Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbattuto

Numero di risultati: 23 in 1 pagine

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Fisiologia del piacere

170081
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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Pagina 36

Il successo nella vita. Galateo moderno.

178679
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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In tal modo si può rapidamente abbellire un viso sfinito dalla stanchezza, abbattuto, affaticato da una lunga veglia o gonfiato dal pianto. Questo mezzo non deve però venir usato troppo spesso, per esempio ogni giorno, perchè il continuo inturgidirsi dell'epidermide sotto l'influenza del calore e dell'umidità, può, similmente ai troppo frequenti bagni caldi inflaccidire la pelle. Il più efficace e in pari tempo più duraturo mezzo per evitare ed eliminare le rughe e le grinze, è il massaggio. Nel massaggio del viso si deve però ancora con maggior cura guardare di evitare qualsiasi lesione, graffio o scalfittura, perchè queste potrebbero avere per conseguenza anche una più forte formazione di rughe. Già per questo motivo, prima di intraprendere il massaggio, è consigliabile di farsi debitamente istruire da un intenditore. Il dott. Arnecke nel suo volume « Praktische Schönheitspflege » (Pratica cura della bellezza) consiglia il seguente sistema di massaggio, che può venir praticato facilmente anche da un profano: « Prima del massaggio la pelle del viso deve venir pulita molto accuratamente con acqua calda e sapone mite; così pure le mani, adoperando per la pulizia di queste molto energicamente anche una spazzola. Già sin da qui va osservato, che soltanto quelle signore che hanno le unghie corte possono eseguire da sole il massaggio del loro viso. Le unghie lunghe sono già per sè inadatte al massaggio, ed oltrecciò non possono venir mai completamente o sufficientemente disinfettate. I batteri, che si trovano in massa sotto le unghie, potrebbero durante il massaggio introdursi nei pori della pelle, e la conseguenza del massaggio sarebbe dopo uno, due o tre giorni, una formale eruzione di bollicine e pustole sul viso. E' ben naturale che il massaggio può venir eseguito soltanto su un viso che sia assolutamente immune da simili prodotti d'impulitezza. Quale mezzo per il massaggio serve, per una pelle del viso secca, un grasso (vaselina), per una pelle molto grassa, la cipria. Chi ha in casa alquanto alcool, prima di cominciare il massaggio, si sfreghi con ovatta imbevuta d'alcool, il viso, precedentemente lavato, e le punte delle dita, anche queste precedentemenee ben pulite. Il massaggio si comincia per lo più dalla fronte. L'indice e il medio di ambidue le mani giacciono orizzontalmente uno presso l'altro, le punte delle dita strettamente vicino alla linea media, le dita della mano destra sulla parte destra, quelli della mano sinistra sulla parte sinistra della fronte. La linea del massaggio va sempre in direzione orizzontale, dalla metà della fronte verso fuori (e mai in direzione contraria). Poichè la pelle della fronte è aderente ad una base solida, non abbisogna d'un sostegno speciale. Nel massaggio del viso si deve esplicare soltanto una forza moderata, per non staccare la pelle dal suo sostrato di grasso, il che produrrebbe un'aumentata formazione di rughe. Dopo il massaggio di frizione, segue il tambussamento. Durante questo le dita si tengono piegate ad angolo retto nell'articolazione media, e le punte della dita cadono leggermente, ma rapidamente, come piccoli martelli, sulla fronte, nella quale operazione prendono parte tutte e due le mani, però una alla volta, scambiandosi a brevissimi intervalli. I pollici in generale non partecipano al massaggio del viso. Molto importante è di solito il massaggio che ha lo scopo di eliminare quella ruga piuttosto perpendicolare, che si estende dall'angolo del naso a quello della bocca. Il massaggio di questa parte del viso è alquanto più difficile che quello del viso. Nel massaggio della ruga sulla faccia destra, la mano destra tiene leggermente tesa verso fuori la pelle della guancia, mentre la mano sinistra compie il massaggio propriamente detto, dapprima lisciando e impastando (pétrissage), quindi tambussando (tapotement) la suindicata parte del viso. La direzione del massaggio per strofinamento o frizione deve qui venir sempre da su all'ingiù. Anche nel massaggio della regione delle tempie è opportuno che la corrispondente mano tenda leggermente all'infuori la pelle, mentre l'altra mano eseguisce il massaggio, anche qui da su all'ingiù, con strofinamenti semicircolari. Per eliminare il cosidetto « doppiomento » si pone la mano destra, biforcata come una forchetta, sull'orlo della mascella inferiore; la direzione delle dita della mano sinistra, che eseguiscono lo strofinamento, va pure in giù e verso fuori. Il massaggio può anche farsi, ponendo le punte degli indici e dei medi nella linea di mezzo, e movendoli poi orizzontalmente verso fuori, come nel massaggio della Ogni altra sorta di massaggio deve in ogni caso venir sconsigliata ai profani. La natura e la disposizione della muscolatura del viso sono tanto complicate, che soltanto una persona che ne conosca a fondo la struttura anatomica, può eseguire ancora altri e più complicati massaggi. Con altri massaggi oltre a quelli ora indicati, profani non farebbero che nuocere alla bellezza del viso, prescindendo dal fatto che sarebbe anche quasi impossibile di darne la descrizione. Inoltre per la maggior parte dei casi, le specie di massaggio ora indicate, bastano perfettamente ». Dopo il viso, segue il massaggio del collo con tutte e quattro le dita, in una linea diagonalmente discendente, verso fuori. Si abbia speciale riguardo per la cura del collo. Perchè al collo si manifestano dapprima i segni della vecchiezza. La sua pelle diviene facilmente rugosa e raggrinzita. Per chi ha il collo magro, un mezzo radicale è la cura per ingrassare, il cui effetto però naturalmente non si può limitare al collo. Un collo grasso potrà diventare più snello soltanto mediante massaggi speciali, che devono venir eseguiti soltanto da persone abilitate, poichè il delicato tessuto della pelle del collo è molto sensibile. Della cipria e del belletto s'è già parlato al capitolo « Cura della pelle » E' naturale che una signora ci tenga a voler esser sicura in certe occasioni - concerti, feste, divertimenti, ecc. - dell'aspetto piacente ed attraente del suo viso, e perciò fa alquanto uso di belletto o cipria. Non è in nessun caso una cosa bella, ma la potranno comprendere specialmente quelle persone che appunto in tali occasioni usano soffrire di un susseguirsi di pallori ed arrossimenti. L'imbellettarsi ed incipriarsi regolarmente, e specialmente l'incipriarsi con ciprie liquide e vegetali, è assolutamente dannoso alla salute della pelle e a lungo andare nuociono anche alla bellezza. Nel darsi il rossetto chi ha la faccia larga e gli zigomi sporgenti, cominci sotto agli occhi, e conduca quindi il rossetto a forma di falce sino agli orecchi. Chi ha una faccia sottile, cominci sotto agli occhi, sorpassando i pomelli. Il miglior rossetto è quello di Dorin (Parigi). Mai si deve arrossare soltanto le guance, poichè in tal caso si vedrebbe a prima vista che si tratta di un colorito artificiale. Terminato il bellettamento col rossetto, bisogna incipriarsi tutto il viso, più fortemente le guance, più leggermente il naso e la fronte. Il passaggio dalle guance al collo deve armonizzare con la gradazione di cipria del naso e della fronte. Un viso può dirsi veramente bene incipriato soltanto quando nemmeno il più severo sguardo indagatore può scoprirvi la traccia d'un mezzo artificiale. L'incipriarsi è quindi un'arte, che esige molta cura ed attenzione. In generale si dovrebbe tener sempre presente, che la cipria ha effetto soltanto su una pelle curata. Non si adoperi cipria troppo bianca o di una tinta che contrasti troppo con quella della pelle. Del lapis per le labbra si faccia uso molto moderato specialmente durante il giorno, se non si vuole dar spiacevolmente nell' occhio con un aspetto provocante e poco distinto. Il lapis per le labbra è molto più usato in America che da noi, dove in grandi masse della società esso incontra ancora sempre ripugnanza e opposizione. In ogni caso è da sapersi, che l'uso del lapis offre la possibilità di correggere non solo il colore, ma anche la forma delle labbra. Così, chi ha le labbra troppo sottili, può portare il colore un po' oltre al loro orlo. Chi invece ha le labbra troppo grosse, non si tinge gli orli. Le bionde si servano di lapis color rosa, le brune adoperino lapis rosso; di sera la gradazione può essere più satura che di giorno. Chi ha le labbra troppo grosse, se le spazzoli alquante volte ogni mattina con una spazzola da denti con acqua fredda: con tale mezzo esse diverranno più salde e più sottili. Chi al contrario ha le labbra sottili, le sottoponga ad un quotidiano massaggio, comprimendole e tosto lasciandole, a brevi rapidi intervalli, col pollice e l'indice. In tal modo esse diventeranno più piene, più grosse ed acquisteranno un colorito fresco e sano. Sotto l'influenza dell'aria fredda e troppo cruda molte persone soffrono di labbra screpolate. Contro questo inconveniente giovano gli unguenti contenenti lanolina comune. Le labbra screpolate cronicamente mancano per lo più di grasso (deficiente secrezione delle glandole sebacee, che si trovano anche nella pelle delle labbra). In tali casi si faccia uso di una pomata per le labbra, consistente di diversi grassi con ingredienti, ed in ogni caso colorata. Se le labbra, in seguito a bollicine che vi s'erano precedentemente formate, sono ferite, non si deve in nessun caso strapparsi i lembi di pelle mucosa che pendono dagli orli delle piaghe. Si eviti in tali casi l'uso di acque troppo forti per sciacquarsi la bocca. Un buon rimedio per questo caso è l'unguento di ichthyol (ittiolo). Le bollicine delle labbra, che si formano assai spesso in seguito a una più forte febbre, possono venir allontanate più presto, cospargendole con cipria. Se cagionano una tensione dolorosa, gioverà l'uso d'un unguento refrigerante. Il trattamento delle sopracciglia fa parte della quotidiana cura della bellezza di una signora. Esse devono venir spazzolate ogni sera con una crema grassa o con olio, muovendo la spazzola sempre da giù all'insù. Si può correggere la piega delle sopracciglia, spazzolandole giornalmente nella direzione desiderata. Precedentemente bisogna però ungerle con alquanta crema grassa. Le signore bionde non si tingano mai le ciglia e sopracciglia in nero, se non vogliono che il loro viso faccia l'effetto d'una maschera. In nessun caso è consigliabile di usare per la tintura delle sopracciglia un lapis nero. Se già si vuol far uso d'un lapis, anche le signore brune adoperino soltanto un lapis bruno. Prescindendo da un quotidiano lavacro con una leggera soluzione di acido borico che dà loro freschezza e limpidezza, non si può e non si deve nemmeno tentare di « correggere » gli occhi. E' straordinariamente pericoloso l'uso della belladonna, l'alcaloide dell' « atropa belladonna », che dilata le pupille, ma che applicata falsamente può facilmente causare anche la cecità. Contro i disturbi agli occhi l'unica misura saggia e razionale è di ricorrere al medico. Lo stesso vale anche per l'allontanamento della cosidetta Dernola della pelle. Persone che hanno gli occhi sensibili evitino d'intrattenersi in stanze dove si fuma; naturalmente nuoce anche il fumo della propria sigaretta. Inoltre si lavori soltanto in sufficiente luce, e quando si legge, si tenga una distanza di almeno 40 centimetri. Molto inestetici sono i sacchi lacrimali. Se questi si formano dopo notti passate vegliando, dopo eccessive fatiche e dopo un eccessivo consumo di alcool, potranno anche facilmente venir eliminati con un corrispondente riposo, possibilmente giacendo in posizione orizzontale. Se invece la loro causa va cercata in malattie o altri disturbi, bisogna ricorrere al medico. Il naso rosso può derivare da differenti cause, per esempio da una falsa nutrizione, da un eccessivo consumo di alcool e anche di caffè, da disturbi del funzionamento della pelle, da un catarro cronico e da altri mutamenti interni del naso, anche da congelazioni. Quest'ultime saranno curate similmente ai geloni (vedi sotto « Cura dei piedi »). Per il resto in generale bisogna la dieta: poco alcool e poco caffè, poco thé e cibi poco drogati. Un rimedio che giova quasi sempre è di premere sulla punta del naso per un brevissimo tempo (uno o due secondi) un batuffolo d'ovatta, immerso precedentemente in acqua calda di 60 centigradi. Momentaneamente giova anche sfregare il naso con benzina. Per eliminare definitivamente il male, bisogna ricorrere al medico. E ciò vale specialmente quando si tratta di forme più gravi, quali i nasi bitorzoluti e tuberosi.

