II contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36; c) da persona minore di età; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.
La produzione del testamento olografo non in originale ma in copia giustificherebbe, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la presunzione che il "de cuius" lo abbia revocato distruggendolo deliberatamente, presunzione che potrebbe vincersi mediante la prova dell'esistenza della scheda al tempo dell'aperta successione. Siffatta presunzione non appare giustificata se solo si considera il rapporto tra documento e dichiarazione, e tra dichiarazione e documentazione. Ai fini dell'esistenza del negozio è, infatti, sufficiente e necessaria la formazione del documento (documentazione), là dove il risultato della documentazione (documento) è piuttosto funzionale alla prova del negozio. Se il testatore fotocopia la scheda testamentaria oppure ne redige una copia in carta carbone, nemmeno può sostenersi che egli con ciò abbia inteso revocare soggettivamente le disposizioni di ultima volontà, giacché tra le due determinazioni volitive (il testamento e la produzione della copia) non si ravvisa alcuna incompatibilità materiale. Non si avrà, dunque, revoca e la successione non sarà regolata dalla legge ma dalla copia del testamento, che non può che essere oggettivamente compatibile con il contenuto del negozio "mortis causa".
Nell'esperimento del ricorso per annullamento, infatti, non assume rilievo l'accertamento di gravi indizi di un reato di corruzione laddove questo non abbia ingenerato un vizio di legittimità negli atti impugnati. A ciò consegue l'impossibilità di annullare l'aggiudicazione dell'appalto pubblico anche nel caso in cui il reato di corruzione abbia alterato il corretto svolgimento della gara violandone i principi di trasparenza e concorrenza. Ai fini del contrasto alla corruzione anche gli strumenti pattizi dei protocolli di legalità sembrano essere inefficaci: la sentenza, infatti, non solo mette in dubbio che essi possano consentire l'esclusione di partecipanti alla gara in caso di comportamenti scorretti ma afferma anche che l'obbligo di denuncia di reati di corruzione in essi previsto non possa valere qualora gli stessi concorrenti siano stati autori degli eventi corruttivi, in ragione del principio "nemo tenetur se detegere". Infine, il nuovo istituto del "commissariamento" dell'impresa aggiudicataria in caso di corruzione soddisfa gli interessi del celere proseguimento dei lavori pubblici e dell'estromissione dei soggetti criminali dal rapporto contrattuale ma pregiudica i diritti dei terzi a subentrare nell'aggiudicazione.
L'A. ritiene che in definitiva la dottrina abbia influenzato la giurisprudenza italiana nel rifiutare le novità legislative introdotte dal Codice civile, e abbia quindi riportato il sistema italiano nell'alveo del modello francese.
Il saggio illustra sinteticamente il modo in cui il dibattito dottrinale abbia influenzato lo sviluppo della giurisprudenza in materia di danno non patrimoniale, con un particolare riguardo alla prospettiva delle funzioni della responsabilità civile.
", il legislatore abbia o meno inciso, dal punto di vista contenutistico, sul significato dell'incriminazione.
L'articolo pone in luce come la sent. n. 49/2015 della Corte costituzionale, negando la sussistenza di una riserva di giurisdizione penale per l'irrogazione di sanzioni rientranti nell'ambito applicativo dell'art. 7 CEDU, abbia voluto intendere la nozione europea di materia penale in un senso compatibile con il potere discrezionale del legislatore interno nella scelta degli strumenti sanzionatori, riconoscendo l'autonomia strutturale dell'illecito amministrativo-punitivo rispetto all'illecito penale e riaffermando il principio costituzionale di "extrema ratio".
L'A. si occupa della questione se e in che misura il comma 2 del nuovo art. 12-bis del d.lg. n. 74 del 2000 abbia cambiato le caratteristiche della confisca tributaria e del relativo sequestro preventivo.
