Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le due vie

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Brandi, Cesare 20 occorrenze

Non si tratta infatti di appurare se veramente l’economia abbia in ogni attività umana il ruolo di primo propellente e di condizionante: quel che colpisce, nel mondo attuale, è che la massa si comporta come se non avesse altro propellente o condizionante, e in stretta correlazione a ciò si traduce quindi in termini di presente. Sembrerebbe allora che proprio in questa riduzione del tempo reale al presente, per cui il futuro deve contrarsi nel presente, e il passato sopravvive solo in quanto vi confluisce, l’arte dovesse avere un posto privilegiato, visto che l’opera d’arte identifica un eterno presente nella coscienza che la riconosce come tale. Ma tale eterno presente dell’opera d’arte ha per effetto di fare accantonare la flagranza del presente in cui ciascuno vive: chi contempla, o ascolta contemplando, un’opera d’arte, vive in una sorta di levitazione terrena, per cui n’è vivificato, e ben altrimenti ossigenato che dall’aria di montagna. Ma tale levitazione, vivificazione, ossigenazione, se intensifica la coscienza, è a scapito della flagranza: l’eterno presente dell’opera d’arte è una sospensiva dalla flagranza del presente. Se tale flagranza occupa la coscienza così da impedirle di gettare la zavorra o tagliare l’ormeggio, invece di ritrovarsi libera nell’alto mare della forma, si troverà nella posizione ingrata di un cane a catena che per raggiungere l’offa — l’opera d’arte chiusa nella fattispecie — si sente strozzare dal collare. A questa coscienza alienata nel suo presente storico è inutile offrire allora simili miraggi: le belve fra le quali si presenta il domatore non devono essere affamate. Sarà la paura, non la fame che le farà ubbidire. Perché allora si avvicini all’opera d’arte chiusa, la coscienza attuale, non dovrà essere tenuta a catena dal suo presente, non dovrà avere più fame: la sua fame, il suo presente dunque, deve essere stato saziato. Solo così non mangerà il domatore, e cioè contemplerà l’opera d’arte. Questa si pone allora come antecedente alla fame, inattingibile dalla fame, e dunque fuori del presente: ma fuori del presente, non c’è che il passato. L’opera d’arte chiusa è al passato, come l’opera d’arte aperta non è al futuro, ma al presente: e allo stesso modo che non c’è più avanguardia così il passato si è richiuso in se stesso una volta per sempre. Ci sarà anzi un presente al passato, ad esempio, per l’arte contemporanea, che non si confonderà col passato-passato. Picasso è ancora vivente ma appartiene al passato-passato: Fautrier fino a poco fa vivente, apparteneva al presente al passato, perché tuttavia era già di quell’arte che richiede l’integrazione dello spettatore. Così si spiega il sinecismo dell’arte chiusa con quella aperta. Nel presente, la fame del presente deve essere placata con l’integrazione all’opera, con la possibilità di entrare in orbita con l’opera. Il passato avrà diritto di accesso solo in quanto si accontenterà di restare al passato, anche che realizzi un eterno presente: oppure se accetta di acquistare, come una doppia nazionalità, una nuova flagranza. Conferme di questo atteggiamento, che rispecchia da un lato la nostalgia del Paradiso perduto della forma, e dall’altra l’inderogabilità che il presente impóne, si trovano ad ogni piè sospinto: ma la più significativa — per Parte — è data dall’arredamento delle case e dalla museografia. L’opera antica, dal mobile al quadro, è sollecitata ad entrare nelle case — mai c’è stato un tale dilagante antiquariato — ma è anche sollecitata a entrare nel presente storico. Proprio in questo senso non usa più di ricreare un ambiente consono all’epoca dell’opera, ma si forza l’opera a far parte di un ambientamento, non di uno stile determinato cioè, ma di un determinato presente. E ciò non è perché si abbia una coscienza etica del falso, e quindi si sfuggano, come sarebbe doveroso, le falsificazioni d’ambiente, ma perché risulta inevitabile trasferire anche all’opera chiusa una parte almeno delle esigenze proprie dell’opera aperta, farle pagare il pedaggio della sua traslazione nel presente storico. Anche l’opera chiusa deve acquistare una flagranza, per transeunte che sia, al di qua di quel suo eterno presente che, inversamente, si configura al di là del presente storico. E poco importa se il dipinto, privato, per ringiovanirlo, della cornice, perde il raccordo alla spazialità della parete e, in genere, dell’ambiente: raccordo che era, esattamente, come il proscenio, comunicazione e barriera. Ma proprio quel raccordo lo riportava indietro, nel suo passato, mentre è il suo passato che deve essere risucchiato nel presente. Così ima donna anziana non si veste più al modo con cui le donne anziane del tempo in cui era giovane si vestivano, e cioè con la moda di quando erano giovani: le donne anziane, di oggi, prima di tutto non accettano d’essere anziane e poi si adattano alla moda dei giovani, non si riportano a quella del tempo in cui erano giovani.

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Se si ritiene di dovere o di potere sciogliersi, per l’avanguardia, dall’ambito romantico storicamente delimitato, per farne un concetto tipico-ideale se non proprio una categoria sopra-storica, non c’è nessuna ragione imperativa per non riconoscere l’avanguardia dove si constati eversione rispetto al passato e protensione verso il futuro, si abbia o non si abbia esplicitato, questo modo di porsi in situazione nella storia, come avanguardia. E sarebbe lo stesso che volere riconoscere il razzismo, così come fu teorizzato dal nazismo, nell’individuarsi come popolo eletto del popolo di Israele: storicamente porterebbe a falsare la storia, anche se concettualmente vi sia affinità fra la razza chiusa del popolo eletto e la pretesa supremazia della razza ariana. Ma l’opposizione che il Poggioli istituì fra avanguardia e Romanticismo 22, nacque dall'«ubbia che la continuità della linea ideologica e storica Romanticismo-avanguardia viene affermata da molti storiografi e critici... quasi sempre di destra»: bastò questo ad obnubilargli la visione esatta del rapporto strettamente genetico e non d’opposizione fra Romanticismo e avanguardia. Fine dell’avanguardia come fine del Romanticismo: così la teorizzammo nel 1949 23.

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Proprio per questo non si nega l’arte contemporanea negando che abbia il carattere delle avanguardie storiche: l’identità o coincidenza, come avrebbe voluto il Poggioli, fra avanguardia e arte moderna 24 non tiene conto del fatto che, se non vi è protensione verso il futuro, il titolo di avanguardia scade a designare il semplice traguardo del presente. Sicché se l’astrattismo di ripresa post-bellica non era avanguardia, perché chiaramente rivolto al passato, al primo astrattismo, e non al futuro, e quindi segnava il passo, il movimento che è venuto dopo, l’informale, non è stato avanguardia proprio perché, se non si rifaceva al passato, insisteva sull’hic et nunc e solo nell’hic et nunc della integrazione dello spettatore.

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E spiega anche come il cinematografo, nato in primo luogo dalla fotografia, abbia ereditato la stessa pretesa o rivendicazione che sia. Che non bastasse il fatto di riprodurre uno spettacolo naturale, per mettersi sullo stesso piano della pittura — e sia pure che, per consentire di esser raggiunta su quella strada, la pittura stessa dovesse essere interpretata erroneamente come mimesi — lo fa indurre il fatto che non tutte le attività volte a rilevare il dato naturale hanno ugualmente preteso di ascendere al livello della pittura. Si pensi alla cartografia ad esempio, che semmai può avere costituito, in tempi più lontani, una specie di branca minore della pittura, distaccandosene poi definitivamente via via che raggiungeva un grado di perfezione tecnica maggiore. La fotografia, invece, questa sua aspirazione all’arte, non la fonda o l’accresce nel maggiore perfezionamento tecnico rispetto ai primi vagiti in dagherrotipo e in calotype, e affetta anzi, nei più accorti, di deplorare il perfezionamento tecnico in quanto la può rendere più facile e volgare. È chiaro che intenziona, con ciò, qualcosa di inespresso, e che vale proprio in quanto inespresso, perché, dove si sia tentato di esprimerlo, non ha prodotto spostamenti apprezzabili nello status della fotografia come arte.

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Il secondo, analogo ma non identico, è quello in cui l’intenzionalità abbia isolato un frammento di materia o comunque un oggetto, sia o no opera dell’uomo, sicché la materia del frammento o dell’oggetto resti come in sospeso su se medesima: il che può accadere quando il prelevamento e l’isolamento costituisca l’oggetto (o il frammento) come oggetto significante, e cioè simbolico di un determinato, oscuro o palese, status. In questo caso, tanto se si tratti di un frammento di materia tratto dal mondo organico o inorganico, che di un manufatto, si manifesta come fenomeno colpito da una speciale epoché sospensiva Ora a questo si riconduce la prima fase del processo creativo, che abbiamo chiamata costituzione d’oggetto. E perciò il fenomeno così isolato non dà parallelamente, rispetto a ciò che abbiamo chiamato opera d’arte, un altro fenomeno-che-fenomeno-non-è, ma piuttosto il fenomeno sull’orlo di trapassare in fenomeno-che-fenomeno-non-è: e a ciò si giungerà solo con la formulazione d’immagine.

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Pia illusione, che questo possa accadere, anche dove lo Stato abbia struttura socialista e non capitalista. La redenzione della cultura di massa non si può sperare prima del fatto migliorando, come qualcuno crede, il livello dei fumetti o la forma del catino di polietilene, ma solo post factum: solo sul fatto l’individuo, la coscienza singola, potrà elaborare il riscatto.

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Non è detto perché il primo ponte in ferro sia stato costruito da un ingegnere con l’aiuto d’un architetto, che, anche nell’ingegnere, non ci fosse una larvata proiezione delle condizioni formali e non solo tettoniche a cui doveva uniformarsi il ponte stesso: e che insomma un’intuizione formale non abbia preceduto l’elaborazione di una tecnica che, via via, doveva condurre ai grattacieli. Non si elabora una tecnica tettonica come si elabora una tecnica per riconoscere le frodi olearie: questa sarà un iter interno della conoscenza, quella, per il solo fatto di ostendersi alla vista, si pone esterna al foro interiore del ricercatore, e quindi costretta a vestire comunque una forma, o, se a una forma non approderà ma solo ad una conformazione, a farne sentire la mancanza, come opera tettonica e rimasta solo tettonica. C’è un caso, nell’architettura contemporanea, quello di Nervi, che crede di potere elaborare delle soluzioni tettoniche indipendentemente dall’architettura, così che, nel Palazzo dello Sport, prestò la soluzione tettonica della copertura perfino a Piacentini. Il resultato è che l’illuminazione tettonica e asistematica di Nervi si presenta sempre come un cammino rimasto a mezzo, dove pure lo scopo è raggiunto, come un’ascensione fallita, perché una tettonica elaborata al di fuori della forma è contradditoria dove anche Putensilità più stretta richiede una conformazione precisa, un adeguamento che, segua pure la forma, la funzione non suggerisce mai in modo univoco. Donde il design come progettazione continua, inesauribile.

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Che l’interpretazione romantica come Derelitta abbia enfasizzato e reso celebre l’opera non c’è dubbio, come non c’è dubbio che, se veramente raffigura Mordecai che piange davanti alla porta del Re (dal Libro di Esther), apparirà meno «poetica»13. Ma questo rientra unicamente nella recezione storica dell’opera: nella sua essenza è quello che si manifesta e non il messaggio che trasmette o convoglia.

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Se io mi trovo di fronte ad una montagna, sentirò di colpo la montagna, in modo diretto e immediato: solo in un secondo momento potrò indagare, interrogare questo fenomeno che è la montagna, e cioè accantonare la sua presenza imminente, oggettivandola, per indagare come si sia formata, di quali strati geologici sia composta, e anche che cosa abbia significato per un dato popolo o lungo il succedersi delle varie epoche.

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Se la definizione precedente riguarda la struttura del messaggio — perché si abbia messaggio si devono riscontrare certi dati requisiti — tale struttura ha senso solo in vista della informazione che col messaggio si vuole trasmettere.

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«Il concetto dell’arte come una sorta di comunicazione, — scrive appunto — ha i suoi pericoli perché, per analogia di linguaggio, ci si aspetta naturalmente che comunicazione si abbia fra l’artista e il suo pubblico, ciò che io ritengo una nozione aberrante. Ma c’è qualcosa che può, senza pericolo di esser presi troppo alla lettera, esser chiamato comunicazione attraverso l’arte, particolarmente le informazioni che le arti favoriscono per un’epoca o un popolo alla gente di altra epoca. Neppure mille pagine di storia possono illustrarci la mentalità egiziana meglio di una visita ad un museo o mostra di arte egiziana...»

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Nella inderogabilità di questo secondo punto di stazione si fonda altresì la legittimità delle indagini relative alla possibilità che l’artista stesso abbia risentito del punto di vista del ricevente, sia che ciò avvenga per un contemperamento con le richieste del ricevente, sia che l’artista accetti di trasporsi, coscientemente o no, e più o meno parzialmente, dalla parte del ricevente. Quando questo ultimo evento si produca, e, per il momento attuale ne daremo congrua esemplificazione nella seconda parte di questo saggio, occorre precisare che l’accessione dello spettatore non si configura più come una mera recezione dell’opera, ma rientra strutturalmente nell’opera, sicché è componente da dovere essere rilevata e valutata in sede di critica rivolta all’essenza dell’opera, e non, come parrebbe, in sede di critica esperita dal punto di stazione della recezione dell’opera.

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Il fatto che, per una certa classe di opere d’arte, il veicolo con cui offrono la propria astanza di opera d’arte alla coscienza sia rappresentato dal linguaggio, e cioè dal sistema semiotico più evoluto, non implica che l’opera d’arte, che così si istituisce, abbia la stessa struttura della lingua in cui viene espressa. Certamente la struttura della lingua rimane la stessa nella poesia come nel verbale giudiziario, ma cambia l’intenzionalità con cui viene usata, da enunciazione di significati ad astanza. Si intrecciano quindi nell’opera d’arte, e non meno in quelle dette figurative che nelle altre, percorsi diversi, si stratificano livelli, ai quali compete una particolare struttura significante, ma allo stesso modo che le tessere di un mosaico, per provenienza e struttura fisica diverse, compongono un tutto, un’unità cioè, e pur rimanendo divise e pur mantenendo la propria struttura fisica, valgono, come epifania d’immagine, solo per quello che realizzano a vista, e cioè alla coscienza che le intenziona come opera d’arte. In questo senso, anche la ricerca per rintracciare, ove possibile e finché possibile, le connotazioni originarie e confuse con cui poté sorgere l’opera d’arte, all’atto della costituzione d’oggetto, rappresenterà un’indagine che non riguarda la struttura dell’opera, ma unicamente può servire alla ricostruzione storica, per approssimazione, del frangente da cui nacque l’opera d’arte. Nel che rientrano anche le indagini psicoanalitiche relative all’uomo che fu l’artista. L’indagine psicoanalitica tenterà di ricostruire un certo livello di semiosi in cui, ma non unicamente, affondò le radici anche la fabulazione e l’estrinsecazione dell’opera d’arte. Ma questo, come gli altri livelli significanti, che possono trovarsi ancora più scopertamente intrecciati nell’opera — si tratti di iconologia, di allegoria etc. — non faranno parte della struttura essenziale, specifica, dell’opera d’arte: l’opera d’arte varrà solo in quanto realizza un’astanza, in cui, i diversi strati significanti, vengono ad essere contemporaneamente inclusi e quindi indirettamente presentificati alla coscienza. Tutti i significati, che l’opera porta in sé, fondono senza scomparire, affondano nello spessore di quel reale sui generis che con essa si manifesta.

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Un codice in cui, come in una lingua, si può distinguere una grammatica e una sintassi, anche se il parallelismo con una lingua è più apparente che reale, in quanto che manca il nucleo essenziale perché si abbia lingua, l’unione arbitraria del significato nel significante in un’unità significativa, unione inscindibile. Perciò nella musica si ha una fonetica, ed anche una fonologia, ma sui generis, in quanto che le opposizioni sulle quali si articolano le tonalità e gli accordi non corrispondono che a se stesse, non si legano ad un significato, neppure ad un ethos fisso, che, come si sa, dai modi greci alla partizione in maggiore e minore, si è addirittura capovolto, e varia, naturalmente, a seconda delle assunzioni di un determinato strato culturale. Proprio perché la musica non nasce per trasmettere un messaggio, a meno che non venga, come in caserma, revoluta a segnale. L’intersoggettività della musica non è dunque per natura, ma per posizione, rispetto all’ambito culturale in cui matura e si manifesta. Il codice in cui è redatta deve essere conosciuto in se, ma non, come il codice di una lingua, per i significati che convoglia. E ciò spiega perché, seppure la musica possa sembrare la più diretta e immediata delle arti, il suo accaparramento, da parte dell’uditore, può essere così duro e difficile da resultare insormontabile, proprio perché il codice senza messaggio in cui è scritta, deve essere posseduto almeno empiricamente da chi ascolta. Così le innovazioni introdotte dalla musica seriale nel codice tradizionale della musica, l’hanno resa, per i più, incomprensibile: e cioè non astante come musica, ma solo come traguardo di suoni, fatto della percezione. Non c’è dubbio quindi che il codice in cui è scritta una musica è inseparabile dalla musica stessa: ma non è la struttura per cui è musica, e cioè, una volta ancora, realtà astante e non messaggio.

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Osserva infatti 10 che si sarebbe tentati di criticare l’assimilazione del principio di ragione al principio di causalità, ed eccepisce che ogni causa (Ursache) è senza dubbio una specie di fondamento (Grund, ratio), ma che non ogni fondamento offre le caratteristiche di una causa, che abbia cioè per conseguenza un effetto. Ratio e conseguenza non sono la stessa cosa che causa ed effetto («Grund und Folge sind nicht das gleiche wie Ursache und Wirkung»). Pure, dopo avere affermato che tali rilievi sono esatti da un certo punto di vista, aggiunge che, a voler fare la lezione a Leibniz su queste considerazioni, si rischia di precludersi la via a quello che il pensiero di Leibniz ha di più caratteristico. Ciò che introduce all’interpretazione duplice che dà Heidegger del principio di ragione, da un lato come principio che riguarda l’esistente, dall’altro come principio che né l’est del nihil est sine ratione colpisce l’essere. Donde si giustifica la qualifica che ne dava Leibniz, come principium magnum, grande, nobilissimum. È naturale che, con questa seconda interpretazione 11 scompare virtualmente, riassorbito nell’essere, il principio di causalità, che nella sua connessione necessaria di causa ed effetto (per cui presume lo svolgimento nel tempo) rientra di per sé nella problematica esistenziale. Nella problematica dell’esperienza lo incontra naturalmente Kant, che, nella Critica della ragion pura, alla Seconda Analogia, fa l’osservazione illuminante che, del principio di ragion sufficiente, «tanto spesso ma sempre invano n’è stata ricercata una prova» 12.

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Vale tuttavia vedere più da vicino come il principio di indeterminazione abbia ridimensionato il principio di causalità. Sempre nel campo della meccanica quantistica, il principio, nel suo enunciato più accessibile, è così espresso dal Reichenbach23: «In una data quantità u vi sono altre quantità v che non si possono misurare contemporaneamente alla quantità u». Le conseguenze di questo principio sono immense, perché se ne deduce che al determinismo della meccanica classica, fondata su leggi sempre valide, si sostituisce in meccanica quantistica (nel regno, sia detto volgarmente, dell'infinitamente piccolo) la probabilità statistica, donde la meccanica quantistica si rivela una disciplina statistica, e ciò costituzionalmente e non faute de mieux 24. Infatti l’imbarazzo provocato dal principio di indeterminazione, in una mentalità dommatica e positivista come quella scientifica, fece sperare o supporre che l’indeterminazione rispecchiasse uno stadio provvisorio della scienza, e che, progredendo ancora, ogni legge della fisica tornerebbe ad essere assoluta e non riferita ad una media statistica. Ma le cose non stavano così come si sperava, l’indeterminazione della meccanica quantistica va accettata, essa, come una legge insorpassabile della fisica, ed anzi la legge statistica si configura come il tipo fondamentale della legge fisica e non già faute de mieux25. Né diversamente dal Reichenbach poteva esprimersi lo Heisenberg 26 che, anche più chiaramente, sottolinea che «nei processi in campo macroscopico questo elemento statistico della fisica atomica non ha in generale importanza, perché nel processo macroscopico deriva dalle leggi statistiche una probabilità così elevata da permetterci di dire che il processo è, praticamente, determinato». 27. Con che si restringe ancora la portata d’applicazione in senso stretto del principio di causalità.

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Il problema allora è, se un contrasto simile fra le due meccaniche abbia o no portato ad un conflitto col principio di identità: ma è chiaro che, non potendosi avere pensiero valido al di fuori del principio di identità, il principio di indeterminazione non avrebbe potuto essere formulato, se un’inconciliabilità resultasse col primo. Infatti il principio di indeterminazione non contrasta col principio di identità, ma col principio di causalità, che non rappresenta una struttura inderogabile, valida in ogni direzione, del pensiero, e solo costituisce una struttura efficiente dove possa intervenire quella verifica sperimentale che consente di trasformare una successione nel tempo in un nesso causale.

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Né è rimasto campo dell’attività umana che non abbia ricevuto una teorizzazione che seguisse o riflettesse quella che a tutti si poneva a modello nelle scienze naturali.

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Quale resultato abbia raggiunto lo apprendiamo dalle parole di un filosofo marxista, Galvano della Volpe. Questi comincia intanto col premettere: «che senza coscienza del linguaggio pittorico e della sua puntualità storica non è possibile render giustizia in sede di gusto a nessun dipinto in particolare [...] col che cade anche ogni tentativo di una sociologia dell’arte, pittorica nella fattispecie, o di una iscrizione di questa in una superstruttura, che trascuri il suesposto carattere dialettico del rapporto tecnica-arte, e che pretenda, ad es. come la sociologia di Frederick Antal (per ricordare il tentativo più impegnato in proposito) di individuare e distinguere una Madonna col bambino di Masaccio da una Madonna col bambino di Gentile da Fabriano mediante ricorso al criterio che ‘ preso nella dovuta considerazione il contenuto dei quadri ’, col relativo sfondo sociale, sia ‘ subito chiaro che le differenze stilistiche sono dovute non solo alle differenze individuali tra i vari artisti, ma anche al fatto che tali opere furono intese per differenti sezioni del pubblico committente o appagarono bisogni artistici diversi, etc.; col risultato, consueto in tentativi del genere (anche se meglio mascherato dal gusto e dall’intelligenza dell’autore), di una giustapposizione meccanica di ‘contenuti’ e di stili o forme e insomma di storia sociale e arte: per esempio nel confronto della ‘ mancante chiarezza corporea ’ e del ‘ delicato colore delle figure ’ del ‘ religioso aristocratico e goticheggiante ’ Gentile con le figure invece ‘ nette, realistiche ’ della maniera ‘ classicista e upper-middle class ’ di Masaccio...» 46.

