Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbattevano

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

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Il ponte della felicità

219034
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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I lampi, sempre più frequenti e accecanti, illuminavano quella tempesta di ali che di tanto in tanto si abbattevano sul ponte come un candido e vaporoso ventaglio che si chiude. Il mare gonfio sembrava voler sommergere ogni cosa. Le onde s'impennavano e pareva volessero subissare il cielo. A sinistra e a destra, davanti e di dietro, le sagome delle altre navi sparivano e ricomparivano saltuariamente tra un lampeggiare infernale. Le folgori cadevano da ogni lato con uno schianto che faceva sussultare il cuore di quegli uomini intrepidi. Il vento urlava senza tregua. Le onde gigantesche si abbattevano, una dietro l'altra, sulle navi alla deriva. Le nubi scendevano fino a lambire le acque e pareva seppellissero l'universo sotto una cappa di piombo. - Alvise.... - La voce del padre era giunta fioca e quasi indistinta agli orecchi del ragazzo benchè non fosse che a pochi passi di distanza. - Babbo!... - rispose Alvise, correndogli vicino. Era pallido di stanchezza e inzuppato di pioggia. - Alvise, non ti allontanare da me. - Siamo in pericolo, babbo? - Sì, figlio mio. - Non possiamo far nulla? - Siamo nelle mani di Dio. - .... riuscì a far aggrappare Alvise al rottame.... Istintivamente, Alvise si aggrappò al padre con una stretta muta e disperata. Zuambattista Benedetti cinse con il suo forte braccio le spalle del figlio e lo tenne stretto a sè. La bufera ebbe un attimo di sosta, quasi volesse raccogliere tutte le sue forze prima dell'assalto supremo. Poco lontano dalla Santa Cattarina si formò un risucchio. Subito dopo, una tromba d'acqua si alzò gigantesca, corse minacciosa verso la nave, la investi, la sommerse. Uno scricchiolio tremendo, che per un attimo soffocò ogni altro rumore, si alzò dal mare in tempesta. Quando la tromba passò, perdendosi lontano, la bella galea di Zuambattista Benedetti non era più che un mucchio di rottami informi che fluttuavano sulle onde. In quei tragici istanti il padre non aveva abbandonato la sua creatura. La stretta del suo valido braccio si era fatta più forte e aveva sostenuto Alvise, lo aveva riportato a galla; poi i suoi muscoli cominciarono a stancarsi. Al vivido tremolare di un lampo egli scòrse il rottame di un'alberatura. Verso quel legno, che poteva essere l'unica salvezza di Alvise, il padre nuotò con il braccio che aveva libero. Ma la lotta per impossessarsene fu lunga, estenuante. Quando egli credeva di averlo raggiunto e stava per afferrarlo, un'onda glielo ricacciava lontano. Allora ricominciava, sempre trascinandosi dietro il dolce peso del figlio. L'amore paterno gli centuplicava le forze. Per riprendere coraggio, egli guardava di tanto in tanto gli occhi di Alvise, quei cari occhi che rispondevano fiduciosi al suo sguardo. Fili d'alghe si erano impigliati tra i riccioli bruni del giovane, e il padre delicatamente glieli tolse. Tanti e tanti anni sembravano annullati. Zuambattista. Benedetti stringeva tra le braccia il suo piccino, ritratto vivente della sposa scomparsa. E andavano insieme, così. Finalmente un'onda spinse verso di lui l'alberatura spezzata. Con uno sforzo disperato l'afferrò e la tenne stretta al proprio cuore palpitante. Ma a un tratto • sentì che la sua resistenza era agli estremi. Stringendo i denti, nello spasimo di tutte le membra irrigidite, il capitano riuscì a far aggrappare Alvise al rottame della Santa Cattarina; poi si tolse la cintola dalla casacca, e con quella legò strettamente il giovane all'albero spezzato. - Addio, Alvise, e Dio ti accompagni! - mormorò Zuambattista Benedetti, mentre tracciava un gran segno di croce con la mano stanca. Il vento rubò e disperse le parole paterne. Alvise non le udì. Ma la benedizione rimase sul capo del figlio e l'accompagnò in quella tragica avventura, come un viatico, come una speranza, come una preghiera accolta dall'Altissimo.