In particolare, la Corte europea afferma esplicitamente l'insufficienza delle altre (pur solide) garanzie procedurali laddove l'autorità procedente non abbia disposto anche d'ufficio l'anticipata attuazione nella fase investigativa preliminare del diritto al confronto con il teste presumibilmente non esaminabile in dibattimento.
La giurisprudenza formatasi su tale norma ha, condivisibilmente, escluso che colui che abbia istigato un terzo ad emettere fatture false e poi, per qualsiasi motivo, non se ne avvalga possa essere chiamato a rispondere del delitto di quello a titolo di concorrente, ostandovi la "ratio" della riforma fondata sulla irrilevanza delle condotte prodromiche. Più controversa si è rivelata la soluzione nel caso in cui lo stesso soggetto abbia emesso e poi utilizzato le fatture false: la giurisprudenza fino ad oggi maggioritaria, escluso il richiamo all'art. 9, ha supportato la soluzione della doppia punibilità del medesimo autore delle due condotte delittuose. L'evidente rischio che tale approccio comporti una violazione del "ne bis in idem" sostanziale fa dunque salutare con favore l'orientamento più recente della Cassazione, la quale valorizza l'unitarietà del disegno del soggetto agente, finalizzata ad esporre costi fittizi in dichiarazione, con applicazione della sola fattispecie di cui all'art. 2 (dichiarazione fraudolenta).
Alla luce di una recente sentenza della Corte d'Appello di Brescia, l'A. fa il punto sulla questione relativa all'applicazione dell'art. 72 quater L. fall. in materia di "leasing", mettendo in luce il contrasto tra chi ritiene che questa norma valga solo nel caso in cui il contratto si sia sciolto successivamente al fallimento e chi invece sostiene che la stessa norma abbia ormai eliminato la precedente distinzione tra "leasing" di godimento e "leasing" traslativo.
Il commento delinea, esprimendo qualche perplessità al riguardo, come la sentenza abbia ritenuto di inquadrare la anomala nullità dei contratti di locazione non debitamente registrati in termini di insanabilità. Successivamente ci si sofferma su come i problemi di disciplina posti dalla fattispecie in esame siano stati risolti dal giudicante facendo riferimento ad alcuni tipici meccanismi di recupero alla giuridicità dei rapporti di fatto.
Le problematiche che si pongono all'attenzione dell'interprete spaziano dall'individuazione di una corretta nozione giuridica di tributo ambientale fino al suo inquadramento nel sistema di federalismo fiscale, passando per l'analisi di quale tipo di giustificazione abbia tale tipo di tributo in termini di capacità contributiva. Il caso del tributo provinciale ambientale (TEFA) può essere un utile riferimento per iniziare un percorso di studio ragionato sul ruolo della tassazione ambientale nell'ordinamento degli enti locali.
La pronuncia delle Sezioni Unite in commento, affrontando il caso di un avvocato stabilito con qualifica professionale acquisita in altro Stato membro dell'Unione europea, ripercorre i requisiti necessari per ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui all'art. 8 d.lg. n. 115/1992, sottolineando in particolare che la stessa non può essere ottenuta ove l'avvocato stabilito abbia esercitato la professione, seppur in buona fede, con il titolo di "avvocato" invece che con il titolo professionale di origine.
La sentenza n. 22/2013 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, ha ad oggetto la prova che il sostituito può fornire in ordine all'avvenuta effettuazione delle ritenute, allorché il sostituto non abbia trasmesso la relativa certificazione.
Dopo aver analizzato il profilo attinente all'invalidità della delibera che abbia approvato un bilancio viziato, l'A. si sofferma sulla legittimazione attiva e passiva nell'ambito dell'impugnazione del bilancio e sulla responsabilità degli organi sociali.
La ricerca esamina le argomentazioni che consentono di escludere che l'uso pattuito possa costituire termine implicito quando tale uso, sebbene specifico, abbia una durata indeterminata.
