La sostituzione di cui al comma 1 non è in ogni caso consentita: a) quando la violazione abbia avuto un contributo causale nel verificarsi di un infortunio sul lavoro; b) quando il fatto è stato commesso da soggetto che abbia già riportato condanna definitiva per la violazione di norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ovvero per i reati di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, limitatamente all'ipotesi di violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, prende misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza.
Il disarmo delle armature provvisorie di cui al comma 2 dell'articolo 142 deve essere effettuato con cautela dai lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste sotto la diretta sorveglianza del capo cantiere e sempre dopo che il direttore dei lavori ne abbia data l'autorizzazione.
Nell'ipotesi prevista al comma 1, il reato si estingue decorsi tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza senza che l'imputato abbia commesso ulteriori reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ovvero quelli di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, limitatamente all'ipotesi di violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In questo caso si estingue ogni effetto penale della condanna.
In caso di esercizio dell'azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne dà immediata notizia all'INAIL ed all'IPSEMA, in relazione alle rispettive competenze, ai fini dell'eventuale costituzione di parte civile e dell'azione di regresso.
L'A. esamina criticamente la recente sentenza n. 306 del 2007 della Corte costituzionale, che ha respinto l'eccezione d'incostituzionalità dell'art. 648 c.p.c. nella parte in cui non prevede la reclamabilità dell'ordinanza con cui il giudice istruttore abbia provveduto sull'istanza di provvisoria esecuzione del decreto opposto, sottolineando l'insufficienza della motivazione e l'omissione di ogni esame delle argomentazioni a sostegno della tesi opposta, formulate in dottrina.
.; se poi l'omissione abbia cagionato pregiudizio alla difesa della controparte, perché le abbia impedito di prendere conoscenza di avversarie produzioni documentali (ciò che nella specie l'istituto di credito convenuto neppure aveva peraltro lamentato), questa sarà rimessa in termini ai sensi dell'art. 13, comma 5, d.lg. cit.
La pronuncia in commento evidenzia come la Corte costituzionale, discostandosi da un consolidato indirizzo della Cassazione, abbia abbandonato il criterio classico di ripartizione delle giurisdizioni, fondato sulla natura della situazione soggettiva sottoposta all'esame del giudice: non è infatti rinvenibile nel nostro ordinamento alcun principio o norma che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti.
Le Sezioni Unite affrontano la questione, oggetto di orientamenti diversi in dottrina e giurisprudenza, circa la natura della responsabilità da parte della banca che abbia negoziato un assegno munito di clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata. La Cassazione ritiene che debba essere riconosciuta la natura contrattuale della responsabilità, svincolandosi però dall'argomento che vede la banca negoziatrice operante in veste di mandataria della banca sulla quale grava l'obbligazione cartolare di pagamento.
Nel disciplinare l'opposizione avverso il provvedimento con cui il Presidente della Corte d'appello abbia concesso o negato l'exequatur in Italia ad una pronuncia arbitrale straniera, l'art. 840 c.p.c. fa rinvio, in quanto applicabili, alle disposizioni dell'art. 645 ss. in materia di opposizione a decreto ingiuntivo. Il raccordo tra i due giudizi non è scevro di aspetti problematici, in ordine a taluno dei quali è parso necessario, all'A. del presente scritto, riaprire la discussione.
., osservando come la riforma del diritto societario non abbia risolto tutti i profili di dubbio, individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel vigore della vecchia normativa, ma anzi, per certi versi, ne abbia ampliato la portata.
In assenza di clausole statutarie o di espresse convenzioni contrattuali che attribuiscono all'acquirente il diritto a percepire i dividendi, il socio che abbia ceduto la propria quota o le proprie azioni in un momento successivo alla chiusura dell'esercizio sociale, ma precedente alla delibera di approvazione del bilancio, conserva il diritto al pagamento del dividendo relativo alla gestione nel corso della quale egli era titolare della partecipazione sociale.