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Storie naturali

681328
Levi, Primo 13 occorrenze

. _ Io, per mia natura, non posso pensare che con orrore all' eventualità che anche uno solo dei miei ricordi abbia a cancellarsi, ed ho adottato tutti questi metodi, ma ne ho anche creato uno nuovo. _ No, non si tratta di una scoperta scientifica: soltanto ho tratto partito dalla mia esperienza di farmacologo ed ho ricostruito, con esattezza e in forma conservabile, un certo numero di sensazioni che per me significano qualcosa. _ Questi (le ripeto, non pensi che io ne parli sovente) io chiamo mnemagoghi: "suscitatori di memorie" Vuol venire con me? Si alzò e si diresse lungo il corridoio. A metà si volse e aggiunse: _ Come lei può immaginare, vanno usati con parsimonia, se non si vuole che il loro potere evocativo si attenui; inoltre non occorre che le dica che sono inevitabilmente personali. Strettissimamente. Si potrebbe anzi dire che sono la mia persona, poiché io, almeno in parte, consisto di essi. Aprì un armadio. Si vide una cinquantina di boccette a tappo smerigliato, numerate. _ Prego, ne scelga una. Morandi lo guardava perplesso; tese una mano esitante e scelse una boccetta. _ Apra e odori. Che cosa sente? Morandi inspirò profondamente più volte, prima con gli occhi su Montesanto, poi alzando la testa nell' atteggiamento di chi interroga la memoria. _ Questo mi sembrerebbe odore di caserma _. Montesanto odorò a sua volta. _ Non esattamente, _ rispose, _ o almeno, non così per me. È l' odore delle aule delle scuole elementari; anzi, della mia aula della mia scuola. Non insisto sulla sua composizione; contiene acidi grassi volatili e un chetone insaturo. Comprendo che per lei non sia niente: per me è la mia infanzia. _ Conservo pure la fotografia dei miei trentasette compagni di scuola di prima elementare, ma l' odore di questa boccetta è enormemente più pronto nel richiamarmi alla mente le ore interminabili di tedio sul sillabario; il particolare stato d' animo dei bambini (di me bambino!) nell' attesa terrificante della prima prova di dettato. Quando lo odoro (non ora: occorre naturalmente un certo grado di raccoglimento), quando lo odoro, dunque, mi si smuovono i visceri come quando a sette anni aspettavo di essere interrogato. Vuol scegliere ancora? _ Mi sembra di ricordare ... attenda .... Nella villa di mio nonno, in campagna, c' era una cameretta dove si metteva la frutta a maturare .... _ Bravo, _ fece Montesanto con sincera soddisfazione. _ Proprio come dicono i trattati. Ho piacere che lei si sia imbattuto in un odore professionale; questo è l' odore dell' alito del diabetico in fase acetonemica. Con un po' più d' anni di pratica certo ci sarebbe arrivato lei stesso. Sa bene, un segno clinico infausto, il preludio del coma. _ Mio padre morì diabetico, quindici anni fa; non fu una morte breve né misericordiosa. Mio padre era molto per me. Io lo vegliai per innumerevoli notti, assistendo impotente al progressivo annullamento della sua personalità; non furono veglie sterili. Molte mie credenze ne furono scosse, molto del mio mondo mutò. Per me, non si tratta dunque di mele né di diabete, ma del travaglio solenne e purificatore, unico nella vita, di una crisi religiosa. _ ... Questo non è che acido fenico! _ esclamò Morandi odorando una terza boccetta. _ Infatti. Pensavo che anche per lei questo odore volesse dire qualcosa; ma già, non è ancora un anno che lei ha terminato i turni d' ospedale, il ricordo non è ancora maturato. Perché avrà notato, non è vero? che il meccanismo evocatore di cui stiamo parlando esige che gli stimoli, dopo aver agito ripetutamente, collegati ad un ambiente o ad uno stato d' animo, cessino poi di agire per un tempo piuttosto lungo. Del resto è di osservazione comune che i ricordi, per essere suggestivi, devono avere il sapore dell' antico. _ Anch' io ho fatto i turni di ospedale ed ho respirato acido fenico a pieni polmoni. Ma questo è avvenuto un quarto di secolo fa, e del resto da allora il fenolo ha ormai cessato di costituire il fondamento dell' antisepsi. Ma al mio tempo era così: per cui oggi ancora non posso odorarlo (non quello chimicamente puro: questo, a cui ho aggiunto tracce di altre sostanze che lo rendono specifico per me) senza che mi sorga in mente un quadro complesso, di cui fanno parte una canzone allora in voga, il mio giovanile entusiasmo per Biagio Pascal, un certo languore primaverile alle reni e alle ginocchia, ed una mia compagna di corso, che, ho saputo, è divenuta nonna di recente. Questa volta aveva scelto lui stesso una boccetta; la porse a Morandi: _ Di questo preparato le confesso che provo tuttora una certa fierezza. Quantunque non ne abbia mai pubblicato i risultati, considero questo un mio vero successo scientifico. Vorrei sentire la sua opinione. Morandi odorò con ogni cura. Certo non era un odore nuovo: lo si sarebbe potuto chiamare arso, asciutto, caldo .... _ ... Quando si battono due pietre focaie ...? _ Sì, anche. Mi congratulo con lei per il suo olfatto. Si sente questo odore in alta montagna quando la roccia si riscalda al sole; specialmente quando si produce una caduta di sassi. Le assicuro che non è stato facile riprodurre in vetro e rendere stabili le sostanze che lo costituiscono senza alterarne le qualità sensibili. _ Un tempo andavo spesso in montagna, specialmente da solo. Quando ero giunto in cima, mi coricavo sotto il sole nell' aria ferma e silenziosa, e mi pareva di aver raggiunto uno scopo. In quei momenti, e solo se vi ponevo mente, percepivo questo leggero odore, che è raro sentire altrove. Per quanto mi riguarda, lo dovrei chiamare l' odore della pace raggiunta. Superato il disagio iniziale, Morandi stava prendendo interesse al gioco. Sturò a caso una quinta boccetta e la porse a Montesanto: _ E questa? Emanava un leggero odore di pelle pulita, di cipria e di estate. Montesanto odorò, ripose la boccetta e disse breve: _ Questo non è un luogo né un tempo. È una persona. Richiuse l' armadio; aveva parlato in tono definitivo. Morandi preparò mentalmente alcune espressioni di interesse e di ammirazione, ma non riuscì a superare una strana barriera interna e rinunciò ad enunciarle. Si congedò frettolosamente con una vaga promessa di una nuova visita, e si precipitò giù dalle scale e fuori nel sole. Sentiva di essere arrossito intensamente. Dopo cinque minuti era fra i pini, e saliva furiosamente per la massima pendenza, calpestando il sottobosco morbido, lontano da ogni sentiero. Era molto gradevole sentire i muscoli, i polmoni e il cuore funzionare in pieno, così, naturalmente, senza bisogno di intervenire. Era molto bello avere ventiquattro anni. Accelerò il ritmo della salita quanto più poté, finché sentì il sangue battergli forte dentro le orecchie. Poi si sdraiò sull' erba, cogli occhi chiusi, a contemplare il bagliore rosso del sole attraverso le palpebre. Allora si sentì come lavato a nuovo. Quello era dunque Montesanto .... No, non occorreva fuggire, lui non sarebbe diventato così, non si sarebbe lasciato diventare così. Non ne avrebbe parlato con nessuno. Neppure con Lucia, neppure con Giovanni. Non sarebbe stato generoso. Per quanto, in fondo, ... soltanto con Giovanni ... ed in termini del tutto teoretici .... Esisteva mai qualcosa di cui non si potesse parlare con Giovanni? Sì, a Giovanni ne avrebbe scritto. Domani. Anzi (guardò l' ora), subito; la lettera sarebbe forse ancora partita con la posta della sera. Subito.

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Del resto, non abbia preoccupazioni: il lavoro per lei non mancherà mai. Ricorda, tre anni fa, quando abbiamo comperato la fatturatrice? SEGRETARIA (al telefono) Sì, signorina. Mi passa il signor Simpson, per favore? (Pausa). Certo, è urgente. Grazie. POETA (continuando, sottovoce) Ebbene: come si trova oggi? Ne potrebbe fare a meno? No, non è vero? È uno strumento di lavoro come un altro, come il telefono, come il ciclostile. Il fattore umano è e sarà sempre indispensabile, nel nostro lavoro; ma abbiamo dei concorrenti, e perciò dobbiamo pure affidare alle macchine i compiti più ingrati, più faticosi. I compiti meccanici, appunto .... SEGRETARIA (al telefono) È lei, signor Simpson? Attenda prego. (Al poeta) Il signor Simpson al telefono. POETA (al telefono) È lei, Simpson? Salute. Senta: lei ricorda, vero, quel preventivo che mi aveva sottoposto ... aspetti ... verso la fine dell' anno scorso? ... (Pausa). Sì, precisamente, il Versificatore, quel modello per impieghi civili: lei me ne aveva parlato con un certo entusiasmo ... veda un po' se può rimetterci le mani sopra. (Pausa). Eh, sì, capisco: ma ora forse i tempi sono maturi. (Pausa). Ottimo: sì, è piuttosto urgente. Dieci minuti? Lei è molto gentile: l' attendo qui, nel mio ufficio. A presto. (Appende il ricevitore; alla segretaria) È un uomo straordinario, Simpson: un rappresentante di classe, di una efficienza rara. Sempre a disposizione dei clienti, a qualunque ora del giorno o della notte: non so come faccia. Peccato che abbia poca esperienza nel nostro ramo, se no .... SEGRETARIA (esitante; via via più commossa) Maestro ... io ... io lavoro con lei da quindici anni ... ecco, mi perdoni, ma ... al suo posto non farei mai una cosa simile. Non lo dico mica per me, sa: ma un poeta, un artista come lei ... come può rassegnarsi a mettersi in casa una macchina ... moderna finché vuole, ma sarà sempre una macchina ... come potrà avere il suo gusto, la sua sensibilità ... Stavamo così bene, noi due, lei a dettare e io a scrivere ... e non solo a scrivere, a scrivere sono capaci tutti: ma a curare i suoi lavori come se fossero i miei, a metterli in pulito, a ritoccare la punteggiatura, qualche concordanza, (confidenziale) anche qualche errorino di sintassi, sa? Può capitare a tutti di distrarsi .... POETA Ah, non creda che io non la capisca. Anche da parte mia è una scelta dolorosa, piena di dubbi. Esiste una gioia, nel nostro lavoro, una felicità profonda, diversa da tutte le altre, la felicità del creare, del trarre dal nulla, del vedersi nascere davanti, a poco a poco, o d' un tratto, come per incanto, qualcosa di nuovo, qualcosa di vivo che non c' era prima .... (Freddo ad un tratto) Prenda nota, signorina: "come per incanto, qualcosa di nuovo, qualcosa di vivo che non c' era prima, puntini": è tutta roba che può servire. SEGRETARIA (molto commossa) È già fatto, maestro. Lo faccio sempre, anche quando lei non me lo dice. (Piangendo) Lo conosco, il mio mestiere. Vedremo se quell' altro, quel coso, saprà fare altrettanto! Suona un campanello. POETA Avanti! SIMPSON (alacre e gioviale; leggero accento inglese) Eccomi: a tempo di primato, no? Qui c' è il preventivo, qui c' è l' opuscolo pubblicitario, e qui le istruzioni per l' uso e la manutenzione. Ma non è tutto: anzi, manca l' essenziale. (Teatrale) Un momento! Rivolto alla porta) Avanti, Giovanni. Spingilo qui dentro. Attento allo scalino. (Al poeta) Fortuna che siamo al pianterreno! (Rumore di carrello in avvicinamento). Eccolo qui, per lei: il mio esemplare personale. Ma a me non serve, per il momento: siamo qui per lavorare, no? GIOVANNI Dov' è la presa? POETA Qui, dietro la scrivania. SIMPSON (tutto d' un fiato) Duecentoventi volt, cinquanta periodi, vero? Perfetto. Ecco qui il cavo. Attento, Giovanni: sì, lì sul tappeto andrà benissimo, ma lo si può sistemare in un qualunque angolo; non vibra, non scalda e non fa più fruscio di una lavatrice. (Pacca su una lamiera). Gran bella macchina, solida. Fatta senza economia. (A Giovanni) Grazie, Giovanni, vai pure. Ecco le chiavi, prendi l' auto e torna in ufficio; io starò qui tutto il pomeriggio. Se qualcuno mi cerca, fammi chiamare qui. (Al poeta) Lei permette, non è vero? POETA (con un certo imbarazzo) Sì, certo. Ha ... ha fatto bene a portarsi dietro l' apparecchio: io non avrei osato chiederle di disturbarsi tanto. Magari sarei venuto io. Ma ... non sono ancora deciso sull' acquisto: lei capisce bene, volevo più che altro farmi un' idea concreta della macchina, delle sue prestazioni, e anche ... rinfrescarmi la memoria sul prezzo ... SIMPSON (interrompe) Senza impegno, senza impegno, che diamine! Senza il minimo impegno da parte sua. Una dimostrazione gratuita, in sede di amicizia: ci conosciamo da tanti anni, no? E poi, non ho dimenticato certi servizi che lei ci ha reso, quello slogan per la nostra prima calcolatrice elettronica, la Lightning, ricorda? POETA (lusingato) E come no! Non ci arriva la ragione, Ma ci arriva l' elettrone. SIMPSON Già, proprio quello. Quanti anni sono passati! Ha avuto tutte le ragioni a tenere alto il prezzo: ci ha reso il decuplo di quanto è costato. Quel che è giusto è giusto: le idee si pagano. (Pausa: ronzio crescente del Versificatore che si sta riscaldando) .... Ecco, si sta riscaldando. Fra pochi minuti, quando si accende la lampadina spia, si potrà cominciare. Intanto, se permette, le dirò qualcosa sul funzionamento. Prima di tutto, sia ben chiaro: questo non è un poeta. Se lei cerca un poeta meccanico vero e proprio, dovrà aspettare ancora qualche mese: è in fase di avanzata progettazione presso la nostra casa madre, a Fort Kiddiwanee, Oklahoma. Si chiamerà The Troubadour, "Il trovatore": una macchina fantastica, un poeta meccanico heavy-duty, capace di comporre in tutte le lingue europee vive o morte, capace di poetare ininterrottamente per mille cartelle, da -100ä a +200ä centigradi, in qualunque clima, e perfino sott' acqua e nel vuoto spinto. (Sottovoce) È previsto il suo impiego nel progetto Apollo: sarà il primo a cantare le solitudini lunari. POETA No, non credo che farà al caso mio: è troppo complicato, e del resto io lavoro raramente in trasferta. Sto quasi sempre qui, nel mio ufficio. SIMPSON Certo, certo. Glielo accennavo solo a titolo di curiosità. Questo, vede, non è che un Versificatore, e come tale dispone di minore libertà: ha meno fantasia, per così dire. Ma è quello che ci vuole per lavori di routine, e d' altronde, con un po' d' esercizio da parte dell' operatore, è capace di veri prodigi. Questo è il nastro, vede? Normalmente, la macchina pronuncia le sue composizioni e simultaneamente le trascrive. POETA Come una telescrivente? SIMPSON Esattamente. Ma, se occorre, ad esempio in casi di urgenza, la voce si può disinserire: allora la composizione diventa rapidissima. Questa è la tastiera: è simile a quella degli organi e delle Linotype. Qui in alto (scatto) si imposta l' argomento: da tre a cinque parole per lo più bastano. Questi tasti neri sono i registri: determinano il tono, lo stile, il "genere letterario", come si diceva una volta. Infine, questi altri tasti definiscono la forma metrica. (Alla segretaria) Si avvicini, signorina, è meglio che veda anche lei. Penso che sarà lei a manovrare la macchina, vero? SEGRETARIA Non imparerò mai. È troppo difficile. SIMPSON Sì, tutte le macchine nuove fanno questa impressione. Ma è solo una impressione, vedrà: fra un mese la userà come si guida l' auto, pensando ad altro, magari cantando. SEGRETARIA Io non canto mai, quando sono sul lavoro. (Suona il telefono). Pronto? Sì. (Pausa). Sì, è qui: lo passo subito. (A Simpson) È per lei, signor Simpson. SIMPSON Grazie. (Al telefono) Sono io, sì. (Pausa). Ah, è lei, ingegnere: (Pausa). Come? si inceppa? Scalda? Spiacevole, veramente. Mai visto un caso simile. Ha controllato il pannello indicatore? (Pausa). Certo, non tocchi nulla, ha perfettamente ragione: ma ho tutti i montatori fuori, è una vera disdetta. Non può aspettare fino a domani? (Pausa). Eh sì, naturale. (Pausa). Certo, è in garanzia, ma anche se non lo fosse ... (Pausa). Guardi, sono qui a due passi: un minuto, salto su un taxi e sono da lei. (Attacca il ricevitore; al poeta, frettoloso e nervoso) Mi perdoni: devo scappare. POETA Nulla di grave, spero? SIMPSON Oh no, nulla: una calcolatrice, una sciocchezza; ma sa bene, il cliente ha sempre ragione. (Sospira) Anche quando è un dannato pignolo, e fa correre dieci volte per niente. Guardi, facciamo così: io le lascio l' apparecchio, a sua completa disposizione. Lei dia un' occhiata alle istruzioni, e poi provi, si sbizzarrisca. POETA E se lo guasto? SIMPSON Non abbia paura. È molto robusto, foolproof, dice l' opuscolo originale americano: "a prova di pazzo" ... (con imbarazzo: si è accorto della "gaffe") ... sia detto senza offesa, lei mi intende. C' è anche un dispositivo di blocco in caso di falsa manovra. Ma vedrà, vedrà come è facile. Sarò qui fra un' ora o due: arrivederci. (Esce). Pausa: ronzio distinto del Versificatore. POETA (legge borbottando l' opuscolo) Voltaggio e frequenza ... sì, siamo a posto. Impostazione argomento ... dispositivo di blocco ... è tutto chiaro. Lubrificazione ... sostituzione del nastro ... lunga inattività ... tutte cose che potremo vedere dopo. Registri ... ah ecco, questo è interessante, è l' essenziale. Vede, signorina? sono quaranta: qui c' è la chiave delle sigle. EP, EL (elegiaco, immagino: sì, elegiaco, infatti), SAT, MYT, JOC (cos' è questo JOC? Ah sì, jocular, giocoso), DID .... SEGRETARIA DID? POETA Didascalico: molto importante. PORN .... (La segretaria sobbalza). "Messa in opera": non sembra, ma è di una semplicità estrema. Lo saprebbe usare un bambino. (Sempre più entusiasta) Guardi: basta impostare qui l' "istruzione": sono quattro righe. La prima per l' argomento, la seconda per i registri, la terza per la forma metrica, la quarta (che è facoltativa) per la determinazione temporale. Il resto lo fa tutto lui: è meraviglioso! SEGRETARIA (con sfida) Perché non prova? POETA (in fretta e furia) Sicuro, che provo. Ecco: LYR, PHIL (due scatti); terza rima, endecasillabi (scatto); secolo xvii. (Scatto. A ogni scatto, il ronzio della macchina si fa più forte e cambia tono). Via! Segnale di cicala: tre segnali brevi e uno lungo. Scariche, disturbi, indi la macchina si mette in moto con scatti ritmici, simili a quelli delle calcolatrici elettriche quando eseguono le divisioni. VERSIFICATORE (voce metallica fortemente distorta) Bru bru bru bru bru bru bru bru bru endi " " " " " " " " " acro " " " " " " " " " endi Bla bla bla bla bla bla bla bla bla acro " " " " " " " " " enza " " " " " " " " " acro Forte scatto; silenzio, solo il ronzio di fondo. SEGRETARIA Bel risultato! Fa solo le rime; il resto deve mettercelo lei. Che cosa le dicevo? POETA Be' , non è che la prima prova. Forse avrò fatto qualche sbaglio. Un momento. (Sfoglia l' opuscolo) Mi lasci un po' vedere. Ah ecco, che sciocco! Avevo proprio dimenticato il più importante: ho impostato tutto salvo l' argomento. Ma riparo subito. "Argomento": ... che argomento gli diamo? "Limiti dell' ingegno umano". Scatto, cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce metallica, meno distorta di prima) Cerèbro folle, a che pur l' arco tendi? A che pur, nel travaglio onde se' macro Consumi l' ore, e dì e notte intendi? Mentì, mentì chi ti descrisse sacro Il disio di seguire conoscenza, E miele delicato il suo succo acro. Forte scatto; silenzio. POETA Andiamo meglio, no? Mi faccia dare un' occhiata al nastro. (Leggendo) ... "nel travaglio onde se' macro" ... "il disio di seguire conoscenza" ... Non c' è male, in fede mia: conosco diversi colleghi che non se la caverebbero meglio. Oscura ma non troppo, sintassi e prosodia in ordine, un po' ricercata, sì, ma non più di quanto si addica a un discreto secentista. SEGRETARIA Non vorrà mica sostenere che questa roba è geniale. POETA Geniale no, ma commerciabile. Più che sufficiente per ogni scopo pratico. SEGRETARIA Posso vedere anch' io? "Chi ti descrisse sacro" ... mmm ... "e miele delicato il suo succo acro". "Succo acro". Acro. Mai sentito: non è mica italiano, questo. Acre, si dice. POETA Sarà una licenza poetica. Perché non dovrebbe farne? Anzi, aspetti: c' è un capoverso, qui, proprio nell' ultima pagina. Ecco, senta che cosa dice: "Licenze. Il Versificatore possiede l' intero lessico ufficiale del linguaggio per cui è stato progettato, e di ogni vocabolo impiega le accezioni normali. Quando alla macchina si richiede di comporre in rima, o sotto qualsiasi altro vincolo di forma, ...." SEGRETARIA Che significa "vincolo di forma"? POETA Mah, ad esempio l' assonanza, l' allitterazione, eccetera. "... sotto qualsiasi altro vincolo di forma, essa ricerca automaticamente fra i vocaboli registrati nel lessico, sceglie per primi i più adatti come senso, e attorno ad essi costruisce i versi relativi. Se nessuno di tali vocaboli si presta, la macchina ricorre alle licenze, e cioè deforma i vocaboli ammessi, o ne conia dei nuovi. Il grado di "licenziosità" del componimento può essere determinato dall' operatore, mediante la manopola rossa che si trova a sinistra, all' interno del carter". Vediamo: .... SEGRETARIA Eccola, è qui dietro, un po' nascosta. È graduata da uno a dieci. POETA (continua a leggere) "Esso" .... Esso che cosa? Ho perduto il filo. Ah sì, il grado di licenziosità: in italiano suona un po' strano. "Esso viene normalmente limitato entro due-tre gradi della scala: al massimo di apertura si ottengono esiti poetici notevoli, ma utilizzabili solo per effetti speciali". Affascinante, non le pare? SEGRETARIA Uhm ... si immagini un po' dove si andrebbe a finire: una poesia fatta tutta di licenze! POETA Una poesia fatta tutta di licenze ... (Punto da curiosità puerile) Senta: lei pensi quello che vuole, ma io vorrei proprio provare. Siamo qui per questo, no? Per renderci conto dei limiti dell' apparecchio, per vedere come se la cava. A cavarsela con i temi facili sono buoni tutti. Vediamo un po': intuito ... fortuito, circuito: no, è troppo facile. Incudine: solitudine, abitudine. Alabastro: no, no, disastro, giovinastro, eccetera. Ah, ecco ... (alla macchina, con gioia maligna) "Il Rospo" (scatto), ottava, ottonari (scatto); genere ... DID, sì, facciamo DID. SEGRETARIA Ma è un tema ... un po' arido, mi pare. POETA Non tanto quanto sembra: Victor Hugo, per esempio, ne ha cavato del buono. La manopola rossa a fondo corsa ... ecco fatto. Via! Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce metallica stridula; meno veloce del solito) Fra i batraci eccovi il rospo Brutto eppure utile anfibio. (Pausa, disturbi; voce distorta: "anfibio polibio fastidio invidio eccidio clodio maclodio iodio radio armadio stadio ..." in dissolvenza fra rantoli. Silenzio: poi riprende con fatica) Nelle prode sta nascospo, Al vederlo tremo e allibio. Verrucoso ha il ventre e il dospo, Ma divora i vermi, cribbio! (Pausa; poi, con evidente sollievo) Vedi come in turpi veli La virtù spesso si celi. SEGRETARIA Ecco: ha avuto quel che voleva. È francamente detestabile, fa venire la nausea. Un vilipendio: è contento, adesso? POETA È un vilipendio, ma ingegnoso. Interessantissimo. Ha notato come si è ripreso nel distico finale, quando si è sentito fuori dei guai? Umano, proprio. Ma torniamo agli schemi classici: licenze limitate. Vogliamo provare con la mitologia? Mica per capriccio, solo per controllare se la cultura generale è quella vantata nell' opuscolo. A proposito, cosa aspetta Simpson a tornare? ... Vediamo ... ecco: "I sette a Tebe" (scatto); MYT (scatto); verso libero (scatto); xix secolo. Via! Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce cavernosa) Era duro, quel sasso, come i cuori Dello stuolo gigante. Mai fu veduta maggiore contesa. e per primi Troncarono l' attesa: Tuona la terra sotto i loro passi, Ne freme il mare e ne rimbomba il cielo. POETA Che gliene pare? SEGRETARIA Un po' generico, no? E quei due buchi che ha lasciati? POETA Ma scusi: li conosce, lei, i nomi dei Sette a Tebe? No, vero? Eppure ha la laurea in lettere, e quindici anni di pratica professionale. Neppure io, d' altronde. Più che normale, che la macchina abbia lasciato i due buchi. Ma osservi: sono due spazi sufficienti a ospitare due nomi di quattro sillabe, o uno di cinque e uno di tre, come la maggior parte dei nomi greci. Vuole prendere il dizionario mitologico, per favore? SEGRETARIA Eccolo. POETA (cercando) Radamanto, Sèmele, Tisbe ... ecco qui; "Tebe, i Sette a": vuol vedere che due nomi ce li facciamo entrare? Guardi: "Ippomedonte e Capaneo per primi"; "Ippomedonte e Anfiarao per primi"; "Polinice ed Adrasto per i primi"; e si potrebbe continuare. Non c' è che da scegliere. SEGRETARIA (poco convinta) Già. (Pausa). Le posso chiedere un favore? POETA Dica. Di che si tratta? SEGRETARIA Vorrei dare anch' io un tema alla macchina. POETA Ma certo, s' immagini. Provi pure: ci tengo, anzi. Ecco, si segga qui, al mio posto: la manovra la conosce già. Sedie spostate. SEGRETARIA "Tema libero". Scatto. POETA Tema libero? E nessun' altra informazione? SEGRETARIA Nessuna. Voglio vedere cosa succede. Via! Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce sonante, da "Prossimamente " al cinema) Una ragazza da portare a letto .... La segretaria caccia uno strillo acuto, come se avesse visto un topo, e manovra l' interruttore; forte scatto, la macchina tace. POETA (in collera) Ma che le prende? Ridia subito la corrente: non vorrà mica sfasciare tutto! SEGRETARIA Mi ha offesa! Allude a me, quel ... coso! POETA Ma via! Che cosa diavolo glielo fa pensare? SEGRETARIA Non c' è altre ragazze, qui dentro. È di me che parla. È un villano e uno scostumato. POETA Si calmi, su, non mi faccia l' isterica. Lo lasci dire. È una macchina, lo ha dimenticato? Da una macchina, mi pare, non c' è niente da temere: almeno, sotto questo aspetto. Sia ragionevole, via: levi le mani dall' interruttore. Mi pareva avviato così bene! Oh, brava. Scatto; di nuovo cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce c. s.) Una ragazza da portare a letto: Non c' è nulla di meglio, mi hanno detto. Non mi dispiacerebbe far la prova, Per me sarebbe un' esperienza nuova: Ma per lei, poveretta, che tortura! Quest' intelaiatura è troppo dura. Ottone, bronzo, ghisa, bachelite: Tende la mano ed incontra una vite; Tende le labbra ed incontra una brossa; Mi stringe al seno, e si prende la scossa. Scatto; silenzio. SEGRETARIA (sospira) Poverino! POETA Vede? Lo ammetta, via: è turbata anche lei. Una freschezza, una spontaneità che .... Io questa macchina la compero. Non me la lascio scappare. SEGRETARIA (sta rileggendo il testo) ... ghisa, bachelite: Tende la mano ed incontra una vite; Tende le labbra ed incontra una brossa .... Sì, sì, è divertente. Simula bene ... simula bene il comportamento umano. "... ed incontra una brossa": che cos' è una brossa? POETA Una brossa? Mi faccia controllare. Già, "brossa". Non lo so. Vediamo il dizionario: "Broscia", brodo allungato e insipido. "Brozza", pustola, bitorzolo. No, non c' è proprio: chissà che cosa ha voluto dire. Campanello. SEGRETARIA (va ad aprire) Buonasera, signor Simpson. POETA Buonasera. SIMPSON Eccomi di ritorno: ho fatto presto, vero? Come andiamo con le prove? Soddisfatto? E lei, signorina? POETA Non c' è male, in verità; discreto. A proposito, guardi un po' anche lei questo testo: c' è una parola strana, che non riusciamo a comprendere. SIMPSON Vediamo: "... per me sarebbe una esperienza ... " POETA No, più giù; ecco, qui in fondo: "ed incontra una brossa". Non ha senso; anche nel vocabolario non c' è, abbiamo controllato. Solo per curiosità, sa: non è una critica. SIMPSON (leggendo) "Tende le labbra ed incontra una brossa; mi stringe al seno, e si prende la scossa". (Con bonaria indulgenza) Oh sì, è presto spiegato. È gergo di officina: in ogni officina, sa bene, finisce col nascere un gergo particolare. È il gergo dell' officina dove è nato. Nella sala di montaggio della NATCA Italiana, qui da noi a Olgiate Comasco, dicono "brosse" alle spazzole metalliche. Questo modello è stato montato e collaudato a Olgiate, e può avere orecchiato il termine. Anzi, ora che ci penso: non lo ha orecchiato, gli è stato insegnato. POETA Insegnato? E perché: SIMPSON È una innovazione recente: vede, a tutti i nostri apparecchi (anche a quelli della concorrenza, beninteso) può capitare un guasto. Ora, i nostri tecnici hanno pensato che la soluzione più semplice è quella di condizionare le macchine a conoscere il nome di tutte le proprie parti: così, in caso di avaria, sono in grado di richiedere direttamente la sostituzione del pezzo difettoso. Infatti, il Versificatore contiene due spazzole metalliche, due brosse, insomma, calettate sugli alberini porta-nastro. POETA Ingegnoso, davvero. (Ride) Speriamo di non averne bisogno, di questa facoltà dell' apparecchio! SIMPSON Ha detto "speriamo"? Devo dedurne ... che lei ... insomma, che le sue impressioni sono state favorevoli? POETA (a un tratto si fa molto riservato) Non ho ancora deciso. Favorevoli e non favorevoli. Se ne potrà parlare, ma ... solo col preventivo alla mano. SIMPSON Desidera forse fare qualche altra prova? Su qualche tema veramente impegnativo, che si presti a uno svolgimento conciso e brillante? Perché sono questi, sa, i test più convincenti. POETA Aspetti, mi faccia pensare. (Pausa). Per esempio .... Ah, ecco, signorina, si ricorda quella richiesta ... mi pare che sia del novembre: quella richiesta del signor Capurro .... SEGRETARIA Capurro? Un attimo, cerco la scheda. Ecco qui, Capurro cavalier Francesco, Genova. Richiedeva un sonetto, Autunno in Liguria. POETA (severo) Richiesta mai evasa? SEGRETARIA Sì, certo. Abbiamo risposto chiedendo una dilazione. POETA E poi: SEGRETARIA E poi ... sa bene, con tutto il da fare che abbiamo avuto sotto le feste .... POETA Già. È così che si perdono i clienti. SIMPSON Vede? L' utilità del Versificatore si dimostra da sé. Pensi: ventotto secondi per un sonetto; il tempo di pronunziarlo, naturalmente, perché il tempo per la composizione è impercettibile, qualche microsecondo. POETA Dunque, dicevamo .... Ah sì, Autunno in Liguria, perché no? SIMPSON (con blanda ironia) Così unisce l' utile al dilettevole, non è vero? POETA (urtato) Ma no! È solo una prova pratica: vorrei metterlo al mio posto, in un caso concreto, di ordinaria amministrazione, come ce ne capitano tre o quattrocento all' anno. SIMPSON Certo, certo: scherzavo. Allora: imposta lei? POETA Sì, credo di avere ormai imparato. Autunno in Liguria (scatto); endecasillabi, sonetto (scatto); EL (scatto); anno 1900 più o meno 20. Via. Cicala: tre segnali brevi e uno lungo. VERSIFICATORE (voce calda e ispirata; poi sempre più concitata e affannosa) Mi piace riandare questi antichi Vicoli freschi, dai selciati sfatti, Grevi all' autunno dell' odor dei fichi E del muschio annidato negli anfratti. Seguo il cammino cieco dei lombrichi, Seguo i segreti tràmiti dei gatti, Calco vestigia di lontani fatti, Di gesti spenti, di pensieri matti, Di monaci, di bravi e di monatti, E mi tornano a mente, contraffatti, Ricordi di fuggevoli contatti Con eretici e con autodidatti Due connessioni si sono bruciatti Siamo bloccatti sulla rima in "atti" E siamo diventatti mentecatti Signor Sinsone affrettati combatti Vieni da me con gli strumenti adatti Cambia i collegamenti designatti Ottomilaseicentodiciassatti Fai la riparazione. Tante gratti. Forte ronzio, fracasso, fischi, disturbi, scrosci. POETA (gridando per farsi udire) Che diavolo sta succedendo? SEGRETARIA (molto spaventata, saltella per la camera) Aiuto, aiuto, fuma. Adesso prende fuoco. Scoppia! Bisogna chiamare l' elettricista. No, i pompieri. Il pronto soccorso. Io me ne vado! SIMPSON (anche lui è nervoso) Un momento. Calma, per favore. Si calmi, signorina: si segga qui in poltrona, stia zitta e non mi faccia girare la testa. Può essere una cosa da niente; a ogni buon conto (scatto), ecco, togliamo la corrente, così si è sicuri. (Cessa il fracasso). Vediamo ... (armeggia con strumenti metallici) una certa pratica ormai me la sono fatta, di questi arnesi ... (armeggia) nove volte su dieci è un incidente da poco, che si ripara con gli attrezzi in dotazione .... (Trionfante) Ecco, non ve l' avevo detto? Tutto qui: un fusibile. POETA Un fusibile? Dopo neanche mezz' ora di funzionamento? Non è molto rassicurante. SIMPSON (piccato) I fusibili sono lì per questo, no? La questione è un' altra: manca lo stabilizzatore di tensione, ed è indispensabile. Non che lo avessi dimenticato: ma sono rimasto senza, e non volevo privare lei della possibilità di provare l' apparecchio. Del resto, mi arriveranno a giorni. Come vede, funziona benissimo ugualmente, ma è alla mercé dei salti di tensione, che non ci dovrebbero essere, ma ci sono, specie in questa stagione e a quest' ora, come lei mi insegna. A me pare, invece, che questo episodio avrebbe dovuto eliminare ogni suo dubbio sulle possibilità poetiche dell' apparecchio. POETA Non capisco. A cosa vuole alludere? SIMPSON (più blando) Forse le è sfuggito: non ha sentito come mi ha chiamato? "Signor Sinsòne, affrettati, combatti". POETA Ebbene? Sarà una licenza poetica: non sta scritta sul libretto, la faccenda del meccanismo delle licenze, del grado di licenziosità, eccetera? SIMPSON Eh no, vede. C' è ben altro. Ha alterato il mio nome in "Sinsone" per ragioni precise. Dovrei anzi dire che lo ha rettificato: perché (con orgoglio) "Simpson" si ricollega etimologicamente a Sansone, nella sua forma ebraica di "Shimshòn". La macchina non poteva saperlo, naturalmente: ma in quel momento di angoscia, sentendo aumentare rapidamente l' amperaggio, ha provato il bisogno di un intervento, di un soccorso, e ha stabilito un legame fra il soccorritore antico e il moderno. POETA (con profonda ammirazione) Un legame ... poetico! SIMPSON Certo. Se non è poesia questa, che cos' altro lo è? POETA Sì ... sì, è convincente, non c' è nulla da dire (Pausa). E ... (con finto imbarazzo) venendo adesso a questioni più terrene, più prosaiche ... vogliamo rivedere un poco quel suo preventivo? SIMPSON (radioso) Volentieri. Ma, purtroppo, c' è poco da rivedere, sa. Conosce gli americani: con loro non si contratta. POETA Duemila dollari, non è vero, signorina? SEGRETARIA Ehm, veramente ... non ricordo, ecco, non ricordo .... SIMPSON (ride cordialmente) Lei vuole scherzare. Duemilasettecento, CIGenova, imballo al costo, più dogana 12 %: completo di accessori, consegna in quattro mesi, salvo casi di forza maggiore. Pagamento a mezzo apertura di credito irrevocabile; garanzia dodici mesi. POETA Sconti per i vecchi clienti? SIMPSON No, proprio non posso, mi creda: mi giocherei il posto. Sconto del 2% rinunciando a metà della mia provvigione: è tutto quanto posso fare per lei. POETA Lei è proprio un duro. Via, oggi non mi va di discutere: passi qui l' ordinazione, è meglio che io la firmi subito, prima che cambi idea. Stacco musicale. POETA (al pubblico) Posseggo il Versificatore ormai da due anni. Non posso dire di averlo già ammortizzato, ma mi è diventato indispensabile. Si è dimostrato molto versatile: oltre ad alleggerirmi di buona parte del mio lavoro di poeta, mi tiene la contabilità e le paghe, mi avvisa delle scadenze, e mi fa anche la corrispondenza: infatti, gli ho insegnato a comporre in prosa, e se la cava benissimo. Il testo che avete ascoltato, ad esempio, è opera sua.