In particolare, ci si domanda se "Internet" abbia agevolato la diffusione e le potenzialità delle espressioni violente sino a creare non pochi problemi politici e giuridici o se, al contrario, le nuove tecniche di comunicazione abbiano facilitato il contrasto e la lotta all'odio circolante. Nell'articolo l'A. analizza sia i lati negativi sia i lati positivi del quadro tecnologico attuale suggerendo spunti di riflessione e idee per il contrasto del fenomeno.
Lo scritto che segue mostra come in rapporto ad esso la "translatio" abbia avuto nella giurisprudenza di legittimità più enunciazioni di principio che applicazioni effettive. Ove ammessa, essa assolve - questa la conclusione - una funzione affatto diversa da quella originaria, trasfigurandosi da strumento conservativo necessitato dall'art. 2943, comma 3, c.c., a mezzo d'attribuzione di una sorta di "ius poenitendi" nel caso d'impugnazione erronea.
I termini in cui tale tutela è regolata, nella loro essenzialità, non sono stati modificati dalla legislazione successiva al 1965 ancorché abbia esteso e migliorato quella tutela. Il sistema ha continuato ad essere fondato sul "principio del rischio professionale"; attribuire una rilevanza esclusiva e determinante alla possibilità del verificarsi del rischio finirebbe, però, per lasciare del tutto in ombra la situazione di bisogno in cui venga a trovarsi qualsiasi lavoratore che sia, comunque, rimasto vittima di un infortunio sul lavoro o abbia contratto una malattia a causa del lavoro. L'A. illustra le ragioni per le quali ritiene ancora attuale la tesi esposta fin dal convegno AIDLASS [Associazione Italiana di Diritto Del Lavoro e Della Sicurezza Sociale] del 1975, che postula l'estensione della tutela antinfortunistica a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla maggiore o minore pericolosità delle lavorazioni alle quali sono addetti, sottolineando, altresì, che tale estensione risulterebbe anche necessaria alla luce delle indicazioni risultanti dalla giurisprudenza costituzionale.
Larticolo illustra come è stata recentemente risolta da due recenti pronunce della Corte di Cassazione la questione concernente la data in cui può considerarsi perfezionata la notifica al contribuente di un atto, qualora lagente postale non abbia potuto materialmente consegnarlo al destinatario per la sua temporanea assenza.
Infatti, il TAR Lombardia, Milano, sez .III, 23 febbraio 2009, n. 1356 ha sostenuto che nell'accertamento dell'anomalia dell'offerta, deve essere appurato che l'impresa abbia mantenuto almeno un margine di utile.
Il contributo analizza la natura del vizio che inficia la sentenza deliberata e sottoscritta da un giudice diverso da quello che abbia recepito le conclusioni all'udienza all'uopo fissata (o da quello che abbia assistito alla discussione orale della causa). Escluso che la nullità in questione sia riconducibile al vizio di sottoscrizione e sia quindi incasellabile nell'art. 161, 2 comma, c.p.c., l'A. dà conto di un orientamento giurisprudenziale e dottrinale meno rigoroso secondo cui la violazione sarebbe causa di nullità per difetto di costituzione del giudice. Muovendo da un'interpretazione restrittiva della tipologia dei vizi enucleabili nell'art. 158 c.p.c., l'impossibilità di configurare un vizio di costituzione induce a ritenere che, a fronte di un legittimo provvedimento di sostituzione dell'organo giurisdizionale dopo che la causa sia stata trattenuta in decisione, solo la mancata rinnovazione dell'udienza di discussione rappresenti un'ipotesi di nullità idonea ad inficiare l'emananda sentenza (dal momento che soltanto allorché il processo si svolga secondo le modalità specificatamente indicate dall'art. 276 c.p.c. la rimessione della causa sul ruolo è funzionale al rispetto dei principi di oralità, immediatezza e concentrazione cui la disposizione si ispira). Nell'ipotesi in cui una discussione orale non abbia luogo la mancata regressione del procedimento non può che ritenersi, invece, improduttiva di conseguenze rispetto alla validità della sentenza, costituendo nulla più che una semplice irregolarità.