Il commento illustra come la Cassazione - senza riesaminare nell'occasione l'orientamento favorevole all'equiparazione del credito virtuale di regresso del fideiussore, che non abbia ancora pagato il debito garantito, ai crediti soggetti a condizione, suscettibili di ammissione con riserva allo stato passivo - abbia affermato persuasivamente l'incondizionata possibilità di ammissione allo stato passivo del credito del fideiussore, il quale abbia soddisfatto il creditore del fallito dopo la data del fallimento. Nell'abbandonare così il precedente orientamento restrittivo, la Corte persevera però nel muovere da un'imposizione che presuppone, secondo l'A., un'interpretazione del principio della c.d. cristallizzazione del passivo fallimentare inconciliabile con l'art. 24 della Costituzione, in quanto irrispettosa dei diritti dei creditori sopravvenuti al fallimento.
Il presente scritto prende spunto da talune recenti pronunce giurisprudenziali che, discostandosi dall'orientamento dominante, non dichiarano improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza dell'interesse a ricorrere, qualora la ditta abbia impugnato un atto endoprocedimentale di evidenza pubblica ed abbia, poi, omesso di impugnare l'atto di aggiudicazione definitiva del contratto di appalto, sopravvenuto nelle more del giudizio, o lo abbia impugnato tardivamente. L'A., dopo avere, in particolare, rilevato che la giurisprudenza riconosce all'annullamento (giurisdizionale) del procedimento di evidenza pubblica l'idoneità a provocare la "caducazione automatica" del contratto di appalto, orientamento che pare, oggi, essere recepito dal codice degli appalti, si mostra favorevole alla estensibilità della regola della c.d. efficacia caducante dell'annullamento (giurisdizionale) anche all'ipotesi da cui lo scritto prende le mosse, evidenziandone, nel contempo, la conformità al principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e i limiti alla sua operatività.
Per il Tribunale di Padova il notificante può ricorrere all'affissione presso la casa comunale solo quando, innanzi alla sterilità delle risultanze anagrafiche, abbia provveduto a consultare il registro della Camera di commercio nel tentativo di individuare l'eventuale ufficio o azienda della persona fisica destinataria. La pronuncia potrà essere apprezzata per il metodo interpretativo suggerito, legato al sistema e ai principi delle norme sul procedimento di notifica, oltre che per le rilevanti implicazioni pratiche.
Qualsiasi trasformazione che il danaro illecitamente conseguito subisca, per effetto di investimento dello stesso, deve essere considerata profitto del reato quando sia collegabile causalmente al reato stesso ed al profitto immediato conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto.
La lettura di dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari è consentita nell'ipotesi di irreperibilità sopravvenuta ed imprevedibile del teste a condizione che lo stesso non abbia volontariamente inteso sottrarsi al contraddittorio. Questo è il principio sancito dalla suprema Corte nella pronuncia in commento. L'A. ritiene condivisibile l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, evidenziando come ai fini di un'interpretazione garantista dell'art. 512 c.p.p., il diritto a confrontarsi con il proprio accusatore debba al tempo stesso essere contemperato con l'altrettanto meritevole principio di non dispersione dei mezzi probatori.
La responsabilità persiste anche qualora la banca non abbia domandato l'annullamento del negozio per dolo.
L'incendio di alcuni automezzi ricoverati presso un'area di sosta, messa a disposizione dal titolare di un'officina per rendere più agevole la loro manutenzione, dà origine ad una controversia che impegna su due fronti: la qualificazione dell'operazione economica intercorsa tra le parti; la possibilità di configurare un obbligo di custodia a carico del manutentore, benché egli non abbia i beni nella sua esclusiva sfera di disponibilità e di controllo.
La gravità dell'inadempimento, consistente nella illecita cessione del contratto, può essere esclusa dalla condotta stragiudiziale del locatore che abbia manifestato la preferenza per la prosecuzione del rapporto, sua pure a condizioni più vantaggiose, piuttosto che per la risoluzione. L'eterointegrazione della durata della locazione ad uso commerciale, una volta assicurati sia il ciclo iniziale esennale sia la reiterazione dello stesso in difetto di rituale diniego di rinnovo, non esclude l'operatività, alla secondo scadenza esennale, della originaria clausola pattizia con la quale era vietata la rinnovazione tacita del contratto.