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. _ Quattro uccelli: sembravano avvoltoi, per quanto io gli avvoltoi li abbia visti solo al cinematografo. Erano spaventati, e facevano dei versi terrificanti. Sembrava che cercassero di saltare giù dai pali, ma dovevano essere incatenati, perché non staccavano mai i piedi dagli appoggi. Sembrava anche che si sforzassero di prendere il volo, ma con quelle ali .... _ Come avevano le ali? _ Ali per modo di dire, con poche penne rade. Sembravano ... sembravano le ali dei polli arrosto, ecco. Le teste non si vedevano bene, perché le nostre finestre erano troppo in alto: ma non erano niente belle e facevano molta impressione. Assomigliavano alle teste delle mummie che si vedono nei musei. Ma poi arrivò subito l' infermiere, e tese delle coperte in modo che non si potesse guardare dentro. Il giorno dopo le finestre erano già state riparate. _ E poi? _ E poi più niente. I bombardamenti erano sempre più fitti, due, tre al giorno; la nostra casa crollò, tutti morirono salvo mio padre e io. Invece, come ho detto, la casa del numero 26 rimase in piedi; morì solo la vedova Spengler, ma in strada, sorpresa da un mitragliamento a bassa quota. _ Vennero i russi, venne la fine della guerra, e tutti avevano fame. Noi ci eravamo fatta una baracca là vicino, e io me la cavavo alla meglio. Una notte vedemmo molta gente che parlava in strada, davanti al 26. Poi uno aprì la porta, e tutti entrarono spingendosi uno coll' altro. Io allora dissi a mio padre: "vado a vedere cosa succede"; lui mi faceva il solito discorso, ma io avevo fame e andai. Quando arrivai su era già quasi finito. _ Finito che cosa? _ Gli avevano fatto la festa, con dei bastoni e dei coltelli, e li avevano già fatti a pezzi. Quello che era in testa a tutti doveva essere l' infermiere, mi è parso di riconoscerlo; e poi era lui che aveva le chiavi. Anzi, mi ricordo che a cose finite si prese la briga di richiudere tutte le porte, chissà perché: tanto dentro non c' era più niente. _ Che ne è stato del professore? _ chiese Hilbert. _ Non si sa con precisione, _ rispose il colonnello. _ Secondo la versione ufficiale, è morto, si è impiccato all' arrivo dei russi. Io però sono persuaso che non è vero: perché gli uomini come lui cedono solo davanti all' insuccesso, e lui invece, comunque si giudichi questa sporca faccenda, il successo lo ha avuto. Credo che, cercando bene, lo si troverebbe, e forse non tanto lontano; credo che del professor Leeb si risentirà parlare.

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Tuttavia siamo autorizzati a riferire che nel Mimete si ripete un procedimento genetico recentemente scoperto, e che il modello "è legato alla copia dallo stesso rapporto che lega il seme all' albero": mi auguro che per lei tutto questo abbia un senso, e la prego di scusare la riservatezza della mia Casa. Comprenderà: non tutti i particolari dell' apparecchio sono finora coperti da brevetto. Contro ogni sana norma commerciale, non mi riuscì di nascondere la mia ammirazione. Si trattava veramente di una tecnica rivoluzionaria; la sintesi organica a bassa temperatura e pressione, l' ordine dal disordine in silenzio, rapidamente e a buon mercato: il sogno di quattro generazioni di chimici. _ Non ci sono arrivati facilmente, sa: a quanto si racconta, i quaranta tecnici addetti al progetto Mimete, che avevano già risolto brillantemente il problema fondamentale, e cioè quello della sintesi orientata, non ottennero per due anni che copie speculari, intendo dire ribaltate, e perciò inservibili. La direzione della NATCA era già sul punto di mettere ugualmente in produzione l' apparecchio, che pure avrebbe dovuto essere azionato due volte per ogni duplicazione, con doppia spesa e doppio tempo; il primo esemplare a riproduzione diretta sarebbe stato realizzato per caso, grazie ad un provvidenziale errore di montaggio. _ Questa storia mi lascia perplesso, _ dissi io: non esiste invenzione per la quale non venga messa in circolazione la storiella del felice intervento del caso Probabilmente da parte dei concorrenti meno ingegnosi. _ Può essere, _ disse Simpson: _ ad ogni modo, molta strada resta ancora da fare. È bene che lei sappia già fin d' ora che il Mimete non è un duplicatore rapido: per un modello di un centinaio di grammi non occorre meno di un' ora. Esiste poi un' altra limitazione, in sé ovvia: non si possono riprodurre, o solo imperfettamente, modelli che contengano elementi non presenti nel pabulum di dotazione. Altri pabula speciali, più completi, sono già stati realizzati per esigenze particolari, ma pare si incontrino difficoltà con alcuni elementi, principalmente coi metalli pesanti. Ad esempio (e mi mostrò una deliziosa pagina di codice miniato), non è finora possibile riprodurre le dorature, che infatti mancano nella copia. Tanto meno è possibile riprodurre una moneta. A questo punto diedi un secondo balzo: ma questa volta non erano le mie viscere di chimico che reagivano, bensì quelle, coesistenti e strettamente commiste, dell' uomo pratico. Una moneta no, ma una banconota? o un francobollo raro? o, più decentemente e più elegantemente, un diamante? Forse che la legge punisce "i fabbricatori e gli spacciatori di diamanti falsi"? Forse che esistono diamanti falsi? Chi può vietarmi di infilare nel Mimete qualche grammo di atomi di carbonio, di riordinarli in onesto assetto tetraedrico, e di vendere il risultato? Nessuno: non la legge, e neppure la coscienza. In queste cose, l' essenziale è arrivare primi, poiché non v' è fantasia più solerte di quella degli uomini avidi di lucro. Così troncai ogni indugio, contrattai moderatamente il prezzo del Mimete (che d' altronde non era eccessivo), ottenni uno sconto del 5% e il pagamento a 120 giorni fine mese, ed ordinai l' apparecchio. Il Mimete, insieme con 50 libbre di pabulum, mi fu consegnato due mesi dopo. Natale era vicino; la mia famiglia era in montagna, ero rimasto solo in città, e mi dedicai intensamente allo studio e al lavoro. Per cominciare, mi lessi più volte con attenzione le istruzioni di impiego, fino a saperle quasi a memoria; poi presi il primo oggetto che mi cadde sottomano (era un comune dado da gioco) e mi accinsi a riprodurlo. Lo misi nella cella, portai l' apparecchio alla temperatura prescritta, aprii la valvolina tarata del pabulum, e mi posi in attesa. Si sentiva un leggero ronzio, e dal tubo di scarico della cella di riproduzione usciva un debole getto gassoso: aveva un curioso odore, simile a quello dei neonati poco puliti. Dopo un' ora, aprii la cella: conteneva un dado esattamente identico al modello, sia nella forma, sia nel colore, sia nel peso. Era tiepido, ma acquistò in breve la temperatura ambiente. Dal secondo ne feci un terzo, e dal terzo un quarto, senza difficoltà né intralci. Ero sempre più incuriosito del meccanismo intimo del Mimete, che Simpson non aveva saputo (o voluto?) spiegarmi con sufficiente precisione, e di cui nelle istruzioni non era fatto alcun cenno. Staccai il coperchio ermetico della cella B; vi praticai una finestrella col seghetto, vi adattai una lastrina di vetro, ben sigillata, e rimisi il coperchio a posto. Poi introdussi ancora una volta il dado nella cella A, ed attraverso il vetro osservai con attenzione quanto avveniva nella cella B durante la duplicazione. Avveniva qualcosa di estremamente interessante: il dado si formava gradualmente, a partire dal basso, per sottilissimi strati sovrapposti, come se crescesse dal fondo della cella. A metà della duplicazione, metà del dado era perfettamente formata, e si distingueva bene la sezione del legno, con tutte le sue venature. Sembrava lecito dedurre che, nella cella A, un qualche dispositivo analizzatore "esplorasse", per linee o per piani, il corpo da riprodurre, e trasmettesse alla cella B le istruzioni per la fissazione delle singole particelle, forse degli stessi atomi, ricavati dal pabulum. Ero soddisfatto della prova preliminare. Il giorno seguente comprai un piccolo brillante, e ne feci una riproduzione, che riuscì perfetta. Dai primi due ne feci altri due; dai quattro altri quattro, e così via in progressione geometrica finché la cella del Mimete non fu piena. A operazione finita, era impossibile riconoscere il brillante capostipite. In dodici ore di lavoro avevo ottenuto 212-1 pezzi, ossia 4095 nuovi brillanti: la spesa iniziale di impianto era ampiamente ammortizzata, e mi sentivo autorizzato a procedere ad altri esperimenti, più interessanti e meno interessati. Il giorno dopo duplicai senza difficoltà una zolletta di zucchero, un fazzoletto, un orario ferroviario, un mazzo di carte da gioco. Il terzo giorno provai con un uovo sodo: il guscio risultò sottile ed inconsistente (per carenza di calcio, suppongo), ma albume e tuorlo erano di aspetto e sapore in tutto normali. Ottenni poi una replica soddisfacente di un pacchetto di Nazionali; una scatola di svedesi era apparentemente perfetta, ma i fiammiferi non si accendevano. Una fotografia in bianco e nero diede una copia estremamente sbiadita, per mancanza di argento nel pabulum. Del mio orologio da polso non potei riprodurre che il cinghietto, e l' orologio stesso, da allora, risultò inservibile, per ragioni che non saprei spiegare. Il quarto giorno duplicai alcuni fagioli e piselli freschi e un bulbo di tulipano, dei quali mi ripromettevo di controllare il potere germinativo. Duplicai inoltre un etto di formaggio, una salsiccia, una pagnotta e una pera, e consumai il tutto per colazione senza percepire alcuna differenza dai rispettivi originali. Mi resi conto che era anche possibile riprodurre liquidi, predisponendo nella cella B un recipiente uguale o maggiori di quello che conteneva il modello nella cella A.. Il quinto giorno andai in soffitta, e cercai finché trovai un ragno vivo. Era certamente impossibile riprodurre con precisione oggetti in movimento: perciò tenni il ragno al freddo sul balcone finché fu intorpidito. Poi lo introdussi nel Mimete; dopo un' ora ne ottenni una replica impeccabile. Contrassegnai l' originale con una goccia d' inchiostro, misi i due gemelli in un vaso di vetro, poi questo sul termosifone, e mi posi in attesa. Dopo mezz' ora i due ragni iniziarono simultaneamente a muoversi, e subito presero a lottare. Erano di forza e abilità identiche, e lottarono per più di un' ora senza che alcuno dei due potesse prevalere. allora li separai in due scatole distinte: il giorno dopo entrambi avevano tessuto una tela circolare con quattordici raggi. Il sesto giorno smurai pietra per pietra il muretto del giardino, e trovai una lucertola in letargo. Il suo doppio era esteriormente normale, ma quando lo riportai a temperatura ambiente notai che si muoveva con grande difficoltà. Morì in poche ore, e potei constatare che il suo scheletro era assai debole: in specie le ossa lunghe delle zampette erano flessibili come la gomma. Il settimo giorno mi riposai. Telefonai al signor Simpson, e lo pregai di venire da me senza indugio: gli raccontai le esperienze che avevo eseguito (non quella dei diamanti, naturalmente), e, col tono e col viso più disinvolto che riuscii ad esibire, gli feci alcune domande e proposte. Qual era esattamente la posizione brevettuale del Mimete? Era possibile ottenere dalla NATCA un pabulum più completo? che contenesse, magari in piccola quantità, tutti gli elementi necessari per la vita? Era disponibile un Mimete più grosso, da 5 litri, capace di duplicare un gatto? o da 200 litri, capace di duplicare .... Vidi il signor Simpson impallidire. _ Signore, _ mi disse, _ io ... io non sono disposto a seguirla su questo terreno. Io vendo poeti automatici, macchine calcolatrici, confessori, traduttori e duplicatori, ma credo nell' anima immortale, credo di possederne una, e non la voglio perdere. E neppure voglio collaborare a crearne una con ... coi sistemi che lei ha in animo. Il Mimete è quello che è: una macchina ingegnosa per copiare documenti, e quello che lei mi propone è ... mi scusi, è una porcheria. Non ero preparato ad una reazione così impetuosa da parte del mite signor Simpson, e cercai di indurlo alla ragione: gli dimostrai che il Mimete era qualcosa, era molto di più che un duplicatore per ufficio, e che il fatto che i suoi stessi creatori non se ne rendessero conto poteva essere una fortuna per me e per lui. Insistetti sul duplice aspetto delle sue virtù: quello economico, di creatore d' ordine, e perciò di ricchezza, e quello, dirò così, prometeico, di strumento nuovo e raffinato per l' avanzamento delle nostre conoscenze sui meccanismi vitali. Alla fine accennai anche, velatamente, alla esperienza dei diamanti. Ma fu tutto inutile: il signor Simpson era molto turbato, e sembrava incapace di seguire il senso delle mie parole. In evidente contrasto con il suo interesse di venditore e di funzionario, mi disse che "erano tutte storie", che lui non credeva ad altro che alle notizie stampate sull' opuscolo di presentazione, che a lui non interessavano né le avventure del pensiero né gli affari d' oro, che in ogni modo lui voleva restare fuori di quella faccenda. Mi sembrò che volesse aggiungere altro; ma poi mi salutò seccamente e se ne andò. È sempre doloroso rompere un' amicizia: avevo ferma intenzione di riprendere contatto col signor Simpson, ed ero convinto che una base di accordo, o magari di collaborazione, si sarebbe potuta trovare. Dovevo telefonargli o scrivergli, certo; tuttavia, come purtroppo avviene nei periodi di lavoro intenso, rimandai di giorno in giorno fino ai primi di febbraio, quando trovai fra la mia corrispondenza una circolare della NATCA, accompagnata da un gelido biglietto dell' agenzia di Milano firmato dal signor Simpson in persona: "Si porta a conoscenza della S.V.I. la circolare NATCA che alleghiamo in copia e traduzione". Nessuno mi leva dal capo che sia stato lo stesso signor Simpson a provocarne la diffusione da parte della società, mosso dai suoi sciocchi scrupoli moralistici. Non ne riporto il testo, troppo lungo per queste note, ma la clausola essenziale suona così: "Il Mimete, e così pure tutti i duplicatori NATCA esistenti o a venire, sono prodotti e messi in commercio al solo scopo di riprodurre documenti di ufficio. Le agenzie sono autorizzate a venderli solo a Società commerciali o industriali legalmente costituite, e non a privati. In ogni caso, la vendita di tali modelli avrà luogo solo contro dichiarazione dell' acquirente, in cui egli si impegni a non servirsi dell' apparecchio per: riproduzione di carta moneta, assegni, cambiali, francobolli od altri analoghi oggetti corrispondenti ad un controvalore monetario definito; riproduzione di dipinti, disegni, incisioni, sculture od altre opere d' arte figurativa; riproduzione di piante, animali, esseri umani, sia viventi che defunti, o di parte di essi. La NATCA declina ogni responsabilità circa l' operato dei suoi clienti, o degli utenti a qualsiasi titolo dei suoi apparecchi, in contrasto con le dichiarazioni da essi sottoscritte". È mia opinione che queste limitazioni non gioveranno molto al successo commerciale del Mimete, e non mancherò di farlo osservare al signor Simpson se, come spero, avrò ancora occasione di incontrarlo. È incredibile come persone notoriamente accorte agiscano talora in modo contrario ai propri interessi.

