Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 3 occorrenze

Fu solamente verso le quattro del mattino che il povero afflitto poté addormentarsi, abbattuto dalla sua stessa fatica. Sognò cose meno torbide, cose lontane, in cui entravano le camicie rosse dei garibaldini, il lago di Garda, le montagne del Tirolo e certi viottoli angusti e sdrucciolevoli, per cui passava una compagnia di soldati sotto un'acquerugiola fina, fredda, noiosa; finché gli parve di arrivare a un certo podere, dove bisognò piantare le tende. Fu allora che intese per la prima volta chiamare: Giacomo, Giacomo! Gli pareva di stringersi nella meschina coperta, di rannicchiarsi sotto la tenda umidiccia, cercava di riprendere sonno, quando di nuovo sentí la voce che lo chiamava. Stava per rispondere: presente: e in quella alzò la testa dal cuscino. Riconobbe che aveva dormito e sognato. Cominciava appena ad albeggiare. - Giacomo! - risonò di nuovo la voce, dalla parte della corte. "Chi mi chiama?" domandò mentalmente, senza alzare la testa. - Oh il mio Giacomo, sono io . - Sei tu? Dio, Dio, è lei - disse a voce alta mettendosi a sedere sul letto, come se si sentisse afferrato da una forza non umana. - Giacomo, senti, sono la tua Celestina - chiamava la voce dolente con una intonazione di tenerezza. - Non sogno, Dio! è lei. - Prese i vestiti dalla sedia, se li indossò in fretta, mentre andava ripetendo macchinalmente: - Dio, è lei. Sei tu? - gridò aprendo la finestra e sporgendo il capo a cercar nella corte. Il giorno era appena chiaro, di quella prima luce che lotta ancora colla pigrizia della notte: ma il riflesso vivo della neve aiutava a far vedere le facciate delle case e i contorni degli oggetti. Giacomo cercò lungo il muro e vide la figura di una donna, ritta in piedi, colla mano sul paletto dell'uscio. - Sei tu? o Madonna, aspetta che vengo . Calzò le scarpe, avvolse la gola scoperta in una sciarpa di lana, uscí sulla loggetta, scese nel buio passaggio della scala, attraversò a tentoni la cucina fredda come una ghiacciaia, fece saltare l'arpione dell'uscio, andò fuori . - O Giacomo, non mi cacci via? - La voce di Celestina aveva in sé qualche cosa di ridente. Giacomo aprí le braccia, strinse quel povero corpo indurito dal freddo, fracido di pioggia, le impedí di gridare mettendole una mano sulla bocca: - Taci, dormono: entra. Sei proprio tu? - Sí, sono io, proprio io: tu non mi cacci via . - Da dove vieni? sei venuta sola? - Sono scappata. Lasciami morir qui, Giacomo. Egli la fece entrare e nell'oscurità dell'uscio, che richiusero dietro di sé, i due promessi sposi si baciarono, si carezzarono, piansero, mescolarono le loro lagrime, si strinsero cuore su cuore, per finir di soffrire tutto quel male, che non aveva piú parole, che non comprendevano piú, che li travolgeva come un grosso fiume, verso una profondità, in cui non senza un'idea di contentezza sentivano che c'era la fine di tutto. - Tu sei malata, tu hai la febbre - disse Giacomo, quando sentí il povero corpo guizzare nelle braccia in un tremito violento e convulso. - No, sto bene, Giacomo - rispose, sempre colla sua voce ridente la poverina. - Vieni, che accendo il fuoco. Sei scappata? sola, di notte? che cos'hai fatto? Sei venuta da Buttinigo fin qui a piedi? - Giacomo, che tremava anche lui di freddo e di emozione, dopo aver cercato gli zolfanelli sulla pietra del camino, accese un moccoletto, tolse dal cassone un gran fascio di sottili stramaglie, l'ammucchiò sul focolare, vi appiccò il fuoco, e, quando la fiamma cominciò a farsi strada e a crepitare, trasse la Celestina a sedere sulla cassapanca, le tolse dalle spalle lo scialle impregnato d'acqua, le asciugò col fazzoletto la testa grondante e, vedendola rianimarsi al calore della fiamma, si domandò se per caso non fosse ancora uno strano sogno. Chi sa misurare la grossezza del filo che intercede tra la verità e il sogno? e chi non ha visto, sognando, la segreta anima delle cose? - A Imbersago ho dovuto aspettare quasi una mezz'ora che la chiatta del porto venisse a portarmi di qua: pioveva e non mi sono accorta. Ma ora sto bene: questa fiammata è il paradiso. - Hai camminato tutta la notte nella neve? - Sempre. Era cosí bello. Fu nel discendere verso il porto per un sentiero