Pagina 83

Al tempo dei tempi

219310
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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I fulmini abbattevano gli alberi, il vento schiantava i rami, la pioggia e la grandine venivano giù come Dio le mandava. I cacciatori spronarono i cavalli per uscire dal bosco e schivare il pericolo d'esser fulminati. Appena all'aperto scorsero un bellissimo palazzo, bussarono e furono accolti gentilmente da tante cameriere, che li fecero entrare in una gran sala, dove in un vasto camino ardeva il fuoco. Da quella sala passò Mariuccia col figlio per andare nelle sue stanze, e tutti i cacciatori s'alzarono, credendola la padrona del palazzo, e l'ossequiarono. Ella, non appena ebbe fissato il Reuccio, lo riconobbe e impallidì, ma non disse nulla sul momento e si ritirò insieme col figlio. Però di lì a poco disse al giovinetto: - Hai veduto quel cacciatore più alto di tutti e col portamento così nobile, benchè pallido e come affranto dal dolore? Ebbene, quel cacciatore è il Reuccio tuo padre. Va' da lui e baciagli la mano. - Il fanciullo tornò nella sala, s'accostò al cacciatore che la madre gli aveva indicato, mise un ginocchio in terra e baciandogli la mano, gli disse: - Padre mio, beneditemi! - Figuriamoci quel che provasse il Reuccio in quel momento! Rialzò il fanciullo, se lo strinse al petto e pianse di gioia su quel capo che aveva tanto bramato di baciare. Poi si fece condurre dalla madre, e qui nuovi abbracciamenti e nuove lacrime. Mariuccia gli raccontò tutto quello che aveva sofferto e quanto l'aveva aiutata il cavalluccio e la promessa che gli aveva fatta di dargli una mangiatoia d'oro. Naturalmente il Reuccio insieme con la moglie, il figlio e il seguito andarono subito alla Corte. Il cavallino fu montato dal fanciullo e in città si fecero grandi feste a tutti, e anche al cavallino, che ebbe la sua mangiatoia d'oro e una stalla tutta di marmo e visse tanti anni, grasso bracato, e vide il Reuccio divenir Re, la Reginuzza divenir Regina e poi regnare anche il figlio di Mariuccia. Finalmente un giorno anche il cavallino sauro morì, e il Re gli fece erigere una statua.