Questo spiega come l'equità abbia avuto una controversa collocazione all'interno dei sistemi positivi, sia la portata ridotta che essa assume oggi all'interno del diritto processuale. Invero, l'equità trova adeguato spazio anche alla luce dei principi costituzionali e diventa criterio di adeguamento della norma astratta al caso concreto.
La sentenza in commento, che si pone in continuità con l'orientamento più recente della giurisprudenza amministrativa, esclude l'applicabilità di qualsiasi "automatismo" nel diniego del permesso di soggiorno in tutti i casi in cui lo straniero abbia comprovati legami familiari sul territorio nazionale. L'Amministrazione sarà quindi tenuta a valutare in concreto la pericolosità del soggetto, anche qualora lo stesso abbia riportato una condanna per reati gravi.
[società per azioni], che consente ai soci di chiedere un breve rinvio dell'assemblea qualora dichiarino di non essere sufficientemente informati, pervenendo alla conclusione che tale regola non abbia motivo di estendersi alla s.r.l. Tale affermazione può essere condivisa, ma non pare possa valere in ogni caso ed in particolare con riferimento alle s.r.l. "start up" innovative aperte.
La possibilità di acquisire l'area occupata senza titolo dalla P.A. per motivi di interesse pubblico anche in presenza di una sentenza definitiva che ne abbia ordinato la restituzione costituisce uno dei problemi più spinosi che l'applicazione dell'art. 42 del t.u.e. [Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità] sta ponendo all'attenzione della giurisprudenza. Il caso deciso dalla sentenza in commento fa emergere i nodi problematici della questione che il giudice amministrativo non ha, tuttavia, voluto direttamente affrontare.
Affinché, tuttavia, essa possa escludere o diminuire l'imputabilità, è assolutamente necessario verificare se abbia effettivamente inciso, al momento della commissione del fatto e in relazione al fatto stesso, sulle capacità di intendere e/o di volere dell'autore della condotta antigiuridica, con la precisazione che, a tali fini, è sufficiente che risulti pregiudicata anche la sola capacità di volere del soggetto.
Nel prendere in esame l'innovativa pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione, con la quale la Suprema Corte arriva alla conclusione che la tradizionale distinzione fra garanzia "propria" e "impropria" sul piano processuale abbia solo carattere descrittivo, mentre sia del tutto irrilevante sul piano dell'applicazione delle disposizioni che il codice dedica alla disciplina della garanzia processuale, l'A. si sofferma sulle ricadute sistematiche di tale pronuncia e su alcune sue criticità.
La nota rileva come la giurisprudenza abbia individuato una nozione di clausola complessivamente abusiva che rileva in presenza di effetti vessatori prodotti dall'insieme dei patti contenuti in una clausola. Tale indicazione può giustificarsi sulla base dell'art. 34 c. cons. [codice del consumo].
Nello scritto viene sottolineato come l'annotata pronuncia abbia disatteso l'orientamento accolto dalle due precedenti decisioni, a Sezioni Unite, in c. Serio e in c. Lucchetta, e, in base ad un'interpretazione strettamente letterale, abbia ritenuto che il mancato rinvio da parte del 3 comma dell'art. 325 c.p.p. al 5 comma dell'art. 311 c.p.p. impedisca l'operatività del rito camerale "partecipato" di cui all'art. 127 c.p.p.
L'A. analizza criticamente l'orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di inopponibilità del diritto di abitazione al terzo che, successivamente all'emissione o trascrizione del provvedimento di assegnazione, abbia acquistato la residenza adibita a casa familiare nel contesto di una procedura esecutiva. Le argomentazioni sostenute dalla Corte si pongono in contrasto con i principi cristallizzati dalla giurisprudenza e dottrina in materia di opponibilità del diritto di abitazione, realizzando una disparità di trattamento rispetto alla posizione di chi, quella residenza, l'abbia acquistata fuori dalle mura del tribunale (nel qual caso il provvedimento di assegnazione risulterebbe, come sappiamo, sempre opponibile). Tali premesse, unitamente alla scarsa attenzione mostrata dalla letteratura scientifica alle tematiche trattate, inducono, pertanto, ad una doverosa riflessione.