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.) - « Spezzato giù », ceduto, abbattuto. Brook (ingl) - Il fosso da saltare nelle corse ad ostacoli («Steeple-chase») But (fr.) - « Scopo », « Segno », nel rugby. Cabriolet (fr.). - Auto con carrozzeria chiusa. Camping ( ingl.) - Accamparsi all'aperto. Canoeing (ingl.) - Sport d'acqua per mezzo di canoe (specie di piroghe). Canter (ingl.). - « Galoppo piccolo e breve ». Corsa facile. Captain (ingl.) - « Capitano » nel gioco di calcio. Carter (ingl.) - « Copertura » della catena nelle biciclette. Si indica con questa parola anche la parte inferiore dei motori a scoppio. Centre forward (ingl.) - « Centro d’attacco » nel foot ball. Centre half (ingl). - Giocatore mediano della seconda linea nel foot ball. Chance (fr.). - « Fortuna ». Chassis (fr.). - Un'automobile senza la carrozzeria. Chauffeur (fr.). - « Guidatore », « Pilota » Check (ingl.). - « Scacco ». Clinch (ingl.). - « Corpo a corpo » nella boxe. Club (ingl.). - « Circolo », « Riunione », « casino ». Coach (ingl.). - « Capo allenatore» nell' atletica. Colt (ingl.). - « Puledro ». Corner (ingl.). - Il campo del foot ball ha 4 corners cioè 4 « angoli ». Court (ingl.). - Campo da tennis. Crack (ingl.) - Il « cavallo » che nelle corse ippiche è sempre risultato vincitore. Crawl (ingl.). - Modo particolare di nuotare. Cross country (ingl.) - Corse attraverso ostacoli. Cruiser (ingl.) - « Motoscafo » per gare, crociere ecc. Cycle care (ingl.). -« Triciclo » a motore. Dead ball (ingl.) - « Palla morta » : nel lawn tennis. Débrayage (fr.). - « Disinnesto », « distacco ». Disinnesto dei due alberi d'un motore. Decathlon (gr.). - Le dieci prove diverse richieste talvolta in atletica Démarrage (fr.). - Linguaggio automobilistico per indicare l’ « avviamento » e la partenza dell'auto. Nel gioco del pallone: l'« ardore nel combattimento » Dérapage (fr.) - Slittamento dell'auto. Derby (ingl.). - Nome d'una corsa ippica riservata ai cavalli di tre anni. Deuce (ingl.) - Voce del tennis: pareggio. Direct (igl.). - Termine pugilistico : « pugno diretto ». Dress (ingl.) - « Vestito ». Dribbling (ingl.) - Nel foot ball la finta che si fa per sorpassare l’avversario Driver (ingl.). Il giocatore che si è specializzato nelle « ventole » del lawn tennis, cioè le drives. Elson (gr.) - Colpo speciale nella lotta greco-romana. Enceinte (fr.). - « Recinto » per la boxe. Ring. Equipiers (fr.). - « Squadristi ». Exibition. - « Mostra », « Saggio ». Una partita sportiva, boxe, ecc. solo dimostrativa « per far vedere come si fa ». Fault (ingl.). - « Fallo » nel tennis, nel calcio ecc. Feather weight (ingl.) - « Peso piuma ». Feet (ingl) - Misura di lunghezza che equivale a circa 30 centimetri. Field (ingl.). - « Campo da gioco » per il calcio. Fighter (ingl.). - « Tenzone », « combattimento ». Filet (fr.). - « Rete », Metà nel campo del tennis. Fit (ingl.). - « In forma ». Fly weight (ingl.). - « peso mosca », Categoria speciale di pugilisti. Foot ball (ingl) - Calcio. Foot lock (ingl). - E' un colpo speciale della lotta giapponese chiamata Jiu Jitsu. Forehand (drive). - « Colpo diritto » nel tennis. Foul (ingl.). - In senso sportivo « colpo proibito, ». Free kick (ingl.). - « Calcio libero », nel foot ball. Game (ingl.). - Partita nel tennis. Garden party (ingl.). - Festa e ricevimento in giardino. Goal (ingl.). - « Porta » nel gioco del calcio e nell'hockey. Goal keeper (ingl.) - « Guardiano » della porta. Goal kick (ingl.). - « Calcio di rinvio » dalla porta. Gong (cin.). - Piatto metallico, sonoro, sospeso ad una cordicella, sul quale si batte per indicare l'inizio d'una ripresa. Grand Prix (fr.). - « Corsa ippica di grande importanza » Grimpeur (fr.) - « Alpinista di stile ». Groggy (ingl.) - Quel « boxeur » che stordito dai colpi ricevuti, barcolla come se fosse ubriaco. Groom (ingl.). - Palafreniere. Ground (ingl.) - « Terreno » di lawn tennis, foot ball, ecc. Habitue (fr.) - Frequentatore abitudinario » di un qualsiasi luogo pubblico. Half (ingl.). - Nel foot ball i mediani, i giocatori di seconda linea. Half time (ingl.). - Fine della prima ripresa nel foot ball. Half volley (ingl.). - Colpo di mezzo volo nel tennis. Hand (ingl. e ted.) - « Mano » Nel foot ball fallo di mani. Handicap (ingl.). - « Corsa in genere ». Hangar (ingl. e fr.). - « Rimessa » per aeroplani, dirigibili e simili. Heading (ingl.). - « Colpo di testa » nel gioco del calcio. Heavy weight (ingl.). - « Peso massimo ». Una categoria di pugilatori di circa 80. chilogrammi. High shot (ingl.) - Colpo in alto nel foot ball. Hockey (ingl.) - Gioco della palla che si lancia mediante un bastone ricurvo su terreno piano ed erboso. Hook (ingl). - Colpo orizzontale diretto alla bocca dello stomaco nella boxe. Hunter (ingl.) - « Cacciatore » o « cavallo o cane da caccia » Inch (ingl.). - « Misura », equivalente a 2 cm. e mezzo circa. Inside (ingl.). - Nel calcio l'inside è l'attaccante interno. Jab (ingl.). - Colpo secco e rapido dato nella boxe colla sinistra in direzione del viso tenendo le unghie rivolte in basso. Jiu jitsu - E' una lotta senza regole, basata sulla sensibilità e vulnerabilità di certe parti del corpo umano. Chi le piglia le piglia. Jockey (ingl.). - Il fantino agli ordini e stipendi di qualche grande allevamento ippico. Junior (lat.). - Questa parola latina che tutti conoscono, in senso sportivo indica il giovane che prende parte a gare riservate ai giovani. Kennel club (ingl.). - «Allevamento di cani ». Kermess (fr.). - Festa popolare. Kick off (ingl.). - Calcio Knicker bockers (ingl.) - I calzoni corti da turisti. Knock down (ingl.). - Abbattuto dall'avversario nella boxe per meno di 10 secondi. Knock out (ingl.). - Nella boxe quegli che viene e resta atterrato per più di 10 secondi. Landaulet (fr.) - Vetturetta con capote semifissa. Auto preferito spesso per turismo. Lawn tennis (ingl.). - Gioco oggi diffusissimo, specialmente nelle classi aristocratiche. E' l'antico gioco della « pallacorda ». Lever de rideau (fr.). - « Primo numero di una gara sportiva. Life boat (ingl.). - « Battello da salvataggio ». Light weight (ingl.) - Il contrario di heavy weight, dunque: « peso leggero ». Line (ingl.). - « Linea », « riga ». I confini dei campi di gioco. Limitsman (ingl.). - Guardalinea nel foot ball. Limousine (fr.) - Nella carrozzeria la « berlina », tutta chiusa a vetri. Looping (the loop) (ingl.). - Girare intorno a sè stesso, acrobazia degli aeroplani in modo speciale. Love (ingl) - Nel tennis vuol dire « zero pari ». Manager (ingl.). Impresario, direttore, ecc. Chi dirige la carriera di un atleta professionista. Masseur (fr.). - « Massaggiatore ». Match (ingl.). - « Gara », « partita ». Meeting (ingl.). - « Riunione », ritrovo a scopo sportivo. Middle weight (ingl.). - « Peso medio » come più sù si è visto heavy weight. Di peso medio, cioè fino a kg. 72 circa. Mile (ingl.). - E' il « miglio » inglese pari a m. 1609. Mi-lourd (fr.) (pron. milur). - « Peso medio massimo » della categoria dei pugilisti: fino a chilogrammi 79 circa. Mi-moyen (fr.) - Sinonimo di welter. « Peso medio leggero », cioè press'a poco da kg. 61 a kg. 66. Mixed double (ingl.). - Partita di tennis in cui giocano « due coppie » Net (ingl.). - E' la « rete » del tennis. Oaks (ingl.). - E' una «corsa ippica » per puledre di 3 anni su un percorso di circa 2 km e mezzo. Off side (ingl.). - «Fuori gioco », fallo di posizione. Ounce (ingl.). - «Oncia », misura del peso di quasi 30 grammi usata per le merci comuni e quindi anche per i guanti dei pugilatori ecc. Out (ingl.). - «Fuori ». Nel calcio, nel lawn tennis etc. Outsider (ingl.). - Uno che è fuori parte. Alle corse ippiche si chiama outsider quel cavallo perfettamente nuovo il quale, pur non avendo probabilità palesi di vittoria, sa vincere. Panne (fr.). - « Guasto », « impedimento », « fermata » indesiderata nello sport automobilistico. Parabrise (fr.). - Vetro mobile, verticale collocato sul davanti delle automobili per difendere il guidatore dall'aria. Partner (ingl.). - Il compagno di gioco. Pedigree (ingl.). - « Genealogia » di un cavallo da corsa. Pelouse (fr.). - Parte centrale dell'ippodromo, destinata al gran pubblico. Penalty kick (ingl.). - « Calcio di punizione » nel foot ball a 11 metri dalla « porta ». Pentathlon (gr.). - Insieme di 5 esercizi ginnici principali: corsa, salto, tiro del disco, pugilato lotta. Pesage (fr.). - Luogo destinato al peso. Picnic (ingl.). - Colazione fatta all'aperto dove ognuno paga la sua parte. Ping-pong (ingl.). - Tennis di tavola. Play (ingl.) - « Gioco » Nel tennis con questa parola s'invita a giocare. Poids (fr.) - Categorie dei pesi per i boxeurs. Polo (ingl.). - E' gioco inglese modernissimo. Si tratta d'una gara fra due squadre di giocatori a cavallo, i quali si contendono una palla mediante lunghi bastoni a punta ricurva. Pound (ingl.). - «Libbra inglese » pari a gr. 453 circa. Quersprung (ted.) - « Salto sciatorio » fatto di fianco. Race (ingl.). - « Corsa di cavalli ». Racing (ingl.). - Gara in qualsiasi genere di corsa. Rebours (à) (fr.). - Espressione propria nella lotta greco-romana. Receiver (ingl.). - Nel tennis il « ribattitore » Recordman (ingl.) - Detentore di record. Referee (ingl.) - « Arbitro » di una gara qualsiasi. Retour-match. - « Seconda prova » . Right (ingl.) - Nel lawn tennis, palla buona ». Ring (ingl.). - Recinto per la boxe: 4 metri in quadro. Round (ingl.). - Assalto di boxe generalmente di tre minuti. Rowing club (ingl.). - « Club di canottaggio » Rugby (ingl.). - Una specie di foot ball. Qui però il pallone è ovale e le due squadre sono di 15 giocatori ognuna. La palla nel Rugby può essere lanciata anche colle mani. Rush (ingl.). - « Guizzo finale ». Schooner (ingl.). - E' la « goletta », il veliero da corsa a due alberi e a due rande. Score (ingl.). - « Numero dei punti », punteggio nelle gare in generale. Seconds (ingl.). - I « secondi » che nella boxe assistono, ristorano, ecc. Senior (lat.). - Il giocatore più anziano. Server (ingl.). - « Battitore» nel tennis. Set (ingl.). - « Partita » nel tennis composta di 6 games. Shoot (ingl.). - « Calcio forte » nel foot ball. Shooter (ingl.) . - Nel calcio, il «tiratore». Side half-back (ingl.). - Il Mediano laterale » nel gioco del calcio. Side lines (ingl.). - Sono le « linee » che delimitano il campo del gioco dell'hochey. Single (ingl.). - « Gioco singolare » nel tennis. Skating (ingl.) - Pattinaggio. Skeleton (ingl.). - Piccola slitta, imbottita, da sciatori. Ski (norv.) - Pattini da neve, lunghi circa due metri in legno durissimo, che si fissano ai piedi mediante cinghie. Skiff (ingl.). - Piccola imbarcazione lunga 4 o 5 metri, a due remi e con sedile scorrevole per poter allungare la remata. Skikjoring. - Sport nato in Norvegia. Un cavallo trascina uno o più sciatori dietro di sè. Smash (ingl.). - Nel tennis, il colpo « schiacciato ». Spider (ingl.). - « Auto a due posti » e di forma ovoidale. Sprint (ingl) - « Scatto », « slancio »: in gare sportive (podismo, ciclismo, etc.) all'atto della partenza o nelle vicinanze del traguardo. Start (ingl.) - Da to start, scattare. Steeple chase (ingl.). - « Corsa al galoppo con ostacoli » Stemm (norv.). - Posizione a gambe aperte per « frenare » cogli ski. Stop (ingl.). - Per indicare « la fermata », l'arresto. Striker (ingl) - E' il « ribattitore » nel tennis. Sinonimo di receiver. Striker (ingl.) - Colpo nel tennis. Surmenage (fr.). - Troppo allenamento che ha per conseguenza debolezza temporanea nell'atleta. Swing (ingl.). - Colpo a braccio teso nella boxe, a guisa di mazza. Tandem. - Una bicicletta a due posti. Tattersal ( ingl.). - « Mercato pubblico di cavalli da corsa » Team (ingl.). - Squadra del foot ball. Telemark (norv.) - « Arresto cogli ski ». Ticket ( ingl.). - « Biglietto ». Time (ingl.). - « Tempo ». Nel linguaggio del ring, questa parola è comunissima per indicare lo spazio di tempo fra una ripresa e l’altra. Toboggan. - Specie di slitta molto bassa, in ferro. Si guida con i piedi. Trainer (ingl.). - Il maestro di qualunque gioco sportivo e da noi specialmente quello del foot ball. Trained (ingl.). - « Allenato ». Training (ingl.). - « Allenamento ». Trial (ingl.). - « Prova » Trudgeon (fr.) - Speciale « metodo di nuoto » Turf (ingl.). - Tutto quello che si riferisce allo « sport ippico ». Umpire (ingl.). - « Arbitro nel tennis ». Undercut (ingl.). - E' uno dei colpi demolitori della boxe: si dà ai fianchi. Uppercut (ingl.) - Altra delizia di pugilato. Il colpo vien dato dal basso in alto. Volley ball (ingl.). - « Palla al volo ». Walkover (ingl.). - Cavallo che corre da solo in una gara ippica, essendosi ritirati tutti gli altri. Wall (ingl.). - « Ostacolo speciale » nelle gare ippiche. Water polo (ingl.). - « Foot ball giocato nell'acqua » Week end (ingl.). - « Fine settimana » Sabato inglese. Weight (ingl.). - Peso. Welter (weight) (ingl.). - Peso medio leggero cioè fino a kg. 66 circa. Winning team (ingl.). - « Squadra vincente » nel calcio, etc. Yacht (ingl.). - Battello a vela o a motore. Yard (ingl.). - E' una misura di lunghezza che si cita specialmente nelle gare di atletica leggera. Equivale a 914 mm. Zeto (gr.). - Grido classico dei Greci dopo una vittoria sportiva.

Pagina 453

L'angelo in famiglia

182201
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Domani, mia cara, ti risponderò: oggi rialza l'animo tuo abbattuto, rianima il tuo cuore; abbandonati nelle braccia della Provvidenza, di quella Provvidenza che ci è madre amorosa, e vivi sicura: tu sarai piùforte che oste schierata in campo contro i nemici della tua salute.

Pagina 30

Colle persone decadute poi, io vorrei tu usassi una carità specialissima, trattandole con ogni riguardo, col far loro vedere che tu le tieni sempre in conto di quel che erano, col mostrar loro, senza dirlo, come tu pensi che tu stessa puoi trovarti un dì o l'altro in condizione più deplorevole della loro, e con tutte quelle industriose maniere che serviranno a confortare in esse il morale già soverchiamente abbattuto. Resta la carità della mano, e questa, sempre ove tu lo possa, dev'essere abbondante e dignitosa, in modo di non avvilire chi la riceve. So di alcune signore le quali sotto pretesto di desiderare qualche ricamo dalla mano della signora tale, la pregano a volerlo fare, e poi la supplicano a gradire un piego in cui è il denaro poco o molto che possono offrire. Altre dame pagano l'alloggio o parte di esso a qualche famiglia povera; altre provvedono alimenti o vesti, e senza far sapere il nome del donatore, li fanno pervenire a domicilio della persona necessitosa; altre affidano il loro denaro ad una lettera raccomandata, altre studiano altri molti mezzi che la sola carità informata allo spirito del Vangelo può ideare e realizzare. Nè ci trattenga l'indegnità di coloro ai quali facciamo la nostra offerta, se non vogliamo che Iddio misuri i suoi doni colla dignità nostra; Egli sarà largo e generoso con noi, come noi lo saremo cogli altri; dunque facciamo di avere una generosità d'animo superiore ad ogni prova. Se tu poi avessi parenti bisognosi, con essi più che con qualunque altro ti stringerebbe l'obbligo del soccorso, e sarebbe per te gran vergogna il vergognarti di essi, e il non appoggiarli nelle loro necessità, quand'anche per colpa loro si trovassero decaduti in basso stato. Se il povero ha bisogno di ricevere la carità, il ricco ha bisogno di farla, poichè mentre presta il suo ajuto, egli riceve, col 41 ringraziamento dell'indigente, o anche senza di esso, un gran conforto, e cioè la convinzione di aver fatto un'opera buona; questo lo innalza ai suoi proprj occhi, gli procura il testimonio della buona coscienza, la pace, la gioja, e molte volte la fortuna. Il ricco, anzi ogni uomo, senza la carità lo ripeto è un egoista, e colla carità è un benefattore, un amico, un fratello dell'umanità sofferente. E potremo noi stare in forse? E potrai tu davanti a questa verità non porre in azione con tutte le forze della tua intelligenza, della tua anima, della tua volontà, il sublime insegnamento del Vangelo? Ma il Vangelo dice un'altra parola che suona così: Non sappia la tua sinistra ciò che dona la destra. Oh! sia nascosta agli uomini, almeno da parte tua, la tua carità, e quell'Iddio che legge nelle coscienze te ne darà copiosa mercede. Per carità, mia tenera amica, non ti contentare di rimirarla da lungi la carità; ma bagnati nelle sue acque salutari, vivi della sua vita, mettila in azione in tutte le sue parti, con tutte le tue facoltà, e... sarai virtuosa, quindi felice!

Pagina 632

Nuovo galateo. Tomo II

194708
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Pagina 150

Signorilità

198994
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 1 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Se le scottature sono estese e il malato è abbattuto, somministrare vino, caffè forte, brodo, ecc.

