Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbattimento

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Malombra

670415
Fogazzaro, Antonio 2 occorrenze

"Riferisca le condizioni gravi in cui ho dovuto prestare la mia assistenza; riferisca lo stato di sopore e di abbattimento in cui ella si trova presentemente, e se qualcuno Le domanda di me, La prego rispondere a nome mio che per un'ora mi si troverà qui in loggia." La voce era sinistramente fredda. Qualcuno che portava un lume tornò indietro; il medico attraversò la loggia, Silla vi entrò dopo di lui. Steinegge gli si fece incontro. "Signor Silla!" diss'egli. L'altro non gli rispose, non si voltò nemmanco a guardarlo, andò a buttar le braccia sulla balaustrata verso il cortile. Steinegge fece un altro passo. "Signor Silla, non mi riconoscete?" Silenzio. "Ah, quand'è così, bene." Egli tornò dov'era prima e tacque, guardando Silla che non si muoveva. "Io non so" diss'egli. "Io non credo aver meritato questo." Nessuna risposta. "Questo è amaro, signor Silla, di venire come amico ed essere accolto così! Io voleva solamente dirvi che io avrei preferito non vedervi più mai qui; anche adesso io vorrei piuttosto vedere una buona onesta bocca di fucile sul Vostro petto, per Dio! Ero venuto per dire a Voi questo e altre cose, ma poiché Voi non volete ascoltarmi, io vado. Addio." S'incamminò per uscire. Allora Silla, senza voltare il capo, gli disse freddamente: "Dica a Sua figlia che ho tenuto parola e son caduto a fondo." "A mia figlia! Questo?" "Sì, e adesso vada. Vada, vada via!" ripeté Silla con passione improvvisa perché Steinegge, sorpreso, tornava verso di lui. Questi piegò il capo in atto di rassegnazione e se n'andò. Due lanterne, un corteo silenzioso attraversano il cortile. Subito dopo il commendatore viene ad avvertire Silla che i Salvador sono andati ad aspettar la carrozza in casa del giardiniere, e che, s'egli desidera, può comunicargli una disposizione del conte che lo riguarda. L'uscio si chiuse dietro a loro, la loggia rimase vuota.

