspetta Simpson a tornare? ... Vediamo ... ecco: "I sette a Tebe" (scatto); MYT (scatto); verso libero (scatto); xix secolo. Via! Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce cavernosa) Era duro, quel sasso, come i cuori Dello stuolo gigante. Mai fu veduta maggiore contesa. e per primi Troncarono l' attesa: Tuona la terra sotto i loro passi, Ne freme il mare e ne rimbomba il cielo. POETA Che gliene pare? SEGRETARIA Un po' generico, no? E quei due buchi che ha lasciati? POETA Ma scusi: li conosce, lei, i nomi dei Sette a Tebe? No, vero? Eppure ha la laurea in lettere, e quindici anni di pratica professionale. Neppure io, d' altronde. Più che normale, che la macchina abbia lasciato i due buchi. Ma osservi: sono due spazi sufficienti a ospitare due nomi di quattro sillabe, o uno di cinque e uno di tre, come la maggior parte dei nomi greci. Vuole prendere il dizionario mitologico, per favore? SEGRETARIA Eccolo. POETA (cercando) Radamanto, Sèmele, Tisbe ... ecco qui; "Tebe, i Sette a": vuol vedere che due nomi ce li facciamo entrare? Guardi: "Ippomedonte e Capaneo per primi"; "Ippomedonte e Anfiarao per primi"; "Polinice ed Adrasto per i primi"; e si potrebbe continuare. Non c' è che da scegliere. SEGRETARIA (poco convinta) Già. (Pausa). Le posso chiedere un favore? POETA Dica. Di che si tratta? SEGRETARIA Vorrei dare anch' io un tema alla macchina. POETA Ma certo, s' immagini. Provi pure: ci tengo, anzi. Ecco, si segga qui, al mio posto: la manovra la conosce già. Sedie spostate. SEGRETARIA "Tema libero". Scatto. POETA Tema libero? E nessun' altra informazione? SEGRETARIA Nessuna. Voglio vedere cosa succede. Via! Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce sonante, da "Prossimamente " al cinema) Una ragazza da portare a letto .... La segretaria caccia uno strillo acuto, come se avesse visto un topo, e manovra l' interruttore; forte scatto, la macchina tace. POETA (in collera) Ma che le prende? Ridia subito la corrente: non vorrà mica sfasciare tutto! SEGRETARIA Mi ha offesa! Allude a me, quel ... coso! POETA Ma via! Che cosa diavolo glielo fa pensare? SEGRETARIA Non c' è altre ragazze, qui dentro. È di me che parla. È un villano e uno scostumato. POETA Si calmi, su, non mi faccia l' isterica. Lo lasci dire. È una macchina, lo ha dimenticato? Da una macchina, mi pare, non c' è niente da temere: almeno, sotto questo aspetto. Sia ragionevole, via: levi le mani dall' interruttore. Mi pareva avviato così bene! Oh, brava. Scatto; di nuovo cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce c. s.) Una ragazza da portare a letto: Non c' è nulla di meglio, mi hanno detto. Non mi dispiacerebbe far la prova, Per me sarebbe un' esperienza nuova: Ma per lei, poveretta, che tortura! Quest' intelaiatura è troppo dura. Ottone, bronzo, ghisa, bachelite: Tende la mano ed incontra una vite; Tende le labbra ed incontra una brossa; Mi stringe al seno, e si prende la scossa. Scatto; silenzio. SEGRETARIA (sospira) Poverino! POETA Vede? Lo ammetta, via: è turbata anche lei. Una freschezza, una spontaneità che .... Io questa macchina la compero. Non me la lascio scappare. SEGRETARIA (sta rileggendo il testo) ... ghisa, bachelite: Tende la mano ed incontra una vite; Tende le labbra ed incontra una brossa .... Sì, sì, è divertente. Simula bene ... simula bene il comportamento umano. "... ed incontra una brossa": che cos' è una brossa? POETA Una brossa? Mi faccia controllare. Già, "brossa". Non lo so. Vediamo il dizionario: "Broscia", brodo allungato e insipido. "Brozza", pustola, bitorzolo. No, non c' è proprio: chissà che cosa ha voluto dire. Campanello. SEGRETARIA (va ad aprire) Buonasera, signor Simpson. POETA Buonasera. SIMPSON Eccomi di ritorno: ho fatto presto, vero? Come andiamo con le prove? Soddisfatto? E lei, signorina? POETA Non c' è male, in verità; discreto. A proposito, guardi un po' anche lei questo testo: c' è una parola strana, che non riusciamo a comprendere. SIMPSON Vediamo: "... per me sarebbe una esperienza ... " POETA No, più giù; ecco, qui in fondo: "ed incontra una brossa". Non ha senso; anche nel vocabolario non c' è, abbiamo controllato. Solo per curiosità, sa: non è una critica. SIMPSON (leggendo) "Tende le labbra ed incontra una brossa; mi stringe al seno, e si prende la scossa". (Con bonaria indulgenza) Oh sì, è presto spiegato. È gergo di officina: in ogni officina, sa bene, finisce col nascere un gergo particolare. È il gergo dell' officina dove è nato. Nella sala di montaggio della NATCA Italiana, qui da noi a Olgiate Comasco, dicono "brosse" alle spazzole metalliche. Questo modello è stato montato e collaudato a Olgiate, e può avere orecchiato il termine. Anzi, ora che ci penso: non lo ha orecchiato, gli è stato insegnato. POETA Insegnato? E perché: SIMPSON È una innovazione recente: vede, a tutti i nostri apparecchi (anche a quelli della concorrenza, beninteso) può capitare un guasto. Ora, i nostri tecnici hanno pensato che la soluzione più semplice è quella di condizionare le macchine a conoscere il nome di tutte le proprie parti: così, in caso di avaria, sono in grado di richiedere direttamente la sostituzione del pezzo difettoso. Infatti, il Versificatore contiene due spazzole metalliche, due brosse, insomma, calettate sugli alberini porta-nastro. POETA Ingegnoso, davvero. (Ride) Speriamo di non averne bisogno, di questa facoltà dell' apparecchio! SIMPSON Ha detto "speriamo"? Devo dedurne ... che lei ... insomma, che le sue impressioni sono state favorevoli? POETA (a un tratto si fa molto riservato) Non ho ancora deciso. Favorevoli e non favorevoli. Se ne potrà parlare, ma ... solo col preventivo alla mano. SIMPSON Desidera forse fare qualche altra prova? Su qualche tema veramente impegnativo, che si presti a uno svolgimento conciso e brillante? Perché sono questi, sa, i test più convincenti. POETA Aspetti, mi faccia pensare. (Pausa). Per esempio .... Ah, ecco, signorina, si ricorda quella richiesta ... mi pare che sia del novembre: quella richiesta del signor Capurro .... SEGRETARIA Capurro? Un attimo, cerco la scheda. Ecco qui, Capurro cavalier Francesco, Genova. Richiedeva un sonetto, Autunno in Liguria. POETA (severo) Richiesta mai evasa? SEGRETARIA Sì, certo. Abbiamo risposto chiedendo una dilazione. POETA E poi: SEGRETARIA E poi ... sa bene, con tutto il da fare che abbiamo avuto sotto le feste .... POETA Già. È così che si perdono i clienti. SIMPSON Vede? L' utilità del Versificatore si dimostra da sé. Pensi: ventotto secondi per un sonetto; il tempo di pronunziarlo, naturalmente, perché il tempo per la composizione è impercettibile, qualche microsecondo. POETA Dunque, dicevamo .... Ah sì, Autunno in Liguria, perché no? SIMPSON (con blanda ironia) Così unisce l' utile al dilettevole, non è vero? POETA (urtato) Ma no! È solo una prova pratica: vorrei metterlo al mio posto, in un caso concreto, di ordinaria amministrazione, come ce ne capitano tre o quattrocento all' anno. SIMPSON Certo, certo: scherzavo. Allora: imposta lei? POETA Sì, credo di avere ormai imparato. Autunno in Liguria (scatto); endecasillabi, sonetto (scatto); EL (scatto); anno 1900 più o meno 20. Via. Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce calda e ispirata; poi sempre più concitata e affannosa) Mi piace riandare questi antichi Vicoli freschi, dai selciati sfatti, Grevi all' autunno dell' odor dei fichi E del muschio annidato negli anfratti. Seguo il cammino cieco dei lombrichi, Seguo i segreti tràmiti dei gatti, Calco vestigia di lontani fatti, Di gesti spenti, di pensieri matti, Di monaci, di bravi e di monatti, E mi tornano a mente, contraffatti, Ricordi di fuggevoli contatti Con eretici e con autodidatti Due connessioni si sono bruciatti Siamo bloccatti sulla rima in "atti" E siamo diventatti mentecatti Signor Sinsone affrettati combatti Vieni da me con gli strumenti adatti Cambia i collegamenti designatti Ottomilaseicentodiciassatti Fai la riparazione. Tante gratti. Forte ronzio, fracasso, fischi, disturbi, scrosci. POETA (gridando per farsi udire) Che diavolo sta succedendo? SEGRETARIA (molto spaventata, saltella per la camera) Aiuto, aiuto, fuma. Adesso prende fuoco. Scoppia! Bisogna chiamare l' elettricista. No, i pompieri. Il pronto soccorso. Io me ne vado! SIMPSON (anche lui è nervoso) Un momento. Calma, per favore. Si calmi, signorina: si segga qui in poltrona, stia zitta e non mi faccia girare la testa. Può essere una cosa da niente; a ogni buon conto (scatto), ecco, togliamo la corrente, così si è sicuri. (Cessa il fracasso). Vediamo ... (armeggia con strumenti metallici) una certa pratica ormai me la sono fatta, di questi arnesi ... (armeggia) nove volte su dieci è un incidente da poco, che si ripara con gli attrezzi in dotazione .... (Trionfante) Ecco, non ve l' avevo detto? Tutto qui: un fusibile. POETA Un fusibile? Dopo neanche mezz' ora di funzionamento? Non è molto rassicurante. SIMPSON (piccato) I fusibili sono lì per questo, no? La questione è un' altra: manca lo stabilizzatore di tensione, ed è indispensabile. Non che lo avessi dimenticato: ma sono rimasto senza, e non volevo privare lei della possibilità di provare l' apparecchio. Del resto, mi arriveranno a giorni. Come vede, funziona benissimo ugualmente, ma è alla mercé dei salti di tensione, che non ci dovrebbero essere, ma ci sono, specie in questa stagione e a quest' ora, come lei mi insegna. A me pare, invece, che questo episodio avrebbe dovuto eliminare ogni suo dubbio sulle possibilità poetiche dell' apparecchio. POETA Non capisco. A cosa vuole alludere? SIMPSON (più blando) Forse le è sfuggito: non ha sentito come mi ha chiamato? "Signor Sinsòne, affrettati, combatti". POETA Ebbene? Sarà una licenza poetica: non sta scritta sul libretto, la faccenda del meccanismo delle licenze, del grado di licenziosità, eccetera? SIMPSON Eh no, vede. C' è ben altro. Ha alterato il mio nome in "Sinsone" per ragioni precise. Dovrei anzi dire che lo ha rettificato: perché (con orgoglio) "Simpson" si ricollega etimologicamente a Sansone, nella sua forma ebraica di "Shimshòn". La macchina non poteva saperlo, naturalmente: ma in quel momento di angoscia, sentendo aumentare rapidamente l' amperaggio, ha provato il bisogno di un intervento, di un soccorso, e ha stabilito un legame fra il soccorritore antico e il moderno. POETA (con profonda ammirazione) Un legame ... poetico! SIMPSON Certo. Se non è poesia questa, che cos' altro lo è? POETA Sì ... sì, è convincente, non c' è nulla da dire (Pausa). E ... (con finto imbarazzo) venendo adesso a questioni più terrene, più prosaiche ... vogliamo rivedere un poco quel suo preventivo? SIMPSON (radioso) Volentieri. Ma, purtroppo, c' è poco da rivedere, sa. Conosce gli americani: con loro non si contratta. POETA Duemila dollari, non è vero, signorina? SEGRETARIA Ehm, veramente ... non ricordo, ecco, non ricordo .... SIMPSON (ride cordialmente) Lei vuole scherzare. Duemilasettecento, CIGenova, imballo al costo, più dogana 12 %: completo di accessori, consegna in quattro mesi, salvo casi di forza maggiore. Pagamento a mezzo apertura di credito irrevocabile; garanzia dodici mesi. POETA Sconti per i vecchi clienti? SIMPSON No, proprio non posso, mi creda: mi giocherei il posto. Sconto del 2% rinunciando a metà della mia provvigione: è tutto quanto posso fare per lei. POETA Lei è proprio un duro. Via, oggi non mi va di discutere: passi qui l' ordinazione, è meglio che io la firmi subito, prima che cambi idea. Stacco musicale. POETA (al pubblico) Posseggo il Versificatore ormai da due anni. Non posso dire di averlo già ammortizzato, ma mi è diventato indispensabile. Si è dimostrato molto versatile: oltre ad alleggerirmi di buona parte del mio lavoro di poeta, mi tiene la contabilità e le paghe, mi avvisa delle scadenze, e mi fa anche la corrispondenza: infatti, gli ho insegnato a comporre in prosa, e se la cava benissimo. Il testo che avete ascoltato, ad esempio, è opera sua.