Dopo aver analizzato le varie tesi sostenute in dottrina, l'A. studia l'impatto dell'ordinamento europeo sul tema, verificando come la visione della concorrenza di cui quest'ultimo si è fatto portatore abbia permeato l'ordinamento italiano, specialmente tramite la L. n. 287 del 1990, e come ciò abbia orientato l'interpretazione della disposizione costituzionale. Vengono poi analizzate le implicazioni della riforma costituzionale del 2001 e dell'introduzione della materia della tutela della concorrenza fra quelle di competenza statale, spiegando come l'interpretazione dell'art. 117, comma 2, abbia inciso anche su quella dell'art. 41 Cost. e valutando criticamente gli effetti di tale evoluzione interpretativa.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 20964/2015, ha stabilito che il produttore di beni destinati alla GDO [grande distribuzione organizzata] che abbia concesso ai consumatori finali sconti di prezzo (mediante buoni sconto o buoni rimborso), senza aver tenuto conto nella determinazione della base imponibile IVA, e quindi dell'imposta dovuta, degli sconti medesimi, è legittimato a chiederne il rimborso. L'esigenza di salvaguardare il principio di neutralità dell'IVA conduce la Corte a suggerire l'applicazione della procedura di variazione secondo modalità operative conformi alla norma unionale e agli approdi della Corte di Giustizia.
Occorre accertare se l'attività abbia avuto o meno natura commerciale.
L'analisi del decreto pronunciato dal tribunale emiliano offre all'A. lo spunto per delineare la figura ed il regime giuridico del ereditare "contestato" nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, offrendo una lettura sistematica e di settore al divieto di iniziare o proseguire procedure esecutive prima della definitività del decreto di omologazione nel caso in cui il ereditare abbia ottenuto un provvedimento esecutivo, ma non ancora definitivo.
., la nozione che la consolidata giurisprudenza della Cassazione ha accolto del requisito della "absentia domini", secondo una direttrice condivisa dalla prevalente dottrina, è quella per cui, a tal fine, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell'interessato alla gestione dei propri affari ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l'anzidetto requisito là dove il "dominus" non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari.
Il presente contributo, quindi, propone un'analisi della normativa sovranazionale diretta a valutare se il legislatore eurounitario abbia tenuto in debito conto il diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto e se abbia fornito indicazioni utili per la ripartizione sanzionatoria tra tutela penale e tutela amministrativa. In quest'ottica - orientata al rispetto dei diritti fondamentali - vengono prospettate le possibili opzioni sistematiche che, di fatto, si propongono alternativamente al nostro legislatore per adempiere ai nuovi vincoli punitivi.
Plen. n. 3/2015 (esclusione negli appalti pubblici di lavori del concorrente reo di non avere indicato in sede di offerta gli oneri della sicurezza interna) non trovi applicazione laddove la Stazione Appaltante oltre a non richiedere questi ultimi nella legge di gara, abbia imposto all'operatore economico l'utilizzo di un modello di offerta economica privo della voce in questione.
Ove la persona, seppure molto anziana, abbia si difficoltà di movimento, ma anche piena consapevolezza degli atti da compiere, e si riveli assistita da famigliari, persone amiche, servizio sociale, non giova l'attivazione, nei suoi confronti, dell'amministrazione di sostegno. Opportuno, invero, è il conferimento, a persona di sua fiducia, di procura generale.
Tale esclusione si configura qualora sussistano elementi estranei o non attinenti all'attività lavorativa e, in quanto tali, siano ascrivibili ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale abbia consapevolmente creato una situazione differente da quella relativa alla propria attività ed affatto connessa ad essa.