Pagina 312

Angiola Maria

207178
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Quant' egli fosse abbattuto, ascoltando come Maria fosse partita per sempre, e quanto ne patisse in quel momento, solo il suo cuore lo seppe. S' era fatto pallido, cupo; l'ira, l'affanno, il sospetto, gli entrarono nell' anima; ma non si scoperse, non disse parola. In quella medesima sera, suo padre gli fece dire che aveva necessità di parlargli; egli non indugiò a presentarsi a lui. Il vecchio lord gli venne incontro, lo prese per mano, e senza accennare alla più lontana idea di ciò ch'era stato, gli mise innanzi, con parole amichevoli e gravi, le nuove urgenti circostanze che lo consigliavano a tornare in Inghilterra, senza por tempo in mezzo; gli spiegò sot- t' occhio lettere d'uomini potenti, che gli avevano disegnato l'andar delle cose, la gravezza del momento; gli parlò poi del debito di non tradir l' avvenire, i proprii diritti, la parte alla quale s' era legato; della necessità in fine di giovarsi di quella congiuntura, per non essere avvantaggiato da altri, e racquistare almeno in parte ciò che prima aveva perduto. Arnoldo rimase confuso, annientato quasi dalle parole paterne. Il vecchio non imponeva, ma cercava consiglio, pregava; ond' egli, che dapprima era stato pensoso, irresoluto, rompendo alla fine il silenzio, uscì a proporre al padre, come unico partito da seguitare, quello d'un sollecito ritorno alla loro contea. L'accorto sguardo del lord aveva indovinata la via per arrivare al cuor generoso del figlio; la sua fina politica famigliare aveva trionfato. Il giovino però sentiva il peso di codesto dovere penoso, sulle prime accettato con volontà sincera. Accondisceso ch'egli ebbe, il pensiero di perder Maria gli tornò in cuore, gli parve insopportabile; voleva parlare di nuovo a suo padre, svelargli ogni cosa; poi riflettendoci, conobbe che sarebbe stato come guastar tutto. E intanto sorse a consolarlo un' altra speranza, che forse, cedendo da principio, gli sarebbe stato poi agevole, passato qualche tempo, di preparare l'animo paterno a non porre più altro contrasto alla sua volontà; e, vinto così l' antico pregiudizio dell'orgoglio domestico, sarebbe stato padrone della propria mente e del proprio cuore. Allora, per non saper trovare altra uscita, abbracciò il più facile consiglio a cui, per la fiducia del meglio, assai di sovente si appigliano gli animi incerti e miti, quello di tacere e di aspettare. Nondimeno, era torbido e travagliato. Non poteva spiegare a sè stesso la causa di quell'improvvisa fuga della fanciulla, dopo tutto ciò ch'era stato; nè comprendere come il vicecurato fosse venuto e partito, senza cercar di lui, senza aspettare di vederlo. Ben gli nacque in mente il dubbio, che Maria avesse confessato al fratello la segreta affezione che li univa; ma per ciò appunto si corrucciava di più, e pensava al basso e falso concetto che l' amico doveva farsi di lui, non conoscendo ancora la purezza del suo proposito, il mutamento dell'anima sua. E desiderava di rivedere, innanzi partire, la giovinetta; voleva parlarle almeno una volta, accertarla del suo ritorno dopo breve tempo, ripeterle la fatta promessa. Allora, dopo ch'ebbe inutilmente tentato più d' una via per trovare in città chi gli desse contezza del luogo in cui il vicecurato potesse aver fermato dimora, dopo ch' ebbe risoluto di trasferirsi segretamente, prima al paesello del lago, poi all' alpestre villaggio di Valtellina; pentito dell' uno e dell' altro disegno, s' abbandonò all' inutile rim- pianto, all'inquietudine, a divisamenti cupi e sdegnosi. Pensò anche di palesare la difficile situazione in cui era a quel saggio uomo che aveva avuto tanto potere su la sua vita, e ch' egli venerava come secondo padre, perchè almeno lo sovvenisse di consiglio: pure, sul punto di farlo, non ardì aprirgli l' animo, o temè forse il giudizio del semplice ed austero vecchio. Intanto il dì della partenza venne. Tutto quello ch'egli potè fare fu di scrivere una lunga lettera al vicecurato, e ve n' acchiuse un' altra indirizzata a Maria; le mandò alla posta, e pregò il cielo che arrivassero al più presto al loro destino. Dov' era allora la nostra fanciulla? In certe povere stanzette, confinate nella soffitta de- serta d' un antico palazzo, che appartenne un tempo alla famiglia del conte Francesco ***, viveva ancora la vedova del vecchio maggiordomo di quella casa. Morti gli ultimi padroni, il palazzo era stato venduto, spogliato delle sue tappezzerie di damasco e delle dorate suppellettili che l'adornavano da forse un secolo: un negoziante, arricchito di fresco e non ancora ritirato dagli affari, l' aveva acquistato e fatto restaurar tutto alle foggie del gusto moderno, con le sue sete, con lucidi arredi parigini, e coi molli tappeti turchi. Quella vedova era una buona vecchietta, servizievole, cicalona, tutt' amore del prossimo e de' poverelli, lodatrice eterna de' tempi suoi e degli ottimi suoi padroni, massimamente della defunta signora contessa; la quale non s'era di lei dimenticata nel testamento, avendole lasciato una provvisioncella, vita sua durante, un trenta soldi al giorno e l' abitazione: era tutto quel che la povera donna possedeva quaggiù. Pure viveva contenta, e con un sordo sogghignare, diceva spesso: Chi molto abbraccia, nulla stringe; ma chi sa contentarsi del poco, campa un pezzo e col cuor largo. - Quel negoziante, al quale certi lontani parenti della contessa, appena ne furono gli eredi, avevano venduto il palazzo, dovette accettare tra gli altri patti anche la noia di tenersi in casa la vecchia vedova. E questa poi fu sempre ostinata a non voler abbandònare la dimora dov' era vissuta per trent' anni; di modo che il nuovo padrone mise giù il pensiero di farla sloggiare con le buone, come aveva stimato facile, nella fiducia che la vecchia sarebbe presto ita a cercar posto nell' altro mondo. A quest' antica conoscente, alla signora Giuditta, come in tutto il quartiere era chiamata, affidò dunque il vicecurato la sua afflitta sorella. Essa li aveva tante volte portati su le sue braccia l' uno e l' altra in giorni più lieti, quand' erano ancora ragazzetti, che non se n' era punto dimenticata; ma, da tanto tempo non avendoli veduti, quasi non lo credè vero, quando le si fecero conoscere. Pure li ricevette a braccia aperte, e domandò loro del buon Andrea, della comare Caterina, del palazzo, di cent' altre cose e perfino del vecchio bracco Azor; rammaricandosi di tutto quello che non era più, e benedicendo il cielo che la buona Caterina del fattore vecchio si ricordasse ancora di lei. Nell'ignota dimora della vedova Giuditta, don Carlo dunque pensò di nascondere Maria dalle ricerche e dalla persecuzione dell' uomo ch' egli credeva suo seduttore; giacché aveva mente di fermarsi ancora per qualche giorno a Milano, e di ricondurre poi egli stesso la fanciulla alla madre. Maria, ne' primi dì, non seppe accomodarsi alla nuova solitudine. Ignara di quanto fosse avvenuto, dopo che aveva abbandonato la casa de' Leslie, di quel che potesse fare Arnoldo per ritrovarla, e forse sedotta ancora da una lontana idea di rivederlo, di separarsi in pace da lui, idea che la sua virtù e l' affetto le richiamavano sempre, non come una colpa, ma come unica consolazione, passava le ore in una dolorosa rassegnazione. Non piangeva più, ma faceva ogni sforzo per ritornare il più che potesse alla memoria di sua madre: solo qualche volta, in segreto, ripeteva ancora il nome di colui che per il primo aveva occupato il suo cuore, sentendo ch' essa non avrebbe più potuto voler bene a nessuno, come n' aveva voluto a lui. Ella non usciva mai, e stava sempre in compagnia della vedova, la quale non sapeva immaginare perchè una creatura, giovine e bella come Maria, fosse così tacita e mesta. Intanto il fratello suo passò que' pochi giorni visitando gli amici che gli restavano; antichi compagni di scuola, alcuni de' quali erano a quel tempo parrochi nella città, altri procacciavan di guadagnarsi, con la penna e con gli studi, una vita stentata, ma libera e onesta. E nel rinnovarsi di conoscenze che avevano messa profonda radice ne' cuori, per quella corrispondenza di sentimenti e di simpatie, ch' è sì bella quando la sorgente n' è virtuosa e schietta, e fedele la ricordanza, come gli parve di ringiovenire, di ritornare a quell' età d' affetto e di desiderio, quando si crede che la buona volontà sia tutto, e nulla la difficoltà delle opinioni e del potere altrui; quando è certa e giusta l' aspettativa, e santa l' energia della fede e del contraccambio!... Con quali sinceri trasporti gli amici si rividero, s' abbracciarono! con che fratellanza di gioia e di dolore rinnovellarono le memorie della giovinezza! Come lagrimarono i compagni che non erano più, ch' eran mancati nell' ora migliore! come compiansero a quelli che avevano tradito le speranze di loro concette, un bell' avvenire, la vita intera!... E le promesse di star sempre uniti col cuore, se con le persone non potevano, d' adempiere insieme all' eterno dovere di render migliori gli altri, di non cader mai d'animo, nè per la tirannia de' pregiudizi e del tempo, nè per la cieca guerra delle passioni, e di servire liberamente alla causa della verità, preparando d'accordo, per quanta forza e per quanto cuore in essi era, il bene e la giustizia a pro di tutti; queste altissime promesse si ripeterono, più d'una volta, ne'loro ragionari dolci e solenni; e furono santificate da' voti e dalle preghiere di que' giusti e generosi che amavano e che soffrivano. Così alcuni di que' dì felici, che il buon prete non credeva di trovare più su la terra, e dietro a' quali ' animo suo aveva ben sovente sospirato nelle solitudini della campagna, in mezzo alla povertà e alla dura vita del contadino, o sotto gli umili archi della chiesa del suo villaggio, alcuni di que' dì felici sorgevano ancora per lui; e lo consolavano nel momento che, ferito nella più viva parte del cuore, s' era umiliato innanzi alla superbia degli uomini, all' ingiustizia delle cose. Di che egli si rallegrava con sè medesimo, chè da gran tempo aveva rinunciato all' allegrezza: nè alcun funesto presentimento venne, a turbar la purità di quell' affetto antico e santo, e il felice presagio di un' età migliore.... Ma troppo spesso le nostre più vive speranze son le più vane. Un giorno - non eran passate più di due settimane dacchè Maria stava in casa della vedova - le due donne avevano apprestato un desinare assai modesto, e aspettavano il vicecurato. È passato il mezzodì passano una, due, tre ore, ed esse attendono ancora, e il vicecurato non comparisce. Su le prime, non si danno pensiero del tardare, rassicurandosi nell' idea che forse qualche impreveduta circostanza ne lo trattenga. Ma poi, all' abbassar del giorno, quando l' una e l' altra ebbero finito di ripetere le usate scuse che si van cercando per ingannar l'angustia dell'aspettare, allora, con quel senso di tristezza che desta il veder farsi sera, cresce in loro il dubbio e l' inquietudine: e taciturne entrambe, si pongono a sedere presso una delle finestre che dà sul cortile, s' interrogano a vicenda con gli occhi, guardano ogni momento verso il cancello del palazzo, in attenzione curiosa, d' ognuno ch' entri o passi. Da quella finestra vedevasi, per il vano del portone, lungo tratto della frequentata corsia. Si fece notte, le campane delle chiese erano già silenziose per tutta la città, e le donne aspettavano ancora. In ogni passeggiero che attraversasse quel breve spazio, pareva loro di riconoscere il prete; ma nessuno mai s' arrestava, nessuno svoltava in quella porta. Maria ben voleva persuadersi che nulla ci fosse di più naturale di quell' assenza, ma invano; un interno timore la vinceva, andava immaginando qualche cosa di funesto; un pericolo, un tradimento, una sciagura improvvisa; e già, come una spina, le stava fitta in cuore l' angustia che il suo Carlo non avesse a ritornare mai più! La vedova, indispettita alla fine di quel lungo tedio, cominciò a sfogarsi, a brontolare fra sè e sè: « Vedete mo,

Pagina 183

Il libro della terza classe elementare

210719
Deledda, Grazia 3 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
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Le truppe regolari assediarono e costrinsero alla resa Gaeta: il Regno delle Due Sicilie era definitivamente abbattuto. La Sicilia e l'Italia meridionale proclamarono, con solenni plebisciti, la propria annessione al regno di Vittorio Emanuele II. Con la stessa unanimità di voti le Marche e l'Umbria vollero riunirsi con le altre parti già redente d'Italia, sotto lo scettro del gran Re.

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La vittoria italiana provocò in Austria lo scoppio della rivoluzione: fu abbattuto l'Impero, ed i vari popoli che prima ne facevano parte formarono altrettanti Stati indipendenti.

Pagina 308

Con la sua vittoria, sola fra tutte le potenze alleate, aveva completamente distrutto l'esercito nemico, aveva abbattuto un potente impero secolare, aveva affrettato la resa della Germania. Il numero dei caduti, circa 600.000, era la più eloquente testimonianza dell'immane sforzo compiuto. Ricordiamo dunque con giusto orgoglio la nostra ultima guerra; in quella dura scuola di ardimento e di disciplina il nostro popolo si è mostrato degno degli antichi padri romani, dominatori del mondo.

Pagina 310

Tutti per una

214871
Lavatelli, Anna 1 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
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Ma questo pensiero, che gli occhi della mente vedevano come un film, non bastava a placare il suo animo sconvolto e abbattuto dal rapido succedersi di troppe emozioni. Andò dritto al letto che gli era stato assegnato, ripiegandosi su di sé come una lumaca nel suo guscio. - A nome di tutti noi... - continuò il maresciallo Fizzotti, ciondolandogli dietro - vorrei darti il benvenuto a Villa Felice. - "Villa Infelice" - scappò detto al professore, in un moto di fastidio. Poi scrollò le spalle e cominciò a disfare metodicamente la valigia. - Ah, ah... "Villa Infelice"! Questa è buona, buona davvero - fece il maresciallo rivolgendosi agli altri due che erano in camera. - Ha dello spirito, il nostro professore! - Macché, macché! - s'irritò l'omone grasso e grosso, che stava proprio nel letto a fianco, appoggiato a una montagna di cuscini. - Questo signore ha detto la verità, ecco tutto. È inutile che cerchi di farci ridere, Carlo. Qui non c'è proprio niente da ridere. - L'Ernesto ha ragione - borbottò dal fondo un vecchio calvo, tentennando debolmente il capo. - Ci sono delle cose con le quali è meglio non scherzare. Lo diceva sempre il mio collega, quando in ospedale ci proponevano di fare le gare di velocità con le autoambulanze. - Tacque un momento impensierito, rimirando le monete che aveva sparpagliate sul letto. Poi biascicò, con voce desolata: - Ecco, ho di nuovo perso il conto. - E il cervello... - ridacchiò il maresciallo tra sé. Poi, a voce più alta: - E bravo, Attilio. Conta, conta, che ti passa. Il vecchio sembrò non aver udito la provocazione, o forse tutto faceva parte di un gioco tra i due. Difatti riprese a gingillarsi con le sue monete. Le rimise tutte dentro un sacchetto di cuoio e cominciò ad estrarle, contandole a una a una, assorto e concentrato nel suo lavoro. Un silenzio profondo calò nella camera. Anche fuori, il cane non guaiva più. Si udiva solo il gemito lieve degli scaffali dove il professore andava sistemando in bell'ordine decine e decine di volumi. - Ehi, ma quanti libri! - Il maresciallo Fizzotti voleva fare conversazione a tutti i costi. - Certo che devi proprio essere un pozzo di scienza, tu. Io invece son sempre stato una zucca dura - si batté la testa col pugno chiuso, ridacchiando. - A proposito, la sai l'ultima sui carabinieri? - E piantala! Non vedi che gli dài fastidio? È il suo primo giorno qui dentro, lascialo in pace. Anzi, lasciaci in pace tutti, una buona volta! - gridò rosso in viso l'omone di prima. - Scusa, Ernesto - sussultò il maresciallo, afflosciandosi. - Non parlo più. Il professor Zambelli girò la testa verso l'omone, forse per ringraziarlo, forse per dirgli di lasciar correre, ma questi aveva chiuso gli occhi e sembrava riposarsi, appoggiato alla pila di cuscini. Allora afferrò la valigia ormai vuota, la mise sotto il letto, prese un libro e si dispose a leggere. Proprio in quel momento la porta si aprì ed entrò un vecchio sporco e malvestito, che sapeva di funghi e di muschio come una creatura dei boschi. - 'Sera Melchiorre! - salutò dal fondo l'Attilio, che aveva finito il conto delle monete. L'uomo rispose alzando una mano grande, piena di pieghe e di segni come la mappa di un tesoro, ma non fece parola. Se ne andò dritto dritto al letto, vi saltò dentro, si tirò il cappello sugli occhi e non si mosse più. Pareva che si fosse addormentato sul colpo. Il professore l'aveva seguito con lo sguardo, tra il sorpreso e l'irritato, per la scia di cattivo odore che l'uomo aveva lasciato dietro di sé e che ancora aleggiava nell'aria. «Ma dove sono finito» si disperò. «Che cosa ci faccio io, qui?» Di colpo, la vita gli apparve vuota di significato. Vitali, invece, le cose a cui aveva rinunciato per sempre: la sua casa, il suo cane. In altri tempi, quando il vigore degli anni e gli affetti della famiglia lo riempivano di certezze, avrebbe sorriso all'idea di potersi legare tanto a un animale. Quelle erano smanie da gente insulsa, ecco cosa avrebbe pensato allora. Ma adesso aveva soltanto voglia di piangere. «Senectus semper molesta...»ricordò amaramente il professore. «I latini avevano ragione: non v'è nulla di buono, nel diventar vecchi.» Chiuse il libro che aveva in mano, chiuse gli occhi e cercò di chiudere anche il cervello per non pensarci più.