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Non perse tempo in convenevoli: _ Eccolo, _ mi disse trionfante, _ è il Mimete: il duplicatore che tutti abbiamo sognato. _ Un duplicatore? _ dissi io, nascondendo male un moto di delusione. _ Scusi , Simpson: non ho mai sognato duplicatori. Cosa vuole di meglio di quelli ormai affermati? Guardi qui, per esempio. Venti lire e pochi secondi per copia, e copie irreprensibili; funzionamento a secco, nessun reattivo, neanche un guasto in due anni. Ma il signor Simpson non è facile da smontare. _ A riprodurre una superficie, mi perdoni, sono capaci tutti. Questo non riproduce solo la superficie, ma anche in profondità _; ed aggiunse, con aria educatamente offesa: _ Il Mimete è un vero duplicatore _. Cavò dalla borsa, con cautela, due fogli ciclostilati, con l' intestazione a colori, e li depose sul tavolo. _ Qual è l' originale? Li osservai con attenzione: sì, erano uguali, ma non lo erano altrettanto due copie dello stesso giornale, o due positive della stessa negativa? _ No, guardi meglio. Vede, per questo materiale dimostrativo abbiamo scelto deliberatamente una carta grossolana, con molti corpi estranei nell' impasto. Inoltre, quest' angolo qui lo abbiamo lacerato apposta, prima della duplicazione. Prenda la lente e osservi con calma. Non ho nessuna fretta: questo pomeriggio è dedicato a lei. In un punto di una copia c' era una pagliuzza, e accanto un bruscolo giallo; nella stessa posizione della seconda copia c' era una pagliuzza e un bruscolo giallo. Le due lacerazioni erano identiche, fino all' ultimo peluzzo distinguibile alla lente. La mia diffidenza si andava mutando in curiosità. Intanto il signor Simpson aveva tratto dalla borsa un intero incartamento: _ Sono le mie munizioni, mi disse sorridendo, col suo piacevole accento straniero. _ È la mia scorta di gemelli _. C' erano lettere manoscritte, sottolineate a casaccio in vari colori; buste affrancate; complicati disegni tecnici; scarabocchi infantili variopinti. Di ogni esemplare il signor Simpson mi mostrò la replica esatta, sul recto e sul verso. Esaminai con attenzione il materiale dimostrativo: in verità, non lasciava nulla a desiderare. La grana della carta, ogni segno, ogni sfumatura di colore, erano riprodotti con fedeltà assoluta. Notai che, anche al tatto, si ritrovavano nelle copie le stesse asperità degli originali: l' untuosità dei tratti a pastello, l' aridità gessosa delle campiture a tempera, il rilievo dei francobolli. Frattanto, il signor Simpson continuava nel suo discorso persuasivo. _ Non si tratta del perfezionamento di un modello precedente: il principio stesso su cui si fonda il Mimete è una novità rivoluzionaria, di estremo interesse non solo pratico ma anche concettuale. Non imita, non simula: ma riproduce il modello, lo ricrea identico, per così dire, dal nulla .... Diedi un balzo: le mie viscere di chimico reagivano con violenza contro questa enormità. _ Ohibò! come, dal nulla? _ Mi perdoni, mi sono lasciato trascinare. Non proprio dal nulla, evidentemente: intendevo dire, dal caos, dal disordine assoluto. Ecco, questo fa il Mimete: crea ordine dal disordine. Uscì in strada, e trasse dal baule dell' auto un piccolo cilindro metallico, simile alle bombole di gas liquido. Mi mostrò in che modo lo si collegava con la cella del Mimete, mediante un tubo flessibile. _ È il serbatoio di alimentazione. Contiene una miscela piuttosto complessa, il cosiddetto pabulum, la cui natura, per ora, non viene rivelata; da quanto mi è parso di capire dai tecnici della NATCA durante il corso di addestramento a Fort Kiddiwanee, è probabile che il pabulum sia costituito da composti poco stabili del carbonio e degli altri principali elementi vitali. La manovra è elementare: detto fra noi, non ho proprio capito che bisogno ci fosse di chiamarci tutti quanti in America, dai quattro angoli del mondo. Vede? Il modello da riprodurre si mette in questo scompartimento, e in quest' altro, che è di uguale forma e volume, si introduce il pabulum, a velocità controllata. Durante il processo di duplicazione, nella esatta posizione di ogni singolo atomo del modello viene fissato un atomo analogo estratto dalla miscela di alimentazione: carbonio dov' era carbonio, azoto dov' era azoto, e così via. A noi agenti, naturalmente, non è stato rivelato pressoché nulla del meccanismo di questa ricostruzione a distanza, né ci è stato spiegato in qual modo venga trasmessa da una cella all' altra la enorme mole di informazione in gioco. Tuttavia siamo autorizzati a riferire che nel Mimete si ripete un procedimento genetico recentemente scoperto, e che il modello "è legato alla copia dallo stesso rapporto che lega il seme all' albero": mi auguro che per lei tutto questo abbia un senso, e la prego di scusare la riservatezza della mia Casa. Comprenderà: non tutti i particolari dell' apparecchio sono finora coperti da brevetto. Contro ogni sana norma commerciale, non mi riuscì di nascondere la mia ammirazione. Si trattava veramente di una tecnica rivoluzionaria; la sintesi organica a bassa temperatura e pressione, l' ordine dal disordine in silenzio, rapidamente e a buon mercato: il sogno di quattro generazioni di chimici. _ Non ci sono arrivati facilmente, sa: a quanto si racconta, i quaranta tecnici addetti al progetto Mimete, che avevano già risolto brillantemente il problema fondamentale, e cioè quello della sintesi orientata, non ottennero per due anni che copie speculari, intendo dire ribaltate, e perciò inservibili. La direzione della NATCA era già sul punto di mettere ugualmente in produzione l' apparecchio, che pure avrebbe dovuto essere azionato due volte per ogni duplicazione, con doppia spesa e doppio tempo; il primo esemplare a riproduzione diretta sarebbe stato realizzato per caso, grazie ad un provvidenziale errore di montaggio. _ Questa storia mi lascia perplesso, _ dissi io: non esiste invenzione per la quale non venga messa in circolazione la storiella del felice intervento del caso Probabilmente da parte dei concorrenti meno ingegnosi. _ Può essere, _ disse Simpson: _ ad ogni modo, molta strada resta ancora da fare. È bene che lei sappia già fin d' ora che il Mimete non è un duplicatore rapido: per un modello di un centinaio di grammi non occorre meno di un' ora. Esiste poi un' altra limitazione, in sé ovvia: non si possono riprodurre, o solo imperfettamente, modelli che contengano elementi non presenti nel pabulum di dotazione. Altri pabula speciali, più completi, sono già stati realizzati per esigenze particolari, ma pare si incontrino difficoltà con alcuni elementi, principalmente coi metalli pesanti. Ad esempio (e mi mostrò una deliziosa pagina di codice miniato), non è finora possibile riprodurre le dorature, che infatti mancano nella copia. Tanto meno è possibile riprodurre una moneta. A questo punto diedi un secondo balzo: ma questa volta non erano le mie viscere di chimico che reagivano, bensì quelle, coesistenti e strettamente commiste, dell' uomo pratico. Una moneta no, ma una banconota? o un francobollo raro? o, più decentemente e più elegantemente, un diamante? Forse che la legge punisce "i fabbricatori e gli spacciatori di diamanti falsi"? Forse che esistono diamanti falsi? Chi può vietarmi di infilare nel Mimete qualche grammo di atomi di carbonio, di riordinarli in onesto assetto tetraedrico, e di vendere il risultato? Nessuno: non la legge, e neppure la coscienza. In queste cose, l' essenziale è arrivare primi, poiché non v' è fantasia più solerte di quella degli uomini avidi di lucro. Così troncai ogni indugio, contrattai moderatamente il prezzo del Mimete (che d' altronde non era eccessivo), ottenni uno sconto del 5% e il pagamento a 120 giorni fine mese, ed ordinai l' apparecchio. Il Mimete, insieme con 50 libbre di pabulum, mi fu consegnato due mesi dopo. Natale era vicino; la mia famiglia era in montagna, ero rimasto solo in città, e mi dedicai intensamente allo studio e al lavoro. Per cominciare, mi lessi più volte con attenzione le istruzioni di impiego, fino a saperle quasi a memoria; poi presi il primo oggetto che mi cadde sottomano (era un comune dado da gioco) e mi accinsi a riprodurlo. Lo misi nella cella, portai l' apparecchio alla temperatura prescritta, aprii la valvolina tarata del pabulum, e mi posi in attesa. Si sentiva un leggero ronzio, e dal tubo di scarico della cella di riproduzione usciva un debole getto gassoso: aveva un curioso odore, simile a quello dei neonati poco puliti. Dopo un' ora, aprii la cella: conteneva un dado esattamente identico al modello, sia nella forma, sia nel colore, sia nel peso. Era tiepido, ma acquistò in breve la temperatura ambiente. Dal secondo ne feci un terzo, e dal terzo un quarto, senza difficoltà né intralci. Ero sempre più incuriosito del meccanismo intimo del Mimete, che Simpson non aveva saputo (o voluto?) spiegarmi con sufficiente precisione, e di cui nelle istruzioni non era fatto alcun cenno. Staccai il coperchio ermetico della cella B; vi praticai una finestrella col seghetto, vi adattai una lastrina di vetro, ben sigillata, e rimisi il coperchio a posto. Poi introdussi ancora una volta il dado nella cella A, ed attraverso il vetro osservai con attenzione quanto avveniva nella cella B durante la duplicazione. Avveniva qualcosa di estremamente interessante: il dado si formava gradualmente, a partire dal basso, per sottilissimi strati sovrapposti, come se crescesse dal fondo della cella. A metà della duplicazione, metà del dado era perfettamente formata, e si distingueva bene la sezione del legno, con tutte le sue venature. Sembrava lecito dedurre che, nella cella A, un qualche dispositivo analizzatore "esplorasse", per linee o per piani, il corpo da riprodurre, e trasmettesse alla cella B le istruzioni per la fissazione delle singole particelle, forse degli stessi atomi, ricavati dal pabulum. Ero soddisfatto della prova preliminare. Il giorno seguente comprai un piccolo brillante, e ne feci una riproduzione, che riuscì perfetta. Dai primi due ne feci altri due; dai quattro altri quattro, e così via in progressione geometrica finché la cella del Mimete non fu piena. A operazione finita, era impossibile riconoscere il brillante capostipite. In dodici ore di lavoro avevo ottenuto 212-1 pezzi, ossia 4095 nuovi brillanti: la spesa iniziale di impianto era ampiamente ammortizzata, e mi sentivo autorizzato a procedere ad altri esperimenti, più interessanti e meno interessati. Il giorno dopo duplicai senza difficoltà una zolletta di zucchero, un fazzoletto, un orario ferroviario, un mazzo di carte da gioco. Il terzo giorno provai con un uovo sodo: il guscio risultò sottile ed inconsistente (per carenza di calcio, suppongo), ma albume e tuorlo erano di aspetto e sapore in tutto normali. Ottenni poi una replica soddisfacente di un pacchetto di Nazionali; una scatola di svedesi era apparentemente perfetta, ma i fiammiferi non si accendevano. Una fotografia in bianco e nero diede una copia estremamente sbiadita, per mancanza di argento nel pabulum. Del mio orologio da polso non potei riprodurre che il cinghietto, e l' orologio stesso, da allora, risultò inservibile, per ragioni che non saprei spiegare. Il quarto giorno duplicai alcuni fagioli e piselli freschi e un bulbo di tulipano, dei quali mi ripromettevo di controllare il potere germinativo. Duplicai inoltre un etto di formaggio, una salsiccia, una pagnotta e una pera, e consumai il tutto per colazione senza percepire alcuna differenza dai rispettivi originali. Mi resi conto che era anche possibile riprodurre liquidi, predisponendo nella cella B un recipiente uguale o maggiori di quello che conteneva il modello nella cella A.. Il quinto giorno andai in soffitta, e cercai finché trovai un ragno vivo. Era certamente impossibile riprodurre con precisione oggetti in movimento: perciò tenni il ragno al freddo sul balcone finché fu intorpidito. Poi lo introdussi nel Mimete; dopo un' ora ne ottenni una replica impeccabile. Contrassegnai l' originale con una goccia d' inchiostro, misi i due gemelli in un vaso di vetro, poi questo sul termosifone, e mi posi in attesa. Dopo mezz' ora i due ragni iniziarono simultaneamente a muoversi, e subito presero a lottare. Erano di forza e abilità identiche, e lottarono per più di un' ora senza che alcuno dei due potesse prevalere. allora li separai in due scatole distinte: il giorno dopo entrambi avevano tessuto una tela circolare con quattordici raggi. Il sesto giorno smurai pietra per pietra il muretto del giardino, e trovai una lucertola in letargo. Il suo doppio era esteriormente normale, ma quando lo riportai a temperatura ambiente notai che si muoveva con grande difficoltà. Morì in poche ore, e potei constatare che il suo scheletro era assai debole: in specie le ossa lunghe delle zampette erano flessibili come la gomma. Il settimo giorno mi riposai. Telefonai al signor Simpson, e lo pregai di venire da me senza indugio: gli raccontai le esperienze che avevo eseguito (non quella dei diamanti, naturalmente), e, col tono e col viso più disinvolto che riuscii ad esibire, gli feci alcune domande e proposte. Qual era esattamente la posizione brevettuale del Mimete? Era possibile ottenere dalla NATCA un pabulum più completo? che contenesse, magari in piccola quantità, tutti gli elementi necessari per la vita? Era disponibile un Mimete più grosso, da 5 litri, capace di duplicare un gatto? o da 200 litri, capace di duplicare .... Vidi il signor Simpson impallidire. _ Signore, _ mi disse, _ io ... io non sono disposto a seguirla su questo terreno. Io vendo poeti automatici, macchine calcolatrici, confessori, traduttori e duplicatori, ma credo nell' anima immortale, credo di possederne una, e non la voglio perdere. E neppure voglio collaborare a crearne una con ... coi sistemi che lei ha in animo. Il Mimete è quello che è: una macchina ingegnosa per copiare documenti, e quello che lei mi propone è ... mi scusi, è una porcheria. Non ero preparato ad una reazione così impetuosa da parte del mite signor Simpson, e cercai di indurlo alla ragione: gli dimostrai che il Mimete era qualcosa, era molto di più che un duplicatore per ufficio, e che il fatto che i suoi stessi creatori non se ne rendessero conto poteva essere una fortuna per me e per lui. Insistetti sul duplice aspetto delle sue virtù: quello economico, di creatore d' ordine, e perciò di ricchezza, e quello, dirò così, prometeico, di strumento nuovo e raffinato per l' avanzamento delle nostre conoscenze sui meccanismi vitali. Alla fine accennai anche, velatamente, alla esperienza dei diamanti. Ma fu tutto inutile: il signor Simpson era molto turbato, e sembrava incapace di seguire il senso delle mie parole. In evidente contrasto con il suo interesse di venditore e di funzionario, mi disse che "erano tutte storie", che lui non credeva ad altro che alle notizie stampate sull' opuscolo di presentazione, che a lui non interessavano né le avventure del pensiero né gli affari d' oro, che in ogni modo lui voleva restare fuori di quella faccenda. Mi sembrò che volesse aggiungere altro; ma poi mi salutò seccamente e se ne andò. È sempre doloroso rompere un' amicizia: avevo ferma intenzione di riprendere contatto col signor Simpson, ed ero convinto che una base di accordo, o magari di collaborazione, si sarebbe potuta trovare. Dovevo telefonargli o scrivergli, certo; tuttavia, come purtroppo avviene nei periodi di lavoro intenso, rimandai di giorno in giorno fino ai primi di febbraio, quando trovai fra la mia corrispondenza una circolare della NATCA, accompagnata da un gelido biglietto dell' agenzia di Milano firmato dal signor Simpson in persona: "Si porta a conoscenza della S.V.I. la circolare NATCA che alleghiamo in copia e traduzione". Nessuno mi leva dal capo che sia stato lo stesso signor Simpson a provocarne la diffusione da parte della società, mosso dai suoi sciocchi scrupoli moralistici. Non ne riporto il testo, troppo lungo per queste note, ma la clausola essenziale suona così: "Il Mimete, e così pure tutti i duplicatori NATCA esistenti o a venire, sono prodotti e messi in commercio al solo scopo di riprodurre documenti di ufficio. Le agenzie sono autorizzate a venderli solo a Società commerciali o industriali legalmente costituite, e non a privati. In ogni caso, la vendita di tali modelli avrà luogo solo contro dichiarazione dell' acquirente, in cui egli si impegni a non servirsi dell' apparecchio per: riproduzione di carta moneta, assegni, cambiali, francobolli od altri analoghi oggetti corrispondenti ad un controvalore monetario definito; riproduzione di dipinti, disegni, incisioni, sculture od altre opere d' arte figurativa; riproduzione di piante, animali, esseri umani, sia viventi che defunti, o di parte di essi. La NATCA declina ogni responsabilità circa l' operato dei suoi clienti, o degli utenti a qualsiasi titolo dei suoi apparecchi, in contrasto con le dichiarazioni da essi sottoscritte". È mia opinione che queste limitazioni non gioveranno molto al successo commerciale del Mimete, e non mancherò di farlo osservare al signor Simpson se, come spero, avrò ancora occasione di incontrarlo. È incredibile come persone notoriamente accorte agiscano talora in modo contrario ai propri interessi.