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Nonostante l' apparenza, non si tratta di una scrittura alfabetica; o, per meglio dire (e qui non sapremmo fare meglio che citare il Losurdo medesimo), "è una forma di espressione insieme altamente complessa e primitiva, in cui si intrecciano, nello stesso mosaico e talora nello stesso verso, la scrittura alfabetica con la acrofonetica, l' ideografica con la sillabica, senza regolarità apparente, come se vi si ripercuotesse in forma compendiaria e confusa l' antichissima dimestichezza del parassita con la cultura del suo ospite nelle sue varie forme; quasi che il verme abbia attinto, insieme coi succhi dell' organismo dell' uomo, anche una parcella della sua scienza". Non molti mosaici sono stati decifrati finora dal Losurdo e dai suoi collaboratori. Ve ne sono di rudimentali e frammentari, scarsamente articolati, che il Losurdo chiama "interiettivi". Sono i più difficili da interpretare, ed esprimono per lo più soddisfazione per la qualità o la quantità dell' alimento, o disgusto per qualche componente del chimo meno gradito. Altri si riducono ad una breve frase sentenziosa. Il seguente, già più complesso ma di lezione dubbia, viene inteso come il lamento di un individuo in stato di sofferenza, che si sente prossimo alla espulsione: "Addio, dolce riposo e dolce dimora. Non più dolce per me, poiché il mio tempo è giunto. Ho tanta stanchezza sulle (...): deh, lasciatemi così, dimenticato in un angolo, in questo calore buono. Ma ecco, è veleno ciò che era alimento, ove era pace è collera. Non indugiare, poiché non sei più gradito: distacca i (...) e discendi nell' universo nemico". Alcuni mosaici sembrano alludere al processo riproduttivo, ed ai misteriosi amori ermafroditi del verme: "Tu io. Chi ci separerà, poiché siamo una carne? Tu io. Mi specchio in te e vedo me stesso. Uno e molteplice: ogni mio membro è ordine e gioia. Uno e molteplice: la luce è morte, la tenebra è immortale. Vieni, sposo contiguo, stringiti a me quando l' ora suona. Vengo, ed ogni mio (...) canta al cielo". "Ho rotto la (membrana?) ed ho sognato il sole e la luna. Mi sono attorto a me stesso, e mi ha accolto il firmamento. Vuoto il passato, la virtù di un istante, la progenie innumerevole". Ma di gran lunga più interessanti sono alcuni mosaici di livello palesemente più elevato, in cui viene adombrato l' orizzonte nuovo e conturbante dei rapporti affettivi fra il parassita e l' ospite. Ne citiamo alcuni fra i più significativi. "Siimi benigno, o potente, e ricordati di me nel tuo sonno. Il tuo cibo è il mio cibo, la tua fame è la mia fame: rifiuta, deh, l' acre aglio e la detestabile (cannella?) Tutto procede da te: i soavi umori che mi dànno vita, ed il tepore in cui giaccio e lodo il mondo. Possa io mai perderti, o mio ospite generoso, o mio universo. Quale per te l' aria che attingi e la luce che godi, tale sei tu per me. Viva tu a lungo in salute". "Parla, e ti ascolto. Vai, e ti seguo. Medita, e ti intendo. Chi più fedele di me? Chi meglio di me ti conosce? Ecco, io mi giaccio fiducioso nei tuoi visceri oscuri, e irrido alla luce del giorno. Udite: tutto è vano, fuorché un ventre pieno. Tutto è mistero, fuorché il (...)" "La tua forza mi penetra, la tua gioia discende in me, la tua collera mi (increspa?), la tua fatica mi mortifica, il tuo vino mi esalta. T' amo, uomo sacro. Perdona le mie colpe, e non distogliere da me la tua benevolenza". Il motivo della colpa, che qui è appena accennato, affiora invece con curiosa insistenza in alcuni fra i mosaici più evoluti. È notevole, afferma il Losurdo, che questi ultimi appartengano quasi esclusivamente ad individui di dimensioni ed età ragguardevoli, che avevano resistito tenacemente ad una o più terapie espulsive. Ne citiamo l' esempio più noto, che ha ormai varcato i limiti della letteratura scientifica specializzata ed è stato accolto in una recente antologia di letteratura straniera, suscitando l' interesse critico di un pubblico ben più vasto. "... ti dovrò dunque chiamare ingrato? No, poiché ho trasceso, e pazzamente mi sono indotto a infrangere i limiti che Natura ci ha imposti. Per vie recondite e mirabili ero giunto a te; per anni, in religiosa adorazione, avevo attinto alle tue fonti vita e sapienza. Non dovevo rendermi palese: questo il nostro triste destino. Palese ed infesto: di qui la tua collera giusta, o signore. Ohimè, perché non ho desistito? Perché ho rifiutato la savia inerzia dei miei avi? "Ma ecco: come giusto il tuo sdegno, così giusta era la mia pur empia audacia. Chi non lo sapeva? Le nostre parole silenziose non trovano ascolto presso di voi, semidei superbi. Noi, popolo senz' occhi né orecchie, non troviamo grazia presso di voi. "Ed ora me ne andrò, perché lo vuoi. Andrò in silenzio, secondo il nostro costume, incontro al mio destino di morte o di trasfigurazione immonda. Non chiedo che un dono: che questo mio messaggio ti raggiunga, e venga da te meditato e inteso. Da te, uomo ipocrita, mio simile e mio fratello". Il testo è indubbiamente notevole, con qualsiasi criterio lo si giudichi. A titolo di pura curiosità, dobbiamo riferire che il desiderio estremo dell' autore è andato vano. Infatti il suo ospite involontario, un oscuro impiegato di banca di Dampier (Illinois), rifiutò recisamente di prenderne visione.

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Era molto fiero di questa sua trovata, e sospetto che abbia scelto la Spagna proprio perché il controllo dei documenti, alla frontiera spagnola, è piuttosto severo. Quando ritornarono, dopo due mesi, i nodi stavano venendo al pettine. Chiunque se ne sarebbe accorto: i rapporti fra i tre si mantenevano su un livello di urbanità e di cortesia formale, ma la tensione era evidente. Gilberto non mi invitò a casa sua: venne da me, e non era più euforico affatto. Mi narrò quanto era successo. Me lo narrò in modo assai maldestro, poiché Gilberto, che possiede un innegabile talento per scarabocchiarti sul pacchetto delle sigarette lo schema di un differenziale, è invece disperatamente inetto ad esprimere i propri sentimenti. Il viaggio in Spagna era stato ad un tempo divertente e faticoso. A Siviglia, dopo una giornata dal programma sovraccarico, una discussione era sorta, in un clima di irritazione e di stanchezza. Era sorta fra le due donne, sull' unico argomento su cui le loro opinioni potevano divergere, ed in effetti divergevano. Era stata opportuna o no, lecita o illecita, l' impresa di Gilberto? Emma-II aveva detto di sì; Emma-I non aveva detto nulla. Era bastato questo silenzio a dare il tracollo alla bilancia: da quell' istante la scelta di Gilberto era stata fatta. Provava davanti ad Emma-I un imbarazzo crescente, un senso di colpa che si aggravava di giorno in giorno: parallelamente, andava aumentando il suo affetto per la moglie nuova, e divorava a misura il suo affetto per la moglie legittima. La rottura non era ancora avvenuta, ma Gilberto sentiva che non avrebbe potuto tardare. Anche l' umore ed il carattere delle due donne si stavano differenziando. Emma-II diventava sempre più giovane, attenta, reattiva, aperta; Emma-I si andava chiudendo in un atteggiamento negativo, di rinuncia offesa, di rifiuto. Che fare? Raccomandai a Gilberto di non prendere iniziative inconsulte, e gli promisi, come è consuetudine, che mi sarei occupato del suo caso; ma, nel mio intimo, ero ben deciso a stare alla larga da quel malinconico imbroglio, e non potevo reprimere un senso di soddisfazione maligna e triste davanti alla mia facile profezia che si era avverata. Non mi sarei mai aspettato di vedermi piovere in ufficio, un mese dopo, un Gilberto radioso. Era nella sua miglior forma, loquace, rumoroso, visibilmente ingrassato. Entrò in argomento senza ambagi, con l' egocentrismo che gli è caratteristico: per Gilberto, quando va bene per lui, va bene per il mondo intero; è organicamente incapace di occuparsi del suo prossimo, ed è invece offeso e stupito quando il suo prossimo non si occupa di lui. _ Gilberto è un asso, _ disse: _ Ha sistemato tutto in un batter d' occhio. _ Me ne compiaccio, e ti elogio per la tua modestia; d' altra parte era ora che tu mettessi testa a partito. _ No, guarda: non mi hai capito. Non ti sto parlando di me: parlo di Gilberto__I. È lui che è stato un asso. Io, modestamente, gli somiglio parecchio, ma in questa faccenda non ho molti meriti: esisto da domenica scorsa solamente. Adesso è tutto a posto: non mi resta che definire con l' anagrafe la posizione di Emma-II e la mia; non è escluso che dovremo fare qualche piccolo trucco, ad esempio sposarci, io ed Emma-II, salvo poi smistarci ciascuno col coniuge che gli pare. E poi, naturalmente, bisognerà che io mi cerchi un lavoro: ma sono convinto che la NATCA mi accetterebbe volentieri come propagandista per il Mimete e le altre sue macchine per ufficio.

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. _ Quarant' anni, _ rispose con pazienza: _ sono quarant' anni che lavoro qui dentro, e vuole che non abbia imparato proprio niente? A lavorare senza imparare non c' è soddisfazione. E poi, con tutto il parlare che si è fatto dopo ... è venuto perfino sui giornali, non li ha letti? _ Non quelli di quel periodo, _ disse Dessauer. _ Non che spiegassero le cose bene, sa come sono i giornalisti: ma insomma, per un po' di tempo tutta la città non ha parlato che di spirani, come quando ci sono i processi dei veleni. Non si sentiva altro, anche sui treni, nei rifugi antiaerei, e perfino gli scolari sapevano dei nuclei benzenici condensati e non complanari, del carbonio spiranico asimmetrico, del benzoile in para e dell' attività versaminica. Perché adesso lo avrà capito, non è vero? È stato Kleber stesso a chiamarle versamine: quelle sostanze che convertono il dolore in piacere. Il benzoile c' entrava niente, o molto poco: quello che contava era proprio il nucleo fatto in quel certo modo, quasi come i piani di coda di un aereo. Se sale su al secondo piano, nello studio del povero Kleber, vedrà i modelli spaziali che faceva lui stesso, con le sue mani. _ Avevano effetto permanente? _ No: durava solo qualche giorno. _ Peccato, _ scappò detto a Dessauer. Stava ascoltando con attenzione, ma insieme non riusciva a distogliere lo sguardo dalla nebbia e dalla pioggia fuori dai vetri, né ad interrompere un suo filo di pensiero: la sua città come l' aveva ritrovata, quasi intatta negli edifici ma sconvolta intimamente, lavorata dal di sotto come un' isola di ghiaccio galleggiante, piena di falsa gioia di vivere, sensuale senza passione, chiassosa senza gaiezza, scettica, inerte, perduta. La capitale della nevrosi: solo in questo nuova, per il resto decrepita, anzi, senza tempo, pietrificata come Gomorra. Il teatro più adatto per la storia contorta che il vecchio andava dipanando. _ Peccato? Aspetti la fine. Non capisce che era una cosa grossa? Lei deve sapere che quel b-41 non era che un primo abbozzo, un preparato dagli effetti deboli, incostanti. Kleber si accorse subito che con certi gruppi sostituenti, neanche poi tanto fuori mano, si poteva fare molto di più: un poco come la faccenda della bomba di Hiroscima e delle altre che vennero dopo. Non a caso, vede, non a caso: questi credono di liberare l' umanità dal dolore, quelli di regalarle l' energia gratis, e non sanno che niente è gratis, mai: tutto si paga. Ad ogni modo: aveva trovato il filone. Io lavoravo con lui, mi aveva affidato tutto il lavoro sugli animali: lui invece continuava con le sintesi, ne portava avanti tre o quattro insieme. In aprile preparò un composto molto più attivo di tutti gli altri, il numero 160, quello che poi diventò la versamina DN, e me lo passò per le prove. La dose era bassa, non più di mezzo grammo. Tutti gli animali reagivano, ma non in misura uguale: alcuni mostravano solo qualche anomalia di comportamento, del tipo di quelle che le ho detto prima, e ritornavano normali in pochi giorni, ma altri sembravano, come dire? capovolti, e non guarivano più, come se per loro il piacere e il dolore avessero cambiato posto definitivamente: questi morivano tutti. _ A guardarli, era una cosa orribile e affascinante. Ricordo un cane lupo, per esempio, che volevamo conservare in vita a tutti i costi, suo malgrado, perché sembrava che non avesse altra volontà se non quella di distruggersi. Si azzannava le zampe e la coda con ferocia insensata, e quando gli misi la museruola si mordeva la lingua. Dovetti mettergli in bocca un tampone di gomma, e lo alimentavo con iniezioni: allora lui imparò a correre nella gabbia, e a picchiare contro le sbarre con tutta la forza che aveva. Prima picchiava a caso, con la testa, con le spalle, ma poi vide che era meglio picchiare col naso, e ogni volta uggiolava di piacere. Dovetti legargli anche le zampe, ma non si lamentava, anzi, scodinzolava tranquillo tutto il giorno e tutta la notte, perché non dormiva più. Aveva ricevuto un solo decigrammo di versamina, in una sola dose, ma non guarì più: Kleber provò su di lui una dozzina di supposti antidoti (aveva una sua teoria, diceva che avrebbero dovuto servire per non so che sintesi protettiva), ma nessuno ebbe effetto, e il tredicesimo lo uccise. _ Poi ho avuto per le mani un bastardo, avrà avuto un anno, una bestiola a cui mi sono subito affezionato. Sembrava mansueto, così lo tenevamo libero per il giardino molte ore al giorno. Anche a lui avevamo somministrato un decigrammo, ma a piccole dosi, nel corso di un mese: quello sopravvisse più a lungo, poveretto; però non era più un cane. Non c' era più niente di canino in lui: non gli piaceva più la carne, raspava con gli unghioli terra e sassi e li inghiottiva. Mangiava l' insalata, la paglia, il fieno, la carta di giornale. Aveva paura delle cagnette, e invece faceva la corte alle galline e alle gatte: anzi, una gatta se ne ebbe a male, gli saltò agli occhi e cominciò a graffiarlo, e lui lasciava fare, e agitava la coda sdraiato sulla schiena. Se non fossi arrivato in tempo, quella gli avrebbe cavato gli occhi. Più faceva caldo, e più dovevo penare per farlo bere: davanti a me faceva mostra di bere, ma si vedeva benissimo che l' acqua gli ripugnava; invece una volta scappò di nascosto nel laboratorio, trovò una bacinella di soluzione isotonica e se la bevve tutta. Quando invece era sazio d' acqua (gliela introducevo con una sonda), allora avrebbe continuato a bere fino a scoppiare. _ Ululava al sole, guaiva alla luna, scodinzolava per ore davanti allo sterilizzatore e al mulino a martelli, e quando lo portavo a spasso ringhiava a tutte le cantonate e agli alberi. Era un controcane, insomma: le assicuro che il suo comportamento era sinistro quanto bastava per mettere sull' avviso chiunque avesse conservato sano anche solo un quarto di cervello. Noti: non si era abbrutito come l' altro, il cane lupo. Secondo me aveva capito come un uomo, sapeva che quando si ha sete bisogna bere, e che un cane deve mangiare carne e non fieno, ma l' errore, la perversione erano più forti di lui. Davanti a me fingeva, si sforzava di fare le cose giuste, non solo per farmi piacere e perché io non mi arrabbiassi, ma anche, credo, perché sapeva, continuava a sapere quello che era giusto. Ma morì ugualmente. Lo attirava il fracasso dei tram, e fu così che morì: a un tratto mi strappò il guinzaglio di mano e corse contro un tram a testa bassa. Pochi giorni prima lo avevo sorpreso mentre leccava la stufa: era accesa, sì, quasi rovente. Quando mi vide, si accucciò con le orecchie basse e la coda fra le gambe, come se aspettasse una punizione. _ Con le cavie e coi topi capitava su per giù lo stesso. Anzi, non so se lei ha letto di quei topi in America, di cui hanno parlato i giornali: avevano collegato uno stimolo elettrico ai centri cerebrali del piacere, e loro imparavano ad eccitarseli, e insistevano fino a morirne. Creda a me, si trattava delle versamine: è un effetto che si ottiene con facilità irrisoria, e con poca spesa. Perché, forse non l' avevo ancora detto, sono sostanze poco costose: non più di qualche scellino al grammo, e un grammo basta per rovinare un uomo. _ A questo punto della faccenda, a me pareva che ce ne fosse abbastanza per andare cauti: glielo dissi, anche, a Kleber; in fondo ero il più anziano e potevo permettermelo, anche se ero meno istruito di lui, e se avevo visto tutta la storia solo dalla parte dei cani. Lui mi rispose di sì, naturalmente; ma poi non resistette e ne parlò in giro. Anzi, fece peggio: fece un contratto con la OPG, e cominciò a drogarsi. _ Come può immaginare, sono stato io il primo che se ne sia accorto. Lui faceva ogni sforzo per tenerlo nascosto, ma io vidi subito come correva la lepre. Sa da che cosa me ne accorsi? Due cose, smise di fumare e si grattava: scusi se parlo così, ma le cose bisogna chiamarle col loro nome. Veramente, davanti a me continuava a fumare, ma io vedevo bene che non aspirava più il fumo, e non lo guardava quando lo soffiava via; e poi, i mozziconi che lasciava nel suo studio erano sempre più lunghi, si vedeva che accendeva, tirava una boccata così per abitudine, e li gettava via subito. Quanto poi al grattarsi, lo faceva solo quando non si sentiva osservato, o quando si distraeva; ma allora si grattava in un modo feroce, come un cane, appunto, come se volesse scavarsi. Insisteva sui posti dove era già irritato, e presto ebbe cicatrici sulle mani e sul viso. Non saprei dirle del resto della sua vita, perché viveva solo e non parlava con nessuno, ma credo che non sia un caso se proprio in quel periodo una ragazza che telefonava spesso cercando di lui, e qualche volta lo aspettava davanti all' Istituto, non si fece più vedere. _ Quanto alla combinazione con la OPG, si vide subito che era una cosa nata male. Non credo che gli abbiano dato molto: fecero un lancio commerciale in sordina, abbastanza maldestro, presentando la versamina DN come un nuovo analgesico, senza parlare dell' altro aspetto della faccenda. Ma qualcosa deve essere trapelato: trapelato di qui dentro, e poiché io non ne ho parlato, mi pare che sia chiaro a tutti chi è stato a parlare. Sta di fatto che il nuovo analgesico è stato incettato in un momento, e che poco dopo la polizia ha trovato, qui in città, un club di studenti dove pare si facessero orge di un genere mai visto prima. La notizia è venuta fuori sul "Kurier", ma senza i particolari; io li so, i particolari, ma glieli risparmio, perché è roba da Medioevo; le basti sapere che sono state sequestrate centinaia di bustine di aghi, e poi delle tenaglie e dei bracieri per arroventarle. Allora la guerra era appena finita, c' era l' occupazione, e tutto fu messo a tacere: anche perché pare che in quell' imbroglio fosse coinvolta la figlia del ministro T.. _ Ma che ne è stato di Kleber? _ chiese Dessauer. _ Aspetti, ora ci arrivo. Volevo solo raccontarle ancora una cosa, che ho saputo proprio da Hagen, quello dell' acquavite, che allora era capoufficio al ministero degli Esteri. La OPG ha rivenduto la licenza delle versamine alla marina americana, guadagnandoci sopra non so quanti milioni (perché le cose, a questo mondo, vanno così), e la marina ha tentato una applicazione militare. In Corea, uno dei reparti da sbarco era versaminizzato: si pensava che avrebbero dimostrato chissà quale coraggio e sprezzo del pericolo, invece fu una cosa spaventosa; sprezzo del pericolo ne avevano da vendere, ma pare che davanti al nemico si siano comportati in un modo abietto e assurdo, e che per di più si siano fatti ammazzare tutti quanti. _ Lei mi chiedeva di Kleber. Mi pare di averle raccontato quanto basta per farle intuire che gli anni che seguirono non furono molto allegri per lui. Io l' ho seguito giorno per giorno, e ho sempre cercato di salvarlo, ma non mi è mai riuscito di parlare con lui da uomo a uomo: mi evitava, aveva vergogna. Dimagriva, si consumava come uno che avesse il cancro. Si vedeva che cercava di resistere, di tenere per sé solo il buono, quella valanga di sensazioni gradevoli, magari anche deliziose, che le versamine procurano con facilità, e gratis. Gratis solo in apparenza, si capisce, ma l' illusione deve essere irresistibile. Così si sforzava di mangiare, benché avesse perso ogni amore per il cibo; dormire non poteva più, ma aveva conservato le sue abitudini di uomo metodico. Ogni mattina arrivava puntuale, alle otto esatte, e si metteva al lavoro, ma gli si leggevano in faccia i segni della lotta che doveva sostenere per non lasciarsi tradire dal bombardamento di messaggi falsi che gli pervenivano da tutti i suoi sensi. _ Non so dirle se continuasse a prendere versamine per debolezza, o per ostinazione, o se invece avesse smesso, e gli effetti si fossero cronicizzati; sta di fatto che nell' inverno del '52, che era molto rigido, lo sorpresi qui, proprio in questa camera: si faceva vento col giornale, e si stava togliendo la maglia mentre io entravo. Sbagliava anche a parlare, a volte diceva "amaro" invece di "dolce", "freddo" per "caldo"; il più delle volte si correggeva in tempo, ma a me non sfuggivano la sua esitazione davanti a certe scelte, e una certa sua occhiata insieme irritata e colpevole quando si accorgeva che io me ne accorgevo. Una occhiata che mi faceva male: mi ricordava quell' altro, il suo predecessore, il cane bastardo, che si accucciava con le orecchie basse quando io lo sorprendevo a fare le cose al contrario. _ Come è finito? Guardi, se stiamo ai fatti di cronaca è morto in un incidente stradale, qui in città, in auto, in una notte d' estate. Non si è fermato a un semaforo: così diceva il verbale della polizia. Io avrei potuto aiutarli a capire, spiegargli che per un uomo nelle sue condizioni non doveva essere tanto facile distinguere il rosso dal verde. Ma mi è sembrato più caritatevole stare zitto: a lei queste cose le ho raccontate perché eravate amici. Devo aggiungere che, fra tante cose sbagliate, Kleber ne ha fatta una giusta: poco prima di morire ha distrutto tutto il dossier delle versamine, e tutti i preparati su cui ha potuto mettere le mani. Qui il vecchio Dybowski tacque, e anche Dessauer non aggiunse parola. Pensava a molte cose confuse insieme, e si riprometteva di smistarle poi, con calma, magari quella sera stessa: aveva un appuntamento, ma lo avrebbe rimandato. Pensava una cosa che non aveva pensata da molto tempo, poiché aveva sofferto assai: che il dolore non si può togliere, non si deve, perché è il nostro guardiano. Spesso è un guardiano sciocco, perché è inflessibile, è fedele alla sua consegna con ostinazione maniaca, e non si stanca mai, mentre tutte le altre sensazioni si stancano, si logorano, specialmente quelle piacevoli. Ma non si può sopprimerlo, farlo tacere, perché è tutt' uno con la vita, ne è il custode. Pensava anche, contraddittoriamente, che se avesse avuto in mano il farmaco lo avrebbe provato; perché, se il dolore è il guardiano della vita, il piacere ne è lo scopo e il premio. Pensava che preparare un po' di 4-4- diamminospirano non sarebbe poi stato tanto difficile; pensava che, se le versamine sanno convertire in gioia anche i dolori più pesanti e più lunghi, il dolore di un' assenza, di un vuoto intorno a te, il dolore di un fallimento non riparabile, il dolore di sentirti finito, ebbene, allora perché no? Ma, per una di quelle associazioni di cui la memoria è generosa, pensava ancora a una brughiera in Scozia, mai vista ma meglio che vista; a una brughiera piena di pioggia, lampi e vento, e al canto gaio-maligno di tre streghe barbute, esperte in dolori e in piaceri e nel corrompere la volontà umana:

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Sa, sono cose di altri tempi, è passato un secolo e mezzo ... si può considerare un miracolo, che con tutte le sommosse, blocchi, occupazioni, repressioni e saccheggi che sono passati su Berlino, Patricia abbia potuto essere trasmessa di padre in figlio, indisturbata, senza mai lasciare la nostra casa. Rappresenta, in certo modo, la continuità familiare: è ... è un simbolo, ecco. BALDUR ... ma in che modo .... PETER ... in che modo Patricia è entrata a far parte della nostra famiglia? Ebbene, per quanto strano le possa sembrare, su questo punto nulla è stato trovato di scritto, e non sopravvive che una tradizione verbale che Patricia rifiuta sia di confermare, sia di smentire. Pare che, all' inizio dell' esperienza, Patricia alloggiasse presso l' Università, e precisamente nella cella frigorifera dell' Istituto di anatomia, e che intorno al 2000 abbia avuto un violento diverbio con il corpo accademico. Si dice che, appunto, questa situazione non le fosse gradita, perché priva di intimità, e perché le seccava di stare gomito a gomito con i cadaveri destinati alle dissezioni. Pare che in uno dei risvegli abbia dichiarato formalmente che, o la sistemavano in un frigo privato, o sarebbe ricorsa alla magistratura; e che il mio avo che prima ho nominato, a quel tempo decano della facoltà, per risolvere la questione si sia generosamente offerto di ospitarla. ILSE Che strana donna! Ma, mi scusi, non ne ha ancora abbastanza? Chi la obbliga? Non deve poi essere tanto divertente stare in letargo per tutto l' anno, e svegliarsi solo per uno o due giorni, e non quando uno vuole, ma quando lo vuole qualcun altro. Io mi annoierei a morte. PETER Lei è in errore, Ilse. Anzi, non c' è mai stata una esistenza più intensa di quella di Patricia. La sua vita è concentrata: non contiene che l' essenziale, non contiene nulla che non meriti di essere vissuto. Quanto al tempo trascorso in frigo, passa per noi, non per lei. In lei non lascia traccia, né nella memoria, né nei tessuti. Non invecchia; invecchia solo nelle ore di veglia. Dal primo compleanno in frigo che è stato il suo 24ä, ad oggi, in 140 anni, è invecchiata di un anno scarso. Dall' anno scorso ad oggi, per lei sono passate una trentina di ore. BALDUR Tre o quattro per il compleanno, e poi? PETER E poi, vediamo ... (calcola mentalmente) altre sei o sette per il dentista, per la prova di un abito, per uscire con Lotte a comperarsi un paio di scarpe .... ILSE È giusto. Bisogna pure che si tenga al corrente con la moda. PETER ... e siamo a dieci. Sei ore per la prima del Tristano all' Opera, e siamo a sedici. Altre sei per due visite mediche generali .... ILSE Come, è stata ammalata? Si capisce, gli sbalzi di temperatura non fanno bene a nessuno. Si ha un bel dire che ci si abitua! PETER No, no, sta benissimo di salute. Sono i fisiologi del Centro Studi: regolari come gli esattori delle tasse, due volte all' anno piombano qui con tutto il loro armamentario, la scongelano, la rigirano da tutte le parti, radioscopie, test psicologici, elettrocardiogrammi, esami del sangue ... poi se ne vanno, e chi s' è visto s' è visto. Segreto professionale: non trapela una parola. BALDUR Ma allora non è per interesse scientifico che loro se la tengono in casa? PETER (con imbarazzo) No ... non soltanto. Sa, io mi occupo di tutt' altro .... Sono tagliato fuori dall' ambiente accademico; il fatto è che ci siamo affezionati a Patricia. E lei si è affezionata a noi: come una figlia. Non ci lascerebbe a nessun costo. BALDUR Ma allora, perché gli intervalli di veglia sono così rari e brevi? PETER Questo è chiaro: Patricia si propone di arrivare in piena giovinezza il più avanti possibile nei secoli; perciò deve fare economia. Ma avrà modo di ascoltare da lei stessa queste cose ed altre ancora: ecco, siamo arrivati a 35ä, sta aprendo gli occhi. Presto cara, apri il portello e taglia l' involucro; ha cominciato a respirare. Scatto e cigolio del portello; rumore di forbici o di tagliacarte. BALDUR Quale involucro? PETER Un involucro di polietilene, ermetico, molto aderente. Serve a ridurre le perdite per evaporazione. Il metronomo, che come rumore di fondo si è sentito in tutte le pause, batte sempre più forte, poi si arresta di colpo. Suona tre volte una "cicala", molto distintamente. Silenzio completo per qualche secondo. MARGARETA (dall' altra camera) Mamma! Si è già svegliata la zia Patricia? Che cosa mi ha portato quest' anno? LOTTE Che cosa vuoi che ti abbia portato? Il solito cubetto di ghiaccio! Del resto è il suo compleanno, mica il tuo. Stai zitta, adesso. Dormi, che è tardi. Silenzio di nuovo. Si sente un sospiro, uno sbadiglio abbastanza sgangherato, uno sternuto. Poi, senza transizione, Patricia comincia a parlare. PATRICIA (voce manierata, strascicata, nasale) Buonasera. Buongiorno. Che ora è? Quanta gente! Che giorno è oggi? Che anno? PETER Il 19 dicembre del 2115. Non ricordi? È il tuo compleanno. Tanti auguri, Patricia! TUTTI Tanti auguri, Patricia! Voci di tutti, confuse. Si sentono frammenti di frasi: _ Come è graziosa! _ Signorina, perdoni, vorrei farle alcune domande .... _ Dopo, dopo! Chissà come è stanca! _ Sogna, mentre è in frigo? Che sogni fa? _ Vorrei chiederle un giudizio sulla .... ILSE Chissà se avrà conosciuto Napoleone e Hitler? BALDUR Ma no, cosa dici, erano due secoli prima! LOTTE (interrompe con decisione) Permesso, prego. Lasciatemi passare, bisogna pure che ci sia qualcuno che pensa alle cose pratiche. Patricia avrà forse bisogno di qualcosa, (a Patricia) una tazza di tè caldo? o forse gradisci qualcosa di più nutriente? una piccola bistecca? Hai bisogno di cambiarti, di rinfrescarti un poco? PATRICIA Tè, grazie. Come sei cara, Lotte! No, non mi occorre altro, per ora; sai bene, lo scongelamento mi lascia sempre lo stomaco un po' sconvolto, per la bistecca vediamo poi più tardi. Ma piccola, sai .... Oh, Peter! come stai? come va la tua sciatica? Che novità ci sono? È finita la conferenza al vertice? Ha già cominciato a fare freddo? Oh, io detesto l' inverno, vado tanto soggetta ai raffreddori .... E tu Lotte? ti vedo in ottima salute, perfino un po' ingrassata, forse .... MARIA ... Eh già, gli anni passano per tutti .... BALDUR Passano per quasi tutti. Mi permetta, Peter, ho tanto sentito parlare di Patricia, ho tanto atteso questo incontro, che ora vorrei .... (A Patricia) Signorina, perdoni il mio ardire, ma so che il suo tempo è misurato, vorrei che mi descrivesse il nostro mondo visto con i suoi occhi, che mi parlasse del suo passato, del suo secolo a cui tanto dobbiamo, delle sue intenzioni per il futuro, che .... PATRICIA (con sufficienza) Non c' è niente di straordinario sa, ci si abitua subito. Vede qui ad esempio il signor Tho5rl, sulla cinquantina, (malignamente) i capelli in fuga, un po' di pancetta, un po' di dolorini ogni tanto? Ebbene, due mesi fa per me aveva vent' anni, scriveva poesie, e stava per partire volontario cogli Ulani. Tre mesi fa ne aveva dieci e mi chiamava zia Patricia, e piangeva quando mi congelavano, e voleva venire in frigo con me. Non è vero, caro? Oh, mille scuse. E cinque mesi fa, non solo non era nato, ma non era neppure lontanamente in programma; c' era suo padre, il colonnello, ma io parlo di quando era solo tenente, era nella Quarta Legione Mercenari, e ad ogni disgelo aveva un nastrino di più e qualche capello di meno. Mi faceva la corte, in quel modo buffo che usava allora: per otto disgeli, mi fece la corte ... si direbbe che i Tho5rl ce l' abbiano nel sangue, in questo, posso dirlo, si rassomigliano tutti. Non hanno ... come dire? non hanno un' idea molto seria del rapporto di tutela ... (la voce di Patricia prosegue in dissolvenza) pensi che perfino il Capostipite, il Patriarca .... Subentra nitida e vicina la voce di Lotte, rivolta al pubblico. LOTTE Avete sentito? ecco, così è fatta, quella ragazza. Non ha ... non ha ritegno. È vero che io sono ingrassata: non sto in frigo, io. Lei no, lei non ingrassa, lei è eterna, incorruttibile, come l' amianto, come il diamante, come l' oro. Ma le piacciono gli uomini, ed in specie i mariti altrui. È una smorfiosa eterna, una civetta incorruttibile. Mi appello a voi, signori: non ho ragione di non poterla soffrire? (Sospiro) ... e lei piace agli uomini, alla sua venerabile età: questo è il peggio. Sapete bene come sono gli uomini, Tho5rl o non Tho5rl, e gli intellettuali più degli altri: due sospiri, due occhiate in quel certo modo, due ricordi di infanzia, e la trappola scatta. Alla lunga, poi, chi si trova nei guai è lei, si capisce, che dopo un mese o due si trova tra i piedi dei cascamorti un po' stagionati .... No, non crediate che io sia così cieca o così sciocca: mi sono accorta anch' io che, questa volta, con mio marito, ha cambiato tono, si è fatta mordace, tagliente. Si capisce: c' è un altro uomo all' orizzonte. Ma voi non avete assistito a quegli altri risvegli. Era roba da scorticarla! E poi, e poi ... non sono mai riuscita ad avere delle prove, a coglierli sul fatto, ma siete proprio sicuri, voi, che tra il "tutore" e la ragazza tutto si sia sempre svolto alla luce del sole? In altre parole, (con forza) che tutti gli scongelamenti siano stati regolarmente registrati sul libretto personale? Io no. Io non ne sono sicura. (Pausa. Conversazione confusa con rumore di fondo). Ma questa volta c' è del nuovo, l' avrete notato anche voi. È semplice: c' è un altro uomo all' orizzonte, un uomo più giovane. Le piace la carne fresca alla giovinetta! Sentitela: non è una che sa quello che vuole? (Voci). Oh, non credevo che si fosse già a questo punto. Dalle voci di fondo emergono le voci di Baldur e di Patricia. BALDUR ... un' impressione quale non ho mai provato. Non avrei mai creduto possibile trovare riunito in una persona sola il fascino dell' eternità e quello della giovinezza. Mi sento davanti a lei come davanti alle Piramidi, eppure lei è così giovane e così bella! PATRICIA Sì, signore ... Baldur, si chiama lei, non è vero? Sì, Baldur. Ma tre sono i miei doni, non due. L' eternità, la giovinezza e la solitudine. E quest' ultima è il prezzo che paga chi osa quanto io ho osato. BALDUR Ma quale mirabile esperienza! Passare a volo dove gli altri strisciano, poter comparare di persona costumi, eventi, eroi a distanza di decenni, di secoli! Quale storico non proverebbe invidia? ed io, che della storia mi proclamavo cultore! (Con slancio improvviso) Mi faccia leggere il suo diario. PATRICIA Come sa .... Voglio dire, cosa le fa pensare che io tenga un diario? BALDUR Dunque lo tiene! Ho indovinato! PATRICIA Sì, lo tengo. Fa parte del programma, ma nessuno lo sa, neppure Tho5rl. E nessuno può leggerlo: è in cifra, anche questo fa parte del programma. BALDUR Se nessuno può leggerlo, a cosa serve? PATRICIA Serve a me. Mi servirà dopo. BALDUR Dopo cosa? PATRICIA Dopo. Quando sarò arrivata. Allora conto di pubblicarlo: penso che non avrò difficoltà a trovare un editore, perché è un diario intimo, un genere che va sempre. (Con voce sognante) Conto di dedicarmi al giornalismo, sa? E di pubblicare i diari intimi di tutti i potenti della terra della mia epoca, Churchill, Stalin, ecc..C' è da fare un mucchio di quattrini. BALDUR Ma come li possiede, lei, questi diari? PATRICIA Non li possiedo mica. Li scriverò io. Su episodi autentici, naturalmente. Pausa. BALDUR Patricia! (Altra pausa). Mi prenda con lei. PATRICIA (ci pensa su; poi molto freddamente) Non sarebbe una cattiva idea, così in astratto. Ma non deve credere che basti entrare nel frigo: bisogna farsi fare le iniezioni, seguire il corso di addestramento .... Non è tanto semplice. Poi, mica tutti hanno il fisico adatto .... Certo, sarebbe carino avere un compagno di viaggio come lei, così vivo, così appassionato, così ricco di temperamento .... Ma non è fidanzato, lei? BALDUR Fidanzato? Lo ero. PATRICIA Fino a quando? BALDUR Fino a mezz' ora fa; ma ora ho incontrato lei, e tutto è cambiato. PATRICIA Lei è un lusingatore, un uomo pericoloso. (La voce di Patricia cambia bruscamente, non è più lamentosa e languida, ma netta, energica, tagliente) Ad ogni modo, se le cose stanno come lei mi dice, ne potrebbe nascere una combinazione interessante. BALDUR Patricia! Perché indugiare? Partiamo: fugga con me. Non nel futuro: nell' oggi. PATRICIA (freddamente) Appunto, ci stavo pensando anch' io. Ma quando? BALDUR Ora, subito. Attraversiamo la sala e via. PATRICIA Nonsenso. Li avremmo subito tutti alle calcagna, lui in testa. Lo guardi: è già in sospetto. BALDUR Quando allora? PATRICIA Stanotte. Mi segua bene. A mezzanotte tutti se ne vanno, e loro mi ricongelano e mi rimettono in naftalina. È una faccenda più spiccia del risveglio, un po' come i subacquei, sa bene, in su bisogna andare piano, ma l' immersione può essere rapida. Mi ficcano nel frigo e attaccano il compressore senza tanti complimenti: ma per le prime ore io resto abbastanza soffice e ritorno facilmente alla vita attiva. BALDUR E allora? PATRICIA E allora è semplice. Lei se ne va con gli altri, accompagna a casa la sua ... quella ragazza, insomma; poi ritorna qui; si introduce nel giardino, entra dalla finestra della cucina .... BALDUR ... ed è fatta! Due ore ancora, due ore ed il mondo è nostro! Ma mi dica, Patricia, non avrà rimpianti? Non si pentirà di avere interrotto per me la sua corsa verso i secoli futuri? PATRICIA Guardi, giovanotto, avremo del tempo in abbondanza per parlare di queste belle cose se il colpo riesce. Ma prima bisogna che riesca. Ecco, se ne stanno andando; riprenda il suo posto, si congedi civilmente e cerchi di non fare sciocchezze. Sa, mica per niente, ma mi seccherebbe sprecare l' occasione. Voci degli invitati che se ne vanno, rumore di seggiole spostate. Frammenti di frasi: _ Al prossimo anno! _ Buonanotte, se così posso dire .... _ Andiamo Robert, non credevo che fosse così tardi. _ Baldur, andiamo, hai l' onore di accompagnarmi. Silenzio. Poi voce di Lotte, rivolta al pubblico. LOTTE ... così, se ne andarono tutti. Peter ed io restammo soli, con Patricia, cosa che non è mai gradevole per nessuno dei tre. Non lo dico per via di quella antipatia che vi ho descritto poc' anzi, in modo forse un po' impulsivo; no: è una situazione obiettivamente spiacevole, fredda, falsa, piena di imbarazzo per tutti. Parlammo un po' del più e del meno, poi ci salutammo, e Peter rimise Patricia nel frigo. Gli stessi rumori dello scongelamento, ma invertiti ed accelerati. Sospiro, sbadiglio. Chiusura-lampo dell' involucro. Si mette in moto il metronomo, poi la pompa, i fischi, ecc.. Rimane in moto il metronomo, il cui ritmo gradualmente si fonde con quello più lento di un orologio a pendolo. Suonano l' una, l' una e mezza, le due. Si sente il rumore di un' auto che si avvicina, ferma, sbatte lo sportello. Abbaia un cane lontano. Passi sulla ghiaia. Una finestra si apre. Passi sul pavimento di legno che scricchiola sempre più vicino. Si apre il portello del frigo. BALDUR (sottovoce) Patricia, sono io! PATRICIA (voce confusa ed attutita) Tmglimrm lm mvolmcrm! BALDUR Coooooome? PATRICIA (un po' più distintamente) Tagliare l' involucro! Rumore del taglio. BALDUR Ecco fatto. E adesso? Che cosa debbo fare? Lei mi deve perdonare, ma non sono pratico, sa, è la prima volta che mi capita .... PATRICIA Oh, il più è fatto, adesso me la cavo da sola. Mi dia solo una mano per uscire di qui dentro. Passi. "Piano", "Sst", "Da questa parte". Finestra. Passi sulla ghiaia. Lo sportello dell' auto. Baldur accende il motore. BALDUR Siamo fuori, Patricia. Fuori dal gelo, fuori dall' incubo. Mi pare di sognare: da due ore vivo in un sogno. Ho paura di svegliarmi. PATRICIA (freddamente) Ha accompagnato a casa la sua fidanzata? BALDUR Chi, Ilse? L' ho accompagnata, sì. Mi sono congedato da lei. PATRICIA Che dice, congedato? Definitivamente? BALDUR Sì, non è stato difficile come temevo, solo una piccola scenata. Non ha neppure pianto. Pausa, l' auto è in moto. PATRICIA Giovanotto, non mi giudichi male. Mi pare che qui sia giunto il momento di una spiegazione. Lei mi deve capire: in qualche modo dovevo pur uscirne. BALDUR ... e si trattava solo di questo? Di uscirne? PATRICIA Solo di questo. Di uscire dal frigo e di uscire da casa Tho5rl. Baldur, sento che le devo una confessione. BALDUR Una confessione è poco. PATRICIA Altro non le posso dare; e non è neppure una bella confessione. Sono veramente stanca: gelo e sgelo, gelo e sgelo, a lungo andare è faticoso. Poi c' è dell' altro. BALDUR Altro? PATRICIA Altro, sì. Le visite di lui, di notte. A trentatré gradi, appena tiepida, che non potevo difendermi in nessun modo. E siccome io stavo zitta, per forza! lui magari si immaginava .... BALDUR Povera cara, quanto deve aver sofferto! PATRICIA Una vera seccatura, lei non ne ha un' idea. Una noia da non dirsi. Rumore dell' auto, che si allontana. LOTTE ... Così finisce questa storia. Io qualcosa avevo capito, e quella notte avevo sentito anche degli strani rumori. Ma sono stata zitta: perché avrei dovuto dare l' allarme? Mi pare che così sia meglio per tutti. Baldur, poveretto, mi ha raccontato ogni cosa: pare che Patricia, oltre a tutto, gli abbia anche chiesto dei quattrini, per andare non so dove, a ritrovare un suo coetaneo che sta in America; in frigo anche lui, naturalmente. Lui, Baldur, che si riconcilii o no con Ilse, non importa poi gran cosa a nessuno, neppure a Ilse medesima. Il frigo, lo abbiamo venduto. Quanto a Peter, vedremo.

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Naturalmente, non si può pretendere che ogni utente abbia gusti evoluti e differenziati: non tutti gli uomini posseggono un ideale femminile definito. Perciò, in questa fase iniziale di messa a punto e di introduzione commerciale, la NATCA si è orientata su tre modelli: un modello blank che viene tarato gratuitamente sul campione indicato dal cliente, e due modelli a taratura standard, per la misura rispettivamente della bellezza femminile e maschile. A titolo sperimentale, per tutto il corrente anno il modello femminile, detto Paride, verrà tarato sulle fattezze di Elizabeth Taylor, e il modello maschile (che per ora non è molto richiesto) sulle fattezze di Raf Vallone. A proposito: ho ricevuto proprio stamane una lettera riservata da Fort Kiddiwanee, Oklahoma: mi comunicano che, finora, per questo modello non è stato trovato un nome soddisfacente, e che è stato aperto un concorso fra noi funzionari anziani. Il premio, naturalmente, è un Calometro, a scelta fra i tre tipi. Lei, che è una persona colta, vuole forse cimentarsi? Sarei lieto di farla concorrere sotto il mio nome .... Non pretendo che Semiramide sia un nome molto originale, e neppure molto pertinente: si vede che gli altri concorrenti avevano una fantasia e una cultura ancora più torpide delle mie. Vinsi il concorso, o meglio lo feci vincere a Simpson, il quale ricevette e mi cedette un Calometro blank rendendomi felice per un mese. Provai ugualmente il congegno così come mi era stato inviato, ma senza costrutto: segnava 100 su qualsiasi oggetto gli venisse presentato. Lo rimandai in filiale, e me lo feci tarare su di una buona riproduzione a colori del Ritratto della signora Lunia Czechowska; mi fu restituito con lodevole prontezza, e lo provai in varie condizioni. Esprimere un giudizio finale è forse prematuro e presuntuoso; tuttavia mi pare di poter affermare che il Calometro è un apparecchio sensibile ed ingegnoso. Se il suo scopo è quello di riprodurre il giudizio umano, esso è ampiamente raggiunto: ma riproduce il giudizio di un osservatore dai gusti estremamente limitati e ristretti, o meglio di un maniaco. Il mio apparecchio, ad esempio, assegna punteggi bassi a tutti i visi femminili tondeggianti e assolve i visi allungati; a tal punto che ha assegnato una quotazione di K32 alla nostra lattaia, che è considerata una delle bellezze del rione ma è grassoccia, e addirittura ha valutato K2. la Gioconda, che gli ho sottoposto in riproduzione. È invece straordinariamente parziale per i colli lunghi e sottili. La sua qualità più sorprendente (anzi, a ben guardare la sola che lo distingua da un banale sistema di fotometri) è la sua indifferenza alla posizione del soggetto e alla sua distanza. Ho pregato mia moglie, che è risultata una buona K75, con punte di K79 quando è riposata e serena e in buone condizioni di luce, di sottoporsi a misure in posizioni diverse, di fronte, di profilo destro e sinistro, sdraiata, col cappello o senza, con gli occhi aperti o chiusi, ed ho sempre ottenuto letture comprese entro 5 unità K. Le indicazioni si alterano decisamente solo quando il viso fa un angolo di più di 90ä; se il soggetto è completamente rigirato, e cioè offre la nuca all' apparecchio, si hanno letture molto basse. Devo qui ricordare che mia moglie ha un viso ovale molto allungato, il collo esile e il naso leggermente rivolto all' insù; a mio parere, meriterebbe anche un punteggio più alto, se non fosse dei capelli, che mia moglie ha neri, mentre quelli del modello di taratura sono biondo-scuri. Se si punta il Paride su visi maschili si ottengono generalmente risposte inferiori a K20, e inferiori a K10 se il soggetto porta i baffi o la barba. È notevole che il Calometro dà di rado letture rigorosamente nulle: esso, analogamente a quanto avviene ai bambini, ravvisa il volto umano anche nelle sue imitazioni più grossolane o casuali. Mi sono divertito a fare scorrere lentamente l' obiettivo su di una superficie irregolarmente variegata (per la precisione, una carta da parati): ogni sussulto della lancetta corrispondeva ad una zona in cui era possibile riconoscere una vaga parvenza antropomorfa. Ho ottenuto letture zero solo su soggetti decisamente asimmetrici o informi, e naturalmente su fondi uniti. Mia moglie non può soffrire il Calometro, ma, come è suo costume, non vuole o non sa spiegarmene la ragione. Ogni volta che mi vede con l' apparecchio in mano, o me lo sente nominare, si raggela e il suo umore precipita. Questo è ingiusto da parte sua, poiché, come ho detto, non è stata giudicata male: K79 è una quotazione eccellente. In principio pensavo che avesse esteso al Calometro la sua diffidenza generica per gli apparecchi che Simpson mi vende o cede in prova, e per Simpson medesimo; tuttavia il suo silenzio e il suo disagio mi pesavano talmente, che l' altra sera ho deliberatamente provocato la sua indignazione giocherellando un' ora buona col Calometro in giro per casa: ed ecco, devo dire che le sue opinioni, benché espresse in forma concitata, sono fondate e ragionevoli. In sostanza, mia moglie è scandalizzata dall' estrema docilità dell' apparecchio. Secondo lei, piuttosto che un misuratore di bellezza è un misuratore di conformità, e quindi uno strumento squisitamente conformista. Ho tentato di difendere il Calometro (che, secondo mia moglie, sarebbe più corretto chiamare "omeometro") facendole notare che chiunque giudica è un conformista, in quanto, consapevolmente o no, si riferisce a un modello: le ho ricordato il tempestoso esordio degli impressionisti; l' odio della pubblica opinione per i singoli innovatori (in tutti i campi), che si muta in quieto amore quando gli innovatori non sono più innovatori; infine ho cercato di dimostrarle che l' instaurarsi di una moda, di uno stile, l' "abituarsi" collettivo a un nuovo modo di esprimersi, è l' analogo esatto della taratura di un Calometro. Ho insistito su quello che ritengo il fenomeno più allarmante della civiltà d' oggi, e cioè che anche l' uomo medio, oggi, si può tarare nei modi più incredibili: gli si può far credere che sono belli i mobili svedesi e i fiori di plastica, e solo quelli; gli individui biondi, alti e con gli occhi azzurri, e solo quelli; che è solo buono un certo dentifricio, solo abile un certo chirurgo, solo depositario della verità un certo partito; ho affermato che in sostanza è poco sportivo disprezzare una macchina solo perché riproduce un procedimento mentale umano. Ma mia moglie è un caso disperato di educazione crociana: ha risposto "sarà", e non mi è sembrato di averla convinta. D' altra parte, in questi ultimi tempi anch' io ho perso parte del mio entusiasmo, ma per motivi diversi. Ho nuovamente incontrato Simpson, alla cena del Rotary: era di ottimo umore, e mi ha annunciato due sue "grandi vittorie". _ Ormai posso sciogliere le mie riserve sulla campagna di vendite, _ mi ha detto. _ Lei non mi crederà, ma non esiste in tutto il nostro assortimento una macchina più facile da piazzare. Spedisco domani la relazione mensile per Fort Kiddiwanee; vedrà se non ci scappa la promozione! Io lo dico sempre: due sono le grandi virtù del venditore: la conoscenza umana e la fantasia _. Si fece confidenziale e abbassò la voce: _ ... le centrali squillo! Nessuno ci aveva ancora pensato, neanche in America. È un vero censimento spontaneo: non credevo che fossero tante. Tutte le direttrici hanno subito intuito l' importanza commerciale di uno schedario moderno, completato da una indicazione calometrica obiettiva: Magda, anni 22, K.7; Wilma, anni 26, K77 ... comprende? _ Poi ho fatto un' altra pensata: ... be' , questa veramente non è tutta merito mio, mi è stata suggerita dalle circostanze. Ho venduto un Paride al suo amico Gilberto: sa che ha fatto: appena lo ha ricevuto lo ha manomesso, lo ha starato e ritarato su se stesso. _ Ebbene? _ Ma non vede? È un' idea che si può far nascere, per così dire, spontanea nel capo della maggior parte dei clienti. Ho già preparato una bozza del volantino pubblicitario che vorrei diffondere per le prossime feste: anzi, se lei fosse così gentile da dargli un' occhiata ... sa, non sono molto sicuro del mio italiano. Una volta che la moda sia lanciata, chi non regalerà a sua moglie (o a suo marito) un Calometro tarato su una sua fotografia? Vedrà, saranno pochi a resistere alla lusinga del K100: ricordi la strega di Biancaneve. A tutti piace sentirsi lodare e sentirsi dare ragione, anche se soltanto da uno specchio o da un circuito stampato. Non conoscevo questo lato cinico del carattere di Simpson: ci siamo lasciati freddamente, e temo che la nostra amicizia sia seriamente compromessa.