MEMORIE DEL PRESBITERIO SCENE DI PROVINCIA

679343
Praga, Emilio 1 occorrenze
  • 1881
  • F. CASANOVA. LIBRAIO - EDITORE
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Nessun pennello, nessuna penna avrebbe potuto ritrarre l'indefinibilmente profonda espressione di dolore e di rabbia, di abbattimento e di energia che in quel momento appariva in quella faccia smunta su cui le lagrime non scorrevano più. Io e Baccio attoniti, rattenendo il respiro, non battendo ciglio, lo guardavamo immobili e atterrati ugualmente; egli, semi-idiota e vecchio montanaro, ed io non montanaro, non semi- idiota e non vecchio, affratellati da due sentimenti di pietà che nella bilancia di Dio certo avrebbero pesato lo stesso. E Beppe, alzatosi e camminando a lunghi passi per la cucina, continuava: - A questo dubbio che mi afferrò per il collo come una tenaglia rovente, restar un minuto ancora immobile e allo scuro, sarebbe stato lo stesso che morire. Balzai dal letto, accesi il lume, lo accostai a Gina e la fissai ... chi sa come, in faccia. Ella aveva gli occhi spalancati e a sua volta mi affissava, tentando di sorridere ... ma piena di spavento. Non mi perdonerò mai ciò che feci e dissi allora. La presi per ambo le braccia e le diedi uno scrollo che la fece scivolare dal letto, e stringendole le mani come un forsennato, e quasi mordendole le labbra colle mie, urlai: - Tu non mi hai detto tutto! Egli ti ..... La sventurata si lasciò cadere in ginocchio, e liberate le mani ch'io, quasi fuor dei sensi, le abbandonai, le congiunse come si fa davanti all'altare. - «Ti ho detto tutto, mi disse; lo giuro sulla testa di quei due poveri innocenti; tutto, tutto, tutto!» E diede in uno scoppio di pianto, mentre mi stringeva e mi baciava e ribaciava le ginocchia. Piangemmo insieme abbracciati non so per quanto tempo; quando ripresi conoscenza di me stesso, la notte era ancora alta e la Gina stava rattizzando i carboni sul focolare. Me le accostai mormorando: - Perdonami. - Taci, rispose Gina, questa volta sorridendo davvero. Ci vogliamo tanto bene. Ma vien qua, il mio uomo, e riscaldati che sei tutto intirizzito. Datti pace, va, che il diavolo non è brutto come si dipinge. Quel briccone sa che siamo andati da Don Luigi; ciò lo farà pensare due volte prima di ..... - No, no, la interruppi io; ho preso la mia decisione; sai che le poche terre che abbiamo mi sono state a parecchie riprese cercate da Gervasio, il ricco mandriano; le posso vendere domani; se voglio, e a patti d'oro. Senti, Gina, le rondini abbandonano il nido dove furono una volta minacciate; noi faremo come le rondini; andremo altrove a fabbricarci un nido nuovo; in questo non si potrebbe più vivere in pace. - Quello che tu farai, buon Beppe, sarà ben fatto; benchè la sia dura il lasciar il paese dove si è nati. - Il paese è dappertutto dove si può vivere sicuri, lavorando. Andremo in un sito più bello di questo. Così conversando del nuovo progetto, stretti l'uno all'altro, accanto al fuoco, fummo sorpresi dai primi bagliori dell'alba. Io era così ansioso di mettere modo alle cose per mandare ad effetto il più presto il mio disegno, che, fosse anche un presentimento, la terra mi abbruciava i piedi. Sicchè senza aspettare che i vecchi si risvegliassero, per dar loro il buon giorno, siccome ero solito fare fin dall'infanzia, presi il cappello e i miei ferri e mi avviai verso i pascoli di Gervasio, dopo aver raccomandato a Gina di non porre piede fuori dell'uscio, promettendole poi che sarei stato di ritorno al più presto. Non trovai Gervasio ai pascoli, che come ben sai Baccio, distano da qui una buon'ora di Cammino; egli era partito quella notte stessa per la sua casera di San Sulpizio; cinque leghe di strada, e che strada! Titubai alquanto se dovessi raggiungerlo, o rimandar la cosa al suo ritorno. Ma quando sarebbe tornato? i pastori non ne sapevano niente; poteva fermarsi alla casera un giorno, poteva fermarsi quindici. Decisi di spingermi fino a San Sulpizio. Mi fornii di due bei tozzi di cacio e di polenta, e via pei greppi e le pinete, certo che camminando a dovere avrei potuto essere di ritorno a casa per il cadere del giorno. Ma, - ve l'ho già detto prima: - Era scritto ciò che era scritto! Ti ricordi, Baccio mio, quella crocetta che sta a due passi dalla colma dei Tre Ladri Fu là che mi prese l'uragano. Un uragano come, in vita mia, non ne avevo mai visto. To'! il cielo pareva disceso sulla terra, e i cocuzzoli delle montagne pareva che si arrampicassero in cielo. Si cozzavano insieme i ghiacciuoli delle nubi e i ciottoli delle frane; la vallata era scomparsa, le cime non le vedevo più; mi pareva di sentirmi schiaffeggiare e