Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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SCURPIDDU

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

Ora, in certe serate di vento, gli sembrava di non essere più alla masseria, tanto quel vasto stormire degli ulivi nella vallata somigliava al rumore del mare che si abbatteva su i massi della diga in Catania, Col permesso della massaia, aveva strappato ai galli del pollaio le belle piume ritorte della coda e se le era adattate al berretto capricciosamente, alla foggia dei bersaglieri. E con esse in capo conduceva i tacchini al pascolo, facendoli marciare di corsa, e suonava lui la marcia, imitando le trombe dei bersaglieri col pugno davanti a la bocca, quasi suonasse davvero una tromba. Non pensava più alle coroncine. Aveva reso le tre lire allo zi' Girolamo, e col po' di fil di rame rimastogli, si era fatto una bella catenella, a cui aveva legato lo zùfolo che ora portava in una tasca del panciotto. Ogni sera, lettura. E appena si trovava col Soldato , lo interrogava: - I bersaglieri corrono sempre così?, - Si arràmpicano come capre. Sono i migliori soldati. - E le manovre? Voleva sapere tutto della vita militare; come i soldati dormivano, come mangiavano, come si divertivano, tutto! - E il re che fa alla guerra? - Il soldato anche lui, a cavallo, coi generali. coi colonnelli, alla pioggia e al sole, dando ordini a tutti. Il Soldato descriveva le cose a modo suo, spesso esagerando un pochino. Si era trovato alla presa di Roma, davanti a la barricata di Porta Pia, ed era stato ferito leggermente a una gamba. Si vedeva ancora la cicatrice, ed egli la mostrava con orgoglio. - Se avessi ripreso la ferma, sarei andato anche in Africa. E ora forse non sarei qui, ma tra i morti, laggiù. Là sono selvaggi, neri come la pece ... Sono bestie feroci; non hanno paura della morte. Questo dispiaceva a Scurpiddu : che alla guerra si dovesse morire, - A chi tocca, tocca! - diceva il Soldato , - Tanto si muore dappertutto. Tuo padre è morto cascando da un albero. Meglio alla guerra. Una palla ti fredda, e tu non t'accorgi di niente! E si fa guerra ogni giorno? - Ogni mill'anni! ... C'è soldati che non hanno mai visto il fuoco. Ce n'è che sono stati dieci volte alla guerra e non hanno mai avuto una scalfittura. A chi tocca, tocca! Scurpiddu si rasserenava, quasi avesse dovuto partir domani per la guerra. A chi tocca, tocca! Dovea toccare proprio a lui? Giacchè l'idea di andar Soldato gli ribolliva nella fantasia dal giorno che aveva visto i bersaglieri. Voleva vedere un po' di mondo, come tant'altri, - e a spese del re - soggiungeva. Per lui, come per tutti i contadini, il re era il governo. I quattrini delle tasse non se li prende il re? E se li prende per mantenere i soldati, per fare quel che gli pare e piace. Chi arresta la gente? Il re, Chi mette in carcere i ladri e gli assassini? Il re. Il re fa pure impiccare. Il padrone è lui; lo aveva detto tante volte il massaio. - Com'è il re? - domandava Scurpiddu al Soldato . - Un uomo come te e me, con tanto di baffi e certi occhi che pare ti vogliano mangiare. - Chi l'ha fatto il re? - C'è nato. Noi nasciamo contadini; e quelli nascono re. Sorte! - Ma ... lui chi lo chiama per fare il soldato? - Comanda, non fa il soldato. Il figlio del re è quasi ragazzo, e intanto è generale. Sorte! Ma pure un soldato semplice può diventare generale; prima caporale, poi sergente, poi luogotenente, poi capitano, poi maggiore, poi colonnello ... . - Ora che non ho ne padre nè madre, io sarò nella leva, è vero? - Ti scarteranno, se non cresci. Sei un ranocchio. Glielo diceva per ischerzo, Scurpiddu veniva su diritto come un fuso, mingherlino sì, ma forte e ben fatto. E si sforzava di prendere aria militare con quel berretto piumato che voleva essere un cappello alla bersagliera. Era però sempre un ragazzo dalla fantasia facile ad accendersi, mutabile. L'idea di entrare nella milizia ora lo spingeva alla lettura. Si immaginava, dai discorsi del Soldato , che, sapendo lèggere, lo avrebbero fatto subito caporale. E non voleva perder tempo. Un giorno Don Pietro, prima di dire la messa, gli domandò: - È vero che hai già appreso a lèggere? Sentiamo. Scurpiddu cavò sùbito fuori il sillabario, che portava sempre in tasca ed era ridotto molto male. Leggeva cantilenando, strascicando un po' le sillabe e le parole, strapazzando un po' gli accenti. E di tratto in tratto si fermava per alzare la testa e fissare Don Pietro negli occhi. - Bravo! Avanti! Bene! E Scurpiddu riprendeva a lèggere, lieto dell'approvazione del prete. - Queste qui sono le figure, - s'interruppe all'ultimo. - Ecco il leone, ecco il bue, - Nuova-legge dello zi' Girolamo, tal quale - C'è pure ... E sfogliava il libro lestamente. - C'è pure il Guappo , guardate, quando fa la ruota! Lo chiamano tacchino. È vero Soldato , che tacchino vuol dire nuzzu ? Don Pietro sorrise. - Ma non si lègge cantando - gli disse; - si canta l'ufficio. Devi lèggere piano, come parli, Scurpiddu si sentì offeso. - I soldati lèggono così; mi ha insegnato