Pagina 21

Mitchell, Margaret

221164
Via col vento 6 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Stava percuotendo un uomo abbattuto e senza difesa... mentre aveva promesso a Melania di vegliare sopra di lui. «E subito dopo la mia promessa, gli dico delle cose cattive e dolorose, che non vi è alcun bisogno di dire. Egli conosce la verità, ed è una verità che lo uccide» pensò desolata. «È un bambino, come me; e il pensiero di perderla lo terrorizza. Melly sapeva che sarebbe cosí. Melly lo conosceva molto meglio di me. Perciò mi ha detto di aver cura di lui e di Beau, nello stesso modo. Come potrà resistere Ashley? Io posso. Io ho resistito a tante cose. Ma egli non può... non resisterà a nulla senza di lei.» - Perdonatemi, caro - gli disse dolcemente. - So quello che soffrite. Ma ricordatevi che essa non sa nulla... non ha mai neanche sospettato... Dio è stato buono con noi. Egli le si avvicinò rapidamente e la circondò ciecamente con le braccia. Rossella si sollevò sulla punta dei piedi per giungere a posare la sua guancia calda contro quella di lui, e con una mano gli accarezzò lievemente i capelli. - Non piangete, caro. Lei vuole che siate coraggioso. A momenti vi vorrà vedere, e dovete farvi forza. Non dovete farle vedere che avete pianto: la turbereste. Egli la teneva cosí stretta da toglierle il respiro; la sua voce soffocata mormorava accanto al suo orecchio. - Come farò? Non posso... non posso vivere senza di lei! «Neanch'io» pensò Rossella rabbrividendo alla visione dei lunghi anni futuri senza Melania. Ma si fece forza. Ashley contava su lei; e Melania pure. Nella stessa maniera in cui una volta, a Tara, ubriaca di stanchezza, aveva pensato: «I fardelli sono fatti per le spalle abbastanza forti da sopportarli», ora si disse che le sue spalle erano forti e quelle di Ashley non lo erano. Si irrigidí per sorreggere il peso e con una calma che era ben lungi dal provare, baciò la guancia umida di lui, senza febbre né desiderio né passione; soltanto con fredda dolcezza. - In qualche modo riusciremo - disse. Nel vestibolo un uscio si aperse con subitanea violenza e la voce 'del dottor Meade chiamò con impeto: - Ashley! Presto! «Dio mio! È finita!» pensò Rossella. «E Ashley non le ha dato l'ultimo addio! Ma forse...» - Presto! - gridò spingendolo, perché egli rimasto attonito. - Presto! Spalancò la porta e lo fece uscire. Galvanizzato dalle sue parole, egli corse attraverso il vestibolo, col guanto ancora stretto fra le mani. Rossella udí i suoi passi e poi il chiudersi di una porta. - Dio mio! - mormorò nuovamente; e andando lentamente verso il letto vi si lasciò cadere e si nascose il volto fra le mani. Si sentí improvvisamente stanca, come non era mai stata in vita sua. Il rumore della porta che si era chiusa fece sí che lo sforzo che l'aveva sorretta fino allora si rilasciasse. Era fisicamente esaurita e sfatta dall'emozione. Non provava piú né dolore né rimorso né sgomento né stupore. Solo stanchezza; e il suo spirito si agitava appena, languidamente, meccanicamente, come il tic-tac della pendola sulla mensola del camino. Da quel languore si levò un pensiero. Ashley non l'amava e non l'aveva mai amata veramente, e il saper questo non l'addolorava. Avrebbe dovuto soffrirne, essere desolata, sentirsi il cuore spezzato, imprecare al destino. Aveva contato sul suo amore per tanto tempo; e quella sicurezza l'aveva aiutata a superare molti tristi momenti. Eppure, la verità era indiscutibile. Egli non l'amava e lei non ne soffriva. Non ne soffriva perché neppur lei lo amava. Non lo amava; quindi nulla di ciò che egli diceva e faceva poteva addolorarla. Si coricò sul letto e posò il capo sul guanciale, stanchissima. Inutile cercar di combattere quell'idea; inutile cercar di dire a se stessa: «Ma io lo amo. L'ho sempre amato. L'amore non si può mutare da un momento all'altro in apatia». Non poteva mutare, eppure si era mutato. «Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia» pensò con tristezza. «Ho amato qualche cosa costruita da me, qualche cosa che è morta come Melania. Ho fatto un bel fantoccio e me ne sono innamorata. E quando Ashley venne a cavallo, cosí bello, cosí diverso, gli misi gli abiti del fantoccio e glieli feci portare, gli andassero bene o no. E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare i vestiti del fantoccio... ma non lui.» Ora si guardava indietro e si rivedeva nell'abito di mussolina verde a fiori, in atto di rispondere al saluto del giovine cavaliere coi capelli che luccicavano come chiaro argento al sole di Tara. Vedeva ora nettamente che era solo un'immaginazione infantile, non piú importante del desiderio degli orecchini di acquemarine per cui aveva tanto importunato Geraldo. Una volta ottenuti, gli orecchini avevano perso ogni valore; come ogni cosa, eccettuato il denaro, una volta che era in suo possesso. Cosí anche lui avrebbe perso ogni valore se, in quei giorni lontani, ella avesse avuto la soddisfazione di rifiutare di sposarlo. Se lo avesse avuto in proprio dominio, vedendolo diventare a volta a volta appassionato, importuno, geloso, malinconico, supplichevole, come gli altri giovinotti, l'infatuazione che l'aveva posseduta sarebbe svanita, come nebbia del mattino ai raggi del sole, appena ella avesse incontrato un altr'uomo. «Come sono stata sciocca» pensò amaramente. «Ed ora la sconto. Quello che ho tanto desiderato è accaduto. Ho desiderato che Melania morisse, per potere avere Ashley; ed ora che è morta e potrei averlo, non me ne importa piú nulla. Il suo maledetto onore lo spingerà a chiedermi se desidero divorziare da Rhett per sposarlo. Sposarlo? Non lo vorrei neanche su un piatto d'oro! E intanto, lo avrò ugualmente sulle spalle per tutta la vita. Finché vivo dovrò occuparmi di lui, badare a che non muoia di fame, e che i suoi sentimenti non siano urtati da ciò che può dire la gente. Sarà un altro bambino attaccato alle mie sottane. Ho perduto l'innamorato ed ho acquistato un altro bimbo. E se non avessi promesso a Melly... non mi importerebbe di non vederlo mai piú.»

Pagina 1014

Ashley stava per ripartire; tornava nella Virginia, tornava alle lunghe marce sotto la pioggia, ai bivacchi fra la neve, ai disagi e ai rischi a cui doveva esporre la sua testa bionda e il suo corpo fiero, col pericolo di essere da un istante all'altro abbattuto, come una formica sotto un piede incurante. La settimana, con la sua agitazione febbrile e luminosa, era trascorsa. Veloce come un sogno, un sogno fragrante del profumo d'abete degli alberi di Natale, brillante di candele e di ornamenti luccicanti, un sogno i cui minuti fuggivano rapidi come i battiti del cuore. Una settimana affannosa, nella quale Rossella aveva cercato con un misto di dolore e di gioia di far provvista di piccoli incidenti da ricordare dopo la sua partenza, avvenimenti a cui ella riandrebbe comodamente in seguito, traendone briciole di consolazione: danzare, cantare, ridere, correre a prendere quello che Ashley desiderava, sorridere quando egli sorrideva, tacere quando egli parlava, seguirlo con gli occhi in ogni suo gesto, accorgersi di ogni movimento delle sue sopracciglia, di ogni fremito della sua bocca... Tutto questo restava impresso indelebilmente nella sua mente; perché una settimana passa presto e la guerra continua per sempre... Era seduta sul divano del salotto, tenendo in grembo il suo dono di commiato, aspettando che egli avesse salutato Melania e pregando Dio che scendesse solo, che il cielo le accordasse qualche minuto con lui. Aveva le orecchie tese ad ascoltare i rumori del piano superiore, ma la casa era stranamente silenziosa, sicché perfino il suo respiro le sembrava troppo percettibile. Zia Pitty piangeva fra i guanciali in camera sua, perché Ashley l'aveva salutata mezz'ora prima. Dalla stanza di Melania non giungeva mormorio di voci né suono di pianto. Parve a Rossella che egli fosse là dentro da un secolo; ed ella calcolò amaramente che il giovine maggiore prolungava gli addii a sua moglie: i momenti passavano veloci e il suo tempo era misurato. Ricordò tutto ciò che aveva avuto desiderio di dirgli in quella settimana. Ma non ne aveva avuto la possibilità; ed ora pensava che forse non l'avrebbe mai. Tante cose, e non vi era piú il tempo! Anche i pochi minuti che rimanevano le sarebbero carpiti da Melania, se questa lo accompagnava giú e poi al cancello. Perché non era riuscita a parlargli in tutta la settimana? C'era sempre Melania accanto a lui, coi suoi occhi adoranti; e poi vicini, amici, parenti, dalla mattina alla sera. E dopo, la porta della camera da letto si chiudeva ed egli era solo con Melania. Non una volta il suo sguardo aveva detto a Rossella qualche cosa di piú di un affetto fraterno. Eppure ella non poteva lasciarlo partire senza sapere se l'amava ancora. In questo caso, se egli morisse, le rimarrebbe il conforto del suo segreto amore sino alla fine dei suoi giorni. Dopo un'eternità, sentí lo scricchiolio delle sue scarpe e poi l'uscio che si apriva e si richiudeva. Lo udí scendere. Solo! Dio sia lodato! Discese lentamente, facendo tintinnare gli sproni; la sciabola gli batteva sugli stivaloni ad ogni gradino. Entrando in salotto, aveva gli occhi cupi e il viso pallido come se il sangue fosse affluito ad una ferita interna. Ella si alzò scorgendolo, e pensò con orgoglio di proprietaria che era il piú bel soldato che si potesse vedere. La cintura e la fondina erano lustre; gli sproni d'argento e il fodero della sciabola scintillavano dopo l'industriosa opera di pulizia compiuta da zio Pietro. L'uniforme nuova - dono di Melania - non andava alla perfezione, perché il sarto aveva lavorato troppo in fretta; ma se anche avesse indossato un'armatura d'argento, non le sarebbe sembrato piú «bel cavaliere» di come le appariva. - Ashley - cominciò ella bruscamente - posso accompagnarvi al treno? - No, vi prego. Vi saranno il babbo e le sorelle. E comunque, preferisco ricordarvi mentre mi salutate qui, piuttosto che nel freddo della stazione. Rinunciò immediatamente al suo progetto. La presenza di Lydia e di Gioia che avevano tanta antipatia per lei avrebbe reso impossibile una sola parola con lui. - Allora non vengo - aderí subito. - Guardate, Ashley, ho un regalino per voi. Un po' intimidita, ora che era venuto il momento di darglielo, aperse il pacchetto. Era una lunga sciarpa gialla, di seta cinese, con una frangia pesante. Rhett Butler le aveva portato dall'Avana uno scialle alcuni mesi prima, uno scialle giallo gaiamente ricamato di fiori e uccelli in turchino e magenta. Durante la settimana ella aveva pazientemente disfatto tutto il ricamo, e aveva tagliato una striscia in tralice per fare la sciarpa. - Che bellezza, Rossella! L'avete fatta voi? Allora l'apprezzo anche di piú. Mettetemela addosso, cara. I camerati diventeranno verdi d'invidia quando mi vedranno in tutta la gloria della mia nuova uniforme con questa sciarpa! Ella gliela passò attorno alla vita sottile, al disopra della cintura e annodò le due estremità in un bel fiocco. Melania gli aveva regalato l'abito nuovo; ma questa sciarpa era il suo dono, il segreto guiderdone che egli porterebbe in battaglia, qualcosa che lo costringerebbe a ricordarsi di lei ogni volta che lo vedeva. Indietreggiò di un passo e lo guardò con orgoglio, pensando che neanche il generale Stuart, con la sua sciarpa fluttuante e la piuma sul cappello, era bello come il suo cavaliere. - Bellissima - ripeté Ashley giocherellando con la frangia. - Ma so che per farla avete dovuto tagliare un vestito o uno scialle. Non dovevate farlo, Rossella. È troppo difficile, di questi tempi, aver delle belle cose. - Oh, Ashley, io... Stava per dire: «avrei tagliato il mio cuore per darvelo», ma invece finí la frase cosí:... farei qualunque cosa per voi! - Davvero? - E nel chiedere questo i suoi occhi si rischiararono alquanto. - Allora vi è una cosa che potete fare per me, Rossella, e che mi farà essere piú tranquillo quando sarò lontano. - Che cos'è? - chiese ella felice, pronta a promettere dei prodigi. - Rossella, volete aver cura di Melania per me? - Cura di Melly? Si sentí riempire l'animo di amara delusione. Questa era dunque la sua ultima domanda, quando lei era pronta a promettergli qualche cosa di bello, di grandioso! Fu presa dall'ira. Quel momento era il suo momento con Ashley, suo soltanto. E benché Melania fosse assente, la sua ombra pallida era fra loro. Perché nominarla nel momento del loro addio? Come poteva chiederle ciò che le chiedeva? Egli non si accorse della delusione espressa dal suo volto. Come una volta, i suoi occhi guardavano attraverso lei, al di là, verso qualche altra cosa, come se non la vedessero affatto. - Sí, abbiate cura di lei, fate attenzione. È fragile e non se ne rende conto. Si strapazza a cucire e a fare l'infermiera. Ed è cosí buona e cosí timida! Eccettuato zia Pitty, zio Enrico e voi, non ha parenti stretti; soltanto i Burr di Macon, e sono dei cugini in terzo grado. E zia Pitty... è come una bambina; lo sapete anche voi. Melania vi vuole molto bene, e non perché eravate la moglie di Carlo ma perché... sí, perché siete voi e vi vuol bene come a una sorella. Rossella, è un tormento per me il pensiero che se io fossi ucciso, Melly non avrebbe nessuno a cui rivolgersi. Volete promettermi...? Ella non udí neanche la sua preghiera, terrorizzata com'era dalle parole «se io fossi ucciso». Aveva letto tutti i giorni le liste dei morti e feriti, col cuore in gola perché sapeva che se gli fosse accaduto qualche cosa, il mondo sarebbe finito. Ma sempre aveva avuto il presentimento che, anche se l'esercito confederato fosse spazzato via, Ashley sarebbe salvo. Ed ora... ora sentiva il cuore batterle violentemente e si sentiva presa da un terrore superstizioso che non riusciva a vincere col ragionamento. Era abbastanza irlandese da credere alla chiaroveggenza, specialmente quando si trattava di morte; e vide nei suoi occhi grigi una tristezza sconfinata che interpretò come quella di un uomo che sente sulla sua spalla il tocco della mano gelida. - Non dovete dir questo! Neanche pensarlo! Porta disgrazia, parlare della morte! Dite una preghiera, presto! - Ditela voi per me e accendete qualche cero - rispose egli sorridendo del terrore che era nella voce di lei. Ma ella non poté replicare: dinanzi ai suoi occhi si dipingevano i quadri piú spaventosi: Ashley morto tra le nevi della Virginia, lontano da lei. Egli continuò a parlare e nella sua voce era una malinconia è una rassegnazione che aumentarono il suo terrore e la sua delusione. - Non so che cosa sarà di me, Rossella, o di noi. Ma quando giungerà la fine, io sarò troppo lontano da qui, anche se sarò vivo, per potere aver cura di Melania. - La... la fine? - La fine della guerra... e la fine del mondo. - Ma non penserete, Ashley, che gli yankees possano batterci?! In questa settimana non avete parlato d'altro che della forza e dell'abilità del generale Lee... - Ho mentito, come tutti quanti quando sono in licenza. Perché spaventare Melania e zia Pitty senza bisogno? Sí, Rossella, credo che gli yankees ci batteranno. Gettysburg è stato il principio della fine. Molti ignorano... Ma sono tanti gli uomini scalzi, Rossella; e c'è tanta neve adesso in Virginia. E quando vedo quei poveri piedi congelati avvolti in vecchi stracci o in pezzi di sacco, e vedo le impronte sanguinose che lasciano nella neve... e so che io ho delle scarpe... ebbene, mi pare che dovrei gettarle via e andare anch'io scalzo. - Oh, Ashley, promettetemi di non darle via! - Quando vedo queste cose... vedo la fine di tutto. Gli yankees stanno reclutando soldati in Europa a migliaia! La maggior parte dei prigionieri che abbiamo preso ultimamente non sanno neanche una parola d'inglese. Sono tedeschi, polacchi, o irlandesi che parlano gaelico. Ma quando noi perdiamo un uomo, non si può sostituirlo. E quando le nostre scarpe sono consumate, non ve ne sono altre. Siamo imbottigliati, Rossella. E non possiamo lottare contro tutto il mondo. Ella pensò: «crolli la Confederazione, finisca il mondo, purché tu non muoia! Non potrei vivere se tu morissi!» - Spero che non ripeterete ciò che vi ho detto, Rossella. Non voglio allarmare gli altri. E non avrei voluto spaventare neanche voi; ma ho dovuto spiegarvi perché vi chiedevo di aver cura di Melania. È debole mentre voi siete cosí forte, Rossella! Sarà un conforto per me pensare che qualunque cosa possa accadermi, voi due siete insieme. Me lo promettete? - Oh sí! - ella esclamò, perché in quel momento, vedendogli la morte accanto, avrebbe promesso qualunque cosa. - Ashley, Ashley, non posso lasciarvi partire! Non posso aver tanto coraggio! - Dovete averlo - replicò egli; e la sua voce mutò. Era piú sonora, piú profonda, e le sue parole sgorgarono rapide. - Dovete essere coraggiosa. Altrimenti, come potrei resistere? Gli occhi di lei cercarono il suo volto con gioia, perché ella credeva di comprendere che la separazione da lei gli spezzava il cuore. Il volto di lui era cupo come quando era sceso dalla camera di Melania, ma nei suoi occhi ella non riuscí a decifrare nulla. Egli si chinò un poco, le prese il volto fra le mani, la baciò lievemente in fronte. - Rossella, Rossella! Siete cosí bella, forte e buona. Bella non per il vostro visino cosí dolce, ma per tutta voi stessa, per il vostro spirito e la vostra anima. - Oh Ashley - bisbigliò Rossella felice delle sue parole e commossa nel sentirsi le sue mani sul volto - nessun altro mi ha mai... - Mi piace credere che forse vi conosco meglio degli altri e vedo le belle cose nascoste entro di voi e che altri, troppo frettolosi osservatori, non sanno scorgere. Si interruppe lasciando ricadere le mani, ma continuando a fissarla. Ella rimase un istante, col respiro affannoso, attendendo le due parole magiche. Ma queste non vennero. Questo secondo crollo delle sue speranze fu più di quanto il suo cuore potesse sopportare. Ella sedette, con un «oh!» di disperazione infantile sentendo le lagrime che le pungevano gli occhi. E in quella udí nel viale d'accesso un rumore che la riempí di terrore. Era la carrozza che zio Pietro conduceva dinanzi alla porta per accompagnare Ashley al treno. - Addio - mormorò piano Ashley. Prese dalla tavola il feltro a larghe tese che essa si era procurato facendo delle moine a Rhett e si avviò per il vestibolo semibuio. Con la mano sulla maniglia della porta si volse, e la fissò con uno sguardo lungo, disperato, come se avesse voluto portar via con sé tutti i particolari del suo volto e della sua figura. Attraverso una nebbia di lagrime ella scorse il suo viso e, con uno strazio che la soffocava, sentí che egli se ne andava, lontano da lei, lontano dal rifugio sicuro della sua casa, fuori dalla sua vita, forse per sempre, senza aver detto le parole che ella anelava di udire. Il tempo era passato ed ora era troppo tardi. Ella corse attraverso il salotto ed afferrò i lembi della sua sciarpa. - Baciatemi - gli disse in un soffio. - Baciatemi per dirmi addio. Le sue braccia la circondarono dolcemente ed egli si curvò sul suo visino. Al primo contatto delle loro labbra, le braccia di lei si avvolsero freneticamente al suo collo. Per un attimo incommensurabile, egli strinse al suo il corpicino di lei. Quindi ella sentí i suoi muscoli irrigidirsi; e, lasciando cadere a terra il cappello, egli staccò vivamente le morbide braccia dal suo collo. - No, Rossella, no - disse a bassa voce serrandole i polsi in una stretta che le fece male. - Vi amo - bisbigliò lei soffocando. - Vi ho sempre amato. Non ho mai amato nessun altro. Sposai Carlo per... farvi dispetto. Oh, Ashley, vi amo tanto che verrei nella Virginia... a pulirvi le scarpe e cucinare per voi e strigliare il vostro cavallo... Ashley, dite che mi amate! Vivrò di queste parole fino al mio ultimo giorno! Egli si chinò rapidamente a raccogliere il suo cappello, ed ella scorse di sfuggita il suo viso: il piú infelice che ella avesse mai visto, ma da cui era scomparso ogni senso di distanza. La sua espressione rivelava il suo amore per lei, e la sua gioia che anche lei lo amasse, ma tutto ciò in un misto di vergogna e di disperazione. - Addio - disse con voce rauca. La porta si aperse e un soffio di vento freddo entrò in casa, agitando le cortine. Rossella rabbrividí vedendolo correre verso la carrozza, con la sciabola che brillava al pallido sole invernale e la sciarpa che ballonzolava gaiamente sul suo fianco.