Prende corpo un rapporto di equiordinazione, pari dignità e collaborazione e il contribuente è sempre meno considerato in una posizione di soggezione all'autorità o al potere dell'Ente impositore, tenuto al risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi e, a fortiori, di diritto soggettivo, anche a carattere non patrimoniale, anche qualora abbia assunto comportamenti legittimi alla stregua di un criterio giuridico - formale.
La Corte di cassazione, nel richiamare un consolidato orientamento, ha ribadito che il giudizio relativo alla legittimità del licenziamento irrogato a seguito di una pluralità di episodi disciplinari, deve stabilire , attraverso una valutazione complessiva dei medesimi episodi, se la condotta del lavoratore, globalmente considerata, abbia determinato il venir meno del vincolo fiduciario su cui si innesta il rapporto di lavoro.
., l'imprenditore commerciale che abbia dimostrato di aver fatto ricorso al credito bancario per il periodo immediatamente successivo alla mora non deve dare la prova ulteriore, che tale ricorso è conseguenza dell'inadempimento, dovendosi tale nesso causale ritenere provato in base ad una presunzione semplice.
Dopo una vacatio di alcuni anni, è entrata in vigore la riforma dei giudizi dichiarativi dello stato di adottabilità senza però che il legislatore abbia avuto cura di regolare istituti, quali la difesa d'ufficio nei giudizi civili minorili, che paiono essenziali per un fruttuoso avvio della nuova disciplina. In questo scritto l'A. delinea le principali novità introdotte dalla riforma che va comunque salutata con favore per aver dato alle parti del giudizio poteri processuali coerenti con l'attuazione dei principi del giusto processo nell'ambito di un procedimento contenzioso.
Nel ripercorrere le linee argomentative della pronuncia in esame, l'A. scandaglia le concrete difficoltà sottese alla valorizzazione della innovativa prospettiva esegetica in materia di interesse ad impugnare l'ordinanza cautelare che, medio tempore, sia stata revocata o abbia perso efficacia, imposta dal novum normativo di cui al comma 1-bis dell'art. 405 c.p.p..
In caso di procreazione medicalmente assistita può lecitamente procedersi a diagnosi preimpianto sempre che sia stata richiesta dai soggetti indicati dalla l. 40/2004, art. 14, allo scopo di fornire agli stessi una adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare, che abbia ad oggetto gli embrioni destinati all'impianto nel grembo materno, che infine sia strumentale all'accertamento di eventuali malattie dell'embrione.
Due le affermazioni salienti della pronuncia in rassegna: a) spetta la produttore l'onere di provare i fatti che possono escludere la sua responsabilità, come ad es. la dimostrazione che il difetto non fosse originario; b) la risarcibilità del danno è esclusa solamente quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che poteva derivare dal suo utilizzo, non, invece, ove abbia avuto mera cognizione della probabilità di rischio connesso all'utilizzazione del prodotto.
La class action, infatti, permette a più individui, accomunati nel danno, di intraprendere un'unica causa di risarcimento e di estenderne i benefici a chiunque abbia subito lo stesso danno.
Dovrà accertarsi primariamente il tenore di vita tenuto in costanza di convivenza; successivamente verificare se il coniuge istante abbia redditi sufficienti per mantenerlo, tenuto conto anche dell'incidenza patrimoniale dell'affidamento dei figli. L'assegno potrà essere riconosciuto ove il raffronto dello stato reddituale dei coniugi esprima una differenza che lo giustifichi.
., dal promissario acquirente (per l'adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento contrattuale) nei confronti del promittente venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato il preliminare senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del relativo giudizio, con la conseguenza che, qualora non sia stato integrato il contraddittorio nei suoi confronti, il processo risulta affetto ab imo da nullità e deve essere nuovamente celebrato a contraddittorio integro.