Documenti umani

244630
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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- I cavalli acceleravano il passo un istante, col collo teso, faticosamente; poi si abbattevano, lasciavano pendere la testa, bianchi di sudore sotto la pioggia di fuoco di quel pomeriggio d'agosto. Cogli occhi, col la forza del pensiero egli spingeva la carrozza, cercava di farsi più leggiero sui cuscini scottanti, metteva ad ogni istante il capo allo sportello, battendo i piedi, torcendosi le dita, con un'angoscia crescente all'idea dell'ignoto pericolo che gli sovrastava, che le sovrastava.... Uno schioccar della frusta, ed il trotto riprendeva, più serrato, al cessare dell'erta. La pieve di S. Lorenzo.... il Belvedere... il crocevia della Pineta.... Finalmente! Egli saltava dalla carrozza non ancora ben ferma e spariva per la viottola sassosa, incassata fra gli alti muri da cui sporgevano l'edera e i rovi. Ah! la porticina del parco!... Ella era lì, pallida, tremante... lo afferrava con una mano, mentre portava con l'altra un fazzoletto alla bocca.... - Che è stato? In nome di Dio, che è stato?... Ella non poteva parlare, in preda a un moto convulsivo, che dal petto le saliva alla gola, soffocandola; pure trovava la forza di toglierlo di dove potevano essere scorti, e di trascinarlo verso lo chalet nascosto dietro la cinta delle araucarie e dei cedri del Libano. Lo chalet! l'angolo più remoto e silenzioso del parco! il paradiso terrestre! il luogo verso cui sempre volava il suo pensiero, sulle ali del desiderio! il testimonio di una felicità che egli aveva sperato inesauribile!... - Ma che cosa era dunque successo?... - Inginocchiata sul tappeto di stuoia, con le braccia distese verso di lui, ella balbettava disperatamente: È finita! È finita!... - Come? perchè? chi poteva avere la forza di opporsi al loro amore, di sciogliere i loro corpi da una stretta come quella che ora li avvinceva, faccia a faccia, tremanti, ansiosi, smarriti?... - Mio marito.... - Ebbene?... Ha tutto scoperto.... - Non è che questo? - E parte, domani! gli ordini sono dati, tutto è disposto.... Egli torna in Bretagna, comprendi?... torna nelle lande delle Fayolles, a migliaia di leghe da qui... - Repentinamente, egli si era disciolto da quella stretta. - E tu lo segui? - O Roberto, che fare?... - Infatti!... - Ora egli passeggiava per la stanza, in preda ad una cupa concitazione; uno sgabellino di bambù lo fece inciampare; afferrarlo e spezzarlo fu tutt'uno. - O Roberto - supplicava lei, accasciandosi - dici tu come fare! Come resistere a quella volontà di ferro? Io ho paura di quell'uomo, Roberto; come resistergli?... - Come? Lasciandolo! venendo via con me, oggi, ora, sull'istante, per la porticina che mi hai dischiusa, nella carrozza che mi ha condotto fin qui; venendo con me per sempre, mettendo una fine a questa vita di palpiti, di angoscie, di separazione, a questa morte lenta e continua; venendo con me per realizzare il paradiso in terra, il paradiso vero, il paradiso eterno; venendo via con me perchè tu sei mia e nessuno può avere la forza di strapparti da me... - Sì, sì.... - Ella si trascinava verso di lui, lo afferrava alle ginocchia, rifugiando nel suo lo sguardo impaurito. - Sì, sì!... portami via... quell'uomo mi ucciderà!... Portami via con te.... Ah! mia figlia.... E cadde di nuovo per terra. Egli le si era inginocchiato vicino, sorreggendole la testa. - Ebbene, tua figlia? Non sei tu già separata da lei?... - Ma egli la farà morire! me lo ha detto!... Se io non lo seguo egli la farà morire!... No, Roberto; non fra le sue mani la creatura mia!... - Allora?... Era proprio finita? era finita per sempre? Non si sarebbero più rivisti? Non l'avrebbe egli potuta seguire? - Dove? Tu non sai quale vita mi aspetta?... - Non avrebbe almeno potuto provocare quelI'uomo, ucciderlo o farsi uccidere? - Non si batterà! Ammazzarlo a tradimento, ammazzare tutta la sua razza?... Ah, egli delirava! egli perdeva la testa!... Allora, era proprio finita?... E con una forza sovrumana essi si erano avvinghiati l'uno all'altro, così strettamente, così ferocemente come se avessero voluto soffocarsi, come se avessero preferito morire in quel momento se da quel momento non dovevano più rivedersi.... Un rumor di passi sulla ghiaia del lontano viale.... - Addio, Roberto... addio.... E poi? Che cosa era poi successo? La cascina, il parco, la