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C' è chi ha dei bei quadri antichi, Renoir, Picasso, Caravaggio; c' è chi ha un urango condizionato, o un cane o un gatto vivo, c' è chi dispone di un mobile bar con gli stupefacenti più aggiornati, ma noi abbiamo Patricia ... (sospiro) Patricia! (Campanello). Ecco i primi. (Bussa ad una porta) Vieni, Peter: sono qui. Lotte e Peter Tho5rl; Maria e Robert Lutzer. Tutti si scambiano saluti e convenevoli. ROBERT Buonasera, Lotte; buonasera, Peter. Tempaccio, vero? Da quanti mesi non vediamo il sole? PETER E da quanti mesi non vediamo voi? LOTTE Oh, Maria! Hai l' aria più giovane che mai. E che meravigliosa pelliccia! Un dono del signor marito? ROBERT Non sono più una rarità. È marziano argentato: pare che i russi ne abbiano importato un grosso quantitativo; se ne trovano nel settore orientale a prezzi più che ragionevoli. In borsa nera, naturalmente; è merce contingentata. PETER Ti ammiro e ti invidio, Robert. Conosco pochi berlinesi che non si lamentino della situazione, ma non ne conosco nessuno che ci sguazzi dentro con la tua disinvoltura. Mi convinco sempre più che l' amore vero, appassionato, per i quattrini è una virtù che non si impara, ma si eredita col sangue. MARIA Quanti fiori! Lotte, sento un meraviglioso profumo di compleanno. Tanti auguri, Lotte! LOTTE (ai due mariti) Maria è incorreggibile. Ma si consoli, Robert, non è il matrimonio che l' ha resa così deliziosamente svanita. Era già così a scuola: la chiamavamo "la smemorata di Colonia", e invitavamo amici ed amiche di altre classi ad assistere ai suoi esami. (Con severità burlesca) Signora Lutzer, la richiamo all' ordine. È così che prepara le lezioni di storia? Oggi non è il mio compleanno: oggi è il 19 dicembre, è il compleanno di Patricia. MARIA Oh, scusami, cara. Ho veramente una memoria da gallina. Così stasera c' è lo scongelamento? Che bellezza! PETER Certo, come ogni anno. Aspettiamo soltanto che arrivino Ilse e Baldur. (Campanello). Eccoli qui: in ritardo, come al solito. LOTTE Un po' di comprensione, Peter! Hai mai visto una coppia di fidanzati arrivare puntuali? Entrano Ilse e Baldur. Saluti e convenevoli c. s.. Lotte e Peter; Maria e Robert; Ilse e Baldur. PETER Buonasera, Ilse; buonasera, Baldur. Beato chi vi vede: siete talmente cotti l' uno dell' altro che i vecchi amici per voi non esistono più. BALDUR Dovete perdonarci. Nuotiamo nella burocrazia: il dottorato mio, e le carte per il municipio, e il lasciapassare per Ilse, e il benestare del partito; il visto del borgomastro è già arrivato, ma aspettiamo ancora quello di Washington e quello di Mosca, e soprattutto quello di Pechino, che è il più difficile da ottenere. C' è da perdere la testa. Sono secoli che non vediamo anima viva: siamo abbrutiti, ci vergognamo di fare vedere in giro le nostre facce. ILSE È tardi, vero? Siamo veramente due villani. Ma perché non avete cominciato senza di noi? PETER Non ce lo saremmo mai permesso. Il momento del risveglio è il più interessante: è così graziosa quando apre gli occhi! ROBERT Su, Peter, sarà meglio incominciare, altrimenti andiamo a finire alle ore piccole. Vai a prendere il manuale: che non ti capiti come quella volta, la prima volta, mi pare, (quanti anni sono passati?), quando hai sbagliato manovra e per poco non succedeva un guaio. PETER (urtato) Ce l' ho qui in tasca, il manuale; ma lo so a memoria, ormai. Vogliamo spostarci? (Rumore di sedie smosse e di passi; commenti, mormorio di impazienza) .... Uno: interrompere il circuito dell' azoto e quello del gas inerte. (Eseguisce: cigolio, soffio smorzato, due volte) _ Due: mettere in moto la pompa, lo sterilizzatore Wroblewski e il microfiltro. (Rumore della pompa, come una motocicletta lontana: passa qualche secondo). Tre: aprire il circuito dell' ossigeno (inizia un fischio sempre più acuto) e svitare lentamente la valvola finché l' indice raggiungere la gradazione 2% .... ROBERT (interrompe) No, Peter, non 21, 24%: sul manuale sta scritto 24%. Io al tuo posto porterei gli occhiali. Non avertela a male, tanto siamo coetanei, ma porterei gli occhiali, almeno in certe occasioni. PETER (di malumore) Sì, hai ragione, 24%. Ma è lo stesso, 21 o 24: l' ho già visto altre volte. Quattro: spostare gradualmente il termostato, elevando la temperatura alla velocità di due gradi circa al minuto. (Si sente battere un metronomo). Silenzio, adesso, per favore. O almeno, non parlate a voce troppo alta. ILSE (sottovoce) Soffre durante lo scongelamento? PETER (c. s.) No, di regola, no. Ma appunto, bisogna fare le cose bene, seguire esattamente le prescrizioni. Anche durante il soggiorno in frigo, è indispensabile che la temperatura sia mantenuta costante entro limiti molto stretti. ROBERT Certo: basta qualche grado più giù, che addio, ho letto che si coagula non so cosa nei centri nervosi, e allora non si svegliano più, o si svegliano scemi e smemorati; qualche grado più su e riprendono coscienza, e allora soffrono tremendamente. Pensi che orrore, signorina: sentirsi tutti congelati, mani, piedi, sangue, cuore, cervello; e non poter muovere un dito, non poter battere le palpebre, non poter mettere fuori un suono per chiedere soccorso! ILSE Terribile. Ci vuole un bel coraggio ed una grande fede. Fede nei termostati voglio dire. Io, per me, vado pazza per gli sport invernali, ma dico la verità, non farei il cambio con Patricia per tutto l' oro del mondo. Mi hanno detto che anche lei sarebbe già morta, se a suo tempo, quando la faccenda è cominciata, non le avessero fatto delle iniezioni di ... coso ... anticongelante. Sì, sì, proprio quello che si mette in inverno nei radiatori delle auto. Del resto è logico: se no, il sangue gelerebbe. Non è vero, signor Tho5rl? PETER (evasivo) Se ne dicono tante .... ILSE (meditabonda) Non mi stupisce che siano stati così pochi quelli che si sono prestati. Parola mia, non mi stupisce. È bellissima, mi hanno detto: è vero? ROBERT Uno splendore. L' ho vista l' anno scorso da vicino: una carnagione come oggi non se ne vedono più. Si vede che, nonostante tutto, il regime alimentare del xx secolo, in buona parte ancora naturale, doveva contenere qualche principio vitale che tutt' ora ci sfugge. Non che io diffidi dei chimici: anzi, li rispetto e li stimo. Ma ecco, penso che sono un po' ... direi ... presuntuosi, sì, presuntuosi. Qualcosa da scoprire, magari secondaria, secondo me deve pure ancora esserci. LOTTE (di malavoglia) Sì, è graziosa, certo. Del resto, è la bellezza dell' età. Ha una pelle da neonata: per me, è effetto del supercongelamento, però. Non ha un colorito naturale, è troppo rosa e troppo bianca, sembra ... sì, sembra un gelato, scusate il paragone. Anche i capelli li ha troppo biondi. Se devo dire la verità, a me fa l' impressione di essere un pochino frolla, faisandée ... comunque è bella, nessuno lo nega. È anche coltissima, educatissima, intelligentissima, audacissima, è superlativa da tutte le parti, e a me fa paura, mi mette a disagio e mi fa venire i complessi. (Si è lasciata trascinare; tace imbarazzata, poi con sforzo) ... ma le voglio molto bene lo stesso. Specialmente quando è congelata. Silenzio. Il metronomo continua a battere. ILSE (sottovoce) Si può guardare dallo spioncino del frigo? PETER (c. s.) Certamente, ma non faccia rumore. Siamo già a meno dieci, e una emozione improvvisa potrebbe esserle dannosa. ILSE (c. s.) Ah! È incantevole! Sembra finta .... Ed è ... voglio dire, è proprio dell' epoca? BALDUR (c. s., a parte) Non fare domande sciocche! ILSE (c. s., a parte) Non è mica una domanda sciocca. Volevo sapere quanti anni ha: sembra così giovane, eppure dicono che è ... antica. PETER (che ha sentito) È presto spiegato, signorina. Patricia ha 163 anni, di cui 23 di vita normale, e 140 di ibernazione. Ma scusatemi, Ilse e Baldur, credevo che conosceste già questa storia. Scusatemi anche voi, Maria e Robert, se ripeto cose che già sapete: cercherò di mettere al corrente in breve questi cari ragazzi. Dunque dovete sapere che la tecnica dell' ibernazione fu messa a punto verso la metà del xx secolo, essenzialmente a scopo clinico e chirurgico. Ma solo nel 1970 si arrivò a congelamenti veramente innocui e indolori, e quindi adatti a conservare a lungo gli organismi superiori. Un sogno diveniva così realtà: appariva possibile "spedire" un uomo nel futuro. Ma a quale distanza nel futuro? Esistevano dei limiti? E a quale prezzo? Appunto per istituire un controllo ad uso dei posteri, che saremmo poi noi, fu bandito nel 1975, qui a Berlino, un concorso per volontari. BALDUR E Patricia è uno di questi? PETER Precisamente. A quanto risulta dal suo libretto personale, che sta nel frigo con lei, è anzi stata la prima classificata. Possedeva tutti i requisiti, cuore, polmoni, reni ecc. in perfetto ordine; un sistema nervoso da pilota spaziale; un carattere imperturbabile e risoluto, una emotività limitata, ed infine una buona cultura ed intelligenza. Non che la cultura e l' intelligenza siano indispensabili per sopportare la ibernazione, ma, a parità di condizioni, furono preferiti soggetti di alto livello intellettuale, per evidenti ragioni di prestigio nei confronti nostri e dei nostri successori. BALDUR Così Patricia ha dormito dal 1975 ad oggi? PETER Sì, con brevi interruzioni. Il programma fu concordato con lei dalla commissione di cui era presidente Hugo Tho5rl, il mio celebre avo .... ILSE È lui quello famoso, vero, quello che si studia a scuola? PETER Proprio lui, signorina, lo scopritore del quarto principio della termodinamica. Il programma, dunque, prevedeva un risveglio di qualche ora tutti gli anni, al 19 dicembre, giorno del suo compleanno .... ILSE Che pensiero gentile! PETER ... altri risvegli saltuari in circostanze di particolare interesse quali importanti spedizioni planetarie, delitti e processi celebri, matrimoni di sovrani o di divi dello schermo, incontri internazionali di base-ball, cataclismi tellurici e simili: di tutto ciò insomma che meriti di essere visto e tramandato al lontano futuro. Inoltre, naturalmente, ogni volta che manca la corrente ... e due volte all' anno per i controlli medici. A quanto risulta dal libretto, la somma degli intervalli di veglia, dal 1975 ad oggi, è stata di circa 300 giorni. BALDUR ... e, perdoni la domanda, come mai Patricia è ospite in casa sua? lo è da molto tempo? PETER (con imbarazzo) Patricia è ... Patricia fa parte, per così dire, dell' asse ereditario della nostra famiglia. È una storia lunga, ed in parte oscura. Sa, sono cose di altri tempi, è passato un secolo e mezzo ... si può considerare un miracolo, che con tutte le sommosse, blocchi, occupazioni, repressioni e saccheggi che sono passati su Berlino, Patricia abbia potuto essere trasmessa di padre in figlio, indisturbata, senza mai lasciare la nostra casa. Rappresenta, in certo modo, la continuità familiare: è ... è un simbolo, ecco. BALDUR ... ma in che modo .... PETER ... in che modo Patricia è entrata a far parte della nostra famiglia? Ebbene, per quanto strano le possa sembrare, su questo punto nulla è stato trovato di scritto, e non sopravvive che una tradizione verbale che Patricia rifiuta sia di confermare, sia di smentire. Pare che, all' inizio dell' esperienza, Patricia alloggiasse presso l' Università, e precisamente nella cella frigorifera dell' Istituto di anatomia, e che intorno al 2000 abbia avuto un violento diverbio con il corpo accademico. Si dice che, appunto, questa situazione non le fosse gradita, perché priva di intimità, e perché le seccava di stare gomito a gomito con i cadaveri destinati alle dissezioni. Pare che in uno dei risvegli abbia dichiarato formalmente che, o la sistemavano in un frigo privato, o sarebbe ricorsa alla magistratura; e che il mio avo che prima ho nominato, a quel tempo decano della facoltà, per risolvere la questione si sia generosamente offerto di ospitarla. ILSE Che strana donna! Ma, mi scusi, non ne ha ancora abbastanza? Chi la obbliga? Non deve poi essere tanto divertente stare in letargo per tutto l' anno, e svegliarsi solo per uno o due giorni, e non quando uno vuole, ma quando lo vuole qualcun altro. Io mi annoierei a morte. PETER Lei è in errore, Ilse. Anzi, non c' è mai stata una esistenza più intensa di quella di Patricia. La sua vita è concentrata: non contiene che l' essenziale, non contiene nulla che non meriti di essere vissuto. Quanto al tempo trascorso in frigo, passa per noi, non per lei. In lei non lascia traccia, né nella memoria, né nei tessuti. Non invecchia; invecchia solo nelle ore di veglia. Dal primo compleanno in frigo che è stato il suo 24ä, ad oggi, in 140 anni, è invecchiata di un anno scarso. Dall' anno scorso ad oggi, per lei sono passate una trentina di ore. BALDUR Tre o quattro per il compleanno, e poi? PETER E poi, vediamo ... (calcola mentalmente) altre sei o sette per il dentista, per la prova di un abito, per uscire con Lotte a comperarsi un paio di scarpe .... ILSE È giusto. Bisogna pure che si tenga al corrente con la moda. PETER ... e siamo a dieci. Sei ore per la prima del Tristano all' Opera, e siamo a sedici. Altre sei per due visite mediche generali .... ILSE Come, è stata ammalata? Si capisce, gli sbalzi di temperatura non fanno bene a nessuno. Si ha un bel dire che ci si abitua! PETER No, no, sta benissimo di salute. Sono i fisiologi del Centro Studi: regolari come gli esattori delle tasse, due volte all' anno piombano qui con tutto il loro armamentario, la scongelano, la rigirano da tutte le parti, radioscopie, test psicologici, elettrocardiogrammi, esami del sangue ... poi se ne vanno, e chi s' è visto s' è visto. Segreto professionale: non trapela una parola. BALDUR Ma allora non è per interesse scientifico che loro se la tengono in casa? PETER (con imbarazzo) No ... non soltanto. Sa, io mi occupo di tutt' altro .... Sono tagliato fuori dall' ambiente accademico; il fatto è che ci siamo affezionati a Patricia. E lei si è affezionata a noi: come una figlia. Non ci lascerebbe a nessun costo. BALDUR Ma allora, perché gli intervalli di veglia sono così rari e brevi? PETER Questo è chiaro: Patricia si propone di arrivare in piena giovinezza il più avanti possibile nei secoli; perciò deve fare economia. Ma avrà modo di ascoltare da lei stessa queste cose ed altre ancora: ecco, siamo arrivati a 35ä, sta aprendo gli occhi. Presto cara, apri il portello e taglia l' involucro; ha cominciato a respirare. Scatto e cigolio del portello; rumore di forbici o di tagliacarte. BALDUR Quale involucro? PETER Un involucro di polietilene, ermetico, molto aderente. Serve a ridurre le perdite per evaporazione. Il metronomo, che come rumore di fondo si è sentito in tutte le pause, batte sempre più forte, poi si arresta di colpo. Suona tre volte una "cicala", molto distintamente. Silenzio completo per qualche secondo. MARGARETA (dall' altra camera) Mamma! Si è già svegliata la zia Patricia? Che cosa mi ha portato quest' anno? LOTTE Che cosa vuoi che ti abbia portato? Il solito cubetto di ghiaccio! Del resto è il suo compleanno, mica il tuo. Stai zitta, adesso. Dormi, che è tardi. Silenzio di nuovo. Si sente un sospiro, uno sbadiglio abbastanza sgangherato, uno sternuto. Poi, senza transizione, Patricia comincia a parlare. PATRICIA (voce manierata, strascicata, nasale) Buonasera. Buongiorno. Che ora è? Quanta gente! Che giorno è oggi? Che anno? PETER Il 19 dicembre del 2115. Non ricordi? È il tuo compleanno. Tanti auguri, Patricia! TUTTI Tanti auguri, Patricia! Voci di tutti, confuse. Si sentono frammenti di frasi: _ Come è graziosa! _ Signorina, perdoni, vorrei farle alcune domande .... _ Dopo, dopo! Chissà come è stanca! _ Sogna, mentre è in frigo? Che sogni fa? _ Vorrei chiederle un giudizio sulla .... ILSE Chissà se avrà conosciuto Napoleone e Hitler? BALDUR Ma no, cosa dici, erano due secoli prima! LOTTE (interrompe con decisione) Permesso, prego. Lasciatemi passare, bisogna pure che ci sia qualcuno che pensa alle cose pratiche. Patricia avrà forse bisogno di qualcosa, (a Patricia) una tazza di tè caldo? o forse gradisci qualcosa di più nutriente? una piccola bistecca? Hai bisogno di cambiarti, di rinfrescarti un poco? PATRICIA Tè, grazie. Come sei cara, Lotte! No, non mi occorre altro, per ora; sai bene, lo scongelamento mi lascia sempre lo stomaco un po' sconvolto, per la bistecca vediamo poi più tardi. Ma piccola, sai .... Oh, Peter! come stai? come va la tua sciatica? Che novità ci sono? È finita la conferenza al vertice? Ha già cominciato a fare freddo? Oh, io detesto l' inverno, vado tanto soggetta ai raffreddori .... E tu Lotte? ti vedo in ottima salute, perfino un po' ingrassata, forse .... MARIA ... Eh già, gli anni passano per tutti .... BALDUR Passano per quasi tutti. Mi permetta, Peter, ho tanto sentito parlare di Patricia, ho tanto atteso questo incontro, che ora vorrei .... (A Patricia) Signorina, perdoni il mio ardire, ma so che il suo tempo è misurato, vorrei che mi descrivesse il nostro mondo visto con i suoi occhi, che mi parlasse del suo passato, del suo secolo a cui tanto dobbiamo, delle sue intenzioni per il futuro, che .... PATRICIA (con sufficienza) Non c' è niente di straordinario sa, ci si abitua subito. Vede qui ad esempio il signor Tho5rl, sulla cinquantina, (malignamente) i capelli in fuga, un po' di pancetta, un po' di dolorini ogni tanto? Ebbene, due mesi fa per me aveva vent' anni, scriveva poesie, e stava per partire volontario cogli Ulani. Tre mesi fa ne aveva dieci e mi chiamava zia Patricia, e piangeva quando mi congelavano, e voleva venire in frigo con me. Non è vero, caro? Oh, mille scuse. E cinque mesi fa, non solo non era nato, ma non era neppure lontanamente in programma; c' era suo padre, il colonnello, ma io parlo di quando era solo tenente, era nella Quarta Legione Mercenari, e ad ogni disgelo aveva un nastrino di più e qualche capello di meno. Mi faceva la corte, in quel modo buffo che usava allora: per otto disgeli, mi fece la corte ... si direbbe che i Tho5rl ce l' abbiano nel sangue, in questo, posso dirlo, si rassomigliano tutti. Non hanno ... come dire? non hanno un' idea molto seria del rapporto di tutela ... (la voce di Patricia prosegue in dissolvenza) pensi che perfino il Capostipite, il Patriarca .... Subentra nitida e vicina la voce di Lotte, rivolta al pubblico. LOTTE Avete sentito? ecco, così è fatta, quella ragazza. Non ha ... non ha ritegno. È vero che io sono ingrassata: non sto in frigo, io. Lei no, lei non ingrassa, lei è eterna, incorruttibile, come l' amianto, come il diamante, come l' oro. Ma le piacciono gli uomini, ed in specie i mariti altrui. È una smorfiosa eterna, una civetta incorruttibile. Mi appello a voi, signori: non ho ragione di non poterla soffrire? (Sospiro) ... e lei piace agli uomini, alla sua venerabile età: questo è il peggio. Sapete bene come sono gli uomini, Tho5rl o non Tho5rl, e gli intellettuali più degli altri: due sospiri, due occhiate in quel certo modo, due ricordi di infanzia, e la trappola scatta. Alla lunga, poi, chi si trova nei guai è lei, si capisce, che dopo un mese o due si trova tra i piedi dei cascamorti un po' stagionati .... No, non crediate che io sia così cieca o così sciocca: mi sono accorta anch' io che, questa volta, con mio marito, ha cambiato tono, si è fatta mordace, tagliente. Si capisce: c' è un altro uomo all' orizzonte. Ma voi non avete assistito a quegli altri risvegli. Era roba da scorticarla! E poi, e poi ... non sono mai riuscita ad avere delle prove, a coglierli sul fatto, ma siete proprio sicuri, voi, che tra il "tutore" e la ragazza tutto si sia sempre svolto alla luce del sole? In altre parole, (con forza) che tutti gli scongelamenti