gelato e liscio come un vetro che son due volte sdrucciolata ma non è nulla. Ora sto bene qui accanto a te. Giacomo dallo squallido disordine delle vesti, che portavano i larghi segni dello strapazzo e del fango, e piú ancora dell'animazione eccessiva, quasi nervosa, che spingeva la poveretta a ridere e a celiare sulla sua avventura, fu tratto a pensare che lo strano viaggio non fosse andato senza pericoli e senza spaventi. Le scarpe, le calze erano una pietà. Il fango impiastricciava le balzane, i gomiti, il volto fin sopra i capelli. C'era sulla fronte qualche riga di sangue. Al bagliore dei fuoco gli occhi di lei risplendevano d'una luce fissa e cristallina, che pareva mirar lontano. Le braccia avevan bisogno di stirarsi: il corpo pareva desiderare d'annidarsi in quella gran fiamma, che riempiva il camino. Pure, con tutto questo, essa era contenta d'essere arrivata, e parlava sempre con voce elevata, ridente, piena d'infantile contentezza. Giacomo cercò nell'armadio la bottiglia della vecchia acquavite, che il povero pà soleva versare nel caffè. - Bevi, questa ti farà bene: ti scalderà lo stomaco. Essa prese il bicchierino colla mano traballante e tracannò il liquore con avidità, come se fosse latte. Le sue gote si rianimarono subito d'un calore interno. - Grazie della carità. Come sei buono, Giacomo! - Togliti le scarpe: fai pietà - pregò con voce sommessa. - Hai ragione: ho i piedi rotti. Fu un grande andare. - E con docile obbedienza lasciò che colla lama del temperino egli tagliasse le stringhe e aiutasse a levar le povere scarpe, che non erano più scarpette da ballo. Le tolse anche le calze, che parevan state in molle e volle che asciugasse i piedi nudi alla fiamma. Celestina lasciò fare con una infantile accondiscendenza, provando nella gioia fisica di quel calore, che la ristorava, qualche cosa di lieto e di splendido, che correva ad accendere tutti gli spiriti della vita. Cominciò a raccontare con tono eccitato e molto sconnesso le avventure della sua fuga: come avesse ingannato le due signore, perché lei in un ospizio non ci voleva andare: si era accorta che volevan seppellirla viva: disse anche come da qualche tempo le mettevano nel pane, che aveva un sapore amarognolo, una piccola goccia di veleno per farla morire a poco a poco. Allora pensò di fuggire: uscí di casa dietro il carretto del Pasqua e s'era incamminata per quella benedetta strada lunga lunga lunga, tutta coperta di neve. Una volta incontrò il Manetta, che le disse: È arrivato il Garibaldi. Allora s'era consolata tutta: ma alcune donne, che andavano al mercato di Merate, la volevano condurre con loro per raccomandarla alla Madonna del Bosco, dove c'è un lupo che mangia i bambini. Ma essa capí che volevano farla perdere, perché eran streghe travestite. - Il portolano d'Imbersago, quando mi vide comparire cosí,come se fossi stata pescata allora dall'Adda, non voleva a tutti i costi trasportarmi dall'altra parte. C'era una nebbia, ve'. Provò a chiamare un ometto colla barbetta rossa, che voleva sapere chi aveva colta la castagna, chi l'aveva sbucciata e mangiata. Io dissi a quei due burloni che avevano buon tempo e feci vedere un cinque franchi. Allora si persuasero a portarmi di qua. L'acqua era verde come una biscia. Poi non ebbi piú paura di nessuno, perché sapevo che di qua c'eri tu, Giacomo; ma devo aver perduto il borsellino colle sessanta lire della contessa. Credi che abbian potuto rubarmelo quei vecchi? l'ometto dalla barbetta rossa, se non era il diavolo colle scarpe, era uno de' suoi figliuoli piú vecchi. - La febbricitante, mentre raccontava cosí, a spizzico, sconnessamente, non cessò dal togliersi le forcine dai capelli, che sciolse interamente e spremette colle mani, fissando con un sorriso di tenerezza il suo Giacomo. A un tratto, come se venisse meno ogni motivo di gioia, si rannuvolò, strinse nella mano convulsa una treccia e rimase immobile, cogli occhi fissi sulla brage, simile all'immagine simbolica dell'afflizione. - L'Adda era verde come una biscia, - ripigliò colla voce di chi parla in delirio - ma quando fui al di qua del fiume, non ebbi piú paura di nulla. Di qua ci sei tu, Giacomo; tu sei il mio Gesú. - E sporgendo un piede nudo verso la fiamma, soggiunse con dolorosa