porticina, il sentiero, il crocevia della Pineta... egli non ricordava più nulla. Come aveva fatto ad andarsene? Di dove era passato? Si ritrovava dinanzi alla carrozza, senza sapere perchè lo aspettasse, perchè vi prendesse posto. Ma come la frusta aveva sferzato l'aria fischiando e i cavalli si erano mossi, un grido veemente gli era uscito dal petto: "Arresta! Arresta!" E rapidamente, come impazzito, come inseguito, avea ripreso la viottola del parco. Rivederla! Bisognava rivederla! Come era possibile che egli l'avesse lasciata? A costo della propria vita, a costo della vita di entrambi bisognava rivederla, non fosse che un istante.... La porticina era chiusa; ogni sforzo per aprirla riusciva vano. "Bianca!... Bianca!..." Il grido si perdeva nel silenzio afoso del pomeriggio. "Bianca!... Soccorso!..." Tentò di arrampicarsi sul muro, lacerandosi gli abiti, le mani, la faccia. A mezz'altezza, cadde. "Bianca!..." Ebbe ancora la forza di sollevarsi, si avventò di nuovo contro la porticina, vi dette su la testa.... Roberto Berni si era alzato di scatto. I ricordi si succedevano così vivi come se la scena si svolgesse in quello stesso momento. Tutta l'oppressione dei giorni tramontati si rinnovava, da togliergli il respiro, da costringerlo a schiudere la finestra in cerca d'aria.... Così l'aveva perduta! Il domani della separazione fatale, destandosi a casa sua dove il cocchiere lo aveva trasportato fuori dei sensi, un altro telegramma dalla stazione di Bardonecchia gli ripeteva l'ultima sua parola: "Addio!..." E poi, delle lettere rare, ad intervalli sempre più lunghi, ed il tormento di non poterle scrivere, di non poterle far pervenire nulla che le parlasse di lui.... E poi, un silenzio di lunghi e lunghi mesi; e poi, una sera al Circolo, l'annunzio brutale letto nelle Nouvelles et Echos del Gil Blas, fra uno scandalo parigino e la réclame di un nuovo romanzo. "Nous venons d'apprendre la mort de M.me Bianca del Fayolles, la femme de M. le comte Léopold des Fayolles, dêcédée à son château de Bretagne des suites d'une maladie de coeur".... Malgrado sapesse a memoria quelle poche parole, Roberto Berni s'avvicinò di nuovo al suo tavolo e con mano tremante rovistò nella cassetta. Il Gil Blas era lì, gualcito, bucato, ingiallito nelle pieghe. "Nous venons d'apprendre...." e come lesse il suo nome, il nome di Bianca, il nome della sua Bianca morta e adorata, scoppiò in pianto dirotto. Con labbra convulse, amaramente e disperatamente, egli chiamava: Bianca! Bianca! Bianca!... e baciava le sue lettere su cui le lacrime cadevano, grosse e roventi. Ora l'imagine di lei non si stampava più sul ritratto di sua moglie, e lo sguardo di costei tornava a fissarsi sereno come prima sul suo. Che cosa voleva? Che cosa pretendeva? Non sapeva che quello era stato il suo amore, il suo primo, il suo grande amore? Era gelosa della morta? Di che cosa era gelosa, se lo aveva tutto per sè? Se qualcuno doveva essere geloso, era la sua povera morta dimenticata, era la sua povera morta sulla cui tomba egli non si era inginocchiato, non aveva pregato, non aveva portato un sol fiore!... No, egli non se n'era scordato!... Il tempo aveva rimarginata la piaga, ma essa ora si riapriva e il sangue ne grondava!... La vita aveva potuto riprenderlo, distrarlo, creargli altre cure; ma la miglior parte di sè era sepolta con lei!... Un'altra donna aveva potuto sorridergli, amarlo e farsi amare; ma il ricordo di Bianca, della sua morta, viveva ancora in lui, sarebbe sempre vissuto, puro, ideale, immortale come una religione...... Il fruscìo d'una veste. La signora Berni, avvolta in una mantiglia luccicante di jais, le mani nascoste nel manicotto, il cappellino ancora in testa, si avanzava verso il marito, affrettando il suo piccolo passo. - Roberto, Roberto, hai tu trovato? Egli non aveva l'aria di intendere. - No?... È un affare grave! La mamma non vuole assolutamente che si chiami come lei. "Lucia? o dov'è Renzo?..." E rideva! A me non dispiacerebbe, per via dell'affezione, capisci?... Intanto, se sarà un maschietto, le difficoltà sono belle e troncate; si chiamerà Roberto: il più bel santo del calendario!... E gli passò una mano dietro la testa. - Tu cosa fai? Sei molto occupato?... Girando uno sguardo sul tavolo, scorse le lettere, un ritratto. Vide che le sue labbra tremavano. - Oh, scusa.... E balbettata confusamente quella parola, si avviò verso l'uscio. Non si sentì richiamare.