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Ma anche questa nuova perdita non aveva abbattuto gli spiriti degli Stati del Sud. Una profonda risolutezza aveva sostituito le speranze; ma il popolo riusciva ancora a scorgere fra le nuvole un barlume d'argento. Intanto gli yankees erano stati fieramente respinti in settembre quando avevano tentato di far seguire alla loro vittoria nel Tennessee un'avanzata in Georgia. Nel punto piú nord-occidentale dello Stato, a Chickamauga, seri combattimenti si erano svolti sul suolo della Georgia per la prima volta dal principio della guerra. Gli yankees, dopo essersi impadroniti di Chattanooga, erano penetrati nella regione attraverso i passi montagnosi, ma erano stati respinti con gravi perdite. Atlanta e le sue ferrovie avevano avuto una gran parte nel fare di Chickamauga una grande vittoria per gli Stati del Sud. Per mezzo della linea ferroviaria, le truppe del generale Longstreet avevano potuto raggiungere il campo di battaglia. Tutto il materiale utilizzabile era stato raccolto sulla linea lunga settecento miglia per il movimento occorrente. Atlanta aveva vegliato mentre i treni si succedevano ad ogni ora e la città era attraversata da diligenze, carri e furgoni pieni di uomini che gridavano. Arrivavano senza aver mangiato né dormito, senza cavalli, senza ambulanze né treni di rifornimento, e senza indugio balzavano direttamente dai convogli precipitandosi nella battaglia. E gli yankees erano stati scacciati dalla Georgia. Era il più grande episodio della guerra, e Atlanta era orgogliosa al pensiero che le sue ferrovie avessero reso possibile la vittoria. Ma il Sud aveva avuto bisogno della buona notizia di Chickamauga per sostenere il proprio morale durante l'inverno. Ora nessuno piú negava che gli yankees fossero buoni soldati e avessero dei bravi generali. Grant era un carnefice a cui non importava di sacrificare molte vite per una vittoria, purché la vittoria vi fosse. Sheridan era un nome che portava lo sgomento nei cuori meridionali. E poi, vi era un certo Sherman che veniva nominato sempre piú spesso, e la cui reputazione di grande combattente andava sempre aumentando. Nessuno di questi, naturalmente, si poteva paragonare al generale Lee. La fede in lui e nell'esercito era ancora forte, ma la guerra durava troppo a lungo; vi erano tanti morti, tanti feriti, tanti mutilati, tante vedove e tanti orfani. E vi era ancora da sostenere una lunga lotta che porterebbe con sé altri morti, altri feriti, altre vedove e altri orfani. A peggiorare la situazione cominciava a serpeggiare nella popolazione una vaga sfiducia in coloro che occupavano posizioni elevate. Molti giornali parlavano chiaramente contro il Presidente Davis e contro il suo modo di condurre la guerra. Le scarpe e gli abiti per l'esercito mancavano; i medicinali e i rifornimenti erano ancora piú scarsi; le ferrovie necessitavano di nuovi vagoni per sostituire i vecchi e di nuovi binari in luogo di quelli che erano stati distrutti dagli yankees. I generali chiedevano truppe fresche; ed era sempre piú difficile procurarle. Inoltre alcuni dei governatori degli Stati, e fra questi il governatore Brown della Georgia, rifiutavano di mandare armi e milizie fuori dai loro confini. Col nuovo ribasso della valuta, i prezzi tornarono a salire. Il bue, il maiale, e il burro costavano 35 dollari la libbra; la farina 400 dollari al sacco; la soda 100 dollari la libbra, il tè 500 dollari. Gli abiti invernali, quando era possibile averne, erano arrivati a prezzi cosí proibitivi, che le signore di Atlanta foderavano i loro vestiti vecchi di stracci, rinforzandoli con carta di giornali. Le scarpe costavano da 200 a 800 dollari il paio, secondo che erano fatte di carta pesta o di vero cuoio. Le signore portavano adesso uose fatte con pezzi di vecchi scialli di lana o di tappeti. Le suole erano di legno. La verità si era che il Nord teneva il Sud in un virtuale stato d'assedio. Le navi da guerra avevano ristretto il blocco, e ben pochi erano i bastimenti che riuscivano a passare attraverso di questo. Gli Stati del Sud avevano sempre vissuto vendendo il loro cotone e comperando ciò che non producevano; ma ora non potevano né vendere né comprare. Geraldo aveva immagazzinato sotto le tettoie, presso la dispensa di Tara il raccolto di cotone di tre anni; ma non ne traeva alcun giovamento. A Liverpool ne avrebbe avuto 150.000 dollari, ma non vi era alcuna speranza di potervelo portare. Da uomo ricco, Geraldo si era trasformato in un individuo che non sapeva come avrebbe potuto nutrire la sua famiglia e i suoi negri nell'inverno. La maggior parte dei piantatori di cotone erano nelle stesse condizioni. Impossibile far giungere la produzione meridionale in Inghilterra e impossibile importare i generi di assoluta necessità. Il Mezzogiorno agricolo, muovendo guerra al Settentrione industriale, aveva ora bisogno di un'infinità di cose della cui necessità non si rendeva conto in tempo di pace. Era una situazione creata da speculatori e profittatori, i quali ne traevano tutto il vantaggio possibile. Poiché cibi e vestiario divenivano sempre piú scarsi e i prezzi sempre piú alti, le accuse pubbliche contro gli speculatori si inasprirono. Nei primi giorni del 1864 non si poteva aprire un giornale che non contenesse denuncie editoriali contro gli avvoltoi e i vampiri, e appelli al Governo perché li richiamasse al dovere con mano energica. Il Governo fece del suo meglio, ma senza alcun risultato efficace. Piú che contro chiunque, l'opinione pubblica era violenta contro Rhett Butler. Egli aveva venduto le sue navi quando l'attraversare il blocco era diventato troppo pericoloso; ed ora speculava apertamente sui generi alimentari. Ciò che si raccontava di lui a Richmond e Wilmington faceva arrossire di vergogna coloro che in altri tempi lo avevano ricevuto nella loro casa ad Atlanta. Malgrado tutte queste tribolazioni, la popolazione di Atlanta era raddoppiata durante la guerra. Perfino il blocco aveva aumentato il prestigio di Atlanta; perché coi porti chiusi e la maggior parte delle città costiere occupate o assediate, la salvezza del Sud dipendeva dalle città interne. Il popolo di Atlanta soffriva disagi, privazioni, malattie, e morti come il resto della Confederazione; ma la città aveva guadagnato, piuttosto che perduto, in seguito alla guerra. Il cuore della Confederazione batteva ancora fortemente; le ferrovie che erano le sue arterie la rifornivano, con un afflusso continuo, di uomini, munizioni e provviste.

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Era un popolo ardito, ma stanco, che era stato sconfitto e non voleva accettare la sconfitta; abbattuto, ma pure deciso a rimanere in piedi. Costoro vivevano nel paese che amavano, lo vedevano calpestato dal nemico; vedevano furfanti che s'infischiavano della legge, i loro antichi schiavi divenuti una minaccia, i loro uomini privati dei diritti politici, le loro donne insultate. Tutto era dunque mutato meno le antiche forme. Le vecchie usanze continuavano, poiché rappresentavano tutto ciò che rimaneva loro. Sí, essi restavano aggrappati a ciò che avevano amato: la cortesia, le maniere galanti, la piacevole superficialità nei rapporti sociali, e, piú di tutto, l'atteggiamento protettore degli uomini verso le donne. Questo, pensava Rossella, era il sommo dell'assurdità, perché vi era ben poco ormai che anche le donne piú riservate non avessero veduto e conosciuto in quegli ultimi cinque anni. Avevano curato i feriti, chiuso gli occhi ai moribondi, sofferto la guerra, l'incendio, la devastazione, conosciuto il terrore, la fuga e la fame. Ma, qualunque cosa avessero veduto, a qualunque lavoro si fossero assoggettati, rimanevano signore e gentiluomini, regalità in esilio; amari, distanti, incuriosi, buoni gli uni per gli altri, duri come il diamante, e brillanti come i cristalli del lampadario deteriorato sulle loro teste. Rossella sapeva che ella pure era mutata. Altrimenti non avrebbe potuto compiere ciò che aveva fatto da quando era arrivata ad Atlanta. Né avrebbe contemplato la possibilità di compiere ciò a cui disperatamente agognava. Ma vi era una differenza tra la sua asprezza e quella di loro; una differenza di cui non si rendeva conto. Forse era questa: che non vi era nulla che ella non avrebbe fatto, mentre vi erano tante cose che quella gente avrebbe preferito morire piuttosto che compiere. Forse non speravano piú nulla, ma sorridevano ugualmente alla vita; ciò che Rossella non poteva fare. Quelli che ella vedeva non erano volti erano maschere che non sarebbero mai cadute. Ed improvvisamente li detestò, appunto perché erano diversi da lei, perché sopportavano le loro perdite in una maniera che a lei sarebbe per sempre vietata. Detestò quegli estranei sorridenti e leggeri, quei pazzi orgogliosi, che attingevano la loro fierezza in ciò che avevano perduto. Le donne avevano un atteggiamento di signore, benché quotidianamente si dedicassero a umili lavori e non sapessero quando e come potrebbero avere un abita nuovo. Ma erano signore! E lei non riusciva a sentirsi signora, malgrado il suo abito di velluto e i capelli profumati, malgrado l'orgoglio dei suoi natali, e della sua ricchezza di un tempo. Il duro contatto con la rossa argilla di Tara, l'aveva privata di ogni dolcezza, ed ella era sicura che non si sentirebbe mai piú una signora, finché la sua tavola non fosse coperta di argenteria e cristalli, finché carrozze e cavalli non riempissero le sue scuderie, finché il cotone di Tara non venisse colto da mani nere e non bianche. «Ah!» pensò irritata. «Eccola la differenza! Benché siano povere, loro si sentono ancora delle signore, ed io no. Queste sciocche non capiscono che non si può essere una signora senza denaro!» Pure avendo compreso questo, aveva vagamente la sensazione che coloro, sciocchi com'erano, avevano il giusto atteggiamento. Elena avrebbe pensato cosí. Questo la turbò. Ella sapeva che avrebbe dovuto credere, come loro, che quando una nasce signora, rimane signora anche se ridotta in povertà; ma non riusciva a convincersene. Crollò le spalle irritata. Forse questa gente aveva ragione e lei aveva torto; ma costoro non guardavano verso l'avvenire come faceva lei, lottando con ogni energia, arrischiando perfino l'onore e il buon nome per riconquistare ciò che avevano perduto. La maggioranza di coloro riteneva che dibattersi per il denaro fosse al di sotto della loro dignità. Riteneva che lo sforzarsi a guadagnare, e anche il parlare di denaro fosse cosa volgare. Vi erano delle eccezioni: per esempio la signora Merriwether, che faceva le focacce, e Renato che andava in giro a venderle. E Ugo Elsing che vendeva legname, e Tommy che faceva l'appaltatore. E anche Franco che aveva una bottega. Ma la maggioranza? I piantatori si limitavano a coltivare qualche zolla di terreno e vivevano in povertà. Alcuni avvocati e dottori erano tornati alla loro professione ad aspettare clienti che non arriverebbero mai. E gli altri, quelli che vivevano interamente di rendita? Che sarebbe di loro? No, non voleva rimaner povera. Non aspetterebbe il miracolo. Si getterebbe a capo fitto e cercherebbe di afferrare ciò che poteva. Suo padre aveva cominciato con l'essere un povero immigrante, e finito col possedere Tara. Ciò che egli aveva fatto, anche sua figlia potrebbe farlo. Non era come costoro che avevano giocato tutto su una Causa perduta, e ne erano fieri, ritenendo che la Causa meritasse ogni sacrificio. Essi traevano il loro coraggio dal passato; ella traeva il suo dall'avvenire. Franco Kennedy era in questo momento il suo avvenire. Se riusciva a sposarlo, l'anno venturo potrebbe sistemare le faccende di Tara. Dopo... Franco doveva comprare la segheria. Le tornarono in mente dal fondo della memoria le parole che Rhett aveva detto un giorno a proposito del denaro che guadagnava col contrabbando. Ella non si era presa il disturbo di capirle allora, ma adesso il loro significato le appariva chiarissimo. «Si può guadagnare tanto denaro nel crollo di una civiltà, come nella ricostruzione di un'altra.» «Aveva ragione» pensò. «C'è da fare una quantità di quattrini per chi non ha paura di lavorare... o di impadronirsi di sorpresa delle situazioni.» Vide Franco che veniva verso di lei portando in una mano un bicchiere di vino di more e nell'altra un piattino con una fettina di torta, e si sforzò a sorridere. Non si chiese neppure se per la salvezza di Tara valeva la pena di sposare Franco. Era sicura di sí; e non si soffermava mai a pensare una seconda volta alle cose. Gli sorrise e sorseggiò il vino, sapendo che il suo volto era piú graziosamente roseo di quello di qualsiasi altra ballerina. Raccolse le gonne per farlo sedere accanto a lei, e agitò lievemente il fazzoletto, per fargli giungere il profumo leggero dell'acqua, di Colonia. Era molto contenta di averla comprata, perché nessun'altra donna, nella sala, era profumata, e Franco l'aveva notato. In un momento di audacia le aveva sussurrato che era fresca e fragrante come una rosa. Se non fosse cosí timido! Le dava l'idea di un vecchio coniglio selvatico. Se almeno avesse la galanteria e l'ardore dei ragazzi Tarleton, o magari la sfacciata impudenza di Rhett Butler! Ma se avesse avuto queste qualità, probabilmente sarebbe stato abbastanza intelligente da accorgersi della disperazione che si annidava sotto le sue palpebre pudicamente abbassate. Cosí com'era, egli non conosceva tanto le donne da poter menomamente sospettare ciò che Rossella pensava. Per lei, questa era una fortuna; ma senza dubbio non aumentava la sua stima per Franco.