ironia: - L'ometto dalla barbetta rossa voleva che lo sposassi; ma io gli dissi: "Levatevi la scarpa: fate vedere il piede. Certo era il diavolo". Detto questo, appoggiò la testa stanca al palmo della mano, chiuse gli occhi, abbandonò il corpo e, se Giacomo non era pronto a riceverla fra le braccia, stramazzava nelle fiamme, rotta dal sonno e dallo strapazzo. Egli lasciò che posasse la testa dolente sulla sua spalla, la sorresse col braccio, circondandola, le ricoprí colla sciarpa i piedi, e se la tenne addormentata un pezzo, rannicchiandosi nell'angolo del vecchio camino, mentre la fiamma si spegneva a poco a poco nella cenere e cresceva la luce bianca del dí a schiarire le cose. Il gallo cantò. Poco dopo, cominciarono le campane a sonare l'avemaria, rompendo l'aria muta e ghiacciata con una specie di domestica cantilena. Era proprio Celestina, che dormiva sulla sua spalla colle labbra aperte a un inerte sorriso, sotto i colpi di piccoli fremiti. Era lei, era la sua povera Celestina, che gli parlava coi gemiti del suo dolore assopito. E nel carezzarne i capelli, sentiva uno strano bisogno di ripeterle cose dolci e soavi; come se tra lor due non fosse mai discesa alcuna fatalità. Nella luce ardente di questo istante presente impallidivano i ricordi del passato. Alla realtà l'animo commosso non sapeva opporre che una morta resistenza. La ragione non parlava piú, finalmente, in lui, ma dall'anima sua buona e commossa traboccava la santa pietà, la santa forza operosa che libera e redime. Che cosa diventano i piccoli argomenti della piccola logica davanti all'onda di quel sentimento di amore e di carità? - Tu sei il mio Gesú - essa aveva detto nell'invocare la sua misericordia; e forse parlava veramente al suo cuore una carità piú grande del mondo, quella che Gesú recò sulla croce e che vinse contro le leggi del mondo. - O povera "Frulin" - le andava ripetendo, parlandole sommessamente nei capelli: - Che cosa hanno fatto di te? perché ti hanno ridotta cosí? che male abbiamo fatto noi due per essere cosí puniti? L'ascoltava essa? pareva che uno spirito vegliasse nell'oscurità profonda di quel sonno letale, che impiombava le sue palpebre e snervava tutte le sue forze, perché alle parole carezzevoli rispondeva talvolta un breve corrugare delle ciglia, un movimento languido delle labbra, che cercavano ancora un sorriso. Di mano in mano che la luce si diffondeva nella stanza e i pensieri della realtà entravano a dominare la sua commozione, Giacomo, nel contemplare quel povero corpo rattrappito nelle sue braccia, quei piedi nudi illividiti, le vesti sciupate, i capelli cascanti sul viso arso dalla febbre, non seppe più trattenere il pianto. Credeva che fosse inaridita per sempre la fonte delle lagrime, e invece se le sentiva colare tiepide e larghe nei solchi del viso, le vedeva scorrere come un vero lavacro dagli occhi suoi sul viso e sulle mani della disgraziata . - Povera Celestina, povera "Frulin"! se ti vedesse lo zio Mauro, che ti voleva tanto bene. Perché dovevo provare questo dolore? no, no, non avrei mai creduto che si andasse cosí lontano nella via del patimento. Se non si muore di questi mali, è segno che veramente c'e in noi qualche cosa che non può morire. Cosí parlava o credeva di parlare a lei, ma in fondo non faceva che ascoltare sé stesso. E intanto non osava muoversi per paura di rompere quel breve momento di riposo e di benedetta dimenticanza, che la ristorava. Pensava che, perché la poverina avesse avuta l'audacia di fuggir da una casa ospitale di notte, e di mettersi tutta sola per una strada piena di neve, affrontando i pericoli e gli sgomenti di un viaggio cosí pauroso, questo voleva dire che la febbre dei suoi mali l'aveva eccitata fino al delirio. Ne' suoi discorsi, nel suo stesso ridere festoso c'era già qualche cosa di troppo, di oscuro, di irregolare; e questa febbre cresceva spaventosamente ad abbracciarla, la faceva gemere nel sonno, emanava in una vampa rovente, in cui cominciava ad ardere egli stesso, come di un fuoco che si propaga . Finalmente sentí muovere nella stanza di sopra gli zoccoletti della Lisa, che poco dopo sonarono sulla loggetta. Aspettò ch'ella venisse dabbasso e, quando la vide entrare in cucina, le fece un richiamo colla mano.