bastonare da centomila demoni! ... - mi mancava il respiro ... - ero come una pulce fra due unghie ... to'. Mi girava la testa, ma, questa volta, diversamente di prima, vo' dire di quando la mi girava nel mio letto, allo scuro. Mi sentivo mancar il fiato: era la tormenta! E turbinava, oh! come turbinava! Mi credetti morto, e lo ero quasi, e mi distesi in terra, colle mani in croce, dicendo il De profundis e pensando intanto alla mia Gina, ai miei vecchi, ai miei piccini ... e al ... e anche al Sindaco! Restai lì parecchi minuti in tal modo, aspettando l'ultimo momento. D'improvviso mi sentii battere sulle spalle da una mano vigorosa. Apro gli occhi già quasi irrigiditi dal gelo, e mi vedo davanti, indovina? ... il figlio maggiore del signor De Emma, che, superata la bufera passava appunto di lì, colla sua muta, inseguendo il camoscio. Mi sollevò, mi pose alle labbra la fiaschetta del rhum, e in men che non si dica, mi ritrovai il Beppe di prima, vispo e sano di corpo e pronto a far non cinque ma venti leghe ... quanto al resto ... Il resto era di ritornare a casa, e al più presto possibile. - Grazie, dissi al bel giovanotto; ella è proprio il figlio di suo padre, il figlio della Provvidenza! Oh! fa tardi, se si ritornasse laggiù? Mi aspettano, sa? e se ella vuol far tappa nel tugurio della mia Gina, - è un'amica del di lei babbo, la dev'essere una festa davvero! Il signor Arturo, - Baccio tu lo conosci, - aggradì l'offerta. Ci incamminammo, aggrappandoci alla meglio per gli scogli irti di sterpi. Ma la via del ritorno par sempre buona. Almeno sembrava tale allora per me. Beppe parlava come un oratore che non sa, o meglio non vuol venire alla perorazione. Bevette un bicchier di vino offertogli da Baccio e, asciugatasi di nuovo quella fronte piena di passato e di avvenire, continuò ma con una inflessione di voce e con un atteggiamento che accennavano alla catastrofe: - Sissignori. E rividi, che non mi parea vero, la cima del mio campanile, e poi i fumaioli dei vicini, e finalmente infilai il viottolo che mena alla mia casa. Per quanto fosse stata posta la strada fra le gambe, la notte ci aveva precorsi. A cinquanta passi dalla mia ortaglia chi mi vedo venir incontro? È mio padre, il mio padre ottuagenario, che non aveva fatto, a mia memoria, più che non faccia di cammino un bimbo appena uscito di fascie. E mi dice, spalancando le braccia: - Se Dio vuole! Sei qui! Che spavento? E la tua Gina? - Che! risponde, la Gina? - Dov'è? - Se non lo sai tu!! - Ma come? - Non l'hai tu mandata a chiamare perchè ti raggiungesse al campo della Crocetta - Io? - Venne un ragazzotto a dirle che ti raggiungesse colà! ... per una cosa d'urgenza ... - Io vengo ... vengo ... da tutt'altro sito ... non ho mandato nessuno ...! ... - Che birbonata è questa? sclamò il povero vecchio guardando in faccia a tutti quanti. - Una birbonata, urlai, e, senza aggiungere una sola parola, mi slanciai a tutta corsa verso il campo della Crocetta Non mi ricordavo più della strada; non so in quante siepi mi insanguinai le dita in quante pozzanghere mi ingolfai. Udivo da lontano i gemiti che uscivano dalla mia casa. Ma un gemito più vicino, più straziante, un gemito simile a quello di chi sta per morire, mi arrestò di repente; come se avessi dato del capo in un muro. Oh! quel gemito! .... mi ricordava quelli della notte scorsa! Era lei, era Gina! La trovai, la rinvenni, non so come, nelle tenebre, tra gli sterpi, distesa per terra .... - Gina! - Lasciatemi morire! - Sono io, sono Beppe! il tuo Beppe! ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... Mi parve che udendo il mio nome, si addormentasse. La presi sulle spalle e lento lento, mentre il cuore e la testa non sapeva più dove fossero, raggiunsi, la mercè di Dio, la mia soglia. La adagiai sul letto, livido, estenuata. Il vicinato era accorso. Il signor Arturo era scomparso. Poverino, si prese in corpo sei leghe, e a queill'ora, per andare in cerca di suo padre. Allontanai tutti quanti. Gina, dopo un lungo sopore, aperse gli occhi e mi vide. Rabbrividii a quello sguardo. Ella rabbrividì più di me. E con una voce che sembrava venire da sotterra: - Non guardarmi, sospirò, non toccarmi! Chiudi la porta! ... È là ... il sindaco! ..... è là ... porta in quel bel paese, in quel paese più bello, i nostri bambini! ... Portali via, senza farmeli vedere! ... oh! povera, povera me! - Gina, dicevo io, Gina ... dimmi, spiegati .... - Taci ... taci .... e si metteva un dito sulla bocca e alzava gli occhi al cielo. - Taci. Ho resistito, oh! se gli ho graffiato la faccia .... Ella cacciò allora la testa sotto il guanciale, ed io restai solo col lucignolo agonizzante ....