siano stati regolarmente registrati sul libretto personale? Io no. Io non ne sono sicura. (Pausa. Conversazione confusa con rumore di fondo). Ma questa volta c' è del nuovo, l' avrete notato anche voi. È semplice: c' è un altro uomo all' orizzonte, un uomo più giovane. Le piace la carne fresca alla giovinetta! Sentitela: non è una che sa quello che vuole? (Voci). Oh, non credevo che si fosse già a questo punto. Dalle voci di fondo emergono le voci di Baldur e di Patricia. BALDUR ... un' impressione quale non ho mai provato. Non avrei mai creduto possibile trovare riunito in una persona sola il fascino dell' eternità e quello della giovinezza. Mi sento davanti a lei come davanti alle Piramidi, eppure lei è così giovane e così bella! PATRICIA Sì, signore ... Baldur, si chiama lei, non è vero? Sì, Baldur. Ma tre sono i miei doni, non due. L' eternità, la giovinezza e la solitudine. E quest' ultima è il prezzo che paga chi osa quanto io ho osato. BALDUR Ma quale mirabile esperienza! Passare a volo dove gli altri strisciano, poter comparare di persona costumi, eventi, eroi a distanza di decenni, di secoli! Quale storico non proverebbe invidia? ed io, che della storia mi proclamavo cultore! (Con slancio improvviso) Mi faccia leggere il suo diario. PATRICIA Come sa .... Voglio dire, cosa le fa pensare che io tenga un diario? BALDUR Dunque lo tiene! Ho indovinato! PATRICIA Sì, lo tengo. Fa parte del programma, ma nessuno lo sa, neppure Tho5rl. E nessuno può leggerlo: è in cifra, anche questo fa parte del programma. BALDUR Se nessuno può leggerlo, a cosa serve? PATRICIA Serve a me. Mi servirà dopo. BALDUR Dopo cosa? PATRICIA Dopo. Quando sarò arrivata. Allora conto di pubblicarlo: penso che non avrò difficoltà a trovare un editore, perché è un diario intimo, un genere che va sempre. (Con voce sognante) Conto di dedicarmi al giornalismo, sa? E di pubblicare i diari intimi di tutti i potenti della terra della mia epoca, Churchill, Stalin, ecc..C' è da fare un mucchio di quattrini. BALDUR Ma come li possiede, lei, questi diari? PATRICIA Non li possiedo mica. Li scriverò io. Su episodi autentici, naturalmente. Pausa. BALDUR Patricia! (Altra pausa). Mi prenda con lei. PATRICIA (ci pensa su; poi molto freddamente) Non sarebbe una cattiva idea, così in astratto. Ma non deve credere che basti entrare nel frigo: bisogna farsi fare le iniezioni, seguire il corso di addestramento .... Non è tanto semplice. Poi, mica tutti hanno il fisico adatto .... Certo, sarebbe carino avere un compagno di viaggio come lei, così vivo, così appassionato, così ricco di temperamento .... Ma non è fidanzato, lei? BALDUR Fidanzato? Lo ero. PATRICIA Fino a quando? BALDUR Fino a mezz' ora fa; ma ora ho incontrato lei, e tutto è cambiato. PATRICIA Lei è un lusingatore, un uomo pericoloso. (La voce di Patricia cambia bruscamente, non è più lamentosa e languida, ma netta, energica, tagliente) Ad ogni modo, se le cose stanno come lei mi dice, ne potrebbe nascere una combinazione interessante. BALDUR Patricia! Perché indugiare? Partiamo: fugga con me. Non nel futuro: nell' oggi. PATRICIA (freddamente) Appunto, ci stavo pensando anch' io. Ma quando? BALDUR Ora, subito. Attraversiamo la sala e via. PATRICIA Nonsenso. Li avremmo subito tutti alle calcagna, lui in testa. Lo guardi: è già in sospetto. BALDUR Quando allora? PATRICIA Stanotte. Mi segua bene. A mezzanotte tutti se ne vanno, e loro mi ricongelano e mi rimettono in naftalina. È una faccenda più spiccia del risveglio, un po' come i subacquei, sa bene, in su bisogna andare piano, ma l' immersione può essere rapida. Mi ficcano nel frigo e attaccano il compressore senza tanti complimenti: ma per le prime ore io resto abbastanza soffice e ritorno facilmente alla vita attiva. BALDUR E allora? PATRICIA E allora è semplice. Lei se ne va con gli altri, accompagna a casa la sua ... quella ragazza, insomma; poi ritorna qui; si introduce nel giardino, entra dalla finestra della cucina .... BALDUR ... ed è fatta! Due ore ancora, due ore ed il mondo è nostro! Ma mi dica, Patricia, non avrà rimpianti? Non si pentirà di avere interrotto per me la sua corsa verso i secoli futuri? PATRICIA Guardi, giovanotto, avremo del tempo in abbondanza per parlare di queste belle cose se il colpo riesce. Ma prima bisogna che riesca. Ecco, se ne stanno andando; riprenda il suo posto, si congedi civilmente e cerchi di non fare sciocchezze. Sa, mica per niente, ma mi seccherebbe sprecare l' occasione. Voci degli invitati che se ne vanno, rumore di seggiole spostate. Frammenti di frasi: _ Al prossimo anno! _ Buonanotte, se così posso dire .... _ Andiamo Robert, non credevo che fosse così tardi. _ Baldur, andiamo, hai l' onore di accompagnarmi. Silenzio. Poi voce di Lotte, rivolta al pubblico. LOTTE ... così, se ne andarono tutti. Peter ed io restammo soli, con Patricia, cosa che non è mai gradevole per nessuno dei tre. Non lo dico per via di quella antipatia che vi ho descritto poc' anzi, in modo forse un po' impulsivo; no: è una situazione obiettivamente spiacevole, fredda, falsa, piena di imbarazzo per tutti. Parlammo un po' del più e del meno, poi ci salutammo, e Peter rimise Patricia nel frigo. Gli stessi rumori dello scongelamento, ma invertiti ed accelerati. Sospiro, sbadiglio. Chiusura-lampo dell' involucro. Si mette in moto il metronomo, poi la pompa, i fischi, ecc.. Rimane in moto il metronomo, il cui ritmo gradualmente si fonde con quello più lento di un orologio a pendolo. Suonano l' una, l' una e mezza, le due. Si sente il rumore di un' auto che si avvicina, ferma, sbatte lo sportello. Abbaia un cane lontano. Passi sulla ghiaia. Una finestra si apre. Passi sul pavimento di legno che scricchiola sempre più vicino. Si apre il portello del frigo. BALDUR (sottovoce) Patricia, sono io! PATRICIA (voce confusa ed attutita) Tmglimrm lm mvolmcrm! BALDUR Coooooome? PATRICIA (un po' più distintamente) Tagliare l' involucro! Rumore del taglio. BALDUR Ecco fatto. E adesso? Che cosa debbo fare? Lei mi deve perdonare, ma non sono pratico, sa, è la prima volta che mi capita .... PATRICIA Oh, il più è fatto, adesso me la cavo da sola. Mi dia solo una mano per uscire di qui dentro. Passi. "Piano", "Sst", "Da questa parte". Finestra. Passi sulla ghiaia. Lo sportello dell' auto. Baldur accende il motore. BALDUR Siamo fuori, Patricia. Fuori dal gelo, fuori dall' incubo. Mi pare di sognare: da due ore vivo in un sogno. Ho paura di svegliarmi. PATRICIA (freddamente) Ha accompagnato a casa la sua fidanzata? BALDUR Chi, Ilse? L' ho accompagnata, sì. Mi sono congedato da lei. PATRICIA Che dice, congedato? Definitivamente? BALDUR Sì, non è stato difficile come temevo, solo una piccola scenata. Non ha neppure pianto. Pausa, l' auto è in moto. PATRICIA Giovanotto, non mi giudichi male. Mi pare che qui sia giunto il momento di una spiegazione. Lei mi deve capire: in qualche modo dovevo pur uscirne. BALDUR ... e si trattava solo di questo? Di uscirne? PATRICIA Solo di questo. Di uscire dal frigo e di uscire da casa Tho5rl. Baldur, sento che le devo una confessione. BALDUR Una confessione è poco. PATRICIA Altro non le posso dare; e non è neppure una bella confessione. Sono veramente stanca: gelo e sgelo, gelo e sgelo, a lungo andare è faticoso. Poi c' è dell' altro. BALDUR Altro? PATRICIA Altro, sì. Le visite di lui, di notte. A trentatré gradi, appena tiepida, che non potevo difendermi in nessun modo. E siccome io stavo zitta, per forza! lui magari si immaginava .... BALDUR Povera cara, quanto deve aver sofferto! PATRICIA Una vera seccatura, lei non ne ha un' idea. Una noia da non dirsi. Rumore dell' auto, che si allontana. LOTTE ... Così finisce questa storia. Io qualcosa avevo capito, e quella notte avevo sentito anche degli strani rumori. Ma sono stata zitta: perché avrei dovuto dare l' allarme? Mi pare che così sia meglio per tutti. Baldur, poveretto, mi ha raccontato ogni cosa: pare che Patricia, oltre a tutto, gli abbia anche chiesto dei quattrini, per andare non so dove, a ritrovare un suo coetaneo che sta in America; in frigo anche lui, naturalmente. Lui, Baldur, che si riconcilii o no con Ilse, non importa poi gran cosa a nessuno, neppure a Ilse medesima. Il frigo, lo abbiamo venduto. Quanto a Peter, vedremo.

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Il signor Simpson si fece radioso: appoggiò l' indice sinistro al naso, deviandolo fortemente verso destra, poi disse: _ Sa quante prenotazioni abbiamo già? Non meno di quarantamila solo negli Stati, e la campagna pubblicitaria non è neppure incominciata. Potrò confidarle particolari più ampi fra qualche giorno, quando saranno chiariti alcuni aspetti legali relativi ai possibili impieghi del congegno; ma lei non crederà che una NATCA si possa permettere di progettare e lanciare un modello senza una seria ricerca di mercato! D' altronde, l' idea ha tentato anche i nostri, dirò così, colleghi d' oltrecortina. Non lo sapeva? è un pettegolezzo d' alto livello che è perfino venuto sui giornali (però si parlava genericamente di "un nuovo ritrovato di importanza strategica"), ha fatto il giro di tutte le nostre filiali, ed ha anche destato qualche apprensione. I sovietici sostengono il contrario, come sempre; ma abbiamo buone prove che un nostro progettista, tre anni fa, ha fatto pervenire a Mosca, al ministero della Educazione, l' idea fondamentale del Calometro e uno dei primi disegni d' insieme. Già non è un segreto per nessuno che la NATCA è un covo di criptocomunisti, di intellettuali e di arrabbiati. _ Per nostra fortuna, la cosa è finita in mano ai burocrati e ai teorici di estetica marxista; grazie ai primi, si è perso un paio d' anni: grazie ai secondi, il tipo di apparecchio che verrà fuori laggiù non potrà in alcun modo fare concorrenza al nostro. È destinato ad altri impieghi: pare che si tratti di un Calogoniometro, che misura la bellezza in funzione dell' angolo di apertura sociale, il che non ci riguarda per nulla. Il nostro punto di vista è ben diverso, più concreto. La bellezza, stavo per dirle, è un numero puro: è un rapporto, o meglio un insieme di rapporti. Non voglio farmi bello delle penne altrui: quanto le sto dicendo lo troverà tutto, ed espresso con parole più elevate, nell' opuscolo pubblicitario del Calometro, che è già pronto in America, e in corso di traduzione; sa, io non sono che un piccolo ingegnere, e per di più atrofizzato da vent' anni di attività commerciale (prospera, però). La bellezza, secondo la nostra filosofia, è relativa a un modello, variabile a piacere, ad arbitrio della moda, o magari di un qualsiasi osservatore, e non esistono osservatori privilegiati. Ad arbitrio di un artista, di un persuasore occulto, od anche semplicemente del singolo cliente. Perciò, ogni Calometro deve essere tarato prima dell' impiego, e la taratura è una operazione delicata e fondamentale: a titolo di esempio, l' apparecchio che lei vede è stato tarato sulla Fantesca di Sebastiano dal Piombo. _ Dunque, se ho capito bene, si tratta di un apparecchio differenziale? _ Certo. Naturalmente, non si può pretendere che ogni utente abbia gusti evoluti e differenziati: non tutti gli uomini posseggono un ideale femminile definito. Perciò, in questa fase iniziale di messa a punto e di introduzione commerciale, la NATCA si è orientata su tre modelli: un modello blank che viene tarato gratuitamente sul campione indicato dal cliente, e due modelli a taratura standard, per la misura rispettivamente della bellezza femminile e maschile. A titolo sperimentale, per tutto il corrente anno il modello femminile, detto Paride, verrà tarato sulle fattezze di Elizabeth Taylor, e il modello maschile (che per ora non è molto richiesto) sulle fattezze di Raf Vallone. A proposito: ho ricevuto proprio stamane una lettera riservata da Fort Kiddiwanee, Oklahoma: mi comunicano che, finora, per questo modello non è stato trovato un nome soddisfacente, e che è stato aperto un concorso fra noi funzionari anziani. Il premio, naturalmente, è un Calometro, a scelta fra i tre tipi. Lei, che è una persona colta, vuole forse cimentarsi? Sarei lieto di farla concorrere sotto il mio nome .... Non pretendo che Semiramide sia un nome molto originale, e neppure molto pertinente: si vede che gli altri concorrenti avevano una fantasia e una cultura ancora più torpide delle mie. Vinsi il concorso, o meglio lo feci vincere a Simpson, il quale ricevette e mi cedette un Calometro blank rendendomi felice per un mese. Provai ugualmente il congegno così come mi era stato inviato, ma senza costrutto: segnava 100 su qualsiasi oggetto gli venisse presentato. Lo rimandai in filiale, e me lo feci tarare su di una buona riproduzione a colori del Ritratto della signora Lunia Czechowska; mi fu restituito con lodevole prontezza, e lo provai in varie condizioni. Esprimere un giudizio finale è forse prematuro e presuntuoso; tuttavia mi pare di poter affermare che il Calometro è un apparecchio sensibile ed ingegnoso. Se il suo scopo è quello di riprodurre il giudizio umano, esso è ampiamente raggiunto: ma riproduce il giudizio di un osservatore dai gusti estremamente limitati e ristretti, o meglio di un maniaco. Il mio apparecchio, ad esempio, assegna punteggi bassi a tutti i visi femminili tondeggianti e assolve i visi allungati; a tal punto che ha assegnato una quotazione di K32 alla nostra lattaia, che è considerata una delle bellezze del rione ma è grassoccia, e addirittura ha valutato K2. la Gioconda, che gli ho sottoposto in riproduzione. È invece straordinariamente parziale per i colli lunghi e sottili. La sua qualità più sorprendente (anzi, a ben guardare la sola che lo distingua da un banale sistema di fotometri) è la sua indifferenza alla posizione del soggetto e alla sua distanza. Ho pregato mia moglie, che è risultata una buona K75, con punte di K79 quando è riposata e serena e in buone condizioni di luce, di sottoporsi a misure in posizioni diverse, di fronte, di profilo destro e sinistro, sdraiata, col cappello o senza, con gli occhi aperti o chiusi, ed ho sempre ottenuto letture comprese entro 5 unità K. Le indicazioni si alterano decisamente solo quando il viso fa un angolo di più di 90ä; se il soggetto è completamente rigirato, e cioè offre la nuca all' apparecchio, si hanno letture molto basse. Devo qui ricordare che mia moglie ha un viso ovale molto allungato, il collo esile e il naso leggermente rivolto all' insù; a mio parere, meriterebbe anche un punteggio più alto, se non fosse dei capelli, che mia moglie ha neri, mentre quelli del modello di taratura sono biondo-scuri. Se si punta il Paride su visi maschili si ottengono generalmente risposte inferiori a K20, e inferiori a K10 se il soggetto porta i baffi o la barba. È notevole che il Calometro dà di rado letture rigorosamente nulle: esso, analogamente a quanto avviene ai bambini, ravvisa il volto umano anche nelle sue imitazioni più grossolane o casuali. Mi sono divertito a fare scorrere lentamente l' obiettivo su di una superficie irregolarmente variegata (per la precisione, una carta da parati): ogni sussulto della lancetta corrispondeva ad una zona in cui era possibile riconoscere una vaga parvenza antropomorfa. Ho ottenuto letture zero solo su soggetti decisamente asimmetrici o informi, e naturalmente su fondi uniti. Mia moglie non può soffrire il Calometro, ma, come è suo costume, non vuole o non sa spiegarmene la ragione. Ogni volta che mi vede con l' apparecchio in mano, o me lo sente nominare, si raggela e il suo umore precipita. Questo è ingiusto da parte sua, poiché, come ho detto, non è stata giudicata male: K79 è una quotazione eccellente. In principio pensavo che avesse esteso al Calometro la sua diffidenza generica per gli apparecchi che Simpson mi vende o cede in prova, e per Simpson medesimo; tuttavia il suo silenzio e il suo disagio mi pesavano talmente, che l' altra sera ho deliberatamente provocato la sua indignazione giocherellando un' ora buona col Calometro in giro per casa: ed ecco, devo dire che le sue opinioni, benché espresse in forma concitata, sono fondate e ragionevoli. In sostanza, mia moglie è scandalizzata dall' estrema docilità dell' apparecchio. Secondo lei, piuttosto che un misuratore di bellezza è un misuratore di conformità, e quindi uno strumento squisitamente conformista. Ho tentato di difendere il Calometro (che, secondo mia moglie, sarebbe più corretto chiamare "omeometro") facendole notare che chiunque giudica è un conformista, in quanto, consapevolmente o no, si riferisce a un modello: le ho ricordato il tempestoso esordio degli impressionisti; l' odio della pubblica opinione per i singoli innovatori (in tutti i campi), che si muta in quieto amore quando gli innovatori non sono più innovatori; infine ho cercato di dimostrarle che l' instaurarsi di una moda, di uno stile, l' "abituarsi" collettivo a un nuovo modo di esprimersi, è l' analogo esatto della taratura di un Calometro. Ho insistito su quello che ritengo il fenomeno più allarmante della civiltà d' oggi, e cioè che anche l' uomo medio, oggi, si può tarare nei modi più incredibili: gli si può far credere che sono belli i mobili svedesi e i fiori di plastica, e solo quelli; gli individui biondi, alti e con gli occhi azzurri, e solo quelli; che è solo buono un certo dentifricio, solo abile un certo chirurgo, solo depositario della verità un certo partito; ho affermato che in sostanza è poco sportivo disprezzare una macchina solo perché riproduce un procedimento mentale umano. Ma mia moglie è un caso disperato di educazione crociana: ha risposto "sarà", e non mi è sembrato di averla convinta. D' altra parte, in questi ultimi tempi anch' io ho perso parte del mio entusiasmo, ma per motivi diversi. Ho nuovamente incontrato Simpson, alla cena del Rotary: era di ottimo umore, e mi ha annunciato due sue "grandi vittorie". _ Ormai posso sciogliere le mie riserve sulla campagna di vendite, _ mi ha detto. _ Lei non mi crederà, ma non esiste in tutto il nostro assortimento una macchina più facile da piazzare. Spedisco domani la relazione mensile per Fort Kiddiwanee; vedrà se non ci scappa la promozione! Io lo dico sempre: due sono le grandi virtù del venditore: la conoscenza umana e la fantasia _. Si fece confidenziale e abbassò la voce: _ ... le centrali squillo! Nessuno ci aveva ancora pensato, neanche in America. È un vero censimento spontaneo: non credevo che fossero tante. Tutte le direttrici hanno subito intuito l' importanza commerciale di uno schedario moderno, completato da una indicazione calometrica obiettiva: Magda, anni 22, K.7; Wilma, anni 26, K77 ... comprende? _ Poi ho fatto un' altra pensata: ... be' , questa veramente non è tutta merito mio, mi è stata suggerita dalle circostanze. Ho venduto un Paride al suo amico Gilberto: sa che ha fatto: appena lo ha ricevuto lo ha manomesso, lo ha starato e ritarato su se stesso. _ Ebbene? _ Ma non vede? È un' idea che si può far nascere, per così dire, spontanea nel capo della maggior parte dei clienti. Ho già preparato una bozza del volantino pubblicitario che vorrei diffondere per le prossime feste: anzi, se lei fosse così gentile da dargli un' occhiata ... sa, non sono molto sicuro del mio italiano. Una volta che la moda sia lanciata, chi non regalerà a sua moglie (o a suo marito) un Calometro tarato su una sua fotografia? Vedrà, saranno pochi a resistere alla lusinga del K100: ricordi la strega di Biancaneve. A tutti piace sentirsi lodare e sentirsi dare ragione, anche se soltanto da uno specchio o da un circuito stampato. Non conoscevo questo lato cinico del carattere di Simpson: ci siamo lasciati freddamente, e temo che la nostra amicizia sia seriamente compromessa.