. , chiedendosi se la previsione del codice di rito abbia previsto il risarcimento di danni punitivi, contemplati in altri ordinamenti.
L'A. commentando la sentenza resa dal Tribunale di primo grado nel caso Microsoft, analizza la giurisprudenza comunitaria relativa allo scrutinio antitrust del rifiuto di licenze e rileva come il Tribunale abbia fornito un criterio utile per risolvere la questione della liceità o meno del rifiuto quando questo impedisca l'emergere sul mercato di prodotti tecnologicamente differenti, ma merceologicamente identici a quelli offerti dal titolare del diritto.
Il legislatore appare peraltro consapevole di una inadeguatezza di modifiche così articolate che vanno a toccare punti diversi della disciplina, e sembra voler rimediare affidando a successivi regolamenti una ridefinizione complessiva di alcuni istituti che abbia l'ambizione di porsi come normativa di carattere generale.
Appare pertanto corretto stabilire che la cartella di pagamento susseguente ad avviso di accertamento abbia una motivazione minimale, essendo stata già in precedenza espressa la pretesa impositiva; ma rimane l'esigenza che anche tale tipo di cartella, ancorché emanata secondo procedure telematiche, contenga riferimenti essenziali e una sommaria indicazione dei criteri di liquidazione delle somme dovute.
La sensazione, comunque, è che, per decollare veramente, il regime abbia bisogno di ulteriori semplificazioni, così come occorrerebbe elevare i "tetti" dei 30.000 euro dei ricavi e dei 15.000 euro dei beni strumentali.
Il fatto che il contribuente (nel caso di specie, l'amministratore di una società) abbia operato secondo schemi diversi da quelli reputati "normali" (nella fattispecie, trattatasi di attività non esercitata a titolo oneroso) mostra, a tutto concedere, che quel contribuente è un "deviante", un "anormale", non che abbia incassato somme "al nero". Le presunzioni incentrate sulla "normalità economica" soffrono del limite strutturale consistente nella loro incapacità di adattarsi, se non opportunamente calibrate, alla situazione nella quale versa il singolo soggetto passivo del tributo.
Tale rimborso, peraltro, non si traduce necessariamente in un arricchimento del soggetto che lo ottiene, in quanto, ancorché quest'ultimo abbia già recuperato il tributo in via di rivalsa, resta ferma l'azione di ripetizione, nei suoi confronti, del committente-consumatore finale, che abbia pagato un'imposta non dovuta.
Sicché la domanda da porsi è sulle conseguenze che possono derivare, al soggetto minimo, in primo luogo, ma anche all'operatore che abbia da questi ricevuto beni o servizi "in franchigia", dall'accertamento, normalmente di effetto retroattivo, della incompatibilità del regime.
Nell'escludere il fornitore, che abbia agito in buona fede e abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, dalla partecipazione ad una frode IVA comunitaria, la Corte di giustizia UE valorizza un profilo soggettivo che non sembra, invece, esattamente al centro dell'attenzione dei giudici della Corte di cassazione. Il "viaggio", dunque, continua in compartimenti separati.
Per quanto attiene al notariato, non sembra che qualcuno abbia notato finora come autorevolissimi studiosi americani abbiano proposto di importare i notai negli USA. Noi lo abbiamo notato e ne parliamo.
La nota sentenza della Corte di giustizia del 3 ottobre 2006, che ha negato che l'irap abbia le caratteristiche di un'imposta sul valore aggiunto, collide con (e, in base al principio dello stare decisis, supera) la decisione della Corte costituzionale n. 156 del 2001, la quale aveva invece affermato che tale tributo era un'imposta sul valore aggiunto, rendendo necessaria una revisione, da parte della Consulta, dei postulati su cui essa aveva fondato tale decisione.