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Checché di questo si pensi, a chiunque abbia considerato con qualche attenzione le tradizioni classiche sui centauri non può essere sfuggito che ivi non è mai fatta menzione delle centauresse. A quanto appresi da Trachi, esse infatti non esistono. L' unione uomo-cavalla, che oggi peraltro è feconda solo in rari casi, non porta e non ha mai portato che a centauri maschi, del che deve certamente esistere una ragione vitale, che per ora ci sfugge. Quanto alla unione inversa, di cavalli con donne, essa ebbe luogo assai di rado in ogni tempo, ed inoltre per sollecitazione di donne dissolute, e quindi perciò stesso poco propense alla generazione. Tale rarissimo connubio, nei casi eccezionali in cui riesce fecondo, conduce bensì ad una prole femminea e duplice: ma in essa le due nature sono commesse al modo inverso. Le creature hanno capo, collo e zampe anteriori equine; ma il dorso ed il ventre sono di femmina umana, e gambe umane sono le zampe posteriori. Nella sua lunga vita Trachi non ne incontrò che poche, e mi assicurò di non aver provato alcuna attrazione per questi squallidi mostri. Non sono "fiere snelle", ma animali scarsamente vitali, infecondi, inerti e fuggitivi: non entrano in dimestichezza con l' uomo né apprendono ad obbedire ai suoi comandi, ma vivono miseramente nelle selve più fitte, non in branchi, ma in rustica solitudine. Si nutrono di erbe e di bacche, e quando sono sorprese dall' uomo, hanno la curiosa abitudine di presentarglisi sempre di fronte, quasi vergognose della loro metà umana. Trachi era dunque nato in Colofone dall' unione segreta di un uomo con una delle numerose cavalle tessale che ancora vivono selvagge in quest' isola. Temo che alcuni fra i lettori di queste note potranno rifiutare credenza a queste affermazioni, poiché la scienza ufficiale, imbevuta ancor oggi di aristotelismo, nega la possibilità di unioni feconde fra specie diverse. Ma la scienza ufficiale manca spesso di umiltà; infeconde sono invero tali unioni, in generale; ma quante volte è stata tentata la prova? Non più di qualche diecina. Ed è stata tentata fra tutte le innumerevoli coppie possibili? No certo. Poiché non ho ragione di dubitare su quanto di se stesso Trachi mi narrò, devo dunque invitare gli increduli a considerare che vi sono più cose in cielo ed in terra di quante la nostra filosofia ne abbia sognate. Aveva vissuto per lo più in solitudine, abbandonato a se stesso, come è destino comune di tutti i suoi simili. Dormiva all' aperto, in piedi sulle quattro zampe, col capo sulle braccia, e queste appoggiate ad un ramo basso o ad una roccia. Pascolava per le praterie e le radure dell' isola, o raccoglieva frutti dai rami; nei giorni più caldi, scendeva a qualche spiaggia deserta, e qui si bagnava, nuotando alla maniera equina, col busto ed il capo eretti, e galoppava poi a lungo, segnando impetuosamente la sabbia umida. Ma la massima parte del suo tempo, in ogni stagione, era dedicata al cibo: anzi, in tutte le scorrerie che Trachi, nel vigore della sua giovinezza, spesso intraprendeva per le balze e le forre sterili della sua isola nativa, sempre, secondo un loro provvido istinto, portava seco sotto le ascelle due grossi fasci di erbe o di fronde, che raccoglieva nei momenti di riposo. Occorre infatti ricordare che i centauri, benché costretti ad un regime strettamente erbivoro dalla loro costituzione, che è in prevalenza equina, hanno torso e capo a somiglianza di uomini: questa loro struttura li costringe ad introdurre, attraverso una piccola bocca umana, l' ingente quantità di erba, fieno o biada che è necessaria al sostentamento dei loro vasti corpi. Questi alimenti, notoriamente poco nutritivi, esigono inoltre una lunga masticazione, poiché la dentatura umana male si adatta alla triturazione dei foraggi. In conclusione, l' alimentazione dei centauri è un processo laborioso: essi, per fisica necessità, sono costretti a trascorrere masticando i tre quarti del loro tempo. Di questo fatto non mancano testimonianze autorevoli: prima fra tutte quella di Ucalegonte di Samo ("Dig. Phil.", xxiv, ii e xliii passim), il quale attribuisce la proverbiale saggezza dei centauri proprio al loro regime alimentare, consistente in un unico pasto continuato dall' alba al tramonto: questo li distoglierebbe da altre sollecitudini nefaste o vane, quali la cupidigia di ricchezze o la maldicenza, e contribuirebbe alla loro continenza abituale. Né la cosa era sconosciuta a Beda, che vi accenna nella "Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum". È abbastanza strano che la tradizione mitologica classica abbia trascurato questa peculiarità dei centauri. La verità del fatto riposa nondimeno su testimonianze certe, e d' altronde, come abbiamo dimostrato, esso può venire dedotto per mezzo di semplici considerazioni di filosofia naturale. Per ritornare a Trachi, la sua educazione era stata, per i nostri criteri, stranamente parziale. Aveva imparato il greco dai pastori dell' isola, la cui compagnia egli talora cercava, per quanto fosse di natura schiva e taciturna. Aveva inoltre appreso, per sua propria osservazione, molte cose sottili ed intime sulle erbe, sulle piante, sugli animali dei boschi, sulle acque, sulle nuvole, sulle stelle e sui pianeti; ed io stesso notai che, anche dopo la cattura, e sotto un cielo straniero, sentiva l' approssimarsi di una bufera, o l' imminenza di una nevicata, con molte ore di anticipo. Sentiva anche, e non saprei descrivere come, né d' altronde lui stesso lo sapeva, sentiva germinare il grano nei campi, sentiva pulsare le acque nelle vene sotterranee, percepiva la erosione dei torrenti nelle piene. Quando partorì la vacca dei De Simone, a duecento metri da noi, affermò di sentirne il riflesso nei propri visceri; lo stesso accadde quando venne a partorire la figlia del mezzadro. Anzi, mi segnalò in una notte di primavera che un parto doveva essere in corso, e precisamente in un certo angolo del fienile; e vi andammo, e vi trovammo una pipistrella, che aveva appena dato alla luce sei mostriciattoli ciechi, e stava porgendo loro il suo minuscolo latte. Così, mi disse, tutti i centauri son fatti, che sentono per le vene, come un' onda di allegrezza, ogni germinazione, animale, umana o vegetale. Percepiscono anche, a livello dei precordi, e sotto forma di un' ansia e di una tensione tremula, ogni desiderio ed ogni amplesso che avvenga nelle loro vicinanze; perciò, quantunque abitualmente casti, entrano in uno stato di viva inquietudine al tempo degli amori. Abbiamo vissuto a lungo insieme: in un certo senso, posso affermare che siamo cresciuti insieme. Malgrado i suoi molti anni, era di fatto una creatura giovane, in tutte le sue manifestazioni ed attività, ed apprendeva con tale prontezza che ci parve inutile (oltre che imbarazzante) mandarlo a scuola. Lo educai io stesso, quasi senza saperlo e volerlo, trasmettendogli a misura le nozioni che giorno per giorno imparavo dai miei maestri. Lo tenevamo il più possibile nascosto, in parte per suo esplicito desiderio, in parte per una forma di affetto esclusivo e geloso che tutti gli portavamo; in parte ancora, perché ragione ed intuito insieme ci consigliavano di risparmiargli ogni contatto non necessario col nostro mondo umano. Naturalmente, la sua presenza presso di noi era trapelata fra il vicinato; in principio facevano molte domande, anche poco discrete, ma in seguito, come suole, la loro curiosità andò attenuandosi per mancanza di alimento. Pochi amici nostri intimi erano stati ammessi alla sua presenza, primi fra tutti i De Simone, e divennero in breve amici anche suoi. Solo una volta, che la puntura di un tafano gli aveva provocato un doloroso ascesso purulento alla groppa, dovemmo ricorrere all' opera di un veterinario: ma era un uomo discreto e comprensivo, il quale ci garantì il più scrupoloso segreto professionale, e, a quanto so, mantenne la promessa. Altrimenti andavano le cose col maniscalco. I maniscalchi, purtroppo, sono ormai rarissimi: ne trovammo uno a due ore di cammino, ed era un tanghero, stupido e brutale. Mio padre cercò invano di indurlo ad un certo riserbo: tra l' altro, pagandogli i suoi servigi il decuplo dell' onesto. Non servì a nulla: ogni domenica, all' osteria, teneva circolo e raccontava all' intero villaggio del suo strano cliente. Per fortuna, era dedito al vino, e solito raccontare storie strampalate quando era ubriaco; perciò incontrò scarsa credenza. Mi pesa scrivere questa storia. È una storia della mia giovinezza, e mi pare, scrivendola, di espellerla da me, e che dopo mi sentirò privo di qualche cosa forte e pura. Venne una estate, e ritornò presso i genitori Teresa De Simone, mia coetanea e amica d' infanzia. Aveva studiato in città, non la vedevo da molti anni, la trovai cambiata, ed il cambiamento mi turbò. Forse me ne innamorai, ma inconsciamente: voglio dire, senza prenderne atto, neppure in via ipotetica. Era piuttosto graziosa, timida, tranquilla e serena. Come ho già accennato, i De Simone erano fra i pochi vicini che noi frequentassimo con qualche assiduità. Conoscevano Trachi e lo amavano. Dopo il ritorno di Teresa, passammo una lunga serata insieme, noi tre. Fu una serata di quelle, rare, che non si dimenticano: un intenso odore di fieno, la luna, i grilli, un' aria tiepida e ferma. Si sentivano canti lontani, e Trachi prese ad un tratto a cantare, senza guardarci, come in sogno. Era una lunga canzone, dal ritmo fiero ed alto, con parole a me sconosciute. Una canzone greca, disse Trachi: ma quando gli chiedemmo di tradurla, volse il capo e tacque. Tacemmo tutti a lungo; poi Teresa si congedò. La mattina seguente Trachi mi trasse in disparte e mi parlò così: _ La mia ora è giunta, o carissimo: mi sono innamorato. Quella donna è entrata in me, e mi possiede. Desidero vederla e udirla, forse anche toccarla, e non altro; desidero quindi una cosa che non si dà. Mi sono ristretto in un punto: non c' è più altro in me che questo desiderio. Sto mutando, sono mutato, sono diventato un altro. Anche altre cose mi disse, che trascrivo con esitazione, perché sento che difficilmente saprò cogliere il segno. Che, dalla sera prima, si sentiva diventato "un campo di battaglia"; che comprendeva, come mai aveva compreso, le gesta dei suoi avi impetuosi, Nesso, Folo; che tutta la sua metà umana era gremita di sogni, di fantasie nobili, gentili e vane; avrebbe voluto compiere imprese temerarie, facendo giustizia con la forza del suo braccio; sfondare col suo impeto le foreste più fitte, giungere in corsa ai confini del mondo, scoprire e conquistare nuove terre, ed instaurarvi opere di civiltà feconda. Che tutto questo, in qualche modo a lui stesso oscuro, avrebbe voluto farlo davanti agli occhi di Teresa De Simone: farlo per lei, dedicarlo a lei. Che infine, conosceva la vanità dei suoi sogni nell' atto stesso in cui li sognava; e che era questo il contenuto della canzone della notte avanti: una canzone appresa nella sua lontana adolescenza in Colofone, e da lui mai compresa né mai cantata fino ad allora. Per varie settimane non avvenne altro; vedevamo ogni tanto i De Simone, ma dal contegno di Trachi nulla si vide della tempesta che lo agitava. Io fui, e non altri, chi provocò lo scioglimento. Una sera di ottobre Trachi si trovava dal maniscalco. Incontrai Teresa, e passeggiammo insieme nel bosco. Parlavamo: e di chi se non di Trachi? Non tradii le confidenze del mio amico: ma feci peggio. Mi accorsi ben presto che Teresa non era timida come sembrava: scelse come a caso un viottolo che conduceva nel bosco più fitto; era un viottolo cieco, io lo sapevo, e sapevo che Teresa lo sapeva. Dove la traccia spariva, sedette sulle foglie secche, ed io feci altrettanto. Suonavano le sette al campanile della valle, ed ella si strinse a me in un modo che mi tolse ogni dubbio. Quando tornammo a casa era notte, ma Trachi non era ancora rientrato. Ho avuto subito coscienza di aver male operato: anzi nell' atto stesso; ed ancor oggi ne porto pena. Eppure so che la mia colpa non è piena, né lo è quella di Teresa. Trachi era fra noi: eravamo immersi nella sua aura, gravitavamo nel suo campo. So questo, poiché io stesso ho visto, dove lui passava, schiudersi anzitempo i fiori, ed il loro polline volare nel vento della sua corsa. Trachi non rientrò. Il resto della sua storia fu da noi ricostruito faticosamente, nei giorni che seguirono, su testimonianze e su segni. Dopo una notte, che fu di ansiosa attesa per tutti, e per me di segreto tormento, scesi io stesso a cercare del maniscalco. Non lo trovai in casa: era all' ospedale, con il cranio spaccato; non era in grado di parlare. Trovai il suo aiutante. Mi raccontò che Trachi era venuto verso le sei, per farsi ferrare. Era taciturno e triste, ma tranquillo. Si lasciò incatenare come al solito, senza mostrare impazienza (era questo l' uso incivile di quel maniscalco: aveva avuto un incidente anni prima con un cavallo ombroso, ed invano avevamo cercato di convincerlo che tale precauzione era del tutto assurda con Trachi). Aveva già tre zoccoli ferrati, quando un brivido lungo e violento lo aveva scosso. Il maniscalco si era rivolto a lui con quelle voci rudi che si usano coi cavalli; come andava facendosi sempre più inquieto, lo aveva colpito con una frusta. Trachi era sembrato calmarsi, "ma girava gli occhi intorno come un matto, e sembrava che sentisse delle voci". Ad un tratto, con una scossa furiosa aveva divelto le catene dai loro incastri nel muro, ed una appunto di queste aveva colpito al capo il maniscalco, mandandolo a terra svenuto; si era buttato contro la porta con tutto il suo peso, a capofitto, riparandosi la testa con le braccia incrociate, ed era partito al galoppo su per la collina, mentre le quattro catene, che ancora gli impedivano le zampe, gli roteavano intorno ferendolo a più riprese. _ A che ora è successo? _ domandai, turbato da un presentimento. L' aiutante esitò: non era ancora notte, non sapeva con precisione. Ma sì, ora ricordava: pochi attimi prima dello scatenamento era suonata l' ora al campanile, ed il padrone gli aveva detto, in dialetto perché Trachi non capisse: _ Già le sette! Se tutti i clienti fossero difisiôs come questo .... Le sette! Non trovai difficoltà, purtroppo, a seguire il percorso di Trachi furioso: se anche nessuno l' avesse visto, rimanevano tracce cospicue del sangue che aveva perduto, ed i graffi delle catene sulla scorza degli alberi e sulle rocce ai margini della strada. Non si era diretto verso casa, né verso la cascina De Simone: aveva saltato netto la staccionata alta due metri che recinge la proprietà Chiapasso, aveva preso di traverso per le vigne, aprendosi un varco tra i filari con furia cieca, in linea retta, abbattendo paletti e viti, stroncando i robusti fili di ferro che sostengono i tralci. Era giunto sull' aia, e aveva trovato la porta della stalla chiusa col catenaccio dall' esterno. Avrebbe potuto agevolmente aprire con le mani: invece aveva raccolto una vecchia macina da grano, pesante mezzo quintale, e l' aveva scagliata contro la porta mandandola in schegge. Nella stalla non c' erano che le sei mucche, un vitello, polli e conigli. Trachi era ripartito all' istante, e si era diretto, sempre a folle galoppo, verso la tenuta del barone Caglieris. Questa è lontana almeno sei chilometri, dall' altra parte della valle, ma Trachi vi arrivò in pochi minuti. Cercava la scuderia: non la trovò al primo colpo, ma solo dopo di aver sfondato a calci e a spallate diverse porte. Quanto fece nella scuderia, lo sappiamo da un testimone oculare: uno stalliere, che al fracasso della porta infranta aveva avuto il buon senso di nascondersi nel fieno, e di lì aveva visto ogni cosa. Aveva sostato un attimo sulla soglia, ansante e sanguinante. I cavalli, inquieti, scrollavano i musi tirando sulle cavezze: Trachi era piombato su di una cavalla bianca, di tre anni; aveva spezzato d' un colpo la catenella che la legava alla mangiatoia, e trascinandola per questa stessa l' aveva condotta fuori. La cavalla non aveva opposto alcuna resistenza; strano, mi disse lo stalliere, perché era di carattere piuttosto ombroso e restio, e non era neppure in calore. Avevano galoppato insieme fino al torrente: qui Trachi era stato visto sostare, attingere acqua colle mani, e bere ripetutamente. Poi avevano proseguito affiancati fino al bosco. Sì, ho seguito le loro tracce: fino a quel bosco, fino a quel sentiero, fino a quella macchia in cui Teresa mi aveva chiesto. E proprio qui, per tutta la notte, Trachi doveva aver celebrato le sue nozze gigantesche. Vi trovai il suolo scalpicciato, rami spezzati, crini bianchi e bruni, capelli umani, ed ancora sangue. Poco lontano, richiamato dal suo respiro affannoso, trovai lei, la giumenta. Giaceva a terra su di un fianco, ansimante, col nobile mantello sporco di terra e d' erba. Al mio passo sollevò a stento il muso, e mi seguì con lo sguardo terribile dei cavalli spaventati. Non era ferita, ma esausta. Partorì dopo otto mesi un puledrino: normalissimo, a quanto mi è stato detto. Qui le tracce dirette di Trachi si perdono. Ma, come forse qualcuno ricorda, nei giorni seguenti comparve sui giornali notizia di una curiosa catena di abigeati, tutti perpetrati con la medesima tecnica: la porta infranta, la cavezza sciolta o spezzata, l' animale (sempre una giumenta, e sempre una sola) condotto in qualche bosco poco lontano, e qui ritrovato sfinito. Solo una volta il rapitore sembrò aver trovato resistenza: la sua occasionale compagna di quella notte fu trovata morente, con la cervice slogata. Sei furono questi episodi, e furono segnalati in vari punti della penisola, susseguendosi da nord a sud. A Voghera, a Lucca, presso il lago di Bracciano, a Sulmona, a Cerignola. L' ultimo avvenne presso Lecce. Poi null' altro; ma forse si deve riconnettere a questa storia la curiosa segnalazione fatta alla stampa dall' equipaggio di un peschereccio pugliese: di aver incontrato, al largo di Corfù, "un uomo a cavallo di un delfino". La strana apparizione nuotava vigorosamente verso levante; i marinai le avevano dato una voce, al che l' uomo e la groppa grigia si erano immersi, scomparendo alla vista.

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Sembra assurdo che nessuno ci abbia pensato prima: ci si riesce con facilità straordinaria. Venga a vedere. Mi mostrò un alveare in cui aveva sostituito la parete anteriore con un vetro smerigliato. Tracciò col dito alcuni otto inclinati sulla faccia esterna del vetro, e poco dopo un piccolo sciame uscì ronzando dalla portina. _ Mi rincresce di averle ingannate, per questa volta. A sud-est, a duecento metri di distanza, non c' è proprio niente, poverette: volevo solo farle vedere come ho rotto il ghiaccio, la parete di incomprensione che ci separa dagli insetti. Mi ero fatto le cose difficili, al principio: pensi che, per diversi mesi, ho danzato a otto io stesso, tutto intero, voglio dire, non solo col dito; sì, qui davanti, sul prato. Capivano lo stesso, ma con difficoltà, e poi era faticoso e ridicolo. Più tardi ho visto che basta molto meno: un segno qualunque, ha visto, anche con uno stecco, col dito, purché sia conforme al loro codice. _ E anche con le libellule ...? _ Con le libellule, per ora, ho solo rapporti indiretti. È stato il secondo passo: mi sono accorto abbastanza presto che il linguaggio delle api va parecchio oltre alla danza ad otto per segnalare il cibo. Oggi posso dimostrare che posseggono altre danze, voglio dire altre figure; non le ho ancora comprese tutte ma ho già potuto compilare un piccolo glossario, con qualche centinaio di voci. Eccolo qui: ci sono gli equivalenti di un buon numero di sostantivi del tipo di "sole, vento, pioggia, freddo, caldo", eccetera; c' è un assortimento molto vasto di nomi di piante: a questo proposito, ho notato che posseggono almeno dodici figure distinte per indicare, ad esempio, il melo, a seconda che si tratti di un albero grande, piccolo, vecchio, sano, inselvatichito, e così via: un po' come facciamo noi con i cavalli. Sanno dire "raccogliere, pungere, cadere, volare"; anche qui, posseggono per il volo un numero sorprendente di sinonimi: il "volare" loro proprio è diverso da quello delle zanzare, da quello delle farfalle e da quello dei passeri. Invece non distinguono fra camminare, correre, nuotare, viaggiare su ruote: per loro, tutti gli spostamenti a livello del suolo o sull' acqua sono uno "strisciare". Il loro patrimonio lessicale relativo agli altri insetti, e soprattutto agli insetti che volano, è appena inferiore al nostro; invece, si accontentano di una nomenclatura estremamente generica per gli animali più grossi. I loro segni per i quadrupedi, rispettivamente dal topo al cane e dalla pecora in su, sono due soli, e potrebbero essere resi approssimativamente con "quattro piccolo" e "quattro grande". Neppure distinguono fra uomo e donna; gli ho dovuto spiegare io la differenza. _ E lei parla questo linguaggio? _ Male, per ora: ma lo capisco abbastanza bene, e me ne sono servito per farmi spiegare alcuni fra i più grossi misteri dell' alveare; come decidono il giorno della strage dei maschi, quando e perché autorizzano le regine a combattere fra loro fino a morte, come stabiliscono il rapporto numerico fra fuchi e operaie. Non mi hanno detto tutto, però: mantengono certi segreti. Sono un popolo di grande dignità. _ Anche con le libellule parlano danzando? _ No: le api comunicano danzando solo fra loro e (perdoni l' immodestia) con me. Quanto alle altre specie, devo dirle prima di tutto che le api hanno rapporti regolari solo con le più evolute; specialmente con gli altri insetti sociali, e con quelli che hanno abitudini gregarie. Per esempio, hanno contatti abbastanza stretti (anche se non sempre amichevoli) con le formiche, con le vespe, e appunto con le libellule; con le cavallette invece, e in genere con gli ortotteri, si limitano a ordini e minacce. Ad ogni modo, con tutti gli altri insetti le api comunicano per mezzo delle antenne. È un codice rudimentale, ma in compenso talmente veloce che non ho assolutamente potuto seguirlo, e temo sia irrimediabilmente al di fuori delle possibilità umane. Del resto, se devo dirle la verità, non solo non ho speranza, ma neppure desiderio di entrare in contatto con altri insetti tagliando fuori le api: mi sembrerebbe poco delicato nei loro confronti, e poi loro si prestano a fare da mediatrici con grande entusiasmo, quasi come se si divertissero. Per tornare al codice, chiamiamolo così, interinsettico, ho l' impressione che non si tratti di un linguaggio vero e proprio: piuttosto che rigidamente convenzionale, mi è sembrato affidato alla intuizione e alla fantasia del momento. Deve essere vagamente simile al modo complicato e insieme compendiario con cui noi uomini comunichiamo coi cani (avrà notato, non è vero? che un linguaggio uomo-cane non esiste, eppure ci si intende nei due sensi in misura considerevole): ma certo molto più ricco, come lei stesso potrà vedere dai risultati. Ci condusse per il giardino e il pergolato, e ci fece notare che non c' era una sola formica. Non erano insetticidi: a sua moglie le formiche non piacevano (la signora Simpson, che ci seguiva, arrossì intensamente), così lui aveva proposto loro un contratto. Lui avrebbe provveduto al mantenimento di tutte le loro colonie fino al muro perimetrale (una spesa di due o tremila lire all' anno, mi spiegò), e loro si sarebbero impegnate a smobilitare tutti i formicai in un raggio di cinquanta metri dalla villa, a non aprirne di nuovi, e a sbrigare in due ore al giorno, dalle 5 alle 7, tutti i lavori di micropulizia e di distruzione delle larve nocive, nel giardino e in villa. Le formiche avevano accettato; però, poco dopo, attraverso la mediazione delle api, si erano lagnate di una certa colonia di formicaleoni che infestavano una fascia sabbiosa ai margini del bosco. Simpson mi confessò che a quell' epoca non sapeva neppure che i formicaleoni fossero le larve delle libellule: si era poi recato sul posto, e aveva assistito con raccapriccio alle loro abitudini sanguinarie. La sabbia era costellata di piccole buche coniche: ecco, una formica si era avventurata sull' orlo e subito era precipitata sul fondo insieme con la sabbia instabile. Dal fondo era emerso un paio di feroci mandibole ricurve, e Simpson aveva dovuto riconoscere che la protesta delle formiche era giustificata. Mi disse di essersi sentito fiero e insieme confuso per l' arbitrato che gli veniva richiesto: dalla sua decisione sarebbe dipeso il buon nome dell' intero genere umano. Aveva convocato una piccola assemblea: _ È stato nello scorso settembre, una seduta memorabile. Erano presenti api, formiche e libellule: libellule adulte, che difendevano con molto rigore e urbanità i diritti delle loro larve. Mi fecero notare che queste ultime non potevano in alcun modo essere tenute responsabili del loro regime alimentare: erano inette alla locomozione, e non potevano che tendere agguati alle formiche o morire di fame. Io allora proposi di stanziare per loro una adeguata razione giornaliera di mangime bilanciato, quello che usiamo qui per i polli. Le libellule chiesero una prova pratica: le larve mostrarono di gradirlo, e allora le libellule si dichiararono pronte a interporre i loro buoni uffici affinché ogni insidia ai danni delle formiche fosse sospesa. È stato in quella occasione che ho offerto loro un extra per ogni spedizione nel bosco dei mirtilli: ma è una prestazione che chiedo loro di rado. Sono fra gli insetti più intelligenti e robusti, e mi aspetto molto da loro. Mi spiegò che gli era sembrato poco corretto proporre una qualsiasi forma di contratto alle api, che erano già fin troppo occupate; per contro era in avanzate trattative con mosche e zanzare. Le mosche erano stupide, e non se ne poteva cavare molto: solo di non infastidire in autunno e di non frequentare la stalla e il letamaio. Contro quattro milligrammi di latte al giorno e a testa, avevano accettato: Simpson si proponeva di incaricarle di semplici messaggi urgenti, almeno finché in villa non gli avessero installato il telefono. Con le zanzare, le trattative si delineavano difficili per altre ragioni: non solo non erano buone a nulla, ma avevano fatto intendere che non volevano, anzi non potevano rinunciare al sangue umano, o almeno mammifero. Data la vicinanza dello stagno, le zanzare costituivano una discreta molestia, perciò a Simpson un accordo sembrava desiderabile: si era consultato col veterinario condotto, e si proponeva di prelevare da una mucca in stalla mezzo litro di sangue ogni due mesi. Con un po' di citrato non sarebbe coagulato, e a conti fatti avrebbe dovuto bastare per tutte le zanzare del luogo. Mi fece notare che in sé non era un grande affare, ma era sempre meno costoso di una irrorazione di DDT, e inoltre non avrebbe turbato l' equilibrio biologico della zona. Questo particolare non era senza importanza, perché il metodo avrebbe potuto essere brevettato, e sfruttato in tutte le regioni malariche: riteneva che le zanzare avrebbero capito abbastanza presto che era loro evidente interesse evitare di infettarsi col plasmodio, e quanto ai plasmodi stessi, anche se si fossero estinti non sarebbe stato un gran male. Gli chiesi se non si sarebbero potuti concludere analoghi patti di non aggressione con altri parassiti delle persone e delle abitazioni: Simpson mi confermò, che fino a quel momento, i contatti con gli insetti non gregari erano risultati difficili; che, d' altra parte, non vi si era dedicato con particolare diligenza dato lo scarso profitto che se ne sarebbe potuto sperare, anche nella migliore delle ipotesi; che riteneva inoltre che essi fossero non gregari appunto per la loro incapacità di comunicare. Tuttavia, in tema di insetti nocivi, aveva già pronta una bozza di contratto approvata dalla Food e Agriculture Organization, e si proponeva di discuterla con una delegazione di locuste subito dopo la stagione della metamorfosi, attraverso la mediazione di un suo amico, il rappresentante della NATCA per la RAU e il Libano. Il sole era ormai tramontato, e ci ritirammo in salotto: mia moglie ed io eravamo pieni di ammirazione e di turbamento. Non riuscivamo a dire a Simpson quello che pensavamo: poi mia moglie si decise, e con grande fatica gli disse che aveva messo le mani su un .... su una "cosa" nuova e grossa, ricca di sviluppi scientifici e anche poetici Simpson la arrestò: _ Signora, io non dimentico mai di essere un uomo di affari: anzi, dell' affare più grosso non ho ancora detto. Vi prego di non parlarne ancora in giro, ma dovete sapere che questo mio lavoro interessa loro profondamente, ai bigs della NATCA, e in specie ai cervelloni del Centro Ricerche a Fort Kiddiwanee. Li ho messi al corrente, beninteso dopo di aver definito la situazione brevettuale, e pare ne stia nascendo una combinazione interessante. Guardi cosa c' è qui dentro _. Mi porse una minuscola scatola di cartone, non più grossa di un ditale. La apersi: _ Qui dentro non c' è niente! _ Quasi niente, _ fece Simpson. Mi diede una lente: sul fondo bianco della scatola vidi un filamento, più sottile di un capello, lungo forse un centimetro; verso la metà si distingueva un leggero ingrossamento. _ È un resistore, _ disse Simpson: _ il filo è da due millesimi, la giunzione è da cinque, e il tutto costa quattromila lire; ma presto ne costerà duecento. Questo pezzo è il primo che è stato montato dalle mie formiche: dalle rufe dei pini, le più robuste ed abili. Ho insegnato in estate a una squadra di dieci, e loro hanno fatto scuola a tutte le altre. Dovrebbe vederle, è uno spettacolo unico: due afferrano i due elettrodi con le mandibole, una li attorciglia di tre giri e li fissa con una gocciolina di resina, poi tutte e tre depongono il pezzo sul trasportatore. In tre, montano un resistore in 14 secondi, compresi i tempi morti, e lavorano 20 ore su 24. Ne è nato un problema sindacale, si capisce, ma queste cose si accomodano sempre; loro sono soddisfatte, su questo non c' è dubbio. Ricevono una retribuzione in natura, suddivisa in due partite: una per così dire personale, che le formiche consumano nelle pause del lavoro, e l' altra collettiva, destinata alle scorte del formicaio, che esse immagazzinano nelle tasche ventrali; in tutto, 15 grammi al giorno per l' intera squadra di lavoro, che è composta di cinquecento operaie. È il triplo di quanto potevano raggranellare in un giorno di raccolta qui nel bosco. Ma questo è solo un inizio: sto allenando altre squadre per altri lavori "impossibili". Una a tracciare il reticolo di diffrazione di uno spettrometro, mille righe in . millimetri; una a riparare circuiti stampati miniaturizzati, che finora una volta guasti si buttavano via; una a ritoccare negative fotografiche; quattro a svolgere lavori ausiliari nella chirurgia del cervello, e già fin d' ora le posso dire che si dimostrano insostituibili nell' arrestare le emorragie dei capillari. Basta pensarci un momento, e subito vengono in mente decine di lavori che richiedono spese di energia minime, ma non si possono eseguire economicamente perché le nostre dita sono troppo grosse e lente, perché un micromanipolatore è troppo costoso, o perché comportano operazioni troppo numerose su un' area troppo vasta. Ho già preso contatti con una stazione sperimentale agraria per vari esperimenti appassionanti: vorrei allenare un formicaio a distribuire i fertilizzanti "a dimora", voglio dire, un granello per ogni seme; un altro formicaio, a bonificare le risaie, asportando le erbe infestanti quando sono ancora in germe; un altro, a mondare i silos; un altro ancora, a eseguire microinnesti cellulari .... È breve la vita, mi creda: mi maledico per aver cominciato così tardi. Da soli si può fare così poco! _ Perché non si prende un socio? _ Crede che io non abbia provato? Per poco non finivo in galera. Mi sono convinto che ... come dice il vostro proverbio? Meglio soli. _ In galera? _ Sì, per via di O'Toole, solo sei mesi fa. Giovane, ottimista, intelligente, instancabile, e poi pieno di fantasia, una miniera di idee. Ma un giorno ho trovato sulla sua scrivania un oggettino curioso, una pallina di plastica cava, non più grossa di un acino d' uva, con una polverina dentro. L' avevo io in mano, capisce, quando hanno bussato alla porta: era l' Interpol, otto agenti. Mi ci è voluto fior di avvocati per uscirne, per farli persuasi che io ero all' oscuro di tutto. _ All' oscuro di cosa? _ Della storia delle anguille. Sa bene, non sono insetti, ma anche loro migrano a banchi, migliaia e migliaia, tutti gli anni. S' era messo d' accordo con loro, quel disgraziato: come se io gli avessi fatto mancare il danaro. Le aveva corrotte con qualche mosca morta, e loro venivano a riva una per una, prima di mettersi in viaggio per il mare dei Sargassi: due grammi di eroina per una, nelle palline, legate sulla schiena. Laggiù, naturalmente, c' era lo yacht di Rick Papaleo ad aspettarle. Adesso, come le dicevo, ogni sospetto a mio carico è caduto: però tutta la faccenda è venuta alla luce, e ho il fisco alle calcagna. Si immaginano che io guadagni chissà che cosa: stanno facendo accertamenti. Una vecchia storia, vero? Inventi il fuoco e lo doni agli uomini, poi un avvoltoio ti rode il fegato per la eternità.