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La verità del fatto riposa nondimeno su testimonianze certe, e d' altronde, come abbiamo dimostrato, esso può venire dedotto per mezzo di semplici considerazioni di filosofia naturale. Per ritornare a Trachi, la sua educazione era stata, per i nostri criteri, stranamente parziale. Aveva imparato il greco dai pastori dell' isola, la cui compagnia egli talora cercava, per quanto fosse di natura schiva e taciturna. Aveva inoltre appreso, per sua propria osservazione, molte cose sottili ed intime sulle erbe, sulle piante, sugli animali dei boschi, sulle acque, sulle nuvole, sulle stelle e sui pianeti; ed io stesso notai che, anche dopo la cattura, e sotto un cielo straniero, sentiva l' approssimarsi di una bufera, o l' imminenza di una nevicata, con molte ore di anticipo. Sentiva anche, e non saprei descrivere come, né d' altronde lui stesso lo sapeva, sentiva germinare il grano nei campi, sentiva pulsare le acque nelle vene sotterranee, percepiva la erosione dei torrenti nelle piene. Quando partorì la vacca dei De Simone, a duecento metri da noi, affermò di sentirne il riflesso nei propri visceri; lo stesso accadde quando venne a partorire la figlia del mezzadro. Anzi, mi segnalò in una notte di primavera che un parto doveva essere in corso, e precisamente in un certo angolo del fienile; e vi andammo, e vi trovammo una pipistrella, che aveva appena dato alla luce sei mostriciattoli ciechi, e stava porgendo loro il suo minuscolo latte. Così, mi disse, tutti i centauri son fatti, che sentono per le vene, come un' onda di allegrezza, ogni germinazione, animale, umana o vegetale. Percepiscono anche, a livello dei precordi, e sotto forma di un' ansia e di una tensione tremula, ogni desiderio ed ogni amplesso che avvenga nelle loro vicinanze; perciò, quantunque abitualmente casti, entrano in uno stato di viva inquietudine al tempo degli amori. Abbiamo vissuto a lungo insieme: in un certo senso, posso affermare che siamo cresciuti insieme. Malgrado i suoi molti anni, era di fatto una creatura giovane, in tutte le sue manifestazioni ed attività, ed apprendeva con tale prontezza che ci parve inutile (oltre che imbarazzante) mandarlo a scuola. Lo educai io stesso, quasi senza saperlo e volerlo, trasmettendogli a misura le nozioni che giorno per giorno imparavo dai miei maestri. Lo tenevamo il più possibile nascosto, in parte per suo esplicito desiderio, in parte per una forma di affetto esclusivo e geloso che tutti gli portavamo; in parte ancora, perché ragione ed intuito insieme ci consigliavano di risparmiargli ogni contatto non necessario col nostro mondo umano. Naturalmente, la sua presenza presso di noi era trapelata fra il vicinato; in principio facevano molte domande, anche poco discrete, ma in seguito, come suole, la loro curiosità andò attenuandosi per mancanza di alimento. Pochi amici nostri intimi erano stati ammessi alla sua presenza, primi fra tutti i De Simone, e divennero in breve amici anche suoi. Solo una volta, che la puntura di un tafano gli aveva provocato un doloroso ascesso purulento alla groppa, dovemmo ricorrere all' opera di un veterinario: ma era un uomo discreto e comprensivo, il quale ci garantì il più scrupoloso segreto professionale, e, a quanto so, mantenne la promessa. Altrimenti andavano le cose col maniscalco. I maniscalchi, purtroppo, sono ormai rarissimi: ne trovammo uno a due ore di cammino, ed era un tanghero, stupido e brutale. Mio padre cercò invano di indurlo ad un certo riserbo: tra l' altro, pagandogli i suoi servigi il decuplo dell' onesto. Non servì a nulla: ogni domenica, all' osteria, teneva circolo e raccontava all' intero villaggio del suo strano cliente. Per fortuna, era dedito al vino, e solito raccontare storie strampalate quando era ubriaco; perciò incontrò scarsa credenza. Mi pesa scrivere questa storia. È una storia della mia giovinezza, e mi pare, scrivendola, di espellerla da me, e che dopo mi sentirò privo di qualche cosa forte e pura. Venne una estate, e ritornò presso i genitori Teresa De Simone, mia coetanea e amica d' infanzia. Aveva studiato in città, non la vedevo da molti anni, la trovai cambiata, ed il cambiamento mi turbò. Forse me ne innamorai, ma inconsciamente: voglio dire, senza prenderne atto, neppure in via ipotetica. Era piuttosto graziosa, timida, tranquilla e serena. Come ho già accennato, i De Simone erano fra i pochi vicini che noi frequentassimo con qualche assiduità. Conoscevano Trachi e lo amavano. Dopo il ritorno di Teresa, passammo una lunga serata insieme, noi tre. Fu una serata di quelle, rare, che non si dimenticano: un intenso odore di fieno, la luna, i grilli, un' aria tiepida e ferma. Si sentivano canti lontani, e Trachi prese ad un tratto a cantare, senza guardarci, come in sogno. Era una lunga canzone, dal ritmo fiero ed alto, con parole a me sconosciute. Una canzone greca, disse Trachi: ma quando gli chiedemmo di tradurla, volse il capo e tacque. Tacemmo tutti a lungo; poi Teresa si congedò. La mattina seguente Trachi mi trasse in disparte e mi parlò così: _ La mia ora è giunta, o carissimo: mi sono innamorato. Quella donna è entrata in me, e mi possiede. Desidero vederla e udirla, forse anche toccarla, e non altro; desidero quindi una cosa che non si dà. Mi sono ristretto in un punto: non c' è più altro in me che questo desiderio. Sto mutando, sono mutato, sono diventato un altro. Anche altre cose mi disse, che trascrivo con esitazione, perché sento che difficilmente saprò cogliere il segno. Che, dalla sera prima, si sentiva diventato "un campo di battaglia"; che comprendeva, come mai aveva compreso, le gesta dei suoi avi impetuosi, Nesso, Folo; che tutta la sua metà umana era gremita di sogni, di fantasie nobili, gentili e vane; avrebbe voluto compiere imprese temerarie, facendo giustizia con la forza del suo braccio; sfondare col suo impeto le foreste più fitte, giungere in corsa ai confini del mondo, scoprire e conquistare nuove terre, ed instaurarvi opere di civiltà feconda. Che tutto questo, in qualche modo a lui stesso oscuro, avrebbe voluto farlo davanti agli occhi di Teresa De Simone: farlo per lei, dedicarlo a lei. Che infine, conosceva la vanità dei suoi sogni nell' atto stesso in cui li sognava; e che era questo il contenuto della canzone della notte avanti: una canzone appresa nella sua lontana adolescenza in Colofone, e da lui mai compresa né mai cantata fino ad allora. Per varie settimane non avvenne altro; vedevamo ogni tanto i De Simone, ma dal contegno di Trachi nulla si vide della tempesta che lo agitava. Io fui, e non altri, chi provocò lo scioglimento. Una sera di ottobre Trachi si trovava dal maniscalco. Incontrai Teresa, e passeggiammo insieme nel bosco. Parlavamo: e di chi se non di Trachi? Non tradii le confidenze del mio amico: ma feci peggio. Mi accorsi ben presto che Teresa non era timida come sembrava: scelse come a caso un viottolo che conduceva nel bosco più fitto; era un viottolo cieco, io lo sapevo, e sapevo che Teresa lo sapeva. Dove la traccia spariva, sedette sulle foglie secche, ed io feci altrettanto. Suonavano le sette al campanile della valle, ed ella si strinse a me in un modo che mi tolse ogni dubbio. Quando tornammo a casa era notte, ma Trachi non era ancora rientrato. Ho avuto subito coscienza di aver male operato: anzi nell' atto stesso; ed ancor oggi ne porto pena. Eppure so che la mia colpa non è piena, né lo è quella di Teresa. Trachi era fra noi: eravamo immersi nella sua aura, gravitavamo nel suo campo. So questo, poiché io stesso ho visto, dove lui passava, schiudersi anzitempo i fiori, ed il loro polline volare nel vento della sua corsa. Trachi non rientrò. Il resto della sua storia fu da noi ricostruito faticosamente, nei giorni che seguirono, su testimonianze e su segni. Dopo una notte, che fu di ansiosa attesa per tutti, e per me di segreto tormento, scesi io stesso a cercare del maniscalco. Non lo trovai in casa: era all' ospedale, con il cranio spaccato; non era in grado di parlare. Trovai il suo aiutante. Mi raccontò che Trachi era venuto verso le sei, per farsi ferrare. Era taciturno e triste, ma tranquillo. Si lasciò incatenare come al solito, senza mostrare impazienza (era questo l' uso incivile di quel maniscalco: aveva avuto un incidente anni prima con un cavallo ombroso, ed invano avevamo cercato di convincerlo che tale precauzione era del tutto assurda con Trachi). Aveva già tre zoccoli ferrati, quando un brivido lungo e violento lo aveva scosso. Il maniscalco si era rivolto a lui con quelle voci rudi che si usano coi cavalli; come andava facendosi sempre più inquieto, lo aveva colpito con una frusta. Trachi era sembrato calmarsi, "ma girava gli occhi intorno come un matto, e sembrava che sentisse delle voci". Ad un tratto, con una scossa furiosa aveva divelto le catene dai loro incastri nel muro, ed una appunto di queste aveva colpito al capo il maniscalco, mandandolo a terra svenuto; si era buttato contro la porta con tutto il suo peso, a capofitto, riparandosi la testa con le braccia incrociate, ed era partito al galoppo su per la collina, mentre le quattro catene, che ancora gli impedivano le zampe, gli roteavano intorno ferendolo a più riprese. _ A che ora è successo? _ domandai, turbato da un presentimento. L' aiutante esitò: non era ancora notte, non sapeva con precisione. Ma sì, ora ricordava: pochi attimi prima dello scatenamento era suonata l' ora al campanile, ed il padrone gli aveva detto, in dialetto perché Trachi non capisse: _ Già le sette! Se tutti i clienti fossero difisiôs come questo .... Le sette! Non trovai difficoltà, purtroppo, a seguire il percorso di Trachi furioso: se anche nessuno l' avesse visto, rimanevano tracce cospicue del sangue che aveva perduto, ed i graffi delle catene sulla scorza degli alberi e sulle rocce ai margini della strada. Non si era diretto verso casa, né verso la cascina De Simone: aveva saltato netto la staccionata alta due metri che recinge la proprietà Chiapasso, aveva preso di traverso per le vigne, aprendosi un varco tra i filari con furia cieca, in linea retta, abbattendo paletti e viti, stroncando i robusti fili di ferro che sostengono i tralci. Era giunto sull' aia, e aveva trovato la porta della stalla chiusa col catenaccio dall' esterno. Avrebbe potuto agevolmente aprire con le mani: invece aveva raccolto una vecchia macina da grano, pesante mezzo quintale, e l' aveva scagliata contro la porta mandandola in schegge. Nella stalla non c' erano che le sei mucche, un vitello, polli e conigli. Trachi era ripartito all' istante, e si era diretto, sempre a folle galoppo, verso la tenuta del barone Caglieris. Questa è lontana almeno sei chilometri, dall' altra parte della valle, ma Trachi vi arrivò in pochi minuti. Cercava la scuderia: non la trovò al primo colpo, ma solo dopo di aver sfondato a calci e a spallate diverse porte. Quanto fece nella scuderia, lo sappiamo da un testimone oculare: uno stalliere, che al fracasso della porta infranta aveva avuto il buon senso di nascondersi nel fieno, e di lì aveva visto ogni cosa. Aveva sostato un attimo sulla soglia, ansante e sanguinante. I cavalli, inquieti, scrollavano i musi tirando sulle cavezze: Trachi era piombato su di una cavalla bianca, di tre anni; aveva spezzato d' un colpo la catenella che la legava alla mangiatoia, e trascinandola per questa stessa l' aveva condotta fuori. La cavalla non aveva opposto alcuna resistenza; strano, mi disse lo stalliere, perché era di carattere piuttosto ombroso e restio, e non era neppure in calore. Avevano galoppato insieme fino al torrente: qui Trachi era stato visto sostare, attingere acqua colle mani, e bere ripetutamente. Poi avevano proseguito affiancati fino al bosco. Sì, ho seguito le loro tracce: fino a quel bosco, fino a quel sentiero, fino a quella macchia in cui Teresa mi aveva chiesto. E proprio qui, per tutta la notte, Trachi doveva aver celebrato le sue nozze gigantesche. Vi trovai il suolo scalpicciato, rami spezzati, crini bianchi e bruni, capelli umani, ed ancora sangue. Poco lontano, richiamato dal suo respiro affannoso, trovai lei, la giumenta. Giaceva a terra su di un fianco, ansimante, col nobile mantello sporco di terra e d' erba. Al mio passo sollevò a stento il muso, e mi seguì con lo sguardo terribile dei cavalli spaventati. Non era ferita, ma esausta. Partorì dopo otto mesi un puledrino: normalissimo, a quanto mi è stato detto. Qui le tracce dirette di Trachi si perdono. Ma, come forse qualcuno ricorda, nei giorni seguenti comparve sui giornali notizia di una curiosa catena di abigeati, tutti perpetrati con la medesima tecnica: la porta infranta, la cavezza sciolta o spezzata, l' animale (sempre una giumenta, e sempre una sola) condotto in qualche bosco poco lontano, e qui ritrovato sfinito. Solo una volta il rapitore sembrò aver trovato resistenza: la sua occasionale compagna di quella notte fu trovata morente, con la cervice slogata. Sei furono questi episodi, e furono segnalati in vari punti della penisola, susseguendosi da nord a sud. A Voghera, a Lucca, presso il lago di Bracciano, a Sulmona, a Cerignola. L' ultimo avvenne presso Lecce. Poi null' altro; ma forse si deve riconnettere a questa storia la curiosa segnalazione fatta alla stampa dall' equipaggio di un peschereccio pugliese: di aver incontrato, al largo di Corfù, "un uomo a cavallo di un delfino". La strana apparizione nuotava vigorosamente verso levante; i marinai le avevano dato una voce, al che l' uomo e la groppa grigia si erano immersi, scomparendo alla vista.