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Ma egli aveva anche una nostra debolezza: la possibilità di essere abbattuto da qualche cosa che proveniva dall'interno. Quando morí la signora O'Hara, anche il cuore di suo marito morí; ed egli non si rialzò piú. E colui che vedevamo camminare non era lui. Will si interruppe; i suoi occhi girarono a guardare gli ascoltatori. La folla sembrava incantata; ogni rancore verso Súsele era dimenticato. Lo sguardo di Will si posò un istante su Rossella come per darle coraggio. E Rossella provò veramente un senso di conforto perché Will parlava con buon senso, invece di ripetere i soliti luoghi comuni sul mondo migliore e sulla rassegnazione alla volontà di Dio. - Noi tutti siamo come lui. Nulla può sopraffarci, come nulla ha potuto sopraffare lui: né yankees né «Carpetbaggers» né i tempi difficili né la miseria. Ma la debolezza che è nei nostri cuori può sopraffarci in un batter d'occhi. Non è soltanto la perdita di un essere caro, com'è stato nel caso del signor O'Hara. Ciascuno ha una molla diversa; ma voglio dirvi questo: per coloro la cui molla non funziona, è meglio esser morti; nel mondo d'oggi non vi è posto per loro. E vi dico ancora una cosa: che oggi non dovete affliggervi per il signor O'Hara. Ora il suo corpo è andato a raggiungere il suo cuore; quindi non vi è ragione di piangerlo, a meno di non essere egoisti... Ve lo dico io, che gli volevo bene come se fosse mio padre... Credo che non vi sia altro da dire. La famiglia è troppo depressa per ascoltare altre parole che non darebbero loro alcun conforto. Quindi si volse alla signora Tarleton e le disse sommessamente: - Vi dispiacerebbe, signora, accompagnare in casa Rossella? Non le fa bene rimanere tanto tempo in piedi e per di piú al sole. E, salvo il dovuto rispetto, consiglierei lo stesso alla nonna Fontaine. Rossella arrossí e tutti gli sguardi si volsero a lei. Ma perché Will faceva quella specie di pubblicità alla sua gravidanza? Gli lanciò un'occhiata piena di vergogna e d'indignazione; ma lo sguardo di Will sembrò risponderle senza turbarsi: «Vi prego, ubbidite... Io so quello che faccio». Era già il capo della famiglia; e volendo evitare scenate, Rossella si volse alla signora Tarleton. Questa, immediatamente distolta dal pensiero di Súsele - come Will aveva preveduto - dal fatto di una nuova nascita, sempre affascinante per lei, fosse umana o animale, prese il braccio di Rossella. - Vieni in casa, cara. Aveva un'espressione di affettuoso interessamento e Rossella si lasciò condurre atttraverso la folla che si aperse per lasciarla passare. Vi fu un mormorio di simpatia e parecchie mani si tesero ad accarezzarla. Quando giunse dinanzi alla nonna Fontaine, questa avanzò il mento e disse: - Dammi il braccio, bambina - e poi soggiunse guardando fieramente la nuora e Sally: - No, voialtre non venite. Non ho bisogno di voi. - Ma perché Will ha fatto questo?! - gridò Rossella appena furono fuori portata d'udito. - È come se avesse detto a tutti: «Guardatela! Aspetta un bambino!» - E non è forse vero? - ribatté la signora Tarleton. - Will ha fatto benissimo. Era una pazzia per te rimanere lí al sole a rischio di cadere svenuta e magari provocare un aborto. - Will non ha affatto pensato a questo - interloquí la nonna, un po' ansimante mentre si avviava verso i gradini. Sul suo volto era un sorriso arcigno. - Soltanto non voleva che rimanessimo accanto alla tomba né io né voi, Beatrice. Temeva ciò che avremmo potuto dire; e sapeva che questo era il solo mezzo per liberarsi di noi... E poi non voleva che Rossella udisse le palate di terra sulla bara. Ha fatto bene. Ricorda, Rossella, che finché non senti quel rumore tremendo, le persone non sono veramente morte... È il rumore piú terribile del mondo... Aiutami a salire i gradini, bambina; e voi, Beatrice, datemi una mano. Rossella non ha bisogno del vostro braccio... Will sa che tu eri la beniamina di tuo padre e non ha voluto rendere anche peggiore la tua sofferenza. Per le tue sorelle è piú facile. Súsele ha la sua onta per sostenerla, e Carolene il suo Dio. Ma tu non hai nulla, non è vero, bambina? - No - rispose Rossella aiutandola a salire i gradini, un po' sorpresa della verità che la vecchia voce aveva pronunciata. - Non ho mai avuto nulla che mi sostenesse... eccetto la mamma. - Ma quando l'hai perduta, hai trovato che potevi anche vivere sola, non è vero? Ebbene, alcune persone non possono. Tuo padre era uno di questi. Will ha avuto ragione. Non addolorarti. Egli non poteva esistere senza Elena; ed ora, dove si trova, è piú felice. Come io sarò felice quando raggiungerò il vecchio dottore. Parlava naturalmente come se suo marito fosse vivo e si fosse recato a Jonesboro, dove una breve corsa in carrozza le avrebbe permesso di ritrovarlo. La nonna era troppo vecchia e aveva visto troppe cose per temere la morte. - Ma... anche voi potete vivere sola - replicò Rossella. - Sí; ma a volte si prova non poca difficoltà. - Non dovreste parlare cosí a Rossella, nonna - interruppe la signora Tarleton. - È già abbastanza sconvolta. Col viaggio da Atlanta, quell'abito stretto, il caldo e il dispiacere, ce n'è abbastanza per abortire senza che anche voi aggiungiate alla misura venendo a discorrere di dolori e di guai. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella irritata. - Non sono affatto sconvolta! E non sono una di quelle stupidine che abortiscono per nulla! - Non si può mai dire - ribatté la signora Tarleton onnisciente. - Io abortii del mio primo vedendo un toro che inseguiva uno dei nostri negri; e... ti ricordi la mia giumenta Nellie? Era la piú sana e robusta che si potesse vedere; ma era nervosissima; e se io non fossi stata attenta... - Smettetela, Beatrice - interruppe la nonna. - Rossella non è tipo da abortire. Sediamoci qui nel vestibolo dove fa fresco; c'è un po' di corrente. E voi, Beatrice, andate in cucina a vedere se c'è un bicchiere di siero. Oppure guardate in dispensa se vi fosse un po' di vino. Staremo qui ad aspettare che tutti vengano ad accommiatarsi. - Rossella dovrebbe andare a letto - insisté la signora Tarleton. - Suvvia, sbrigatevi. - E la nonna le diede un colpetto col suo bastone. La signora Tarleton si avviò verso la cucina gettando il suo cappello sulla credenza e lisciandosi i capelli con le mani. Rossella si appoggiò alla spalliera della sedia e sbottonò i due primi bottoni del corpetto. Si stava bene, nell'alto vestibolo; il soffio d'aria fresca e fragrante che penetrava dalla porta posteriore era piacevole dopo il sole ardente. Guardò attraverso il vestibolo nel salotto dov'era stata la salma di Geraldo e distogliendo il pensiero da lui alzò gli occhi al ritratto della nonna Robillard che, con la sua pettinatura alta, il seno largamente esposto e la sua fredda insolenza, aveva sempre sopra di lei un effetto tonico. - Non so che cosa ha colpito di piú Beatrice, se la perdita dei suoi figli o quella dei suoi cavalli - cominciò la nonna Fontaine. Come sai, non si è mai occupata molto di Giacomo né delle ragazze. È una di quelle persone di cui parlava dianzi Will: la sua molla non funziona. A volte penso che finirà ad essere com'era tuo padre... La sola cosa che le ha dato gioia è stata la venuta al mondo di esseri umani o di animali; e nessuna delle sue figlie si è sposata né ha probabilità di farlo; quindi ella non ha nulla che occupi la sua mente. Se non fosse una vera signora, si lascerebbe andare... Will ti ha detto la verità sul suo fidanzamento con Súsele? Sí - rispose Rossella fissando la vecchia signora negli occhi. Era passato il tempo in cui la nonna Fontaine le faceva paura! E ora si sentiva anche disposta a dirle che andasse al diavolo, se quella voleva immischiarsi negli affari di Tara. - Poteva trovare di meglio - riprese la vecchia candidamente. - Davvero? - fece Rossella con alterigia. - Non darti tante arie, madamigella - ammoní aspramente la nonna Fontaine. - Non ho nessuna intenzione di attaccare la tua preziosa sorella; cosa che avrei fatto se fossi rimasta alla sepoltura. Voglio dire soltanto che con la scarsità di uomini nel nostro paese, Will avrebbe potuto sposare chiunque. Vi erano le quattro Tarleton, le Munroe, le McRae.... - Invece sposerà Súsele; e questo è quanto. - È una fortuna per lei! - È una fortuna per Tara. - Tu ami questo luogo, non è vero? - Sí. - E perciò non t'importa che tua sorella sposi uno che non è della sua classe, purché vi sia un uomo che si occupi di Tara? - La sua classe? E che importa la classe al giorno d'oggi, quando una ragazza trova un marito che può aver cura di lei? - Questo è discutibile. Alcuni direbbero che tu parli con buon senso. Altri direbbero che tu distruggi delle barriere che non avrebbero mai dovuto essere abbassate di un centimetro... Certamente Will non è dell'aristocrazia, mentre alcune persone della tua famiglia vi hanno appartenuto. I suoi occhi penetranti corsero al ritratto della nonna Robillard. Rossella pensò a Will, scarno, incolore, dolce, con la sua eterna pagliuzza in bocca, il suo aspetto completamente privo di energia, come la maggior parte dei «crackers». Certo non aveva dietro di sé una lunga fila di antenati dotati di ricchezza, di autorità, di aristocrazia. Il primo della sua famiglia che aveva messo piede sul suolo di Georgia era stato probabilmente un bancarottiere o un servo. Will non era stato in collegio; come istruzione non aveva avuto che quattro anni di scuola rurale. Però era onesto e leale, paziente e lavoratore. Ma non era un signore; e secondo le idee dei Robillard, Súsele faceva un matrimonio al disotto della sua condizione. - Dunque tu approvi l'entrata di Will nella tua famiglia? - Sí - rispose Rossella brutalmente, pronta a rispondere male alla vecchia signora alla prima parola di biasimo. - Dammi un bacio - disse invece con suo stupore la nonna, sorridendo con approvazione. - Non ti ho mai voluto bene come adesso, Rossella. Sei sempre stata aspra, anche da bambina, e a me non piacciono le donne aspre; dato che sono abbastanza dura anch'io. Ma mi piace il tuo modo di affrontare le cose. Non perdi il tempo in lamentele quando una cosa non si può evitare, anche se è sgradevole. Salti gli ostacoli coraggiosamente come un buon cavallerizzo. Rossella sorrise incerta e baciò ubbidiente la guancia grinzosa che le si presentava. Era piacevole udire delle parole di approvazione, anche se il loro significato era un po' oscuro. - Molta gente troverà da ridire perché tu permetti a Súsele di sposare un «cracker», benché tutti vogliano bene a Will. Ma tu non te ne curare. - Non mi sono mai curata di quello che dice la gente. - Lo so. - Nella voce della vecchia era una sfumatura di acidità. - Dunque, lascia dire. Probabilmente sarà un matrimonio felice. Certamente, Will non muterà mai aspetto e anche se guadagnerà molto denaro non renderà mai Tara un luogo com'era ai tempi di tuo padre. Ma in fondo è un signore; per lo meno ne ha l'istinto. Solo un signore di nascita avrebbe potuto dire le cose che egli ha detto dianzi... È vero; nessuno ci può sopraffare; ma noi possiamo essere prostrati dalla nostalgia di cose che non abbiamo piú... e dal ricordo. Sí, Will farà del bene a Súsele e a Tara. - Allora mi approvate perché permetto questo matrimonio? - Dio mio, no! Come potrei approvare l'entrata di un «cracker» in una vecchia famiglia? Ma Súsele ha bisogno di un marito; e dove lo troverebbe? E tu dove troveresti un buon intendente per Tara? Questo però non vuol dire che la cosa mi piaccia piú di quanto piaccia a te. «A me piace» pensò Rossella cercando di comprendere il significato di quanto la vecchia signora stava dicendo. «E sono contenta che Will la sposi. Perché dovrebbe dispiacermi?» Era perplessa e un po' vergognosa come sempre quando le venivano attribuite emozioni e sentimenti che gli altri provavano e che lei non condivideva. La nonna si sventagliò con un ventaglio di palma e continuò: - Non approvo il matrimonio; ma sono anch'io pratica come te. So anch'io che è inutile protestare e lamentarsi. Nella mia famiglia c'è un detto: «Sorridi e sopporta». E noi abbiamo sopportato sorridendo tante di quelle cose, perché era necessario. Siamo scappati dalla Francia con gli Ugonotti, dall'Inghilterra coi Cavalieri, dalla Scozia col principe Carlo, da Haiti davanti ai negri e ora siamo stati battuti dagli yankees. E sai perché? Drizzò la testa e Rossella pensò che somigliava a un vecchio pappagallo. - Non lo so - rispose cortesemente ma profondamente annoiata. - Te lo dico io. Perché noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile. Noi non siamo come l'avena che quando è matura si irrigidisce e non si piega secondo il vento; siamo come il grano saraceno che ondeggia, e quando il vento è passato si rialza dritto e forte quasi come prima. Quando vengono le disgrazie, noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile e sopportiamo sorridendo. E quando siamo nuovamente forti, diamo un calcio alle persone dinanzi alle quali ci siamo piegati. Questo è il segreto per sopravvivere. Fece una pausa come se attendesse un commento di Rossella; ma questa non sapeva che cosa dire e tacque. La vecchia riprese: - Sí, i nostri rialzano la testa; mentre qui vi sono tante persone che ne sono incapaci. Guarda per esempio che cos'è diventata la povera Catina Calvert. Piú abietta di suo marito! Guarda la famiglia McRae. Schiacciata, smarrita, senza saper che fare se non piagnucolare sui tempi passati. Guarda... sí, quasi tutti nella Contea, eccetto il mio Alex e la mia Sally, tu, Giacomo Tarleton, le sue figlie e pochi altri. Il resto è andato a fondo perché mancava di linfa, perché non è riuscito a risollevarsi. Gente che non ha capito mai altro che denaro e schiavi; e senza questi due elementi, fra un'altra generazione saranno diventati dei «proletari bianchi». - Dimenticate i Wilkes. - No, non li dimentico. Ho avuto la cortesia di non nominarli, perché Ashley è ospite di questa casa. Ma giacché sei stata tu a fare il loro nome... guardali! C'è Lydia che, da quanto mi hanno detto, è una zitellona rinsecchita con degli atteggiamenti di vedova perché Stuart Tarleton è stato ucciso; non fa nulla per dimenticarlo e cercare un altro uomo. Certo non è giovine; ma forse, se si desse un po' di pena, potrebbe trovare un vedovo magari con figli. La povera Gioia ha sempre avuto il cervello di un passerotto. E quanto ad Ashley... guardalo un po'! - Ashley è un bravissim'uomo! - lo difese Rossella con fervore. - Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c'è Melania che vince le difficoltà; non Ashley. - Melly? Dio mio, nonna! Che dite? Io ho vissuto abbastanza con Melly per sapere che è timida e malaticcia e non ha il coraggio di fare «sciò» a una gallina! - E a che serve fare «sciò» a una gallina? Mi è sempre sembrata una vera perdita di tempo... Sarà incapace di fare «sciò» a una gallina, ma è capacissima di farlo a tutto il mondo, al governo yankee, o a chiunque minacci il suo Ashley o il suo bimbo o le sue nozioni di distinzione. Lei ha un modo di fare che non è il tuo, Rossella, né il mio. È la maniera che avrebbe usato tua madre. Sí, Melly mi ricorda la tua mamma quando era giovine... E forse riuscirà a rimettere in piedi la famiglia Wilkes. - Oh, Melly è piena di buon senso. Ma fate torto ad Ashley... - Smettila, via! Ashley era nato per leggere dei libri e nient'altro. Questo non aiuta un uomo a togliersi dagli impicci. Ho sentito dire che è il peggior aratore della Contea. Confrontalo al mio Alex! Prima della guerra, Alex era il giovinotto piú inutile del mondo; non aveva mai pensato ad altro che ad aver delle belle cravatte, a ubriacarsi, a litigare e a stuzzicare le ragazze. Guardalo adesso! Ha imparato a fare il coltivatore perché altrimenti sarebbe morto di fame, e con lui tutti noi. Adesso coltiva il miglior cotone della Contea... sicuro! È meglio del cotone di Tara! E s'intende di porci e di pollame. E vedrai che quando tutto questo tremendo periodo della ricostruzione sarà finito, il mio Alex sarà ricco come suo padre e come suo nonno. Ma Ashley... Rossella si strinse nelle spalle. - Tutto questo non mi fa né caldo né freddo. - Hai torto - disse la nonna fissandola con lo sguardo penetrante. - Questa è la via che hai seguito da quando sei andata ad Atlanta. Non credere che pure essendo seppelliti in provincia, non si sappiano le cose. Anche tu sei mutata col mutar dei tempi. Sappiamo che hai relazione con gli yankees e con tutti i nuovi ricchi per cercare di guadagnar denaro con loro. Fai pure. Ma quando avrai guadagnato tutto quello che potrai, prendili a calci perché non ti serviranno piú. Sono sicura che lo farai come va fatto, altrimenti correrai il rischio di rovinarti. Rossella la guardò cercando di comprendere queste parole. Le sembravano arabo; inoltre ella era ancora irritata per aver sentito Ashley paragonato a una tartaruga rovesciata. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.