lui, - rispose, additando alteramente il maestro. Ormai il sillabario egli lo sapeva tutto a memoria. E sotto gli ulivi di Piano del Galluzzo o all'ombra del gelso bianco, lo ripeteva ad alta voce, senza più guardare il libro. C'era, fra gli altri, un raccontino intitolato: La mamma è morta ! che lo commoveva fortemente. Si trattava d'una bambina che chiedeva l'elemosina e rispondeva così a un signore che le domandava: Dov'è la tua mamma? Anche lui aveva chiesto l'elemosina, anni fa: e la sua mamma pure era morta! Se ne rammentava come di un avvenimento assai lontano, e che non gli aveva lasciato profonda traccia nell'animo. Certe volte - tutt'a un tratto - gli passava davanti agli occhi la rapida visione della sua infanzia, della straducola che sbucava nel piano di S. Maria, dei bambini cenciosi e seminudi o nudi affatto che facevano il chiasso, al sole, insieme con lui, insudiciandosi con la creta, con la polvere, mentre le loro mamme filavano in crocchio chiacchierando e cantando. E allora egli rideva la sua, giovane, bruna, coi neri capelli tirati in su che luccicavano al sole, lasciando libera la fronte: e gli risuonavano nell'orecchio le lunghe risate che ella faceva, e le belle canzoni che cantava con vocina limpida e intonata; una mamma, ahimè, molto diversa da quella riveduta parecchi anni dopo, invecchiata avanti il tempo, irriconoscibile, e che se n'era andata via per sempre quasi all'insaputa di lui! Visioni d'un istante, che gli facevano battere rapidamente le palpebre e tremare un po' il cuore. Poi il presente lo riafferrava, lo distraeva, coi tacchini che si azzuffavano, con Paola che si prendeva troppa libertà di vagare lontano dal pascolo, di confondersi su per gli ulivi e su pei mandorli con le tàccole selvatiche, di fare un po' la sorda quand'egli la richiamava; e anche con tutte le fantasticaggini che gli ribollivano nella mente ora che egli si sapeva possessore di una somma assai grossa per lui: quaranta lire. Otto carte da cinque, nuove nuove, ricavate dalla vendita dei suoi tacchini! Se le avesse avute nella tasca, le avrebbe contate e ricontate; ma gliele teneva in serbo la massaia, perchè lui non le smarrisse. Le contava però e le ricontava mentalmente. Con l'anno nuovo, il massaio gli avrebbe dato anche il salario: quattro piastre all'anno ... .quarant'otto tarì ... .quasi ventiquattro lire, oltre il mantenimento! Con esse avrebbe potuto farsi un vestito e un paio di scarpe. E poi, tra altri due anni, otto piastre ... tre once e sei tarì ... ..novanta lire all'anno, come il Soldato , come gli altri garzoni di masseria ... se non lo prendevano nella leva. Perchè avrebbero dovuto rifiutarlo? Oltre il sillabario, sapeva anche quasi tutto a memoria un altro libro che gli aveva prestato il Soldato , Istruzione per le armi di fanteria . Ne capiva poco, ma non voleva dir niente. - Dovresti piuttosto imparare la dottrina cristiana, - gli disse un giorno Don Pietro. - Ti porterò il libriccino io, domenica ventura. Tu cresci come un turco. Dovrai confessarti, far la prima comunione; non sei neppur cresimato! Che ti giova sapere quante parti ha un fucile? - Per quando sarò soldato. - Bel mestiere! Mestiere di ammazzar la gente e di farsi ammazzare. Scurpiddu guardò il Soldato ; toccava a lui rispondere. - E San Sebastiano? E San Martino? Non erano forse soldati? - quegli disse. - Ma erano anche santi. Tu, per esempio, non sei uno stinco di santo, tu! E ti chiamano il Soldato . Dico: bel mestiere! Per chi non vi è costretto dalla legge. Se fossimo cristiani davvero, ci sarebbe bisogno di soldati? Ognuno farebbe il proprio dovere, ognuno sarebbe contento dello stato in cui Dio l'ha fatto nascere, e si vivrebbe tutti in santa pace, Ma siamo peggio dei pagani. Il mio è mio, e il tuo è mio; ecco perchè si fanno le guerre! E con le guerre vengono poi tutti gli altri guai! Castigo di Dio! E andremo di male in peggio, figliuolo, se non si muta strada! - Il mondo è stato sempre così, caro Don Pietro!- intervenne massaio Turi, con la faccia bonaria sorridente. - Ha le gambe storte, come i cani, e nessuno può raddrizzargliele. - No, no. Il Signore perchè ci ha dato dunque la ragione? Perchè è venuto Gesù Cristo a predicare il Vangelo? Le gambe dobbiamo raddrizzarcele da noi, facendo il nostro dovere, sforzandoci di essere uomini, non bruti. Scurpiddu stava a sentire. Gli sembrava che il Soldato però non avesse saputo rispondere bene a Don Pietro, e che si fosse lasciato imbrogliare da lui. Si rammentava di aver sentito parlare di soldati del Papa. Il Soldato era stato ferito alla gamba da loro, alla presa di Roma. O allora? ... Non era cristiano neppure il Papa? E non si potè trattenere dal dirlo. - Il Papa un tempo era re, - rispose Don Pietro un po' imbrogliato, - e doveva avere soldati. Ora Domineddio ha voluto che non sia più re, ed è meglio ... forse. Noi dobbiamo badare ai fatti nostri. E tu bada ai tacchini, sciocco; e non dar retta al Soldato che è più ignorante di te. Scurpiddu , zitto zitto, si rimise in tasca il sillabario

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