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Anzi, più esattamente: abbiamo concluso un accordo _. Simpson si appoggiò allo schienale della sedia e sorrise benevolmente, godendosi l' effetto della sua battuta; poi riprese: _ Già, forse sarà meglio raccontare le cose dal principio. Avrà letto, immagino, di quei geniali lavori di Von Frisch sul linguaggio delle api: la danza ad otto, le sue modalità e il suo significato in rapporto alla distanza, alla direzione e alla quantità del cibo. L' argomento mi ha affascinato, dodici anni fa, e da allora ho dedicato alle api tutte le mie ore libere di fine settimana. In principio volevo soltanto provare a parlare con le api nel loro linguaggio. Sembra assurdo che nessuno ci abbia pensato prima: ci si riesce con facilità straordinaria. Venga a vedere. Mi mostrò un alveare in cui aveva sostituito la parete anteriore con un vetro smerigliato. Tracciò col dito alcuni otto inclinati sulla faccia esterna del vetro, e poco dopo un piccolo sciame uscì ronzando dalla portina. _ Mi rincresce di averle ingannate, per questa volta. A sud-est, a duecento metri di distanza, non c' è proprio niente, poverette: volevo solo farle vedere come ho rotto il ghiaccio, la parete di incomprensione che ci separa dagli insetti. Mi ero fatto le cose difficili, al principio: pensi che, per diversi mesi, ho danzato a otto io stesso, tutto intero, voglio dire, non solo col dito; sì, qui davanti, sul prato. Capivano lo stesso, ma con difficoltà, e poi era faticoso e ridicolo. Più tardi ho visto che basta molto meno: un segno qualunque, ha visto, anche con uno stecco, col dito, purché sia conforme al loro codice. _ E anche con le libellule ...? _ Con le libellule, per ora, ho solo rapporti indiretti. È stato il secondo passo: mi sono accorto abbastanza presto che il linguaggio delle api va parecchio oltre alla danza ad otto per segnalare il cibo. Oggi posso dimostrare che posseggono altre danze, voglio dire altre figure; non le ho ancora comprese tutte ma ho già potuto compilare un piccolo glossario, con qualche centinaio di voci. Eccolo qui: ci sono gli equivalenti di un buon numero di sostantivi del tipo di "sole, vento, pioggia, freddo, caldo", eccetera; c' è un assortimento molto vasto di nomi di piante: a questo proposito, ho notato che posseggono almeno dodici figure distinte per indicare, ad esempio, il melo, a seconda che si tratti di un albero grande, piccolo, vecchio, sano, inselvatichito, e così via: un po' come facciamo noi con i cavalli. Sanno dire "raccogliere, pungere, cadere, volare"; anche qui, posseggono per il volo un numero sorprendente di sinonimi: il "volare" loro proprio è diverso da quello delle zanzare, da quello delle farfalle e da quello dei passeri. Invece non distinguono fra camminare, correre, nuotare, viaggiare su ruote: per loro, tutti gli spostamenti a livello del suolo o sull' acqua sono uno "strisciare". Il loro patrimonio lessicale relativo agli altri insetti, e soprattutto agli insetti che volano, è appena inferiore al nostro; invece, si accontentano di una nomenclatura estremamente generica per gli animali più grossi. I loro segni per i quadrupedi, rispettivamente dal topo al cane e dalla pecora in su, sono due soli, e potrebbero essere resi approssimativamente con "quattro piccolo" e "quattro grande". Neppure distinguono fra uomo e donna; gli ho dovuto spiegare io la differenza. _ E lei parla questo linguaggio? _ Male, per ora: ma lo capisco abbastanza bene, e me ne sono servito per farmi spiegare alcuni fra i più grossi misteri dell' alveare; come decidono il giorno della strage dei maschi, quando e perché autorizzano le regine a combattere fra loro fino a morte, come stabiliscono il rapporto numerico fra fuchi e operaie. Non mi hanno detto tutto, però: mantengono certi segreti. Sono un popolo di grande dignità. _ Anche con le libellule parlano danzando? _ No: le api comunicano danzando solo fra loro e (perdoni l' immodestia) con me. Quanto alle altre specie, devo dirle prima di tutto che le api hanno rapporti regolari solo con le più evolute; specialmente con gli altri insetti sociali, e con quelli che hanno abitudini gregarie. Per esempio, hanno contatti abbastanza stretti (anche se non sempre amichevoli) con le formiche, con le vespe, e appunto con le libellule; con le cavallette invece, e in genere con gli ortotteri, si limitano a ordini e minacce. Ad ogni modo, con tutti gli altri insetti le api comunicano per mezzo delle antenne. È un codice rudimentale, ma in compenso talmente veloce che non ho assolutamente potuto seguirlo, e temo sia irrimediabilmente al di fuori delle possibilità umane. Del resto, se devo dirle la verità, non solo non ho speranza, ma neppure desiderio di entrare in contatto con altri insetti tagliando fuori le api: mi sembrerebbe poco delicato nei loro confronti, e poi loro si prestano a fare da mediatrici con grande entusiasmo, quasi come se si divertissero. Per tornare al codice, chiamiamolo così, interinsettico, ho l' impressione che non si tratti di un linguaggio vero e proprio: piuttosto che rigidamente convenzionale, mi è sembrato affidato alla intuizione e alla fantasia del momento. Deve essere vagamente simile al modo complicato e insieme compendiario con cui noi uomini comunichiamo coi cani (avrà notato, non è vero? che un linguaggio uomo-cane non esiste, eppure ci si intende nei due sensi in misura considerevole): ma certo molto più ricco, come lei stesso potrà vedere dai risultati. Ci condusse per il giardino e il pergolato, e ci fece notare che non c' era una sola formica. Non erano insetticidi: a sua moglie le formiche non piacevano (la signora Simpson, che ci seguiva, arrossì intensamente), così lui aveva proposto loro un contratto. Lui avrebbe provveduto al mantenimento di tutte le loro colonie fino al muro perimetrale (una spesa di due o tremila lire all' anno, mi spiegò), e loro si sarebbero impegnate a smobilitare tutti i formicai in un raggio di cinquanta metri dalla villa, a non aprirne di nuovi, e a sbrigare in due ore al giorno, dalle 5 alle 7, tutti i lavori di micropulizia e di distruzione delle larve nocive, nel giardino e in villa. Le formiche avevano accettato; però, poco dopo, attraverso la mediazione delle api, si erano lagnate di una certa colonia di formicaleoni che infestavano una fascia sabbiosa ai margini del bosco. Simpson mi confessò che a quell' epoca non sapeva neppure che i formicaleoni fossero le larve delle libellule: si era poi recato sul posto, e aveva assistito con raccapriccio alle loro abitudini sanguinarie. La sabbia era costellata di piccole buche coniche: ecco, una formica si era avventurata sull' orlo e subito era precipitata sul fondo insieme con la sabbia instabile. Dal fondo era emerso un paio di feroci mandibole ricurve, e Simpson aveva dovuto riconoscere che la protesta delle formiche era giustificata. Mi disse di essersi sentito fiero e insieme confuso per l' arbitrato che gli veniva richiesto: dalla sua decisione sarebbe dipeso il buon nome dell' intero genere umano. Aveva convocato una piccola assemblea: _ È stato nello scorso settembre, una seduta memorabile. Erano presenti api, formiche e libellule: libellule adulte, che difendevano con molto rigore e urbanità i diritti delle loro larve. Mi fecero notare che queste ultime non potevano in alcun modo essere tenute responsabili del loro regime alimentare: erano inette alla locomozione, e non potevano che tendere agguati alle formiche o morire di fame. Io allora proposi di stanziare per loro una adeguata razione giornaliera di mangime bilanciato, quello che usiamo qui per i polli. Le libellule chiesero una prova pratica: le larve mostrarono di gradirlo, e allora le libellule si dichiararono pronte a interporre i loro buoni uffici affinché ogni insidia ai danni delle formiche fosse sospesa. È stato in quella occasione che ho offerto loro un extra per ogni spedizione nel bosco dei mirtilli: ma è una prestazione che chiedo loro di rado. Sono fra gli insetti più intelligenti e robusti, e mi aspetto molto da loro. Mi spiegò che gli era sembrato poco corretto proporre una qualsiasi forma di contratto alle api, che erano già fin troppo occupate; per contro era in avanzate trattative con mosche e zanzare. Le mosche erano stupide, e non se ne poteva cavare molto: solo di non infastidire in autunno e di non frequentare la stalla e il letamaio. Contro quattro milligrammi di latte al giorno e a testa, avevano accettato: Simpson si proponeva di incaricarle di semplici messaggi urgenti, almeno finché in villa non gli avessero installato il telefono. Con le zanzare, le trattative si delineavano difficili per altre ragioni: non solo non erano buone a nulla, ma avevano fatto intendere che non volevano, anzi non potevano rinunciare al sangue umano, o almeno mammifero. Data la vicinanza dello stagno, le zanzare costituivano una discreta molestia, perciò a Simpson un accordo sembrava desiderabile: si era consultato col veterinario condotto, e si proponeva di prelevare da una mucca in stalla mezzo litro di sangue ogni due mesi. Con un po' di citrato non sarebbe coagulato, e a conti fatti avrebbe dovuto bastare per tutte le zanzare del luogo. Mi fece notare che in sé non era un grande affare, ma era sempre meno costoso di una irrorazione di DDT, e inoltre non avrebbe turbato l' equilibrio biologico della zona. Questo particolare non era senza importanza, perché il metodo avrebbe potuto essere brevettato, e sfruttato in tutte le regioni malariche: riteneva che le zanzare avrebbero capito abbastanza presto che era loro evidente interesse evitare di infettarsi col plasmodio, e quanto ai plasmodi stessi, anche se si fossero estinti non sarebbe stato un gran male. Gli chiesi se non si sarebbero potuti concludere analoghi patti di non aggressione con altri parassiti delle persone e delle abitazioni: Simpson mi confermò, che fino a quel momento, i contatti con gli insetti non gregari erano risultati difficili; che, d' altra parte, non vi si era dedicato con particolare diligenza dato lo scarso profitto che se ne sarebbe potuto sperare, anche nella migliore delle ipotesi; che riteneva inoltre che essi fossero non gregari appunto per la loro incapacità di comunicare. Tuttavia, in tema di insetti nocivi, aveva già pronta una bozza di contratto approvata dalla Food e Agriculture Organization, e si proponeva di discuterla con una delegazione di locuste subito dopo la stagione della metamorfosi, attraverso la mediazione di un suo amico, il rappresentante della NATCA per la RAU e il Libano. Il sole era ormai tramontato, e ci ritirammo in salotto: mia moglie ed io eravamo pieni di ammirazione e di turbamento. Non riuscivamo a dire a Simpson quello che pensavamo: poi mia moglie si decise, e con grande fatica gli disse che aveva messo le mani su un .... su una "cosa" nuova e grossa, ricca di sviluppi scientifici e anche poetici Simpson la arrestò: _ Signora, io non dimentico mai di essere un uomo di affari: anzi, dell' affare più grosso non ho ancora detto. Vi prego di non parlarne ancora in giro, ma dovete sapere che questo mio lavoro interessa loro profondamente, ai bigs della NATCA, e in specie ai cervelloni del Centro Ricerche a Fort Kiddiwanee. Li ho messi al corrente, beninteso dopo di aver definito la situazione brevettuale, e pare ne stia nascendo una combinazione interessante. Guardi cosa c' è qui dentro _. Mi porse una minuscola scatola di cartone, non più grossa di un ditale. La apersi: _ Qui dentro non c' è niente! _ Quasi niente, _ fece Simpson. Mi diede una lente: sul fondo bianco della scatola vidi un filamento, più sottile di un capello, lungo forse un centimetro; verso la metà si distingueva un leggero ingrossamento. _ È un resistore, _ disse Simpson: _ il filo è da due millesimi, la giunzione è da cinque, e il tutto costa quattromila lire; ma presto ne costerà duecento. Questo pezzo è il primo che è stato montato dalle mie formiche: dalle rufe dei pini, le più robuste ed abili. Ho insegnato in estate a una squadra di dieci, e loro hanno fatto scuola a tutte le altre. Dovrebbe vederle, è uno spettacolo unico: due afferrano i due elettrodi con le mandibole, una li attorciglia di tre giri e li fissa con una gocciolina di resina, poi tutte e tre depongono il pezzo sul trasportatore. In tre, montano un resistore in 14 secondi, compresi i tempi morti, e lavorano 20 ore su 24. Ne è nato un problema sindacale, si capisce, ma queste cose si accomodano sempre; loro sono soddisfatte, su questo non c' è dubbio. Ricevono una retribuzione in natura, suddivisa in due partite: una per così dire personale, che le formiche consumano nelle pause del lavoro, e l' altra collettiva, destinata alle scorte del formicaio, che esse immagazzinano nelle tasche ventrali; in tutto, 15 grammi al giorno per l' intera squadra di lavoro, che è composta di cinquecento operaie. È il triplo di quanto potevano raggranellare in un giorno di raccolta qui nel bosco. Ma questo è solo un inizio: sto allenando altre squadre per altri lavori "impossibili". Una a tracciare il reticolo di diffrazione di uno spettrometro, mille righe in . millimetri; una a riparare circuiti stampati miniaturizzati, che finora una volta guasti si buttavano via; una a ritoccare negative fotografiche; quattro a svolgere lavori ausiliari nella chirurgia del cervello, e già fin d' ora le posso dire che si dimostrano insostituibili nell' arrestare le emorragie dei capillari. Basta pensarci un momento, e subito vengono in mente decine di lavori che richiedono spese di energia minime, ma non si possono eseguire economicamente perché le nostre dita sono troppo grosse e lente, perché un micromanipolatore è troppo costoso, o perché comportano operazioni troppo numerose su un' area troppo vasta. Ho già preso contatti con una stazione sperimentale agraria per vari esperimenti appassionanti: vorrei allenare un formicaio a distribuire i fertilizzanti "a dimora", voglio dire, un granello per ogni seme; un altro formicaio, a bonificare le risaie, asportando le erbe infestanti quando sono ancora in germe; un altro, a mondare i silos; un altro ancora, a eseguire microinnesti cellulari .... È breve la vita, mi creda: mi maledico per aver cominciato così tardi. Da soli si può fare così poco! _ Perché non si prende un socio? _ Crede che io non abbia provato? Per poco non finivo in galera. Mi sono convinto che ... come dice il vostro proverbio? Meglio soli. _ In galera? _ Sì, per via di O'Toole, solo sei mesi fa. Giovane, ottimista, intelligente, instancabile, e poi pieno di fantasia, una miniera di idee. Ma un giorno ho trovato sulla sua scrivania un oggettino curioso, una pallina di plastica cava, non più grossa di un acino d' uva, con una polverina dentro. L' avevo io in mano, capisce, quando hanno bussato alla porta: era l' Interpol, otto agenti. Mi ci è voluto fior di avvocati per uscirne, per farli persuasi che io ero all' oscuro di tutto. _ All' oscuro di cosa? _ Della storia delle anguille. Sa bene, non sono insetti, ma anche loro migrano a banchi, migliaia e migliaia, tutti gli anni. S' era messo d' accordo con loro, quel disgraziato: come se io gli avessi fatto mancare il danaro. Le aveva corrotte con qualche mosca morta, e loro venivano a riva una per una, prima di mettersi in viaggio per il mare dei Sargassi: due grammi di eroina per una, nelle palline, legate sulla schiena. Laggiù, naturalmente, c' era lo yacht di Rick Papaleo ad aspettarle. Adesso, come le dicevo, ogni sospetto a mio carico è caduto: però tutta la faccenda è venuta alla luce, e ho il fisco alle calcagna. Si immaginano che io guadagni chissà che cosa: stanno facendo accertamenti. Una vecchia storia, vero? Inventi il fuoco e lo doni agli uomini, poi un avvoltoio ti rode il fegato per la eternità.

