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Una fontana di marmo rosa di squisita fattura serviva da abbeveratoio alle mandrie. Alcuni colombi tubavano sul bordo scolpito e aggiungevano grazia alla pace di quel bellissimo paesaggio. Alvise e Lorenzo si fermarono a guardare la chiesa, detta di Nostra Signora, e mentre si trattenevano a osservare certe iscrizioni antiche murate sulla facciata, si radunarono intorno a loro molte persone ansiose di conoscere il ragazzo veneto che aveva saputo impossessarsi di una galea turchesca e condurla a ingrossare le file della flotta cristiana. Tutti volevano parlargli, offrirgli frutti saporiti e fiori, invitarlo a casa per mettere a sua disposizione ogni ben di Dio. Alvise era commosso da tanta cortesia, e nella sua timidezza avrebbe voluto fuggire quella celebrità inattesa; ma Lorenzo, abituato alla vita mondana, lo incoraggiava a rimanere e a mostrarsi compiacente con quella popolazione generosa. Alvise accolse volentieri i suggerimenti dell'amico e alla fine distribuì ai poveri buon numero di aspri, moneta turca d'argento, di origine romana e bizantina, molto diffusa in oriente e nei possedimenti veneti. Quegli aspri facevano parte del tesoro trovato sulla nave corsara e da Sebastiano Veniero lasciato ad Alvise come preda di guerra. Il ragazzo lo aveva diviso con Agnolo e con i pescatori calabri dai quali era stato aiutato ai condurre la galea, alle Gomenizze. Quando sonò l'ora di tornare a bordo, i due giovani vennero accompagnati fino alla riva del mare dalla popolazione del luogo, che li salutò con molte belle parole e con l'augurio di rivedersi a Venezia, dove essi trafficavano molto, soprattutto in frutta secca e agrumi. Sulle onde stanche, sotto il dolce sole di ottobre, le navi della flotta cristiana posavano immobili; ma presto avrebbero spiegato le vele e sarebbero volate incontro al loro meraviglioso destino, nel nome di Dio.
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