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. - Sí; ma è capacissima di farci fare una figura pessima dinanzi al Babbo e alle ragazze stasera quando arriviamo a casa - replicò Stuart abbattuto. - Sono sicuro, Brent, che in questo modo non riusciremo ad andare in Europa. Sai che la Mamma ha detto che se ci facevamo espellere da un altro collegio non avremmo fatto il nostro viaggio. - Beh! E che ce n'importa? Che c'è da vedere in Europa? Scommetto che quegli stranieri non hanno da mostrarci nulla che noi non abbiamo già in Georgia. I loro cavalli non sono piú veloci dei nostri né le loro ragazze piú graziose; e sono sicuro che il loro wisky di segala non può stare a paragone di quello del Babbo. - Ashley Wilkes ha detto che hanno un'infinità di teatri e di musica. Ad Ashley l'Europa piace molto. Non fa che parlarne. - Oh, sai bene come sono i Wilkes. Smaniosi di libri, di teatri, di musica. Mammà dice che è perché il loro nonno veniva dalla Virginia, e i Virginiani attribuiscono un grande valore a queste cose. - Beh, facciano pure. Quanto a me, con un buon cavallo e un buon liquore e una brava ragazza da corteggiare e un'altra... non brava con la quale divertirmi, sto benone qui come in Europa! Che ce n'importa di non fare il viaggio? Figúrati, se fossimo in Europa adesso e scoppiasse la guerra? Non avremmo altro pensiero che di tornare a casa al piú presto. Preferisco infinitamente andare alla guerra che in Europa. - Anch'io, il giorno in cui... Oh, senti! Ho pensato dove possiamo andare a cena. Attraversiamo la palude e andiamo a dire ad Abele Winder che siamo tornati tutti e quattro e siamo pronti per le esercitazioni militari. - Ottima idea! - esclamò Brent con entusiasmo. - Sapremo cosí tutte le notizie dello squadrone, e che colore hanno scelto finalmente per le uniformi. - Se sono uniformi da zuavo, mi faccio impiccare piuttosto che andare a fare il soldato! Con quei calzoni larghi, rossi, mi sembrerebbe di essere una donnetta. Somigliano alle mutande da donna di flanella rossa. - Badroni avere intenzione di andare da Mist' Wynder? - chiese Jeems. - Perché se avere quest'idea, gredo che non trovare molto da mangiare. Loro guoco morto e non avere angora gombrato altro. Fare gucinare da una donna, e un negro avere detto che essere peggiore guoca di tutta regione. - Dio benedetto! E perché non lo hanno comprato? - Gosa volere che può gombrare bovero bianco straccione? Non avere mai avuto molti negri e non di buona razza. Nella voce di Jeemes era uno schietto disprezzo. Egli era sicuro della propria condizione sociale, perché i Tarleton possedevano cento negri, e - come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni - guardava dall'alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi. - Bada che ti levo la pelle! - gridò Stuart irritato. - Non ti permetto di chiamare Abele Wynder un «bianco straccione». Sarà povero, ma non straccione. E nessuno dei miei uomini, nero o bianco che sia, deve arrischiarsi a parlar male. Non vi è uomo migliore nella Contea; altrimenti perché lo squadrone lo avrebbe eletto luogotenente? - Non avere mai dubitato, badrone - riprese Jeems senza scomporsi per la sfuriata del suo padrone. - Ma io bensare che loro fare meglio scegliere ufficiali fra giovani ricchi invece che fra miserabili della palude. - Non è un miserabile! Vorresti forse paragonarlo ai bianchi veramente poveri, come gli Slattery? Soltanto, non è ricco. È un piccolo coltivatore, non un piantatore in grande; e se i ragazzi hanno avuto tanta stima di lui da eleggerlo luogotenente, nessun negro può arrischiarsi a parlarne impudentemente. Lo squadrone sa quello che fa. Lo squadrone di cavalleria era stato organizzato tre mesi prima, lo stesso giorno in cui la Georgia si era separata dall'Unione; da allora, però, le reclute non avevano piú molta speranza che si facesse la guerra. Il reparto non aveva ancora un nome, benché non mancassero i suggerimenti: ciascuno aveva un'idea in proposito e non aveva voglia di rinunciarvi; come ciascuno aveva anche un'idea intorno al colore e alla foggia delle uniformi. «I gatti selvaggi di Clayton» - «I mangiatori di fuoco» - «Zuavi» - «Fucilieri dell'Interno» (benché lo squadrone dovesse essere armato di pistole, sciabole, pugnali e non di fucili) «Gli sterminatori» - «Rapidi e violenti» - tutti avevano i loro aderenti. Ma finché non si prendeva una decisione, tutti parlavano dell'organizzazione come dello squadrone e malgrado il nome sonoro finalmente adottato, esso fu conosciuto sino alla fine come «Lo Squadrone». Gli ufficiali erano eletti dai membri, perché nessuno nella Contea aveva esperienza militare, ad eccezione di pochi veterani delle guerre col Messico e coi Seminoli; d'altronde, lo Squadrone avrebbe disprezzato un veterano come capo, se non lo avesse personalmente amato e stimato. Tutti quanti avevano simpatia per i quattro ragazzi Tarleton e per i tre Fontaine, ma purtroppo non li avevano potuti eleggere, perché i Tarleton erano troppo vivaci e amavano far delle mattane e i Fontaine avevano un carattere troppo impetuoso e attaccabrighe. Ashley Wilkes era stato eletto capitano perché era il miglior cavallerizzo della Contea e perché si faceva assegnamento sulla sua calma per mantenere un poco d'ordine; Raiford Calvert era stato fatto primo luogotenente perché tutti gli volevano bene, e Abele Wynder, figlio di un cacciatore delle paludi e piccolo coltivatore per conto suo, era stato nominato secondo luogotenente. Abele era un gigante, grave, furbo, illetterato, pieno di cuore, maggiore di età degli altri ragazzi, ma altrettanto educato, e anche di piú, in presenza delle signore. Vi era poco snobismo nello Squadrone. Troppi, fra i padri e i nonni dei componenti, erano arrivati alla loro attuale situazione cominciando con l'essere dei piccoli coltivatori. Inoltre, Abele era il piú bravo tiratore dello Squadrone, un vero puntatore che colpiva la testa di uno scoiattolo a settanta metri; ed era pratico di vita all'aperto, capace di accendere il fuoco sotto la pioggia, di scoprire sorgenti, di catturare animali. Lo Squadrone si inchinava dinanzi al merito; e siccome avevano anche simpatia per lui, lo nominarono ufficiale. Egli accettò l'onore gravemente senza eccessiva ritrosia, come se gli fosse dovuto. Ma le mogli e gli schiavi dei piantatori non potevano lasciar passare il fatto che egli non era nato gentiluomo, benché i loro signori e padroni lo trascurassero. Da principio, lo Squadrone era stato reclutato soltanto tra i figli dei piantatori: una truppa di signori, ciascuno dei quali provvedeva il proprio cavallo, l'equipaggiamento, l'uniforme e l'attendente. Ma i ricchi piantatori non erano numerosi nel giovine paese di Clayton; e per mettere assieme uno squadrone degno di tal nome si era dovuto estendere il reclutamento anche ai figli dei piccoli coltivatori, ai cacciatori della foresta, a quelli che tendevano i lacciuoli nelle paludi, e, in pochissimi casi, anche ai bianchi poveri, se erano al disopra della media della loro classe. Questi ultimi giovinotti erano ansiosi di combattere contro gli inglesi - il giorno in cui scoppiasse la guerra - non meno dei loro ricchi vicini; ma vi era la delicata questione del denaro. Ben pochi fra i piccoli coltivatori possedevano cavalli. Per i lavori della loro proprietà si servivano di muli; e anche di questi, non ne avevano d'avanzo: raramente piú di quattro. Non si poteva privarsene per mandarli in guerra, anche se lo Squadrone li avesse accettati, ciò che non avvenne. Quanto ai rifiuti bianchi della palude, questi stimavano di essere già in condizione abbastanza buona quando possedevano una mula. I cacciatori della foresta e quelli della palude non avevano né cavalli né muli. Essi vivevano esclusivamente dei prodotti della loro terra e di caccia, commerciavano generalmente col sistema degli scambi e vedevano raramente cinque dollari in un anno; quindi cavalli e uniformi erano per loro irraggiungibili. Ma erano tanto orgogliosi nella loro povertà quanto i piantatori nella loro ricchezza; e non avrebbero accettato nulla, da quelli, che potesse apparire un'elemosina. Cosí, per salvaguardare i sentimenti di tutti e per dare allo Squadrone tutta la necessaria efficienza, il padre di Rossella, John Wilkes, Buck Monroe, Giacomo Tarleton, Ugo Calvert, tutti, insomma, i grandi piantatori della Contea con l'unica eccezione di Angus MacIntosh, si erano quotati per equipaggiare completamente lo Squadrone: uomini e cavalli. L'essenza dell'affare fu che ogni piantatore convenne di pagare l'equipaggiamento dei propri figli e di un certo numero di altri; ma la cosa fu trattata in modo che i membri meno ricchi potettero accettare cavalli ed uniformi senza offesa per il loro onore. Lo Squadrone si riuniva due volte la settimana a Jonesboro per fare le esercitazioni e pregare che la guerra cominciasse. Non erano ancora state completate le disposizioni per procurare tutti i cavalli occorrenti, ma quelli che avevano già i cavalli compivano ciò che immaginavano fossero manovre di cavalleria, dietro al Tribunale, sollevando un'enorme quantità di polvere, emettendo grida rauche e agitando le sciabole della Guerra Rivoluzionaria che erano state staccate dalle pareti del salone. Quelli che non avevano ancora il cavallo sedevano sull'orlo del marciapiedi dinanzi alla bottega di Bullard, e osservavano i loro camerati, masticando tabacco e raccontando delle storie. Oppure facevano delle gare di tiro. Non occorreva insegnare a nessuno a tirare a segno. La maggior parte dei meridionali era nata col fucile in mano; e la vita del cacciatore aveva fatto di tutti loro dei tiratori scelti. Dalle case dei piantatori e dalle capanne fra le paludi venne fuori una quantità di armi da fuoco svariate. Lunghi fucili da caccia che datavano dall'epoca della prima traversata degli Alleghany, vecchi tromboni ad avancarica, pistole da cavallo che erano servite nel 1812, pistole da duello con l'impugnatura ageminata d'argento, pistole a canna corta, moschetti a doppia canna e carabine inglesi di nuovo modello, col calcio di legno prezioso. Le esercitazioni terminavano sempre nei saloni di Jonesboro e al cader della notte erano già scoppiate tante risse, che gli ufficiali avevano il loro da fare per evitare ferimenti prima che questi fossero inflitti dagli inglesi. Era stato durante uno di questi tafferugli che Stuart Tarleton aveva ferito Cade Calvert e Tony Fontaine aveva ferito Brent. I gemelli erano appena tornati a casa, espulsi dall'Università di Virginia; lo Squadrone era stato organizzato in quei giorni ed essi avevano aderito con entusiasmo; ma dopo la rissa, avvenuta due mesi prima, la madre li aveva impacchettati e spediti all'Università statale, con l'ordine di non muoversi. Durante la loro assenza, essi avevano penosamente sentito la mancanza dell'eccitazione data dagli esercizi militari; ritenevano che la loro educazione fosse incompleta se non potevano cavalcare, gridare e sparar fucilate in compagnia dei loro amici. - Bene, allora andiamo da Abele - concluse Brent. - Attraversando il fiume degli O'Hara e il prato dei Fontaine, arriviamo in un momento. - Non drovare nulla di mangiare; solo garne di sariga e un po' di legumi - obbiettò, Jeems. - Tu non avrai un bel niente - sghignazzò Stuart. - Andrai a casa ad avvertire la Mamma che non torniamo a cena. - Oh no, no! - esclamò Jeems spaventato. - No, no! non piacere assaggiare scudiscio di miss Beatrice piú forte che con badroni! Brima di tutto lei arrabiarsi con me perché badroni nuovamente espulsi. E poi, perché io non avervi fatti tornare a casa stasera e lei potervi dare grossa lezione. E poi diventare furia come se tutto questo essere colpa mia e frustarmi forte. Se non volete portarmi da mist' Wynder, io restare nei boschi tutta la notte e forse guardie pattuglie prendere povero Jeems, ma io preferire guardie piuttosto che miss Beatrice quando essere infuriata. I gemelli guardarono con perplessità e indignazione il risoluto ragazzo negro. - Sarebbe capace davvero di farsi prendere dalle guardie, e questo darebbe argomento ai discorsi di Mammà per qualche settimana. Giuro che i negri sono un bel fastidio. A volte penso che gli abolizionisti abbiano ragione. - In fondo, non è giusto fare affrontare a Jeems quello che non vogliamo affrontare noi. Lo porteremo con noi. Ma guarda, negraccio impudente, che se ti sogni di darti delle arie coi negri di Wynder e di raccontar loro che da noi si mangia pollo e prosciutto mentre loro non hanno che coniglio e sariga, ti... lo dirò alla Mamma. E non ti faremo neanche venire alla guerra con noi. - Arie? Io darmi arie con quei miserabili? No, badrone; io avere educazione! E miss Beatrice avermi insegnato modo di gomportarmi come avere insegnato a tutti voi. - Non ha avuto un gran risultato con nessuno dei tre - rise Stuart. - Via, andiamo. Diede la voce al suo cavallo rossiccio e spronandolo leggermente gli fece saltare con facilità lo steccato divisorio della proprietà di Geraldo O'Hara, e si trovò nel soffice campo. Il cavallo di Brent lo seguí e dopo di lui quello di Jeems, col negro afferrato alla criniera e al pomo della sella. A Jeems non piaceva saltare gli ostacoli; ma ne aveva saltato anche dei piú alti per seguire i suoi padroni. Mentre si avviavano attraverso i solchi purpurei e scendevano la collina verso il fiume nel crepuscolo che diventava sempre piú cupo, Brent gridò a suo fratello: - Senti un po', Stu! Non ti pare che Rossella avrebbe dovuto invitarci a cena? - Infatti credevo che lo facesse - gridò a sua volta Stuart. - Ma perché...