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Uccello o mammifero che l' Uomo abbia ad essere, è nostro dovere fare ogni sforzo per spianargli la strada, poiché il fardello che dovrà portare sarà grave. Conosciamo, per averlo creato, il cervello, e sappiamo di quali portentose prestazioni sia almeno potenzialmente capace, ma ne conosciamo altresì la misura ed i limiti; conosciamo anche, per avervi posto mano, le energie che dormono e si destano nel gioco dei sessi. Non nego che l' esperienza di combinare i due meccanismi sia interessante: ma confesso la mia esitazione, confesso il mio timore. Che sarà di questa creatura? Sarà duplice, sarà un centauro, uomo fino ai precordi e di qui belva; o sarà legato ad un ciclo estrale, ed allora come potrà conservare una sufficiente uniformità di comportamento? Non seguirà (non ridete!) il Bene e il Vero, ma due beni e due veri. E quando due uomini desidereranno la stessa donna, o due donne lo stesso uomo, che ne sarà delle loro istituzioni sociali, e delle leggi che dovranno tutelarle? E che dire, a proposito dell' Uomo, di quelle famose "eleganti ed economiche soluzioni", vanto del qui presente consigliere anatomista, ed entusiasticamente avallate dal qui presente economo, per cui con tanta disinvoltura si sono utilizzati a scopi sessuali orifizi e canali originariamente destinati all' escrezione? Questa circostanza, che noi sappiamo dovuta ad un puro calcolo di riduzione degli ingombri e dei costi, non potrà apparire altrimenti, a questo animale pensante, che un simbolo beffardo, una confusione abietta e conturbante, il segno del sacro-sozzo, della sragione bicipite, del caos, incastonato nel suo corpo, irrinunciabile, eterno. Eccomi alla conclusione, o signori. Sia fatto l' Uomo, se l' Uomo deve essere fatto; e sia pure esso uccello, se così vorrete. Ma mi sia concesso porre mano fin d' ora al problema, estinguere in germe oggi i conflitti che esploderanno fatalmente domani, affinché non si debba assistere, in un prevedibile futuro, all' infausto spettacolo di un Uomo maschio che muova il suo popolo a guerra per conquistare una femmina, o di un Uomo femmina che distolga la mente di un maschio da nobili imprese e pensamenti per ridurla in soggezione. Ricordate: colui che sta per nascere sarà nostro giudice. Non solo i nostri errori, ma tutti i suoi, per tutti i secoli a venire, peseranno sul nostro capo. ARIMANE Lei avrà magari anche ragione, ma non vedo che urgenza ci sia di fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Non vedo cioè né la possibilità né la opportunità di refrigerare l' Uomo in sede di progettazione: e ciò per ovvie ragioni di speditezza dei lavori. Se poi davvero dovessero prendere corpo le sue angosciose previsioni, ebbene, allora si vedrà; non mancherà né l' occasione né il tempo di apportare al modello le correzioni che risulteranno più opportune. D' altronde, poiché l' Uomo, a quanto pare, sarà uccello, mi pare che non sia il caso di drammatizzare. Le difficoltà e i rischi che la preoccupano si potranno limitare agevolmente: l' interesse sessuale potrà essere ridotto a periodi estremamente brevi, forse a non più di qualche minuto all' anno; niente gravidanza, niente allattamento, una tendenza precisa e potente alla monogamia, una cova breve, dei piccoli che usciranno dall' uovo pronti o quasi alla vita autonoma. A questo si potrà pervenire senza rimaneggiare gli schemi anatomici ora in vigore, il che, oltre a tutto, comporterebbe spaventosi intralci di natura burocratica ed amministrativa. No, signori, la decisione è ormai presa, e l' Uomo sarà uccello: uccello a pieno titolo, né pinguino né struzzo, uccello volatore, con becco, penne, artigli, uova e nido. Restano solo da definire alcuni importanti particolari costruttivi, e cioè: 1) quali saranno le dimensioni ottime; 2) se converrà prevederlo sedentario o migratore .... (Alle ultime parole di Arimane, la porta di fondo si è andata cautamente aprendo. Sono apparsi il capo e una spalla del messaggero, che, senza osare interrompere, fa cenni vivaci e lancia occhiate in giro per attirare l' attenzione dei presenti. Ne nasce un mormorio e un trambusto di cui Arimane finisce coll' accorgersi) Che c' è? cosa succede? MESSAGGERO (ammicca ad Arimane con l' aria ufficiosa e confidenziale dei bidelli e dei sagrestani) Venga fuori un momento, venerabile. Novità importanti da .... (Accenna col capo all' indietro e all' insù). ARIMANE (lo segue fuori della porta; si sente un dialogare concitato, attraverso il brusio e i commenti degli altri. A un tratto la porta socchiusa viene chiusa con violenza dall' esterno, e poco dopo riaperta. Arimane rientra, con passo lento e a capo basso. Tace a lungo, poi) ... andiamocene a casa, o signori. È tutto finito, tutto risolto. A casa, a casa. Cosa stiamo a fare qui? Non ci hanno aspettati: non avevo ragione di avere fretta? Ancora una volta, hanno voluto farci vedere che noi non siamo necessari, che sanno fare da soli, che non hanno bisogno di anatomisti, né di psicologi, né di economi. Possono ciò che vogliono. ... No, signori, non so molti particolari. Non so se si siano consultati con qualcuno, o se abbiano seguito un ragionamento, o un piano lungamente meditato, o l' intuizione di un attimo. So che hanno preso sette misure di argilla, e l' hanno impastata con acqua di fiume e di mare; so che hanno modellato il fango nella forma che loro è parsa migliore. Pare si tratti di una bestia verticale, quasi senza pelo, inerme, che al qui presente messaggero è sembrata non troppo lontana dalla scimmia e dall' orso: una bestia priva di ali e di penne, e quindi da ritenersi sostanzialmente mammifera. Pare inoltre che la femmina dell' uomo sia stata creata da una sua costola ... (voci, interrogazioni) ... da una sua costola, sì, con un procedimento che non mi è chiaro, che non esiterei a definire eterodosso, e che non so se si intenda conservare nelle generazioni a venire. In questa creatura hanno infuso non so che alito, ed essa si è mossa. Così è nato l' Uomo, o signori, lontano dal nostro consesso: semplice, non è vero? Se e quanto esso corrisponda ai requisiti che ci erano stati proposti, o se non si tratti invece di un uomo per pura definizione e convenzione, non ho elementi per stabilire. Altro non ci resta dunque che augurare a questa creatura anomala una lunga e prospera carriera. Il collega segretario vorrà incaricarsi della stesura del messaggio augurale, della scheda di omologazione, della iscrizione sui ruolini, del calcolo dei costi eccetera; tutti gli altri sono sciolti da ogni impegno. State di buon animo, signori; la seduta è tolta.