LEGGENDE NAPOLETANE

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Serao, Matilde 1 occorrenze

Non vi era sfinimento, non vi era abbattimento: le fibre non volevano morire, il corpo non voleva morire. Ma sotto le pieghe del lenzuolo la testa ha un carattere stupendo: la fronte liscia ha un vasto pensiero; piangono gli occhi, è vero, pel cruccio fisico, ma le labbra schiuse hanno una traccia di sorriso che è una indefinita speranza. È vero. è vero, il dolore è passato dal corpo all'anima; è vero, l'anima è contristata, ma non è disperazione, ma non è desolazione. L'anima come la bocca è abbeverata di fiele, ma una goccia di consolazione vi è stata. Tutto quel Cristo è un dolore supremo, ma è anche una suprema speranza; ma il mistero di quella testa divina è così grandioso, ma l'ammirazione per la meravigliosa opera d'arte è così sconfinata, ma la pietà del bellissimo estinto è così invadente che il pensatore si scuote e non frena più le acute indagini dalla sua mente, l'artista s'inchina nella esaltazione del suo spirito ed il credente non può che abbandonarsi, piangendo, sui piedi del morto, cospargendoli di lagrime e di baci. Singolare anima d'artista doveva esser quella dello scultore che ha dato all'arte questo Cristo morto. Nell'opera sua vi è tutto il suo spirito. Uno spirito dove sorgevano uguali, immensi, due amori: quello per una donna, quello per l'arte. Infelicissimo, terribilmente doloroso il primo. Solamente chi ha conosciuto il furore acuto di una sofferenza senza nome può far passare tutta la poesia di questa sofferenza nel marmo senza vita; solamente chi è vissuto nelle lagrime, nell'angoscia, nella esaltazione di un'anima innamorata e solitaria, può infondere nel marmo il solitario e cupo dolore di questo Cristo. Lo scultore ha saputo, ha sentito. Ha saputo, ha sentito che cosa fosse il tormento sottile che stride come una sega piccina ed inesorabile; la desolazione grigia, lunga, monotona, dove tutto è cenere, tutto è nausea, tutto è disgusto: la disperazione larga e vasta e lenta come una fiumana di pianto; la disperazione fragorosa e tumultuante come un torrente che tutto trascina. Chi ha fatto quel Cristo ha spasimato d'amore; ha amato ed ha pianto; ha amato ed un fremito mortale gli ha travolto le fibre; ha amato ed una convulsione ha contorta e spezzata la sua vita; ha amato senza speranza, senza gioia, senza diletto, abbruciando la propria esistenza nella tormentosa voluttà del dolore. Solo un uomo che ama può creare quel Cristo morto; solo colui che soffre col trasporto, con la passione delle sofferenze, può mettere in una statua tutta la sublime epopea del dolore. Ogni colpo di scalpello che scheggiava, rompeva, carezzava, curvava, ammorbidiva il marmo, era una parola, un gemito, un lamento, un grido, uno scoppio furente di questo amore. La passione dell'uomo vivo creava la passione del Cristo morto. E ne veniva fuori un'anima d'artista che imprimeva il suo carattere in un capolavoro dell'arte. - Perché quella tomba non ha ritratto? - chiesi di nuovo uscendo dalla chiesa, mentre il custode faceva tintinnire le chiavi. - Lo scultore non ebbe tempo di finirlo ... - Quale scultore? - Il Sammartino. - Ah!... - ... Morì prima di finirlo. Fu trovato in una straduccia buia, di notte, con un pugnale nel petto. - Fu ucciso o s'uccise? - Si crede che si fosse ucciso. Come nello strazio dell'ignota agonia, la testa del morto scultore doveva rassomigliare a quella del Cristo morto!

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