Alla luce di tale finalità, sembra inevitabile ritenere che il profitto, sottoponibile a confisca per equivalente, possa concentrarsi sull'intero patrimonio dell'autore del fatto, indipendentemente dalla dimostrazione che esso (o parte di esso) abbia origine lecita: con tale misura, infatti, il reo viene privato del beneficio economico connesso al reato tributario e consistente nell'indebito risparmio della corrispettiva spesa. In ogni caso, l'ablazione definitiva di un bene non può essere superiore al vantaggio economico in concreto conseguito dall'azione delittuosa. Ne deriva che la confisca dovrà essere ridotta ed eventualmente revocata in proporzione alle somme che il contribuente abbia fatto pervenire all'Erario in adempimento del debito tributario.
Sull'esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 c.c. nei confronti della madre che abbia partorito nell'anonimato
Il commento delinea come, alla luce del mutato quadro sistematico delle patologie negoziali, in cui assume un valore sempre più centrale il profilo funzionale, la decisione abbia ritenuto di scindere la nullità delle locazioni amorfe in due fattispecie, caratterizzate l'una dalla legittimazione assoluta e l'altra dalia legittimazione relativa. Si evidenzia, però, come l'addentellato normativo su cui si reggeva tale operazioni interpretativa sia già caduto per effetto di un successivo intervento del legislatore.
La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 2194/2016 appare condivisibile, in quanto accoglie un'interpretazione idonea a contemperare la salvaguardia, in pendenza del giudizio, del credito erariale, in materia di diretto interesse dell'Unione Europea, con l'esigenza, imposta da primari principi costituzionali e comunitari, di sospendere la riscossione provvisoria di detto credito dopo che una pronuncia giurisdizionale, ancorché non definitiva, ne abbia accertato l'insussistenza.
., ove, in virtù dell'operatività di una presunzione giurisprudenziale, perdura, in capo all'attore, il gravoso onere di provare l'assoluta impossibilità che il soggetto che abbia inizialmente compiuto il riconoscimento, sia, in realtà, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte torna ad occuparsi del delicato tema riguardante il rapporto tra, da un lato, la forma che il pignoramento deve assumere qualora abbia ad oggetto un credito incorporato in titoli cambiari e, dall'altro, i rimedi esperibili (nel caso di errore di scelta del creditore procedente) "debitor debitoris" soffermandosi in particolare sulla qualificazione dell'interesse all'opposizione di quest'ultimo nonché sulla "sede processuale" in cui esso può legittimamente esser fatto valere.
., la pronuncia in commento ribadisce l'orientamento giurisprudenziale che non riconosce il diritto alla restituzione nel temine all'imputato che abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento, il che presuppone la consapevolezza della sua esistenza, collegata alla comunicazione di un atto formale o allo svolgimento di un'attività procedimentale.
Secondo la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia n. 514/2015, in materia di tributi doganali, la sanzione amministrativa conseguente all'accertamento di un maggior dazio non può essere riscossa se non dopo il passaggio in giudicato della sentenza che abbia accertato la sussistenza dell'illecito concernente la debenza o meno del tributo. Si dissente da tale affermazione di principio perché contraddetta da un dato normativo inequivoco, nel senso di legittimare la riscossione frazionata della sanzione, secondo quanto disposto dall'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992.
Il trustee è l'unico soggetto legittimato a far valere i diritti inclusi nel fondo in trust (fattispecie nella quale era stato istituito un trust nell'ambito di un prestito obbligazionario ed era stata prevista una "no action clause", secondo la quale il trustee era l'unico legittimato ad esperire le azioni spettanti agli obbligazionisti nei confronti della società emittente e della società garante l'emissione del medesimo prestito obbligazionario, a meno di protratte omissioni dello stesso trustee, non ravvisabili laddove questi abbia puntualmente proposto istanza di insinuazione al passivo della suddetta società garante).