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Non se n' abbia a male, ma lei non è una VIP. Ecco, sono proprio queste le cose che mi irritano: ventotto a uno come lei! Ma non se la deve prendere, volevo appunto dimostrarle che questo cosetto è un giudice da quattro soldi, e poi è tarato secondo gli standard americani. No, non so esattamente come funzioni, e neppure mi interessa tanto, parola d' onore: so solo che il punteggio viene assegnato in base a fattori come il taglio e il disegno dell' abito, la misura del sigaro (e lei non fuma), lo stato dei denti, l' andatura e il ritmo della parlata. Mi scusi, forse non avrei dovuto farlo; ma, se può servire a rassicurarla, guardi che io arrivo a stento a 25, quando ho la barba appena rasa: se no, non sorpasso i 20 punti. Insomma, è roba da chiodi. O non vendono, e allora per la NATCA italiana si mette male; o ne vendono, e allora vengono i brividi, a immaginare una classe dirigente tutta fatta di 100 centesimi. Capisce, è un' altra buona ragione per andarsene. Abbassò la voce e mi mise confidenzialmente la mano sul ginocchio: _ ... Ma se viene da me uno di questi giorni, a Fiera finita, le mostrerò la prima e principale ragione. È quel regalo a cui le ho accennato: un Torec, un Total Recorder. Con quello in casa, un piccolo assortimento di nastri, una discreta pensione, e le mie api, perché dovrei continuare a farmi cattivo sangue coi clienti? Simpson si scusò di ricevermi in ufficio e non a casa: _ Qui staremo forse un po' meno comodi, ma più tranquilli: non c' è niente di più irritante di una telefonata durante la fruizione, e qui nessuno telefona mai fuori delle ore d' ufficio. Poi, devo confessarglielo, a mia moglie questo aggeggio non va a genio, e non se lo vuole vedere attorno. Mi illustrò il Torec con competenza e con quella incapacità di meraviglia che gli è propria, e che a mio parere scaturisce dal suo lungo passato di venditore di meraviglie. Il Torec, mi spiegò, è un registratore totale. Non è una delle solite macchine per ufficio: è un congegno rivoluzionario. Si fonda sull' Andrac, il dispositivo creato e descritto da R. Vacca, e da lui messo in opera sulla sua stessa persona: vale a dire, su di una comunicazione diretta fra i circuiti nervosi ed i circuiti elettronici. Con l' Andrac, sottoponendosi ad un piccolo intervento chirurgico, è possibile ad esempio azionare una telescrivente o guidare un' auto solo mediante impulsi nervosi, senza l' intervento dei muscoli: in altri termini, basta "volerlo". Il Torec sfrutta invece il corrispondente meccanismo ricettivo, in quanto suscita sensazioni nel cervello senza la mediazione dei sensi: a differenza dell' Andrac, tuttavia, il Torec non esige alcun intervento cruento. La trasmissione delle sensazioni registrate sui nastri avviene attraverso elettrodi cutanei, senza che occorra alcuna operazione preparativa. L' ascoltatore, anzi il fruitore, non ha che da indossare un casco, e durante tutto lo svolgimento del nastro riceve l' intera e ordinata serie di sensazioni che il nastro stesso contiene: sensazioni visive, auditive, tattili, olfattive, gustative, cenestesiche e dolorose; inoltre, le sensazioni per così dire interne, che ognuno di noi allo stato di veglia riceve dalla propria memoria. Insomma, tutti i messaggi afferenti che il cervello, o meglio (per dirla con Aristotele) l' intelletto paziente, è in grado di ricevere. La trasmissione non avviene attraverso gli organi di senso del fruitore, che restano tagliati fuori, bensì direttamente a livello nervoso, mediante un codice che la NATCA mantiene segreto: il risultato è quello di una esperienza totale. Lo spettatore rivive integralmente la vicenda che il nastro gli suggerisce, sente di parteciparvi o addirittura di esserne l' attore: questa sensazione non ha nulla in comune con l' allucinazione né col sogno, perché, finché dura il nastro, non è distinguibile dalla realtà. A nastro finito, se ne conserva un normale ricordo, ma durante ogni fuizione la memoria naturale è soppiantata dai ricordi artificiali incisi sul nastro; perciò non si ricordano le fruizioni precedenti, e non sopravviene stanchezza né noia. Ogni fruizione di un determinato nastro può essere ripetuta infinite volte, ed ogni volta essa è vivida e ricca di imprevisti come la prima. Col Torec, concluse Simpson, uno è a posto. _ Lei comprende: qualunque sensazione uno desideri procurarsi, non ha che da scegliere il nastro. Vuole fare una crociera alle Antille? O scalare il Cervino? O girare per un' ora intorno alla terra, con l' assenza di gravità e tutto? O essere il sergente Abel F. Cooper, e sterminare un banda di Vietcong? Ebbene, lei si chiude in camera, infila il casco, si rilassa e lascia fare a lui, al Torec. Rimasi in silenzio per qualche istante, mentre Simpson mi osservava attraverso gli occhiali con curiosità benevola. _ Lei mi sembra perplesso, _ disse poi. _ Mi pare, _ risposi, _ che questo Torec sia uno strumento definitivo. Uno strumento di sovversione, voglio dire: nessun' altra macchina della NATCA, anzi, nessuna macchina che mai sia stata inventata, racchiude in sé altrettanta minaccia per le nostre abitudini e per il nostro assetto sociale. Scoraggerà ogni iniziativa, anzi, ogni attività umana: sarà l' ultimo grande passo, dopo gli spettacoli di massa e le comunicazioni di massa. A casa nostra, per esempio, da quando abbiamo comperato il televisore, mio figlio gli sta davanti per ore, senza più giocare, abbacinato come le lepri dai fari delle auto. Io no, io vado via: però mi costa sforzo. Ma chi avrà la forza di volontà di sottrarsi a uno spettacolo Torec? Mi sembra assai più pericoloso di qualsiasi droga: chi lavorerebbe più? Chi si curerebbe ancora della famiglia? _ Non le ho mica detto che il Torec sia in vendita, _ disse Simpson. _ Anzi, le ho raccontato che l' ho ricevuto in regalo, che è un regalo unico al mondo, e che me l' hanno mandato in occasione del mio ritiro. Se vogliamo sottilizzare, devo aggiungere che non è neppure un vero regalo; l' apparecchio, legalmente, continua ad appartenere alla NATCA, e mi è stato affidato a tempo indefinito non solo come premio, ma anche perché io ne sperimenti gli effetti a lunga scadenza. _ Ad ogni modo, _ dissi io, _ se lo hanno studiato e costruito è perché intendono metterlo in vendita. _ La faccenda è semplice. I padroni della NATCA hanno per ogni loro azione solo due scopi, che poi si riducono a uno: guadagnare quattrini e acquistare prestigio, che poi vuol dire guadagnare altri quattrini. Si capisce che vorrebbero produrre il Torec in serie e venderne milioni di esemplari, ma hanno ancora abbastanza testa sul collo per rendersi conto che il Congresso non resterebbe indifferente davanti alla diffusione incontrollata di uno strumento come questo. Perciò, in questi mesi, dopo che il prototipo è stato realizzato, si stanno preoccupando in primo luogo di rivestirlo di una corazza di brevetti, che non ne resti scoperto un solo bullone; in secondo, di strappare il consenso del legislatore alla sua distribuzione in tutte le case di riposo, e alla sua assegnazione gratuita a tutti gli invalidi e agli ammalati inguaribili. Infine, e questo è il loro programma più ambizioso, vorrebbero che il diritto al Torec maturasse per legge insieme col diritto alla pensione, per tutta la popolazione attiva. _ Così lei sarebbe, per così dire, il prototipo del pensionato di domani? _ Sì, e le assicuro che l' esperienza non mi dispiace per nulla. Il Torec mi è arrivato da sole due settimane, ma mi ha già procurato delle serate incantevoli: certo, lei ha ragione, occorre volontà e buon senso per non lasciarsi sopraffare, per non dedicargli le intere giornate, e io non lo darei mai in mano a un ragazzo, ma alla mia età è prezioso. Non vuole provarlo? Mi sono impegnato a non imprestarlo né venderlo, ma lei è una persona discreta, e credo che una eccezione per lei la posso fare. Sa, mi hanno anche invitato a studiarne le possibilità come ausiliario didattico, per lo studio della geografia, per esempio, e delle scienze naturali, e terrei molto a un suo parere. _ S' accomodi, _ mi disse: _ è forse meglio chiudere le impannate. Sì, così con le spalle alla lampada andrà benissimo. Non posseggo per ora che una trentina di nastri, ma altri settanta sono in dogana a Genova e spero di riceverli fra poco: così avrò tutto l' assortimento che esiste fino ad oggi. _ Chi produce i nastri? Come si ottengono? _ Si parla di produrre nastri artificiali, ma per ora essi vengono tutti ottenuti mediante registrazione. Il procedimento è noto solo nelle sue linee generali: laggiù a Fort Kiddiwanee, alla Torec Division, propongono un ciclo di registrazioni a qualunque persona che abbia normalmente, o possa avere occasionalmente, qualche esperienza che si presti allo sfruttamento commerciale: ad aviatori, esploratori, subacquei, seduttori o seduttrici, e ad altre numerose categorie di individui che lei stesso può immaginare se ci pensa un momento. Poniamo che il soggetto accetti, e che si raggiunga un accordo sui diritti: a proposito, ho sentito dire che si tratta di cifre abbastanza alte, da due a cinquemila dollari per nastro; ma spesso, per ottenere una registrazione utilizzabile bisogna ripetere l' incisione dieci o venti volte. Dunque: se l' accordo si raggiunge, gli infilano sul capo un casco su per giù come questo, e non ha che da portarlo per tutto il tempo che dura la registrazione; non ha nessun altro disturbo. Tutte le sue sensazioni vengono trasmesse via radio al centralino di incisione, e poi dal primo nastro si tirano quante copie si vogliono con le tecniche usuali. _ Ma allora ... ma se il soggetto sa che ogni sua sensazione viene registrata, allora anche questa sua consapevolezza rimarrà incisa sul nastro. Lei non rivivrà il lancio di un astronauta qualunque, ma quello di un astronauta che sa di avere un casco Torec in testa e di essere oggetto di una registrazione. _ È proprio così, _ disse Simpson: _ infatti, nella maggior parte dei nastri che ho fruito questa consapevolezza di fondo si percepisce distintamente, ma alcuni soggetti, con l' esercizio, imparano a reprimerla durante la registrazione, e a relegarla nel subconscio, dove il Torec non arriva. Del resto non disturba gran che. Quanto al casco, non dà la minima noia: la sensazione "casco in testa" che è incisa in tutti i nastri coincide con quella provocata direttamente dal casco di ricezione. Stavo per esporgli alcune altre mie difficoltà di natura filosofica, ma Simpson mi interruppe. _ Vuole che cominciamo da questo? È uno dei miei preferiti. Sa, in America il calcio non è molto popolare, ma da quando sono in Italia sono diventato un milanista convinto: anzi, sono stato io a combinare l' affare fra il Rasmussen e la NATCA, e ho diretto io stesso la registrazione. Lui ci ha guadagnato tre milioni, e la NATCA un nastro fantastico. Perdinci, che mezz' ala! Ecco, si segga, metta il casco e poi mi dirà. _ Ma io non ne capisco niente, di calcio. Non solo non ho mai giocato, neppure da ragazzino, ma non ho mai visto una partita, neanche alla televisione! _ Non importa, _ disse Simpson, ancora tutto vibrante di entusiasmo, e diede il contatto. Il sole era basso e caldo, l' aria polverosa: percepivo un odore intenso di terra smossa. Ero sudato e avevo un po' male a una caviglia: correvo a falcate estremamente leggere dietro al pallone, guardavo alla mia sinistra con la coda dell' occhio, e mi sentivo agile e pronto come una molla tesa. Un altro giocatore rosso-nero entrò nel mio campo visivo: gli passai il pallone raso terra, sorprendendo un avversario, poi mi precipitai in avanti mentre il portiere usciva verso destra. Udii il boato crescente del pubblico, vidi il pallone respinto verso di me, un po' più avanti per sfruttare il mio slancio: gli fui sopra in un lampo e calciai in porta di precisione, di sinistro, senza sforzo, senza violenza, davanti alle mani tese del portiere. Percepii l' onda di allegrezza nel sangue, e poco dopo in bocca il sapore amaro della scarica di adrenalina: poi tutto finì e mi ritrovai in poltrona. _ Ha visto? È molto breve, ma è un piccolo gioiello. Si è forse accorto della registrazione? No, vero? Quando uno è sotto porta ha altro da pensare. _ Infatti. Devo ammetterlo, è una curiosa impressione. È esaltante sentire il proprio corpo così giovane e docile: una sensazione perduta da decenni. Anche segnare, sì, è bello: non si pensa a nient' altro, si è tutti come concentrati in un punto, come dei proiettili. E l' urlo della folla! Eppure, non so se lei se ne è accorto, in quell' istante in cui aspettavo ... in cui lui aspettava il passaggio, un pensiero estraneo si fa strada: una ragazza alta e bruna, che si chiama Claudia, e con cui lui ha un appuntamento alle 9 in San Babila. Dura solo un secondo, ma è chiarissimo: tempo, luogo, antefatto, tutto. Lo ha sentito? _ Sì, certo, ma sono cose senza importanza: anzi, aumentano il senso del reale. Si capisce che uno non può mica rifarsi tabula rasa, e presentarsi alla registrazione come se fosse nato l' istante prima: ho saputo che molti rifiutano il contratto proprio per ragioni di questo genere, perché hanno qualche ricordo che vogliono tenere segreto. Ebbene, che ne dice? Vuole provare ancora? Pregai Simpson di farmi vedere i titoli degli altri suoi nastri. Erano molto concisi e scarsamente suggestivi, alcuni addirittura incomprensibili, forse a causa della traduzione italiana. _ È meglio che mi consigli lei, _ dissi: _ io non saprei scegliere. _ Ha ragione. Dei titoli non ci si può fidare, proprio come per i libri e per i film. E noti che i nastri disponibili, come le ho detto, sono per ora solo un centinaio: ma ho visto poco fa la bozza del catalogo 1967, ed è roba da dare le vertigini. Anzi, glielo voglio mostrare: mi pare istruttivo sotto l' aspetto dell' "American Way of Life", e più in generale come tentativo di una sistematica delle esperienze pensabili. Il catalogo raccoglieva più di 900 titoli, ognuno dei quali era seguito dal numero della Classificazione decimale Dewey, ed era diviso in sette sezioni. La prima portava l' indicazione "Arte e Natura"; i nastri relativi erano contraddistinti da una fascia bianca, e portavano titoli come "Tramonto a Venezia", "Paestum e Metaponto visti da Quasimodo", "Il ciclone Magdalen", "Un giorno fra i pescatori di merluzzi", "Rotta polare", "Chicago vista da Allen Ginsberg", "Noi sub", "La Sfinge meditata da Emily S. Stoddard". Simpson mi fece notare che non si trattava di sensazioni gregge, come quelle di un uomo rozzo e incolto che visiti Venezia o assista casualmente ad uno spettacolo naturale: ogni argomento era stato registrato scritturando buoni scrittori e poeti, che si erano prestati a mettere a disposizione del fruitore la loro cultura e la loro sensibilità. Alla seconda sezione appartenevano nastri dalla fascia rossa e dalla indicazione "Potenza". La sezione era ulteriormente suddivisa nelle sottosezioni "Violenza", "Guerra", "Sport", "Autorità", "Ricchezza", "Miscellanea". _ È una divisione arbitraria, _ disse Simpson: _ io, per esempio, al nastro che lei ha fruito or ora, "Un goal di Rasmussen", avrei certo messo la fascia bianca invece di quella rossa. In generale, a me i nastri rossi interessano poco; però mi hanno detto che già sta nascendo in America un mercato nero di nastri: escono misteriosamente dagli studi della NATCA e vengono incettati da ragazzi che possiedono dei Torec clandestini fabbricati alla meglio da radiotecnici di pochi scrupoli. Bene, i nastri rossi sono i più ricercati. Ma forse non è un male: un giovane che si comperi un pestaggio in una cafeteria è difficile che poi vi prenda parte in carne ed ossa. _ Perché? Se uno ci prende gusto ... Non sarà come per i leopardi, che quando hanno assaggiato il sangue d' uomo poi non possono più farne a meno? Simpson mi guardava con un' aria curiosa. _ Già, lei è un intellettuale italiano: vi conosco bene, voialtri. Buona famiglia borghese, quattrini abbastanza, una madre timorata e possessiva, a scuola dai preti, niente servizio militare, nessuno sport di competizione, salvo forse un po' di tennis. Una o più donne corteggiate senza passione, una sposata, un lavoro tranquillo per tutta la vita. È così, non è vero? _ Be' , non proprio, almeno per quanto mi riguarda .... _ Sì, in qualche particolare mi potrò essere sbagliato, ma la sostanza è questa, non lo neghi. La lotta per la vita è elusa, non avete mai fatto a cazzotti, e ve ne resta la voglia fino alla vecchiaia. In fondo, è per questo che avete accettato Mussolini: volevate un duro, un lottatore, e lui, che non lo era ma neanche era stupido, ha recitato la parte finché ha potuto. Ma non divaghiamo: vuol vedere che gusto c' è a fare a pugni? Ecco qui, si metta il casco e poi mi dirà. Io ero seduto, gli altri intorno a me stavano in piedi. Erano tre, avevano delle maglie a righe e mi guardavano sogghignando. Uno di loro, Bernie, mi parlava in un linguaggio che, a pensarci dopo, compresi essere un americano fortemente gergale, ma allora lo capivo bene, e lo parlavo anche: anzi, ne ricordo perfino qualche termine. Mi chiamava bright boy e goddam rat, e mi derideva, a lungo, con pazienza e crudeltà. Mi derideva perché ero un Wop, e più precisamente un Dago; io non rispondevo, e continuavo a bere con studiata indifferenza. In realtà provavo collera e paura insieme; ero consapevole della finzione scenica, ma gli insulti li avevo ricevuti e mi bruciavano, e poi la finzione stessa riproduceva una situazione non nuova, anche se mai avevo potuto abituarmici. Avevo diciannove anni, ero tarchiato e robusto, ed ero veramente un Wop, un figlio di immigrati italiani; mi vergognavo profondamente di esserlo, e insieme ne ero fiero. I miei persecutori erano autentici persecutori, miei vicini di rione e nemici fin dall' infanzia: biondi, anglosassoni e protestanti. Li detestavo, e insieme li ammiravo un poco. Non avevano mai osato affrontarmi apertamente: il contratto con la NATCA aveva offerto loro una splendida occasione e l' impunità. Sapevo che loro ed io eravamo stati tutti quanti scritturati per una registrazione, ma questo non toglieva nulla al nostro odio reciproco; anzi, il fatto stesso di avere accettato danaro per picchiarmi con loro raddoppiava il mio astio e la mia collera. Quando Bernie, imitando il mio linguaggio, disse: _ Uocchie 'e màmmeta! Madonna Mmaculata! _ e mi spedì un bacio burlesco sulla punta delle dita, afferrai il boccale di birra e glielo scagliai sul viso: vidi colare il suo sangue, e mi sentii riempire di un' esultanza feroce. Subito dopo rovesciai il tavolo, e tenendolo davanti come uno scudo cercai di raggiungere l' uscita. Ricevetti un pugno nelle costole: lasciai cadere il tavolo e mi avventai contro Andrew. Lo colpii alla mascella: volò all' indietro e si fermò stordito contro il bancone, ma intanto Bernie si era riavuto, e lui e Tom mi spinsero in un angolo sotto una gragnuola di colpi allo stomaco e al fegato. Ero senza fiato e non li vedevo che come ombre indistinte; ma quando mi dissero: _ Su, bimbo, chiedi pietà, _ feci due passi avanti, poi finsi di cadere, ma invece mi slanciai su Tom a testa bassa, come un toro che carichi. Lo atterrai, incespicai nel suo corpo e gli caddi addosso; mentre tentavo di rialzarmi ricevetti un furioso uppercut al mento, che mi sollevò letteralmente da terra e mi sembrò dovesse staccarmi la testa dal busto. Persi coscienza, la riacquistai sotto l' impressione di una doccia gelata sul capo, poi tutto finì. _ Basta, grazie, _ dissi a Simpson massaggiandomi il mento che, chissà perché, mi doleva ancora un poco. _ Ha ragione lei: non avrei nessuna voglia di ricominciare, né sul serio né per trasferta. _ Neanch' io, _ disse Simpson: _ l' ho fruito una sola volta e mi è bastata. Ma credo che un Wop autentico potrebbe trovarci una certa soddisfazione, se non altro per il fatto di combattere uno contro tre. Secondo me, questo nastro la NATCA lo ha inciso proprio per loro; sa bene, non fanno mai nulla senza una ricerca di mercato. _ Io credo invece che lo abbiano inciso per quegli altri, per i Biondi-Anglosassoni-Protestanti, e per i razzisti di tutte le razze. Pensi che godimento raffinato, sentirsi soffrire nei panni di chi si vuole fare soffrire! Be' , lasciamo andare. Che cosa sono questi nastri a fascia verde? Che significa "Encounters"? Il signor Simpson sorrise: _ È un eufemismo bello e buono. Sa, anche da noi la censura non scherza. Dovrebbero essere "incontri" con illustri personalità, per clienti che desiderano avere una breve conversazione con i grandi della terra. In effetti qualcuno ce n' è: guardi qui, "De Gaulle", "Francisco Franco Bahamonde", "Konrad Adenauer", "Mao Tse-tung" (sì, sì, anche lui c' è stato: è difficile capire i cinesi), "Fidel Castro". Ma hanno solo funzione di copertura: per la massima parte si tratta di tutt' altro, sono nastri sexy. L' incontro c' è, ma in un altro senso, insomma: vede, sono altri nomi, che sui giornali si leggono di rado in prima pagina .... Sina Rasinko, Inge Baum, Corrada Colli .... A questo punto cominciai a sentirmi arrossire. È un difetto noioso, che mi porto dietro dall' adolescenza: basta che io pensi "vuoi vedere che adesso arrossisco?" (e nessuno può impedirsi di pensare), ed ecco che il meccanismo scatta: mi sento diventare rosso, mi vergogno di diventarlo, e così lo divento ancora di più, finché comincio a sudare a grosse gocce, mi viene la gola secca e non riesco più a parlare. Quella volta lo stimolo, quasi casuale, era partito dal nome di Corrada Colli, la modella-indossatrice resa famosa dal noto scandalo, per la quale mi ero improvvisamente accorto di provare una simpatia salace, mai confessata ad alcuno e nemmeno a me stesso. Simpson mi osservava, esitante fra il riso e l' allarme: infatti, il mio stato di congestione era così evidente che non avrebbe potuto decentemente fingere di non essersene accorto. _ Non si sente bene? _ mi chiese alla fine: _ vuole prendere una boccata d' aria? _ No, no, _ dissi ansimando, mentre il mio sangue rifluiva tumultuosamente alle sue sedi profonde: _ non è niente, mi capita spesso. _ Non vorrà mica dirmi, _ fece storditamente Simpson, _ che è il nome della Colli che l' ha ridotto in codesto stato? _ Abbassò la voce: _ ... o forse era anche lei del giro? _ Ma no, cosa mai le viene in mente! _ protestai io, mentre il fenomeno si ripeteva con intensità doppia, smentendomi sfacciatamente. Simpson taceva perplesso: faceva mostra di guardare fuori della finestra, ma ogni tanto mi scoccava una rapida occhiata. Poi si decise: _ Senta, siamo fra uomini, e ci conosciamo da vent' anni. Lei è qui per provare il Torec, vero? Ebbene, quel nastro io ce l' ho: non faccia complimenti, se si vuol cavare questo gusto non ha che da dirmelo. La cosa resta fra noi, è evidente; poi, guardi, il nastro è ancora nella sua custodia originale, sigillato, e io non so neppure esattamente che cosa contenga. Magari è la cosa più innocente del mondo; ma in ogni caso, non c' è niente da vergognarsi. Credo che nessun teologo ci troverebbe nulla a ridire: chi commette il peccato non è mica lei. Su, via, metta il casco. Ero in un camerino di teatro, sullo sgabello, volgevo le spalle allo specchio e alla toilette, e provavo una viva impressione di leggerezza: mi accorsi subito che era dovuta al mio abbigliamento molto ridotto. Sapevo di aspettare qualcuno: infatti qualcuno bussò all' uscio, ed io dissi: _ Vieni pure _. Non era la "mia" voce, e questo era naturale; era invece una voce femminile, e questo era meno naturale. Mentre l' uomo entrava mi voltai verso lo specchio per accomodarmi i capelli, e l' immagine era la sua, quella di lei, di Corrada, mille volte vista sui rotocalchi: suoi gli occhi chiari, da gatto, suo il viso triangolare, sua la treccia nera avvolta intorno al capo con perversa innocenza, sua la pelle candida: ma dentro la sua pelle stavo io. Intanto l' uomo era entrato: era di statura media, olivastro, gioviale, portava un maglione sportivo e aveva i baffi. Provai nei suoi riguardi una sensazione di estrema violenza, e distintamente bipartita. Il nastro mi imponeva una sequenza di ricordi appassionati, alcuni pieni di desiderio furioso, altri di ribellione e di astio, e in tutti compariva lui, si chiamava Rinaldo, era mio amante da due anni, mi tradiva, io ero pazza di lui che finalmente era tornato, e insieme la mia vera identità si irrigidiva contro la suggestione capovolta, si ribellava contro la cosa impossibile, mostruosa che stava per accadere, adesso, subito, lì sul divano. Soffrivo acutamente, ed avevo la percezione vaga di armeggiare intorno al casco, di cercare disperatamente di staccarmelo dal capo. Come da una lontananza stellare mi giunse la voce tranquilla di Simpson: _ Che diavolo fa? Che cosa le succede? Aspetti, lasci fare a me, se no strappa il cavo _. Poi tutto si fece buio e silenzioso: Simpson aveva tolto la corrente. Ero furibondo. _ Che scherzi sono questi? A me, poi! Un amico, di cinquant' anni, sposato e con due figli, garantito eterosessuale! Basta, mi dia il cappello e si tenga le sue diavolerie! Simpson mi guardava senza capire; poi si precipitò a controllare il titolo del nastro, e si fece pallido come la cera. _ Mi deve credere, non mi sarei mai permessa una cosa simile. Non me n' ero proprio accorto. È stato un errore: imperdonabile, ma un errore. Guardi qui: ero convinto che l' etichetta fosse: "Corrada Colli, una serata con", e invece è: "Corrada Colli, una serata di". È un nastro per signora. Io non l' avevo mai provato, glielo avevo detto prima. Ci guardammo con reciproco imbarazzo. Benché fossi ancora molto turbato, mi tornò a mente in quell' istante l' accenno di Simpson alle possibili applicazioni didattiche del Torec, e stentai a reprimere uno scoppio di riso amaro. Poi Simpson disse: _ Eppure, non così di sorpresa ma sapendolo prima, sarebbe forse anche questa un' esperienza interessante. Unica: nessuno mai l' ha fatta, anche se i greci l' attribuivano a Tiresia. Già quelli le avevano studiate tutte: pensi che di recente ho letto che già avevano pensato di addomesticare le formiche, come ho fatto io, e di parlare coi delfini come Lilly. Gli risposi seccamente: _ Io no, non vorrei provare. Provi lei, se ci tiene: poi mi racconta _. Ma la sua mortificazione e la sua buona fede erano tanto evidenti che ebbi compassione di lui; appena fui un po' rinfrancato cercai pace e gli chiesi: _ Cosa sono questi nastri con la banda grigia? _ Mi ha perdonato, vero? La ringrazio, e le prometto che starò più attento. Quella è la serie "Epic", un esperimento affascinante. _ "Epic"? Non saranno mica esperienze di guerra, Far West, Marines, quelle cose che piacciono tanto a voialtri americani? Simpson ignorò cristianamente la provocazione. _ No, l' epica non c' entra per niente. Sono registrazioni del così detto "effetto Epicuro": si fondano sul fatto che la cessazione di uno stato di sofferenza o di bisogno .... Ma no, guardi: vuole concedermi l' occasione di riabilitarmi? Sì? Lei è un uomo civile: vedrà che non dovrà pentirsene. Poi, questo nastro "Sete" io lo conosco bene, e le posso assicurare che non avrà sorprese. Cioè sì, sorprese ne avrà, ma lecite e oneste. Il calore era intenso: mi trovavo in un desolato paesaggio di rocce brune e sabbia. Avevo una sete atroce, ma non ero stanco e non provavo angoscia: sapevo che si trattava di una registrazione Torec, sapevo che alle mie spalle c' era la jeep della NATCA, che avevo firmato un contratto, che per contratto non bevevo da tre giorni, che ero un disoccupato cronico di Salt Lake City, e che fra non molto avrei bevuto. Mi avevano detto di procedere in una certa direzione, e io camminavo: la mia sete era già allo stadio in cui non solo la gola e la bocca, ma anche gli occhi si seccano, e vedevo accendersi e spegnersi grosse stelle gialle. Camminai per cinque minuti, incespicando fra i sassi, poi vidi uno spiazzo sabbioso circondato dai ruderi di un muretto a secco; al centro c' era un pozzo, con una fune e un secchio di legno. Calai il secchio e lo tirai su pieno d' acqua limpida e fresca; sapevo bene che non era acqua di fonte, che il pozzo era stato scavato il giorno prima, e che l' autocisterna che lo aveva rifornito era poco lontano, parcheggiata all' ombra di una rupe. Ma la sete c' era, era reale e feroce e urgente, e io bevvi come un vitello, immergendo nell' acqua tutto il viso: bevvi a lungo, dalla bocca e dal naso, arrestandomi ogni tanto per respirare, tutto pervaso dal più intenso e semplice dei piaceri concessi ai viventi, quello di restaurare la propria tensione osmotica. Ma non durò a lungo: non avevo bevuto neppure un litro che l' acqua non mi dava più alcun piacere. Qui la scena del deserto svanì e fu sostituita da un' altra assai simile: ero in una piroga, in mezzo a un mare torrido, azzurro e vuoto. Anche qui la sete e la consapevolezza dell' artificio e la sicurezza che l' acqua sarebbe venuta: ma questa volta mi stavo domandando da che parte, perché intorno non si vedeva che mare e cielo. Poi emerse a cento metri da me un sommergibile tascabile con la scritta NATCA II, e la scena giunse a compimento con una deliziosa bevuta. Mi trovai poi successivamente in una prigione, in un vagone piombato, davanti a un forno vetrario, legato a un palo, in un letto d' ospedale, e ogni volta la mia sete breve ma tormentosa veniva più che compensata dall' arrivo dell' acqua gelata o di altre bevande, in circostanze sempre diverse, e per lo più artificiose o puerili. _ Lo schema è un po' monotono e la regia è debole, ma lo scopo è senza dubbio raggiunto, _ dissi a Simpson. _ È vero, è un piacere unico, acuto, quasi intollerabile. _ Questo lo sanno tutti, _ disse Simpson: _ ma senza il Torec non sarebbe stato possibile condensare sette soddisfazioni in venti minuti di spettacolo, eliminando del tutto il pericolo, e quasi del tutto la parte negativa dell' esperienza, e cioè il lungo tormento della sete, inevitabile in natura. È questa la ragione per cui tutti i nastri Epic sono antologici, cioè sono fatti di centoni: infatti sfruttano una sensazione sgradevole, che conviene sia breve, ed una di sollievo, che è intensa, ma breve per sua natura. Oltre alla sete, ci sono in programma vari nastri sulla cessazione della fame e di almeno dieci qualità di dolori, fisici e spirituali. _ Questi nastri Epic, _ dissi, _ mi lasciano perplesso. Può essere che dagli altri qualcosa di buono si possa anche cavare: all' ingrosso, lo stesso bilancio sostanzialmente attivo che si ricava da una vittoria sportiva, o da uno spettacolo naturale, o da un amore in carne ed ossa. Ma di qui, da questi giochetti frigidi alle spese del dolore, che cosa si può spremere se non un piacere in scatola, fine a se stesso, solipsistico, da solitari? Insomma, mi sembrano una diserzione: non mi sembrano morali. _ Forse ha ragione, _ disse Simpson dopo un breve silenzio: _ ma la penserà ancora così quando avrà settant' anni? o ottanta? E la può pensare come lei quello che è paralitico, quello che è legato a un letto, quello che non vive che per morire? Simpson mi illustrò poi brevemente i nastri cosiddetti "del super-io", a fascia blu (salvataggi, sacrifici, esperienze registrate su pittori, musici e poeti nel pieno del loro sforzo creativo), e i nastri a fascia gialla, che riproducono esperienze mistiche e religiose di varie confessioni: a proposito di questi, mi accennò che già alcuni missionari ne avevano fatta richiesta per fornire ai propri catecumeni un campione della loro futura vita di convertiti. Quanto ai nastri della settima serie, con la fascia nera, essi sono difficilmente catalogabili. La casa li raccoglie tutti quanti, alla rinfusa, sotto la denominazione "effetti speciali": in buona parte si tratta di registrazioni sperimentali, ai limiti di quanto è possibile oggi, per stabilire quanto sarà possibile domani. Alcuni, come Simpson mi aveva accennato prima, sono nastri sintetici: cioè, non registrati dal vivo, ma costruiti con tecniche speciali, immagine per immagine, onda per onda, come si costruiscono la musica sintetica e i disegni animati. In questo modo si sono ottenute sensazioni mai esistite né concepite prima: Simpson mi raccontò anche che in uno degli studi NATCA un gruppo di tecnici sta lavorando a comporre su nastro un episodio della vita di Socrate visto da Fedone. _ Non tutti i nastri neri, _ mi disse Simpson, _ contengono esperienze gradevoli: alcuni sono destinati esclusivamente a scopi scientifici. Vi sono ad esempio registrazioni eseguite su neonati, su nevrotici, su psicopatici, su geni, su idioti, perfino su animali. _ Su animali? _ ripetei sbalordito. _ Sì, su animali superiori, dal sistema nervoso affine al nostro. Esistono nastri di cani: "grow a tail!" dice entusiasticamente il catalogo, "fatevi crescere una coda!"; nastri di gatti, di scimmie, di cavalli, di elefanti. Io di nastri neri, per ora, ne ho uno solo, ma glielo raccomando per concludere la serata. Il sole si rifletteva abbagliante sui ghiacciai: non c' era una nuvola. Stavo planando, sospeso sulle ali (o sulle braccia?), e sotto di me si svolgeva lentamente una valle alpina. Il fondo era a duemila metri almeno più basso di me, ma distinguevo ogni sasso, ogni filo d' erba, ogni increspatura dell' acqua del torrente, perché i miei occhi possedevano una straordinaria acutezza. Anche il campo visivo era maggiore del consueto: abbracciava due buoni terzi dell' orizzonte e comprendeva il punto a picco sotto di me, mentre invece era limitato verso l' alto da un' ombra nera; inoltre, non vedevo il mio naso, anzi, alcun naso. Vedevo, udivo il fruscio del vento e lo scroscio lontano del torrente, sentivo la mutevole pressione dell' aria contro le ali e la coda, ma dietro questo mosaico di sensazioni la mia mente era in una condizione di torpore, di paralisi. Percepivo soltanto una tensione, uno stimolo simile a quello che solitamente si prova dietro allo sterno, quando si ricorda che "si deve fare una cosa" e si è dimenticato quale: dovevo "fare una cosa", compiere un' azione, e non sapevo quale, ma sapevo che la dovevo compiere in una certa direzione, portarla a termine in un certo luogo che era stampato nella mia mente con perfetta chiarezza: una costa dentata alla mia destra, alla base del primo picco una macchia bruna dove finiva il nevaio, una macchia che adesso era nascosta nell' ombra; un luogo come milioni di altri, ma là era il mio nido, la mia femmina e il mio piccolo. Virai sopravvento, mi abbassai sopra un lungo crestone e lo percorsi raso terra da sud verso nord: adesso la mia grande ombra mi precedeva, falciando a tutta velocità i gradoni d' erba e di terra, le schegge e i nevati. Una marmotta-sentinella fischiò due, tre, quattro volte, prima che io la potessi vedere; nello stesso istante scorsi fremere sotto di me alcuni steli di avena selvaggia: una lepre, ancora in pelliccia invernale, divallava a balzi disperati verso la tana. Raccolsi le ali al corpo e caddi su lei come un sasso: era a meno di un metro dal rifugio quando le fui sopra, spalancai le ali per frenare la caduta e trassi fuori gli artigli. La ghermii in pieno volo, e ripresi quota solo sfruttando lo slancio, senza battere le ali. Quando l' impeto si fu esaurito uccisi la lepre con due colpi di becco: adesso sapevo cosa era il "da farsi", il senso di tensione era cessato, e drizzai il volo verso il nido. Poiché si era fatto ormai tardi, presi congedo da Simpson e lo ringraziai per la dimostrazione, soprattutto per l' ultimo nastro, che mi aveva soddisfatto profondamente. Simpson si scusò ancora per l' incidente: _ Certo bisogna stare attenti, un errore può avere conseguenze impensate. Volevo ancora raccontarle quello che è successo a Chris Webster, uno degli addetti al progetto Torec, col primo nastro industriale che erano riusciti a incidere: si trattava di un lancio col paracadute. Quando volle controllare la registrazione, Webster si trovò a terra, un po' ammaccato, col paracadute floscio accanto. A un tratto il telo si sollevò dal suolo, si gonfiò come se soffiasse un forte vento dal basso verso l' alto, e Webster si sentì strappato da terra e trascinato lentamente all' insù, mentre il dolore delle ammaccature spariva di colpo. Salì tranquillamente per un paio di minuti, poi i tiranti diedero uno strappo e la salita accelerò vertiginosamente, tagliandogli il fiato: nello stesso istante il paracadute si chiuse come un ombrello, si ripiegò più volte per il lungo, e di scatto si appallottolò e gli aderì alle spalle. Mentre saliva come un razzo vide l' aereo portarglisi sopra volando all' indietro, con il portello aperto: Webster vi penetrò a capofitto, e si ritrovò nella carlinga tutto pieno di spavento per il lancio imminente. Ha capito, non è vero? Aveva infilato nel Torec il nastro a rovescio. Simpson mi estorse affettuosamente la promessa di tornare a trovarlo a novembre, quando la sua raccolta di nastri sarebbe stata completa, e ci lasciammo a notte alta. Povero Simpson! Temo che per lui sia finita. Dopo tanti anni di fedele servizio per la NATCA, l' ultima macchina NATCA lo ha sconfitto, proprio quella che gli avrebbe dovuto assicurare una vecchiaia varia e serena. Ha combattuto col Torec come Giacobbe con l' angelo, ma la battaglia era perduta in partenza. Gli ha sacrificato tutto: le api, il lavoro, il sonno, la moglie, i libri. Il Torec non dà assuefazione, purtroppo: ogni nastro può essere fruito infinite volte, ed ogni volta la memoria genuina si spegne, e si accende la memoria d' accatto che è incisa sul nastro stesso. Perciò Simpson non prova noia durante la fruizione, ma è oppresso da una noia vasta come il mare, pesante come il mondo, quando il nastro finisce: allora non gli resta che infilarne un altro. È passato dalle due ore quotidiane che si era prefisso, a cinque, poi a dieci, adesso a diciotto o venti: senza Torec sarebbe perduto, col Torec è perduto ugualmente. In sei mesi è invecchiato di vent' anni, è l' ombra di se stesso. Fra un nastro e l' altro, rilegge l' Ecclesiaste: è il solo libro che ancora gli dice qualcosa. Nell' Ecclesiaste, mi ha detto, ritrova se stesso e la sua condizione: "... tutti i fiumi corrono al mare, e il mare non s' empie: l' occhio non si sazia mai di vedere, e l' orecchio non si riempie di udire. Quello che è stato sarà, e quello che si farà è già stato fatto, e non vi è nulla di nuovo sotto il sole"; ed ancora: "... dove è molta sapienza, è molta molestia, e chi accresce la scienza accresce il dolore". Nei rari giorni in cui è in pace con se stesso, Simpson si sente vicino al re vecchio e giusto, sazio di sapienza e di giorni, che aveva avuto settecento mogli e ricchezze infinite e l' amicizia della regina nera, che aveva adorato il Dio vero e gli dèi falsi Astarotte e Milcom, e aveva dato veste di canto alla sua saggezza. Ma la saggezza di Salomone era stata acquistata con dolore, in una lunga vita piena d' opere e di colpe; quella di Simpson è frutto di un complicato circuito elettronico e di nastri a otto piste, e lui lo sa e se ne vergogna, e per sfuggire alla vergogna si rituffa nel Torec. S' avvia verso la morte, lo sa e non la teme: l' ha già sperimentata sei volte, in sei versioni diverse, registrate su sei dei nastri dalla fascia nera.

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