Nonostante la recidiva abbia rivelato la sua incapacità a conseguire obiettivi di prevenzione generale e speciale, essa continua a rappresentare nel sistema penale francese uno strumento centrale nella lotta alla criminalità. L'inasprimento della disciplina attuato dal Legislatore a partire dal 2005 e culminato con la legge n. 1198 del 10 agosto 2007, che introduce - tra l'altro - il sistema delle c.d. pene minime (peines plancher), se da un lato soddisfa le aspettative di difesa sociale, dall'altro pone non lievi problemi di compatibilità con i principi dell'ordinamento giuridico.
Le pronunce annotate segnano un significativo cambio di rotta nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, limitando l'applicabilità dell'istituto della confisca per equivalente a chi abbia effettivamente tratto utilità economica dal reato e nei limiti di essa. L'affermazione di principio, sicuramente condivisibile, rimane però sprovvista di un adeguato impianto motivazionale che dia conto delle ragioni di tale approdo.
Con la sentenza n. 129 del 2008, la Consulta si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui esclude la celebrazione di un nuovo processo qualora la Corte di Strasburgo abbia accertato al violazione del "droit a un proces equitable". I giudici costituzionali, pur dichiarando infondata la questione, hanno tuttavia auspicato vivamente un intervento del legislatore. Si apre, a questo punto, una riflessione sulle ragioni di tale pronuncia e sulle prospettive di riforma.
L'argomento centrale è che, sebbene la riforma del 2005 abbia significativamente accresciuto gli spazi di libertà individuale del lavoratore, il sistema si caratterizza tuttora, nel suo complesso, per una forte preferenza in favore delle forme di previdenza complementare istituite dalla contrattazione collettiva.
Si potrebbe rispondere in maniera positiva, volendo però seguire una parte della giurisprudenza più recente, perché altra, altrettanto recente, parrebbe affermare il contrario, ovvero che sia possibile solo se l'impresa non abbia applicato sanzioni conservative nei confronti di altri dipendenti che abbiano tenuto lo stesso comportamento.
Nel commento alla decisione in esame si pone in evidenza come la Corte Costituzionale abbia demandato alla discrezionalità del magistrato del lavoro l'utilizzo dell'art. 420 bis c.p.c., in ordine all'interpretazione di una clausola contrattuale dimostratasi immediatamente sconosciuta.
L'A. commenta la pronuncia della Corte di Cassazione riguardante i diritti del mediatore a percepire il compenso per l'attività di mediazione svolta pur non essendo iscritto all'albo previsto per legge, evidenziando il merito della sentenza nell'aver precisato che chi abbia svolto attività di intermediazione è tenuto a restituire l'acconto percepito quando ancora non possedeva la qualifica di mediatore professionale per mancanza di iscrizione nell'apposito albo.
Per la Cassazione, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario; in questi casi, ai fini dell'estensione della garanzia dall'evizione al promittente venditore, è necessario che costui, qualora non sia intervenuto nel relativo contratto, abbia svolto un'attività diretta alla conclusione del contratto. Il principio di diritto appare però suscettibile di critiche di fondo. Innanzi tutto, non sembrerebbe potersi dare una responsabilità alternativo/solidale del proprietario e del promittente venditore, perché tra il compratore ed il terzo effettivo proprietario non v'è alcun rapporto diretto. Inoltre, la lettura della Corte sembra lasciare scoperto l'acquirente in tutti quei casi in cui il promittente venditore non sia intervenuto nel contratto definitivo, o non sia dimostrabile che abbia svolto un'attività diretta alla conclusione del contratto tra il proprietario del bene e l'effettivo acquirente.
Sia l'autorità giudiziaria sia quella arbitrale giungono alla conclusione che il procedimento arbitrale irrituale abbia natura processuale e non contrattuale. Con ampiezza di argomentazioni, l'ordinanza arbitrale veneziana illustra le ragioni per cui l'affermazione della natura contrattuale del procedimento arbitrale irrituale porterebbe a risultati non soddisfacenti in termini di tutela delle parti coinvolte.