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A casa nostra, per esempio, da quando abbiamo comperato il televisore, mio figlio gli sta davanti per ore, senza più giocare, abbacinato come le lepri dai fari delle auto. Io no, io vado via: però mi costa sforzo. Ma chi avrà la forza di volontà di sottrarsi a uno spettacolo Torec? Mi sembra assai più pericoloso di qualsiasi droga: chi lavorerebbe più? Chi si curerebbe ancora della famiglia? _ Non le ho mica detto che il Torec sia in vendita, _ disse Simpson. _ Anzi, le ho raccontato che l' ho ricevuto in regalo, che è un regalo unico al mondo, e che me l' hanno mandato in occasione del mio ritiro. Se vogliamo sottilizzare, devo aggiungere che non è neppure un vero regalo; l' apparecchio, legalmente, continua ad appartenere alla NATCA, e mi è stato affidato a tempo indefinito non solo come premio, ma anche perché io ne sperimenti gli effetti a lunga scadenza. _ Ad ogni modo, _ dissi io, _ se lo hanno studiato e costruito è perché intendono metterlo in vendita. _ La faccenda è semplice. I padroni della NATCA hanno per ogni loro azione solo due scopi, che poi si riducono a uno: guadagnare quattrini e acquistare prestigio, che poi vuol dire guadagnare altri quattrini. Si capisce che vorrebbero produrre il Torec in serie e venderne milioni di esemplari, ma hanno ancora abbastanza testa sul collo per rendersi conto che il Congresso non resterebbe indifferente davanti alla diffusione incontrollata di uno strumento come questo. Perciò, in questi mesi, dopo che il prototipo è stato realizzato, si stanno preoccupando in primo luogo di rivestirlo di una corazza di brevetti, che non ne resti scoperto un solo bullone; in secondo, di strappare il consenso del legislatore alla sua distribuzione in tutte le case di riposo, e alla sua assegnazione gratuita a tutti gli invalidi e agli ammalati inguaribili. Infine, e questo è il loro programma più ambizioso, vorrebbero che il diritto al Torec maturasse per legge insieme col diritto alla pensione, per tutta la popolazione attiva. _ Così lei sarebbe, per così dire, il prototipo del pensionato di domani? _ Sì, e le assicuro che l' esperienza non mi dispiace per nulla. Il Torec mi è arrivato da sole due settimane, ma mi ha già procurato delle serate incantevoli: certo, lei ha ragione, occorre volontà e buon senso per non lasciarsi sopraffare, per non dedicargli le intere giornate, e io non lo darei mai in mano a un ragazzo, ma alla mia età è prezioso. Non vuole provarlo? Mi sono impegnato a non imprestarlo né venderlo, ma lei è una persona discreta, e credo che una eccezione per lei la posso fare. Sa, mi hanno anche invitato a studiarne le possibilità come ausiliario didattico, per lo studio della geografia, per esempio, e delle scienze naturali, e terrei molto a un suo parere. _ S' accomodi, _ mi disse: _ è forse meglio chiudere le impannate. Sì, così con le spalle alla lampada andrà benissimo. Non posseggo per ora che una trentina di nastri, ma altri settanta sono in dogana a Genova e spero di riceverli fra poco: così avrò tutto l' assortimento che esiste fino ad oggi. _ Chi produce i nastri? Come si ottengono? _ Si parla di produrre nastri artificiali, ma per ora essi vengono tutti ottenuti mediante registrazione. Il procedimento è noto solo nelle sue linee generali: laggiù a Fort Kiddiwanee, alla Torec Division, propongono un ciclo di registrazioni a qualunque persona che abbia normalmente, o possa avere occasionalmente, qualche esperienza che si presti allo sfruttamento commerciale: ad aviatori, esploratori, subacquei, seduttori o seduttrici, e ad altre numerose categorie di individui che lei stesso può immaginare se ci pensa un momento. Poniamo che il soggetto accetti, e che si raggiunga un accordo sui diritti: a proposito, ho sentito dire che si tratta di cifre abbastanza alte, da due a cinquemila dollari per nastro; ma spesso, per ottenere una registrazione utilizzabile bisogna ripetere l' incisione dieci o venti volte. Dunque: se l' accordo si raggiunge, gli infilano sul capo un casco su per giù come questo, e non ha che da portarlo per tutto il tempo che dura la registrazione; non ha nessun altro disturbo. Tutte le sue sensazioni vengono trasmesse via radio al centralino di incisione, e poi dal primo nastro si tirano quante copie si vogliono con le tecniche usuali. _ Ma allora ... ma se il soggetto sa che ogni sua sensazione viene registrata, allora anche questa sua consapevolezza rimarrà incisa sul nastro. Lei non rivivrà il lancio di un astronauta qualunque, ma quello di un astronauta che sa di avere un casco Torec in testa e di essere oggetto di una registrazione. _ È proprio così, _ disse Simpson: _ infatti, nella maggior parte dei nastri che ho fruito questa consapevolezza di fondo si percepisce distintamente, ma alcuni soggetti, con l' esercizio, imparano a reprimerla durante la registrazione, e a relegarla nel subconscio, dove il Torec non arriva. Del resto non disturba gran che. Quanto al casco, non dà la minima noia: la sensazione "casco in testa" che è incisa in tutti i nastri coincide con quella provocata direttamente dal casco di ricezione. Stavo per esporgli alcune altre mie difficoltà di natura filosofica, ma Simpson mi interruppe. _ Vuole che cominciamo da questo? È uno dei miei preferiti. Sa, in America il calcio non è molto popolare, ma da quando sono in Italia sono diventato un milanista convinto: anzi, sono stato io a combinare l' affare fra il Rasmussen e la NATCA, e ho diretto io stesso la registrazione. Lui ci ha guadagnato tre milioni, e la NATCA un nastro fantastico. Perdinci, che mezz' ala! Ecco, si segga, metta il casco e poi mi dirà. _ Ma io non ne capisco niente, di calcio. Non solo non ho mai giocato, neppure da ragazzino, ma non ho mai visto una partita, neanche alla televisione! _ Non importa, _ disse Simpson, ancora tutto vibrante di entusiasmo, e diede il contatto. Il sole era basso e caldo, l' aria polverosa: percepivo un odore intenso di terra smossa. Ero sudato e avevo un po' male a una caviglia: correvo a falcate estremamente leggere dietro al pallone, guardavo alla mia sinistra con la coda dell' occhio, e mi sentivo agile e pronto come una molla tesa. Un altro giocatore rosso-nero entrò nel mio campo visivo: gli passai il pallone raso terra, sorprendendo un avversario, poi mi precipitai in avanti mentre il portiere usciva verso destra. Udii il boato crescente del pubblico, vidi il pallone respinto verso di me, un po' più avanti per sfruttare il mio slancio: gli fui sopra in un lampo e calciai in porta di precisione, di sinistro, senza sforzo, senza violenza, davanti alle mani tese del portiere. Percepii l' onda di allegrezza nel sangue, e poco dopo in bocca il sapore amaro della scarica di adrenalina: poi tutto finì e mi ritrovai in poltrona. _ Ha visto? È molto breve, ma è un piccolo gioiello. Si è forse accorto della registrazione? No, vero? Quando uno è sotto porta ha altro da pensare. _ Infatti. Devo ammetterlo, è una curiosa impressione. È esaltante sentire il proprio corpo così giovane e docile: una sensazione perduta da decenni. Anche segnare, sì, è bello: non si pensa a nient' altro, si è tutti come concentrati in un punto, come dei proiettili. E l' urlo della folla! Eppure, non so se lei se ne è accorto, in quell' istante in cui aspettavo ... in cui lui aspettava il passaggio, un pensiero estraneo si fa strada: una ragazza alta e bruna, che si chiama Claudia, e con cui lui ha un appuntamento alle 9 in San Babila. Dura solo un secondo, ma è chiarissimo: tempo, luogo, antefatto, tutto. Lo ha sentito? _ Sì, certo, ma sono cose senza importanza: anzi, aumentano il senso del reale. Si capisce che uno non può mica rifarsi tabula rasa, e presentarsi alla registrazione come se fosse nato l' istante prima: ho saputo che molti rifiutano il contratto proprio per ragioni di questo genere, perché hanno qualche ricordo che vogliono tenere segreto. Ebbene, che ne dice? Vuole provare ancora? Pregai Simpson di farmi vedere i titoli degli altri suoi nastri. Erano molto concisi e scarsamente suggestivi, alcuni addirittura incomprensibili, forse a causa della traduzione italiana. _ È meglio che mi consigli lei, _ dissi: _ io non saprei scegliere. _ Ha ragione. Dei titoli non ci si può fidare, proprio come per i libri e per i film. E noti che i nastri disponibili, come le ho detto, sono per ora solo un centinaio: ma ho visto poco fa la bozza del catalogo 1967, ed è roba da dare le vertigini. Anzi, glielo voglio mostrare: mi pare istruttivo sotto l' aspetto dell' "American Way of Life", e più in generale come tentativo di una sistematica delle esperienze pensabili. Il catalogo raccoglieva più di 900 titoli, ognuno dei quali era seguito dal numero della Classificazione decimale Dewey, ed era diviso in sette sezioni. La prima portava l' indicazione "Arte e Natura"; i nastri relativi erano contraddistinti da una fascia bianca, e portavano titoli come "Tramonto a Venezia", "Paestum e Metaponto visti da Quasimodo", "Il ciclone Magdalen", "Un giorno fra i pescatori di merluzzi", "Rotta polare", "Chicago vista da Allen Ginsberg", "Noi sub", "La Sfinge meditata da Emily S. Stoddard". Simpson mi fece notare che non si trattava di sensazioni gregge, come quelle di un uomo rozzo e incolto che visiti Venezia o assista casualmente ad uno spettacolo naturale: ogni argomento era stato registrato scritturando buoni scrittori e poeti, che si erano prestati a mettere a disposizione del fruitore la loro cultura e la loro sensibilità. Alla seconda sezione appartenevano nastri dalla fascia rossa e dalla indicazione "Potenza". La sezione era ulteriormente suddivisa nelle sottosezioni "Violenza", "Guerra", "Sport", "Autorità", "Ricchezza", "Miscellanea". _ È una divisione arbitraria, _ disse Simpson: _ io, per esempio, al nastro che lei ha fruito or ora, "Un goal di Rasmussen", avrei certo messo la fascia bianca invece di quella rossa. In generale, a me i nastri rossi interessano poco; però mi hanno detto che già sta nascendo in America un mercato nero di nastri: escono misteriosamente dagli studi della NATCA e vengono incettati da ragazzi che possiedono dei Torec clandestini fabbricati alla meglio da radiotecnici di pochi scrupoli. Bene, i nastri rossi sono i più ricercati. Ma forse non è un male: un giovane che si comperi un pestaggio in una cafeteria è difficile che poi vi prenda parte in carne ed ossa. _ Perché? Se uno ci prende gusto ... Non sarà come per i leopardi, che quando hanno assaggiato il sangue d' uomo poi non possono più farne a meno? Simpson mi guardava con un' aria curiosa. _ Già, lei è un intellettuale italiano: vi conosco bene, voialtri. Buona famiglia borghese, quattrini abbastanza, una madre timorata e possessiva, a scuola dai preti, niente servizio militare, nessuno sport di competizione, salvo forse un po' di tennis. Una o più donne corteggiate senza passione, una sposata, un lavoro tranquillo per tutta la vita. È così, non è vero? _ Be' , non proprio, almeno per quanto mi riguarda .... _ Sì, in qualche particolare mi potrò essere sbagliato, ma la sostanza è questa, non lo neghi. La lotta per la vita è elusa, non avete mai fatto a cazzotti, e ve ne resta la voglia fino alla vecchiaia. In fondo, è per questo che avete accettato Mussolini: volevate un duro, un lottatore, e lui, che non lo era ma neanche era stupido, ha recitato la parte finché ha potuto. Ma non divaghiamo: vuol vedere che gusto c' è a fare a pugni? Ecco qui, si metta il casco e poi mi dirà. Io ero seduto, gli altri intorno a me stavano in piedi. Erano tre, avevano delle maglie a righe e mi guardavano sogghignando. Uno di loro, Bernie, mi parlava in un linguaggio che, a pensarci dopo, compresi essere un americano fortemente gergale, ma allora lo capivo bene, e lo parlavo anche: anzi, ne ricordo perfino qualche termine. Mi chiamava bright boy e goddam rat, e mi derideva, a lungo, con pazienza e crudeltà. Mi derideva perché ero un Wop, e più precisamente un Dago; io non rispondevo, e continuavo a bere con studiata indifferenza. In realtà provavo collera e paura insieme; ero consapevole della finzione scenica, ma gli insulti li avevo ricevuti e mi bruciavano, e poi la finzione stessa riproduceva una situazione non nuova, anche se mai avevo potuto abituarmici. Avevo diciannove anni, ero tarchiato e robusto, ed ero veramente un Wop, un figlio di immigrati italiani; mi vergognavo profondamente di esserlo, e insieme ne ero fiero. I miei persecutori erano autentici persecutori, miei vicini di rione e nemici fin dall' infanzia: biondi, anglosassoni e protestanti. Li detestavo, e insieme li ammiravo un poco. Non avevano mai osato affrontarmi apertamente: il contratto con la NATCA aveva offerto loro una splendida occasione e l' impunità. Sapevo che loro ed io eravamo stati tutti quanti scritturati per una registrazione, ma questo non toglieva nulla al nostro odio reciproco; anzi, il fatto stesso di avere accettato danaro per picchiarmi con loro raddoppiava il mio astio e la mia collera. Quando Bernie, imitando il mio linguaggio, disse: _ Uocchie 'e màmmeta! Madonna Mmaculata! _ e mi spedì un bacio burlesco sulla punta delle dita, afferrai il boccale di birra e glielo scagliai sul viso: vidi colare il suo sangue, e mi sentii riempire di un' esultanza feroce. Subito dopo rovesciai il tavolo, e tenendolo davanti come uno scudo cercai di raggiungere l' uscita. Ricevetti un pugno nelle costole: lasciai cadere il tavolo e mi avventai contro Andrew. Lo colpii alla mascella: volò all' indietro e si fermò stordito contro il bancone, ma intanto Bernie si era riavuto, e lui e Tom mi spinsero in un angolo sotto una gragnuola di colpi allo stomaco e al fegato. Ero senza fiato e non li vedevo che come ombre indistinte; ma quando mi dissero: _ Su, bimbo, chiedi pietà, _ feci due passi avanti, poi finsi di cadere, ma invece mi slanciai su Tom a testa bassa, come un toro che carichi. Lo atterrai, incespicai nel suo corpo e gli caddi addosso; mentre tentavo di rialzarmi ricevetti un furioso uppercut al mento, che mi sollevò letteralmente da terra e mi sembrò dovesse staccarmi la testa dal busto. Persi coscienza, la riacquistai sotto l' impressione di una doccia gelata sul capo, poi tutto finì. _ Basta, grazie, _ dissi a Simpson massaggiandomi il mento che, chissà perché, mi doleva ancora un poco. _ Ha ragione lei: non avrei nessuna voglia di ricominciare, né sul serio né per trasferta. _ Neanch' io, _ disse Simpson: _ l' ho fruito una sola volta e mi è bastata. Ma credo che un Wop autentico potrebbe trovarci una certa soddisfazione, se non altro per il fatto di combattere uno contro tre. Secondo me, questo nastro la NATCA lo ha inciso proprio per loro; sa bene, non fanno mai nulla senza una ricerca di mercato. _ Io credo invece che lo abbiano inciso per quegli altri, per i Biondi-Anglosassoni-Protestanti, e per i razzisti di tutte le razze. Pensi che godimento raffinato, sentirsi soffrire nei panni di chi si vuole fare soffrire! Be' , lasciamo andare. Che cosa sono questi nastri a fascia verde? Che significa "Encounters"? Il signor Simpson sorrise: _ È un eufemismo bello e buono. Sa, anche da noi la censura non scherza. Dovrebbero essere "incontri" con illustri personalità, per clienti che desiderano avere una breve conversazione con i grandi della terra. In effetti qualcuno ce n' è: guardi qui, "De Gaulle", "Francisco Franco Bahamonde", "Konrad Adenauer", "Mao Tse-tung" (sì, sì, anche lui c' è stato: è difficile capire i cinesi), "Fidel Castro". Ma hanno solo funzione di copertura: per la massima parte si tratta di tutt' altro, sono nastri sexy. L' incontro c' è, ma in un altro senso, insomma: vede, sono altri nomi, che sui giornali si leggono di rado in prima pagina .... Sina Rasinko, Inge Baum, Corrada Colli .... A questo punto cominciai a sentirmi arrossire. È un difetto noioso, che mi porto dietro dall' adolescenza: basta che io pensi "vuoi vedere che adesso arrossisco?" (e nessuno può impedirsi di pensare), ed ecco che il meccanismo scatta: mi sento diventare rosso, mi vergogno di diventarlo, e così lo divento ancora di più, finché comincio a sudare a grosse gocce, mi viene la gola secca e non riesco più a parlare. Quella volta lo stimolo, quasi casuale, era partito dal nome di Corrada Colli, la modella-indossatrice resa famosa dal noto scandalo, per la quale mi ero improvvisamente accorto di provare una simpatia salace, mai confessata ad alcuno e nemmeno a me stesso. Simpson mi osservava, esitante fra il riso e l' allarme: infatti, il mio stato di congestione era così evidente che non avrebbe potuto decentemente fingere di non essersene accorto. _ Non si sente bene? _ mi chiese alla fine: _ vuole prendere una boccata d' aria? _ No, no, _ dissi ansimando, mentre il mio sangue rifluiva tumultuosamente alle sue sedi profonde: _ non è niente, mi capita spesso. _ Non vorrà mica dirmi, _ fece storditamente Simpson, _ che è il nome della Colli che l' ha ridotto in codesto stato? _ Abbassò la voce: _ ... o forse era anche lei del