Poi lentamente, come se parlasse a sé stesso, soggiunse: - Tutte le volte che vedo mio padre sudar sotto il sole, intento a caricare e scaricare mattoni, che lo sento litigare cogli operai e coi capimastri, quando torna dai mercati rauco, spossato, abbattuto, mentre io sto qui di sopra a conciliare i nominalisti coi realisti o a sostenere il concetto dell'anima universale, provo una tale mortificazione di questo sapere che non sa far nulla . - Scusa, Giacomo, - interruppi con grave intonazione - tu lavori a sminuzzare la grammatica ai ragazzi, e ad elevare un edificio morale . - Ben, bene, lasciamola li. - soggiunse con un sorriso tra il lieto e il melanconico. - Intanto anche per quest'anno: cara Celestina addio. Quantunque si sforzasse di cantarellare sul suo patimento, una tenera commozione tremolò nella sua voce. Povero Giacomo! a questo suo amore aveva consacrato la parte migliore della giovinezza, quando la donna è per la maggior parte dei giovinotti allegri o una lieta scapestreria o una bambola divertente. Nel suo ascetismo filosofico aveva accesa una lampada davanti a una cara immagine, e in questa luce mite che emanava dal suo cuore, insieme alla sua virtú aveva potuto trattenerlo un santo rispetto per la celeste creatura, che l'amore monello piglia col vischio. Il tempo che egli aveva occupato in aspettare non era stato perduto per lui e nemmeno per la bella Celestina, se è vero che anche la donna migliori nel pensiero dell'uomo che l'adora. Ma perché l'aspettare sia bello, è necessario che non sia infinito. Se Giacomo, dunque, si doleva del suo destino non sapevo dargli torto. - Non conosco questa tua Celestina, - gli dissi compassionandolo - ma procuro di vederla co' tuoi occhi. - Per il momento non potrebbe essere collocata piú bene. Conosco casa Magnenzio fin da ragazzo, e quel che sono lo devo alla protezione di questi bravi signori. Fu per un legato di questa buona famiglia, che ho potuto avviarmi agli studi nel Seminario di Cremona e bussare alla porta della sacra teologia. Speravano di cavare da me un buon prete, e quando, per non ingannare la loro buona fede, ho dovuto confessare che non ne sentivo la vocazione, non mi tolsero per questo la loro benevolenza. La contessa Cristina è una donna d'animo e di coltura superiore, che sa unire a una grande delicatezza un sentimento elevato del dovere. In casa sua Celestina non può che migliorare. - E c'è anche una contessina? - Donna Enrichetta è una bambina alta, bionda, semplice come una figura di frate Angelico. A proposito di lei, mi fai ricordare che le ho promesso un sonetto per i suoi quindici anni. Tu le vedrai stamattina alla messa, perché per tua norma al Ronchetto e alle Fornaci si è tutti buoni cristiani. - Celestina vale una messa, dirò come Enrico quarto.

I tempi son grossi di arie cattive e una cattiva filosofia è sempre la staffetta d'una cattiva repubblica, L'abbiam visto in Francia ai tempi della Rivoluzione, quando sul posto d'ogni altare abbattuto il buon popolo innalzò una ghigliottina. Che ne pensa la mia dilettissima consorte, che oggi mi par piú malinconica del solito, quantunque ciò non guasti la sua casta bellezza? La contessa si scosse da' suoi pensieri e si sforzò di sorridere; poi, volendo mostrare che prendeva parte ai discorsi dei convitati, chiese al maestro della banda qualche notizia su un certo contrasto nato tra la fabbriceria e il Consiglio comunale a proposito d'un funerale. - La signora contessa sa che la nostra banda non ha opinioni politiche - disse il maestro, un ex- tromba dell'esercito, a cui faceva bene il vino di Piemonte. - La musica è un'arte, e l'arte dev'essere superiore alle opinioni. Si trattava d'un reduce garibaldino, e io domando se si poteva rifiutare di sonar l'inno di Garibaldi. - L'inno di Garibaldi in luogo sacro, - entrò a dire il conte simulando un santissimo orrore per un cosí grosso sacrilegio. - Che ne dice, don Iginio? - Ecco - provò a dire il pretino, facendosi rosso per lo sforzo - poiché Sua Eminenza il nostro vescovo ha proibito ai parroci . - Che cosa ha proibito? - gridò il maestro, che in questa benedetta questione degli inni patriottici s'era piú volte asciugata la gola. - Con qual diritto può proibire un vescovo la manifestazione d'un sentimento patriottico? - Fin