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Casa di bambola

236004
Ibsen, Eric 1 occorrenze
  • 1894
  • Maz Kantorowicz
  • Milano
  • teatro - commedia
  • UNICT
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E dimmi, il dottor Rank è sempre così abbattuto come ieri?

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Passa l'amore. Novelle

241670
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Di là del giardinetto, il grano sul punto di spigare si era allettato, abbattuto dall'impeto della pioggia, e gli ulivi gocciolavano ancora a ogni scossa del vento levatosi tutt'a un tratto, appena era cessato di piovere. Veramente quella pioggia non si poteva dire opportuna. -Ma il Signore sa bene quel che fa. E se l'ha mandata per nostro castigo, - rifletteva don Pietro, -vuol dire che ce lo meritiamo. Sia fatta la sua santa volontà! Per la campagna attorno non si vedeva anima viva. Egli spiava da un capo all'altro la viottola che serpeggiava laggiù nella pianura e poi saliva a zig-zag su per la collina dov'era situata la villetta. Da Ràbbato avrebbe dovuto arrivare da qualche ora il garzone con la mula e le provviste. Don Pietro era venuto in campagna per una sola giornata; e certi guasti nella conduttura dell'acqua che alimentava la vasca lo avevano inattesamente trattenuto colà quattro giorni. Intanto non si scorgeva nessuno lungo la viottola che luccicava agli ultimi raggi del sole come un gran nastro di argento tra il verde dei seminati. Forse era accaduto qualche guasto nel Passo del Fico pel gran diluvio della giornata. Don Pietro ne era impensierito. Con quell'ammasso di neri nuvoloni che fasciavano l'orizzonte, ora che il sole era sparito, le ombre della sera già si addensavano attorno, quando egli scorse un punto nero proprio là dove la viottola cominciava a salire a zig-zag su per la collina. Quel punto nero, sbucato dal gruppo di ulivi che nascondeva la casa rustica del piccolo fondo dello Storto, come lo chiamavano -ed era storto di nome e di fatto, soleva dire la gente -si avanzava affrettatamente per la salita, spariva, riappariva dietro gli alberi e le siepi di roveti che la fiancheggiavano; evidentemente, persona che veniva da lui. L'occhio acuto, addestrato a veder bene anche da lontano, gli fece distinguere finalmente che si trattava di una donna, la moglie o la figlia dello Storto; probabilmente per chiedere in prestito qualche pagnotta, com'era accaduto altre volte. Capitava bene! E quando potè accertarsi che appunto la figlia dello Storto saliva l'ultima rampa della viottola, don Pietro, ritiratosi dalla finestra, si affacciò al ballatoio della scala, per dirle subito che non che una pagnotta, egli non avrebbe potuto darle neppure una fetta di pane. Il garzone con le provviste non era ancora arrivato dal paese. La giovane si era fermata sotto il carrubo, quasi esitasse di farsi avanti. Don Pietro le diè la voce; -Ehi! Comaretta! Che cosa volete? E vedendo che non si moveva e che si soffiava il naso e si asciugava gli occhi col grembiule, egli si affrettò a scendere la scala e ad andare incontro alla piangente. -Che cosa è stato, Comaretta?... Qualche disgrazia?... Vostro padre?... Vostra madre?... -Ah, voscenza!... Ah, signor don Pietro!... - si mise a singhiozzare più forte la ragazza. -Parlate... Spiegatevi! Coraggio! Venite su. Qui sotto vi piove addosso a ogni scossa di vento. Venite. Présala per una falda della mantellina di panno scuro che le copriva la testa e le spalle, e poi per un braccio, la condusse su, la fece sedere; e, acceso il lume, chiuse la finestra e la porta, e le si sedette di faccia. -Voscenza è come un padre.... -Sì, non dubitate, come un padre, anche come un nonno, per l'età, - la interruppe sorridendo. -Mi ricoveri, questa notte.... nella stalla, non me n'importa. Mio padre mi ha cacciata via come una cagna! -Perchè? -Perchè.... -Dite pure, figliuola mia! -Perchè vuole che io vada a servizio.... -Che male c'è? Andare a servizio non è vergogna. Bisogna guadagnarsi il pane, lavorando, come si può. -Ah! Voscenza non sa.... È stata la mia matrigna!... Glielo ha suggerito essa, essa che mi odia più del fumo agli occhi. Che le ho fatto?... L'ho rispettata sempre da madre, non da matrigna.... A servire, sì andrò, ma non da chi vogliono loro. -Da chi? -Dal cavaliere Ferro. -Ah! -fece don Pietro. -E mi hanno bastonato. Guardi. Ho le carni piene di lividure. Mia matrigna mi teneva afferrata pei capelli e mio padre con un legno, giù, peggio che a una bestia.... Guardi! E tirava in su le maniche della camicia per mostrare le lividure delle povere braccia flagellate. -Ma io: No! No! Mi sarei fatta ammazzare!... No! No! -Forse avete ragione. La casa del cavaliere veramente non è posto per voi. Non per dir male di quel signore, Dio me ne guardi, ma per la verità. Ha pochi scrupoli; se ne dicono tante! Vostro padre avrebbe dovuto capirlo. -Si fa menar pel naso da quella donnaccia. -Non la chiamate così. E quasi madre vostra ora. -Voscenza mi perdoni. Parlo per rabbia di cuore. -E che intendete di fare intanto? -Non lo so. Ma a casa mia non torno più, mai più! Ho segnato con la mano dritta un gran crocione sulla porta.... Mai più finchè ci sarà quella! Mio padre mi ha preso per le spalle e mi ha buttato fuori, sbattendomi l'uscio dietro; "Vattene! Vattene! E il tuo demonio non ti tenti di ritornarmi dinanzi!„ Oh, non dubitino! Sono risoluta a tutto! E se il mio tristo destino vorrà.... -Il destino ce lo facciamo noi, con le nostre stesse mani, figliuola mia! -Fosse campata mia madre! È morta di dolore, dai maltrattamenti. E piangeva per me negli ultimi mesi: "Figlia disgraziata! Figlia disgraziata!„ -È inutile ora che torniate a piangere voi. Lasciate che parli io con vostro padre. Lo chiamano Storto, va bene; ma non sarà poi tanto storto, via! Un padre è sempre padre. La ragazza scoteva il capo, continuando a piangere silenziosa. -Ecco il garzone! Meno male! -esclamò don Pietro, sentendo il rumore dei passi della mula. Il garzone, entrando con le bisacce piene di provvisioni a una spalla, si fermò stupito di vedere colà, la figlia dello Storto. -Oh! La gnà Trisuzza! Teresina. E, rivolto al padrone, soggiunse ridendo: -Voscenza, se non venivo, ah! ah!... non avrebbe avuto paura dei tuoni questa notte.... Sente? Tra poco avremo di nuovo la pioggia.... Il Passo del Fico, Madonna santissima! bisogna confessarsi prima di attraversarlo. Se non pensano a farvi il ponte, un giorno o l'altro accadrà qualche disgrazia. Intanto, parlando, vuotava le bisacce. Pane, carne, formaggio, pasta, un barilotto col vino; don Pietro posava alla rinfusa sul rustico tavolino di abete gli oggetti che il garzone gli porgeva. -La gnà Trisuzza l'accompagno io fino a casa, prima che la pioggia riprenda, - egli concluse, strizzando maliziosamente un occhio. Vedendo però le lagrime che le inondavano improvvisamente la faccia appena ella scoppiava in singhiozzi, il garzone piegò le bisacce, e, mortificato, le disse quasi sotto voce: -Scusate!

E l'uscio della camera numero nove aperto, e la camera piena di gente di questura, di carabinieri, e tra essi, seduto in angolo, abbattuto un po', il professore. Di faccia, spettinata, in un abbigliamento molto mattinale, con uno scialletto grigio su le spalle, la vedova Garacci e dietro a lei, col viso tra le mani, piangente, la signorina. Quando mi affacciai a l'uscio, dietro le spalle dei due carabinieri, il funzionario di pubblica sicurezza, terminava di scrivere, e presentava il foglio al professore perché ne prendesse visione e lo firmasse. Il professore firmò senza leggere. E allora il funzionario, si alzò da sedere, piegò in quattro il foglio e se lo mise in tasca, dicendo: - Sono contento che tutto sia accomodato senza chiasso e senza scandalo. Quando si ha da fare con persone per bene! Si accostò alla signorina, la prese per una mano, fe' cenno alla madre di precederli, e, dietro a loro, andarono via tutti. - Che cosa le è accaduto, professore! Oh, Dio! Mi guardò, scrollò il capo, con un triste sorriso su le labbra. - Niente, caro mio! Non c'è altro di mutato nel mondo all'infuori di questo: la vedova Garacci si è costituita.... mia suocera! - Suocera? - Che volete? Le ho sedotto la figlia.... minorenne; ho abusato dell'ospitalità.... ho perpetrato non so che altro, da fare accorrere la questura, i carabinieri, tanta gente quanta non ne ho mai vista in camera mia.... Quando si ha da fare con persone per bene - ha detto così il delegato o questore che sia - lo avete udito. E appunto, perchè sono disgraziatamente persona per bene, ho dovuto affermare che la signorina era stata indotta a venire in camera mia in ore indebite, dove è stata sorpresa dalla madre; dove siamo stati sorpresi, caro mio, dalla questura fatta accorrere in gran fretta. Sono stato capace di tutto questo; mi son lasciato cogliere in flagrante.... Voi non l'avreste mai supposto, mai sospettato, caro mio!... E così, e così, eccomi futuro genero della vedova Garacci!... Imparento bene a quel che paro, con un alto funzionario di non so che ramo amministrativo, con un colonnello di linea, che, a quel che pare, hanno avuto la stessa mia debolezza, anni fa, uno appresso all'altro con due altre figlie della vedova.... - Ma lei è caduto in un tranello! Bisogna protestare.... Lei.... - Che! Che! Non voglio impicci, non voglio noie. Ormai! Nella filosofia, nel sistema, entra anche la fatalità, diciamo meglio l'accidente, il caso.... Non possiamo eliminarlo. E questa volta il caso è una signorina non brutta, nè gobba, nè sciocca, per fortuna. Disgraziata! Poteva sceglier meglio e lasciarmi in pace. Ma ha, preso a volermi bene perchè, ella afferma, sono tanto buono, tanto buono! Una signorina neppure ventenne che vuol bene a un vecchio! Si dà anche questo, specialmente oggi. Oh! Mi par di fare un gran tradimento alla filosofia; ma essa è indulgente perchè comprende tutto. - Sicchè lei soffrirà in pace questa specie di ricatto! - Ormai! Ormai! Non aggiunse altro; e accese la pipa.

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Cosima

243831
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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A Cosima pareva una di quelle figure romantiche che le piacevano nelle vignette di qualche antica edizione di Chateaubriand, possedute da Santus; cosí, un giovine sventurato, preso da una segreta passione, che si smarrisce nella solitudine di un tramonto campestre e appoggiato al riparo di un precipizio, o seduto sul tronco abbattuto di una quercia, fra tralci d'edera e rupi coperte dal fiore del muschio, medita sulla sua triste sorte. Triste, certo, era la sorte del giovine Fortunio, e il cuore di Cosima non poteva non accoglierne l'eco, fra le voci poetiche che le raccontavano l'eterna poesia del dolore umano: e cosí, quando la comitiva prese la via del ritorno, lasciando lo sventurato poeta solo appoggiato alla roccia della sorgente, intento a sentirne anche lui il mormorio melanconico, fra le ombre già dorate del crepuscolo, ella si sbandava, a capo chino, mentre le compagne si rincorrevano nello stradone e cantavano e ridevano come figlie di contadini, al ritorno dal lavoro dei campi. Sorge la luna, fra i denti del monte, sopra i macigni che dànno l'illusione delle rovine di un castello: il suo chiarore lilla si fonde con quello arancione dell'orizzonte; l'odore della vegetazione inumidisce l'aria tiepida; canti lontani rispondono a quelli delle fanciulle che accompagnano e trasportano sull'ala del loro coro la tristezza indistinta di Cosima. Che cosa vuole, Cosima? Non lo sa bene neppure lei: vorrebbe fermarsi, non tornare nella sua casa soffocante, appoggiarsi anche lei al parapetto dello stradone, sopra la valle piena di mistero, seguire il corso della luna sul cielo sempre piú chiaro e luminoso. Le compagne non badavano a lei: le sorelle, stordite dall'allegria delle amiche, si lasciavano trascinare avanti, e lei rimaneva sola, sperduta, come dimenticata nella strada e nel mondo. Sopraggiungeva qualche carro di contadini, trainato dai buoi sonnolenti, qualche uomo a cavallo, qualche tarda donnicciuola che ritornava dall'aver lavato i panni al torrente: le ombre si allungavano di traverso sulla strada bianca, le voci e i passi risonavano dolci nell'aria molle e profumata. Ed ecco un passo diverso dagli altri, con qualche cosa di ambiguo, come il passo di un essere fantastico, uno gnomo, un gigante che tenta di non far rumore, o un Belfagor fatale, o un arcangelo che con un batter d'ali può trasportarti fra le torri d'argento e gli spalti lunari della montagna. È Fortunio: sarebbe stato piú in carattere con la chitarra a tracolla, come un trovatore sceso appunto dai boschi d'elci che circondavano gli illusorii castelli dell'orizzonte: ad ogni buon fine aveva ancora un libro in mano; un libro che biancheggiava alla luna, con le parole magiche che aprono la porta dei sogni. Versi; versi d'amore. Raggiunse Cosima e le si mise a fianco, silenzioso. Ella non si stupí: tutto doveva procedere cosí; e quando egli le cinse lievemente le spalle col braccio che tremava ella non protestò, non cercò di liberarsi. Tutto doveva procedere cosí: era una cosa ordita dalle sorelle maliziose di Fortunio, ma pareva anche un incantesimo prodotto dall'ora, dal luogo, dalla sorte che protegge gl'innamorati. Anche l'ombra folta che si stendeva al margine dello stradone, in una svolta ove le rocce scendevano fino al paracarri, parve una tenda di velluto, che avvolse i due giovani poeti e permise ai loro freschi volti di formarne uno solo il volto dell'amore. Tutto sembrava proteggerli: il modo facile di scambiarsi le lettere, la strada in comune, la vicinanza dei loro orti. E dell'orto di Cosima, di notte, quando si sapeva che la madre e le sorelle riposavano, la prima avvolta anche nel sonno dal suo velo di sofferenza e di preghiere, le seconde nei loro sogni ancora bianchi di innocenza, Fortunio riusciva, nonostante la sua infermità, a scavalcare il muricciuolo, e ritrovare, sinceramente ansante e appassionato, all'ombra di un angolo protettore, la sua piccola amica che sembrava, cosí sbalordita e silenziosa, il fantasma di se stessa. Ella si lasciava baciare da lui, ne sentiva il calore della persona, i fremiti e gli ansiti di eroe incatenato, la violenza impotente con la quale egli avrebbe voluto portarsela via: ma una fredda, quasi malvagia potenza di analisi la sosteneva in quella specie di lotta dei sensi contro se stessa e contro l'altro; e ne usciva stanca, disgustata, amara di umiliazione e di rimorso. Anche di rimorso: poiché credeva, fra le altre cose, di commettere peccato: ella non avrebbe mai sposato Fortunio. Finché la vicenda non trapelò, destando una nuova ondata di scandalo fra la gente per bene del luogo. Eh! si capiva; Cosima sola era capace di quelle avventure, con uno storpio, un bastardo, un rinnegato dalla sorte. E un giorno Andrea disse, in pubblica piazza, che avrebbe fracassato col bastone l'altra gamba del «suonatore di chitarra»; e a Cosima somministrò una dose di schiaffi e pugni che oltre le membra le pestarono l'anima come il sale nel mortaio.

Pagina 105

Una peccatrice

249849
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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«Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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