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245442
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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Si era intanto di novembre, cominciava a piovere, a far freddo: acquazzoni furibondi si abbattevano sul paese con una rabbia distruggitrice, come se volessero punirlo di aver troppo goduto del bel tempo: il nostro cortiletto diventava una vera cisterna; una fiumana di fango giallo allagava la strada. Rabbrividisco ancora al ricordo. Bimbi ricoperti di sacchi, scalzi, passano diguazzando nell'acqua fangosa, come piccoli selvaggi venuti dal bosco; topi morti galleggiano qua e là, e la donna col carrettino del pesce torna indietro urlando per la paura: la sola nota comica è il carro con la botte per l'inaffiamento delle strade; la botte verdissima e fresca come un gran frutto acerbo si dondola un po' sul carro, a pancia in su, e pare si compiaccia di tutta quell'abbondanza d'acqua per terra come l'abbia sparsa lei. Io scrivo, nella mia triste cameretta: è così buia che devo avvicinare il tavolino alla finestra. Scrivo, scrivo: una vera pioggia di parole, anche la mia, dall'anima torbida alla carta bianca; ma dopo che ho finito sento che neppure questo sfogo oramai mi basta più. Ci vuol altro! Mi riprende la smania di uscire, di andarmene lungo il mare, di mescolare il mio al suo tormento; esco, attraverso la strada allagata, vado già verso il mare accompagnato dai rigagnoli dell'acqua sporca che pare voglia anch'essa tornare al suo luogo d'origine dopo il suo triste viaggio per cielo e per terra. II mare è più grande del solito, oggi, coi suoi cavalloni verdi lanciati di furia contro la spiaggia; finalmente la figura del vecchio marinaio che guarda dalla riva come un padrone guarda il suo podere, è piccola in quello sfondo tumultuoso, sotto il cielo ancora nero in alto, ma già chiaro all'orizzonte, dove il sole lotta con un drago di nuvole nere dalle cento lingue di fuoco. Io scendo lungo l'arenile, affondando i piedi nella sabbia bagnata; e mi pare di avere un peso addosso che non mi permette di camminare svelto: la lettera. Allora mi viene I'idea di darla al vecchio: gliela consegno, poi mi allontano lasciandolo un po' sorpreso a guardare la busta. E vado, vado, osservando i giuochi dell'acqua sulla rena; in alcuni punti l'onda si slancia Iontana e subito ritorna verso il mare descrivendo dei cerchi perfetti, tremuli di uno scintillìo argenteo: sembrano grandi pesci che si ritorcono su sè stessi, con le scaglie brillanti al sole. Ed è strano il divertirsi delle onde a riva, mentre pare che il mare le mandi gonfie e feroci per divorarsi la terra. Così - pensavo - finiscono le nostre passioni! Ecco che io, in quella lettera, avevo raccontato alla moglie del droghiere la mia avventura con Fiora, senza nominare la fanciulla, e l'impegno che m'ero preso di ritirare la creatura; e mi pareva che la mia disgrazia e le sue conseguenze non solo non mi facessero più soffrire, dopo avermi condotto fino alla morte, ma mi procurassero la soddisfazione di avere anch'io qualche cosa da dire, di rendermi interessante presso una persona che m'interessava. Così camminando e pensando mi distraggo anch'io, finchè si fa quasi sera. II sole è andato giù senza riuscire a vincere il drago, il quale però, lasciato solo, si divora e si sbrana da sè stesso; il cielo pallido è sparso di code, di zanne, di piume che piano piano se ne vanno anch'esse. E ad un tratto pare che qualcuno accenda un lume: le ultime nuvolette si tingono d'oro, la spuma le imita: e il vento di tramontana ricaccia di là dal mare il libeccio e abbatte i cavalIoni verdi. È il sorgere della luna.

Pagina 151

Voci della notte

250851
Neera 1 occorrenze
  • 1893
  • Luigi Pierro Editore
  • Napoli
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 62

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