che durerà questo dissidio - s'arrischiò d'aggiungere il pretino, sostenuto dalla coscienza del suo dovere. - Ma mi faccia il piacere, don Iginio! - strepitò il maestro, con gusto infinito del conte che si divertiva ad aizzarli l'un contro l'altro parendogli di assistere all'epilogo dell'antica lotta delle Investiture. - Se lei avesse visto il fuoco come l'abbiam visto noi a San Martino, a Palestro, a Custoza, saprebbe che certi sentimenti non si smorzano nemmeno con l'acqua santa . - Questa è buona, Giovannino!. - approvò il conte, picchiando sulla tavola il calice del suo vin bianco dolce; e, strizzando gli occhietti verso Giacomo, stava per citare un verso di Orazio quando, sul caldo frastuono della discussione dei piatti e delle posate, risonò un grido acuto e spaventato, che parve un grido di donna, a cui tenne dietro un forte sbattere di usci e un correre confuso di gente. - Che cosa c'è? misericordia! correte a vedere. Chi si è fatto male? - confusamente esclamarono i convitati. - Sapete che questi spaventi mi fan male, benedetto Iddio, - balbettò il conte, che rimase lí colla forchetta in aria e col boccone infilzato. La contessa era subito scomparsa, ma rientrava poco dopo con Fabrizio a dire che non c'era nulla di grave. La donna di guardaroba era caduta sulla scala con una catinella in mano, ma tutto era finito con molto spavento, e col danno della stoviglia. - Meno male, ma, santo Iddio, state attenti a non procurarmi di questi spaventi, che guastano la digestione. Sapete che son mezzo malato e il cuore mi salta per niente. Par sempre la casa del diavolo. Un po' di riguardo, per bacco! Mi versi un altro dito di vino, maestro. Bevete tutti, fatemi coraggio. Tutti bevettero, per obbedienza, alla salute del signor conte e alla felicità di donna Enrichetta. Donna Cristina, che, durante il pranzo, era stata continuamente col cuore sollevato, al primo grido di quella disgraziata era scattata in piedi, in preda a una violenza nervosa, era corsa di fuori, e giunse appena in tempo ad arrestare sul pianerottolo Celestina, che mezzo svestita, coi capelli in disordine sciolti sulle spalle, colla faccia stravolta, si dibatteva nelle braccia di miss Haynes. La contessa, col tono severo e autorevole che sapeva prendere quando il caso richiedeva, l'afferrò per un braccio, la trasse con sé per il corridoio buio della foresteria, la chiuse nella sua stanzetta, dove Celestina s'inginocchiò: - No, contessa, mi perdoni, - pregava - sarò buona. Mi pareva che volesse pigliarmi. - Chi? chi ti perseguita? - Il diavolo. - Tu non mi vuoi piú bene. - Le voglio bene, signora. Lei è la mia mamma. Ma c'è proprio un diavolo che mi tormenta. - Sei malata, capisci? Senti come abbrucia questa povera testa. Torna a letto. Non sai che ci farai morire, se non obbedisci? - Giacomo è qui. Lasci che gli dica tutto. - Tu non gli dirai nulla, perché io non lo permetterò. Guarda che so essere anche cattiva. Ti farò chiudere in una stanza. Vieni, invochiamo insieme la Madonna dei dolori . Celestina, passata la crisi, dette in un pianto dirotto, si lasciò collocare sul letto e promise di essere savia e obbediente. La contessa chiuse l'uscio a chiave e lasciò miss Haynes in sentinella. Tutto questo accadde nel minor tempo che occorre per raccontarlo, in una specie di furiosa scaramuccia, a cui le due infelici creature andavano da qualche tempo abituandosi. La contessa, non solo si meravigliava di saper vincere e domare la sua vittima, ma una meraviglia piú alta sorgeva nell'animo suo alla prova della sua forza, che mai avrebbe immaginato di possederne tanta; una forza morale e nervosa, che sapeva ardire e nascondersi, che, oltre a insegnarle le astuzie del vincere e del resistere, le manteneva sul viso quasi una maschera sorridente. E non eravamo che alle prime scaramuccie d'una tremenda battaglia! Sarebbe bastata questa forza il giorno che avesse dovuto affrontare il grosso del nemico? non vedeva né il quando, né il dove questa battaglia si sarebbe combattuta; ma, se si raccoglieva un istante, le pareva di sentire non molto lontano un muggito d'una moltitudine di mali selvaggi, non mai immaginati, davanti ai quali il morire, il morir subito, le compariva una liberazione.

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