giro? _ Ma no, cosa mai le viene in mente! _ protestai io, mentre il fenomeno si ripeteva con intensità doppia, smentendomi sfacciatamente. Simpson taceva perplesso: faceva mostra di guardare fuori della finestra, ma ogni tanto mi scoccava una rapida occhiata. Poi si decise: _ Senta, siamo fra uomini, e ci conosciamo da vent' anni. Lei è qui per provare il Torec, vero? Ebbene, quel nastro io ce l' ho: non faccia complimenti, se si vuol cavare questo gusto non ha che da dirmelo. La cosa resta fra noi, è evidente; poi, guardi, il nastro è ancora nella sua custodia originale, sigillato, e io non so neppure esattamente che cosa contenga. Magari è la cosa più innocente del mondo; ma in ogni caso, non c' è niente da vergognarsi. Credo che nessun teologo ci troverebbe nulla a ridire: chi commette il peccato non è mica lei. Su, via, metta il casco. Ero in un camerino di teatro, sullo sgabello, volgevo le spalle allo specchio e alla toilette, e provavo una viva impressione di leggerezza: mi accorsi subito che era dovuta al mio abbigliamento molto ridotto. Sapevo di aspettare qualcuno: infatti qualcuno bussò all' uscio, ed io dissi: _ Vieni pure _. Non era la "mia" voce, e questo era naturale; era invece una voce femminile, e questo era meno naturale. Mentre l' uomo entrava mi voltai verso lo specchio per accomodarmi i capelli, e l' immagine era la sua, quella di lei, di Corrada, mille volte vista sui rotocalchi: suoi gli occhi chiari, da gatto, suo il viso triangolare, sua la treccia nera avvolta intorno al capo con perversa innocenza, sua la pelle candida: ma dentro la sua pelle stavo io. Intanto l' uomo era entrato: era di statura media, olivastro, gioviale, portava un maglione sportivo e aveva i baffi. Provai nei suoi riguardi una sensazione di estrema violenza, e distintamente bipartita. Il nastro mi imponeva una sequenza di ricordi appassionati, alcuni pieni di desiderio furioso, altri di ribellione e di astio, e in tutti compariva lui, si chiamava Rinaldo, era mio amante da due anni, mi tradiva, io ero pazza di lui che finalmente era tornato, e insieme la mia vera identità si irrigidiva contro la suggestione capovolta, si ribellava contro la cosa impossibile, mostruosa che stava per accadere, adesso, subito, lì sul divano. Soffrivo acutamente, ed avevo la percezione vaga di armeggiare intorno al casco, di cercare disperatamente di staccarmelo dal capo. Come da una lontananza stellare mi giunse la voce tranquilla di Simpson: _ Che diavolo fa? Che cosa le succede? Aspetti, lasci fare a me, se no strappa il cavo _. Poi tutto si fece buio e silenzioso: Simpson aveva tolto la corrente. Ero furibondo. _ Che scherzi sono questi? A me, poi! Un amico, di cinquant' anni, sposato e con due figli, garantito eterosessuale! Basta, mi dia il cappello e si tenga le sue diavolerie! Simpson mi guardava senza capire; poi si precipitò a controllare il titolo del nastro, e si fece pallido come la cera. _ Mi deve credere, non mi sarei mai permessa una cosa simile. Non me n' ero proprio accorto. È stato un errore: imperdonabile, ma un errore. Guardi qui: ero convinto che l' etichetta fosse: "Corrada Colli, una serata con", e invece è: "Corrada Colli, una serata di". È un nastro per signora. Io non l' avevo mai provato, glielo avevo detto prima. Ci guardammo con reciproco imbarazzo. Benché fossi ancora molto turbato, mi tornò a mente in quell' istante l' accenno di Simpson alle possibili applicazioni didattiche del Torec, e stentai a reprimere uno scoppio di riso amaro. Poi Simpson disse: _ Eppure, non così di sorpresa ma sapendolo prima, sarebbe forse anche questa un' esperienza interessante. Unica: nessuno mai l' ha fatta, anche se i greci l' attribuivano a Tiresia. Già quelli le avevano studiate tutte: pensi che di recente ho letto che già avevano pensato di addomesticare le formiche, come ho fatto io, e di parlare coi delfini come Lilly. Gli risposi seccamente: _ Io no, non vorrei provare. Provi lei, se ci tiene: poi mi racconta _. Ma la sua mortificazione e la sua buona fede erano tanto evidenti che ebbi compassione di lui; appena fui un po' rinfrancato cercai pace e gli chiesi: _ Cosa sono questi nastri con la banda grigia? _ Mi ha perdonato, vero? La ringrazio, e le prometto che starò più attento. Quella è la serie "Epic", un esperimento affascinante. _ "Epic"? Non saranno mica esperienze di guerra, Far West, Marines, quelle cose che piacciono tanto a voialtri americani? Simpson ignorò cristianamente la provocazione. _ No, l' epica non c' entra per niente. Sono registrazioni del così detto "effetto Epicuro": si fondano sul fatto che la cessazione di uno stato di sofferenza o di bisogno .... Ma no, guardi: vuole concedermi l' occasione di riabilitarmi? Sì? Lei è un uomo civile: vedrà che non dovrà pentirsene. Poi, questo nastro "Sete" io lo conosco bene, e le posso assicurare che non avrà sorprese. Cioè sì, sorprese ne avrà, ma lecite e oneste. Il calore era intenso: mi trovavo in un desolato paesaggio di rocce brune e sabbia. Avevo una sete atroce, ma non ero stanco e non provavo angoscia: sapevo che si trattava di una registrazione Torec, sapevo che alle mie spalle c' era la jeep della NATCA, che avevo firmato un contratto, che per contratto non bevevo da tre giorni, che ero un disoccupato cronico di Salt Lake City, e che fra non molto avrei bevuto. Mi avevano detto di procedere in una certa direzione, e io camminavo: la mia sete era già allo stadio in cui non solo la gola e la bocca, ma anche gli occhi si seccano, e vedevo accendersi e spegnersi grosse stelle gialle. Camminai per cinque minuti, incespicando fra i sassi, poi vidi uno spiazzo sabbioso circondato dai ruderi di un muretto a secco; al centro c' era un pozzo, con una fune e un secchio di legno. Calai il secchio e lo tirai su pieno d' acqua limpida e fresca; sapevo bene che non era acqua di fonte, che il pozzo era stato scavato il giorno prima, e che l' autocisterna che lo aveva rifornito era poco lontano, parcheggiata all' ombra di una rupe. Ma la sete c' era, era reale e feroce e urgente, e io bevvi come un vitello, immergendo nell' acqua tutto il viso: bevvi a lungo, dalla bocca e dal naso, arrestandomi ogni tanto per respirare, tutto pervaso dal più intenso e semplice dei piaceri concessi ai viventi, quello di restaurare la propria tensione osmotica. Ma non durò a lungo: non avevo bevuto neppure un litro che l' acqua non mi dava più alcun piacere. Qui la scena del deserto svanì e fu sostituita da un' altra assai simile: ero in una piroga, in mezzo a un mare torrido, azzurro e vuoto. Anche qui la sete e la consapevolezza dell' artificio e la sicurezza che l' acqua sarebbe venuta: ma questa volta mi stavo domandando da che parte, perché intorno non si vedeva che mare e cielo. Poi emerse a cento metri da me un sommergibile tascabile con la scritta NATCA II, e la scena giunse a compimento con una deliziosa bevuta. Mi trovai poi successivamente in una prigione, in un vagone piombato, davanti a un forno vetrario, legato a un palo, in un letto d' ospedale, e ogni volta la mia sete breve ma tormentosa veniva più che compensata dall' arrivo dell' acqua gelata o di altre bevande, in circostanze sempre diverse, e per lo più artificiose o puerili. _ Lo schema è un po' monotono e la regia è debole, ma lo scopo è senza dubbio raggiunto, _ dissi a Simpson. _ È vero, è un piacere unico, acuto, quasi intollerabile. _ Questo lo sanno tutti, _ disse Simpson: _ ma senza il Torec non sarebbe stato possibile condensare sette soddisfazioni in venti minuti di spettacolo, eliminando del tutto il pericolo, e quasi del tutto la parte negativa dell' esperienza, e cioè il lungo tormento della sete, inevitabile in natura. È questa la ragione per cui tutti i nastri Epic sono antologici, cioè sono fatti di centoni: infatti sfruttano una sensazione sgradevole, che conviene sia breve, ed una di sollievo, che è intensa, ma breve per sua natura. Oltre alla sete, ci sono in programma vari nastri sulla cessazione della fame e di almeno dieci qualità di dolori, fisici e spirituali. _ Questi nastri Epic, _ dissi, _ mi lasciano perplesso. Può essere che dagli altri qualcosa di buono si possa anche cavare: all' ingrosso, lo stesso bilancio sostanzialmente attivo che si ricava da una vittoria sportiva, o da uno spettacolo naturale, o da un amore in carne ed ossa. Ma di qui, da questi giochetti frigidi alle spese del dolore, che cosa si può spremere se non un piacere in scatola, fine a se stesso, solipsistico, da solitari? Insomma, mi sembrano una diserzione: non mi sembrano morali. _ Forse ha ragione, _ disse Simpson dopo un breve silenzio: _ ma la penserà ancora così quando avrà settant' anni? o ottanta? E la può pensare come lei quello che è paralitico, quello che è legato a un letto, quello che non vive che per morire? Simpson mi illustrò poi brevemente i nastri cosiddetti "del super-io", a fascia blu (salvataggi, sacrifici, esperienze registrate su pittori, musici e poeti nel pieno del loro sforzo creativo), e i nastri a fascia gialla, che riproducono esperienze mistiche e religiose di varie confessioni: a proposito di questi, mi accennò che già alcuni missionari ne avevano fatta richiesta per fornire ai propri catecumeni un campione della loro futura vita di convertiti. Quanto ai nastri della settima serie, con la fascia nera, essi sono difficilmente catalogabili. La casa li raccoglie tutti quanti, alla rinfusa, sotto la denominazione "effetti speciali": in buona parte si tratta di registrazioni sperimentali, ai limiti di quanto è possibile oggi, per stabilire quanto sarà possibile domani. Alcuni, come Simpson mi aveva accennato prima, sono nastri sintetici: cioè, non registrati dal vivo, ma costruiti con tecniche speciali, immagine per immagine, onda per onda, come si costruiscono la musica sintetica e i disegni animati. In questo modo si sono ottenute sensazioni mai esistite né concepite prima: Simpson mi raccontò anche che in uno degli studi NATCA un gruppo di tecnici sta lavorando a comporre su nastro un episodio della vita di Socrate visto da Fedone. _ Non tutti i nastri neri, _ mi disse Simpson, _ contengono esperienze gradevoli: alcuni sono destinati esclusivamente a scopi scientifici. Vi sono ad esempio registrazioni eseguite su neonati, su nevrotici, su psicopatici, su geni, su idioti, perfino su animali. _ Su animali? _ ripetei sbalordito. _ Sì, su animali superiori, dal sistema nervoso affine al nostro. Esistono nastri di cani: "grow a tail!" dice entusiasticamente il catalogo, "fatevi crescere una coda!"; nastri di gatti, di scimmie, di cavalli, di elefanti. Io di nastri neri, per ora, ne ho uno solo, ma glielo raccomando per concludere la serata. Il sole si rifletteva abbagliante sui ghiacciai: non c' era una nuvola. Stavo planando, sospeso sulle ali (o sulle braccia?), e sotto di me si svolgeva lentamente una valle alpina. Il fondo era a duemila metri almeno più basso di me, ma distinguevo ogni sasso, ogni filo d' erba, ogni increspatura dell' acqua del torrente, perché i miei occhi possedevano una straordinaria acutezza. Anche il campo visivo era maggiore del consueto: abbracciava due buoni terzi dell' orizzonte e comprendeva il punto a picco sotto di me, mentre invece era limitato verso l' alto da un' ombra nera; inoltre, non vedevo il mio naso, anzi, alcun naso. Vedevo, udivo il fruscio del vento e lo scroscio lontano del torrente, sentivo la mutevole pressione dell' aria contro le ali e la coda, ma dietro questo mosaico di sensazioni la mia mente era in una condizione di torpore, di paralisi. Percepivo soltanto una tensione, uno stimolo simile a quello che solitamente si prova dietro allo sterno, quando si ricorda che "si deve fare una cosa" e si è dimenticato quale: dovevo "fare una cosa", compiere un' azione, e non sapevo quale, ma sapevo che la dovevo compiere in una certa direzione, portarla a termine in un certo luogo che era stampato nella mia mente con perfetta chiarezza: una costa dentata alla mia destra, alla base del primo picco una macchia bruna dove finiva il nevaio, una macchia che adesso era nascosta nell' ombra; un luogo come milioni di altri, ma là era il mio nido, la mia femmina e il mio piccolo. Virai sopravvento, mi abbassai sopra un lungo crestone e lo percorsi raso terra da sud verso nord: adesso la mia grande ombra mi precedeva, falciando a tutta velocità i gradoni d' erba e di terra, le schegge e i nevati. Una marmotta-sentinella fischiò due, tre, quattro volte, prima che io la potessi vedere; nello stesso istante scorsi fremere sotto di me alcuni steli di avena selvaggia: una lepre, ancora in pelliccia invernale, divallava a balzi disperati verso la tana. Raccolsi le ali al corpo e caddi su lei come un sasso: era a meno di un metro dal rifugio quando le fui sopra, spalancai le ali per frenare la caduta e trassi fuori gli artigli. La ghermii in pieno volo, e ripresi quota solo sfruttando lo slancio, senza battere le ali. Quando l' impeto si fu esaurito uccisi la lepre con due colpi di becco: adesso sapevo cosa era il "da farsi", il senso di tensione era cessato, e drizzai il volo verso il nido. Poiché si era fatto ormai tardi, presi congedo da Simpson e lo ringraziai per la dimostrazione, soprattutto per l' ultimo nastro, che mi aveva soddisfatto profondamente. Simpson si scusò ancora per l' incidente: _ Certo bisogna stare attenti, un errore può avere conseguenze impensate. Volevo ancora raccontarle quello che è successo a Chris Webster, uno degli addetti al progetto Torec, col primo nastro industriale che erano riusciti a incidere: si trattava di un lancio col paracadute. Quando volle controllare la registrazione, Webster si trovò a terra, un po' ammaccato, col paracadute floscio accanto. A un tratto il telo si sollevò dal suolo, si gonfiò come se soffiasse un forte vento dal basso verso l' alto, e Webster si sentì strappato da terra e trascinato lentamente all' insù, mentre il dolore delle ammaccature spariva di colpo. Salì tranquillamente per un paio di minuti, poi i tiranti diedero uno strappo e la salita accelerò vertiginosamente, tagliandogli il fiato: nello stesso istante il paracadute si chiuse come un ombrello, si ripiegò più volte per il lungo, e di scatto si appallottolò e gli aderì alle spalle. Mentre saliva come un razzo vide l' aereo portarglisi sopra volando all' indietro, con il portello aperto: Webster vi penetrò a capofitto, e si ritrovò nella carlinga tutto pieno di spavento per il lancio imminente. Ha capito, non è vero? Aveva infilato nel Torec il nastro a rovescio. Simpson mi estorse affettuosamente la promessa di tornare a trovarlo a novembre, quando la sua raccolta di nastri sarebbe stata completa, e ci lasciammo a notte alta. Povero Simpson! Temo che per lui sia finita. Dopo tanti anni di fedele servizio per la NATCA, l' ultima macchina NATCA lo ha sconfitto, proprio quella che gli avrebbe dovuto assicurare una vecchiaia varia e serena. Ha combattuto col Torec come Giacobbe con l' angelo, ma la battaglia era perduta in partenza. Gli ha sacrificato tutto: le api, il lavoro, il sonno, la moglie, i libri. Il Torec non dà assuefazione, purtroppo: ogni nastro può essere fruito infinite volte, ed ogni volta la memoria genuina si spegne, e si accende la memoria d' accatto che è incisa sul nastro stesso. Perciò Simpson non prova noia durante la fruizione, ma è oppresso da una noia vasta come il mare, pesante come il mondo, quando il nastro finisce: allora non gli resta che infilarne un altro. È passato dalle due ore quotidiane che si era prefisso, a cinque, poi a dieci, adesso a diciotto o venti: senza Torec sarebbe perduto, col Torec è perduto ugualmente. In sei mesi è invecchiato di vent' anni, è l' ombra di se stesso. Fra un nastro e l' altro, rilegge l' Ecclesiaste: è il solo libro che ancora gli dice qualcosa. Nell' Ecclesiaste, mi ha detto, ritrova se stesso e la sua condizione: "... tutti i fiumi corrono al mare, e il mare non s' empie: l' occhio non si sazia mai di vedere, e l' orecchio non si riempie di udire. Quello che è stato sarà, e quello che si farà è già stato fatto, e non vi è nulla di nuovo sotto il sole"; ed ancora: "... dove è molta sapienza, è molta molestia, e chi accresce la scienza accresce il dolore". Nei rari giorni in cui è in pace con se stesso, Simpson si sente vicino al re vecchio e giusto, sazio di sapienza e di giorni, che aveva avuto settecento mogli e ricchezze infinite e l' amicizia della regina nera, che aveva adorato il Dio vero e gli dèi falsi Astarotte e Milcom, e aveva dato veste di canto alla sua saggezza. Ma la saggezza di Salomone era stata acquistata con dolore, in una lunga vita piena d' opere e di colpe; quella di Simpson è frutto di un complicato circuito elettronico e di nastri a otto piste, e lui lo sa e se ne vergogna, e per sfuggire alla vergogna si rituffa nel Torec. S' avvia verso la morte, lo sa e non la teme: l' ha già sperimentata sei volte, in sei versioni diverse, registrate su sei dei nastri dalla fascia nera.

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