Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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UGO. SCENE DEL SECOLO X - PARTE PRIMA

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Bazzero, Ambrogio 1 occorrenze

Dal di della caccia fino a quello dell'armeggiamento era scorso un anno senza più che l'uno si abbattesse nell'altra: nulla ella sapeva di lui, neppure il nome: nè mai il padre parlò. Sapeva che per lui, più notti, il cuore le si era scosso nei tumulti febbrili! Poi si sentì spossata! Nei sogni l'immagine di Adalberto veniva, ma coi mesi e coi mesi sempre più sfumata... Ed era vestito di bianco e per lei sorrideva e piangeva (Adalberto!): ma non aveva profilo; le linee si perdevano nell'espressione; era una gioia, un dolore carissimo. E Guidinga sempre più diveniva ansiosa di fantasìe, e spandeva l'anima sua nella immensità dei cieli, ponendo negli azzurri l'ideale della vita poeticissima, e là sfavillava di tutte le luci il suo desiderio, e là la gioia e il dolore avevano tanta voluttà di dolcezza, quanto mistero l'infinito!... Svegliata dal suo delirio abituale, nella vita di quaggiù più non trovava cose degne di lei, provava la noia del cammino dopo lo slancio placidissimo del volo! Svegliata, più non chiamava lo sposo! Quando il padre Eude le disse: - Sposerai Oldrado-ella rispose: - Sì - perché certo pensava: - È lui!... - Ma se è lui... perché sciupare colla realtà l'ideale affascinantissimo che io ho nell'orizzonte tutto mio? E se non è lui... perché vivere, se questa è vita d'anni e quella sognata è eterna e sempre inebbriata d'amore? - e disse all'ancella che più non amava le armonie: la musica è divina e dell'anime blandite dalle lusinghe dell'ignoto... Richiamata alle scosse della esistenza giornaliera, la sua indole fece sì ch'ella dinnanzi agli occhi portasse sempre un lembo di nebbia iridescente, la nebbia dai vortici pieni di sogni, la quale, posandosi sugli oggetti veduti o intraveduti, li rendeva circonfusi di luci mitissime, li tuffava come nel crepuscolo dileguante di una visione. Così l'ideale si sfumava col reale: e il volto del padre cavaliere divenne buono e tutto per lei, la imagine della madre sepolta si presentava alla culla, o quella dello sposo veniva, veniva, come nei primi giorni... Che? il viso di messere Adalberto. Guidinga domandava: - Dov'è lo sposo? - e poi sorrise. - Sarà per me: o lui, o il monistero! E se nell'armeggiamento egli restasse vinto? - E tacque, fidentissima, con Eude. - Messer Adalberto sapeva di struggersi, non sapeva d'essere amato. Per furore di gelosia giurò (perchè non voleva scoprirsi a lei se non con atto tale che facesse parlare tutti i cavalieri) giurò di uccidere me Oldrado e di vituperarmi, insomma in modo che ella fosse non mia, come l'ebbi richiesta! E che non fosse nemmanco del monistero lascia fare a lui! Era prontissimo ad ogni sacrilegio. Così si presentò al giuoco, comperò il mio scudiere, per far credere lo sposo dal cavallo bianco autore di tante prodezze, mentre poi alla fìne Oldrado doveva esser trovato morto, e lui colmo di tutto l'onore! E Guidinga... Oh! fu aiutato dalla fortuna più che non credesse: la decisione del re d'armi lo ammise al bacio della dama! Si levò l'elmo..; O Signore! Guidinga guardò il suo volto e il mio!... Guidinga bestemmiò a me condannato il corpo di lei, ad Adalberto benedettamente dedicava tutta l'anima!.. Ci sposammo, ma, se a vece della ciarpa a toccare il petto dalla parte del cuore, a vece della corona di fiori d'arancio sul capo, ella avesse dato a me tante stoccate, io a lei una corona di spini, noi avremmo offerto a Dio la espiazione delle nostre peccata! Guidinga da angiolo divenne, dimonio! Dopo nove mesi ella portava sozzamente nelle viscere il beffardo frutto dell'odiatissimo nostro connubio, e giurava e spergiurava che perdere madre e figliuolo sarebbe stato opera meritoria. Io la facevo di continuo guardare. Un giorno ella era presa da strazianti dolori; io origliavo all'uscio attendendo... A un tratto di fuori al castello odo un suono di trombe, poi un paggio mi strappa la veste, gridando: - Messere! messere! i nemici! - Chi è? - Adalberto! O Signore! nel castello so che eravamo male apparecchiati, scarsi d'uomini e scarsissimi di vettovaglie. Che fare? Oh che tormento fu quello! Resistere? Il sommo pericolo! Arrenderci? Il vitupero di mia schiatta!... Guidinga udì quel nome, e nel delirio proruppe: - Adalberto! tu vieni a togliermi da questo inferno! - Invocava il nimico, ed io aspettavo da lei uscisse o un bambino un dì destinato ad ascoltare il testamento del padre, o una bambina che avesse a dare ai figli col latte il veleno dell'odio! Ringhiavano le trombe al di fuori. Io mi precipitai dalle scale, ed ecco occorrermi il mio fedele Aimone. - Messere, siamo perduti! - Per Dio! ditemi! fate qualcosa! E quegli dubitava: - Ricorrere alle armi... - Ricorriamo al tradimento! E che fece egli con me? Per Dio! - e mi accordai con lui, e conclusi: - Dammi un pugnale avvelenato, e tu a tempo sbatti la porticina nel corritoio. - Messere sì! - Dammi un pugnale avvelenato: e lascia a me la cura di sgozzare Adalberto! In cima allo scalone ascoltai un grido così feroce che mi rivolsi e temetti di avere alle terga il nominato: guardai e vidi madonna che, nuda, oscenissima e sanguinante, si rotolava giù di gradino in gradino... Accorsi, più che per odio a lei, per amore furioso della creatura che si teneva in seno!... forse già schiacciata per le violenti percosse! Accorsi e la avvinghiai, ed ella con affanno straziantissimo, supplicandomi ed imprecandomi: - Messere, salvate Adalberto! Non fate tradimento! Non fate, per pietà dei sette dolori santissimi! Ed io: - Datemi la mia creatura! - Sì! - Datemela! - Salvatelo! Che vi ha fatto! V'ha fatto troppo! Ma era destino così! Perdo le viscere! - Datemi la mia creatura! - Si, vi giuro! Giurate voi di non fare tradimento! - Lasciatemi! - Ho giurato! E voi siete così sleale! Voi siete cavaliero? Ah so! non giurate perchè siete dannato nell'altra vita! Non credete in Dio! - Madonna! vi giuro! - Vieni, o mio Adalberto! Egli non ti uccide! - rincominciò ella nel delirio, ed io balzai dalla scala!... No! ritornai, e la trasportai nel suo letto, nel nostro talamo! E stetti al suo fianco, attendendo l'istante... Oh quelle tre ore!... Nacque il bambino: - sei tu! Entrò Adalberto nel castello, io gli prestai l'omaggio nella chiesetta. Quando gli dissi ch'ero disarmato e mi dichiaravo vassallo suo, gittai il pugnale, perchè avevo giurato a lei! Poi feci aprire la porticina del corritoio e tutte l'altre delle camere, indovinando il tristo pensiero di Adalberto. Quando il signore, correndo per il castello, venne al letto di Guidinga, trovò una morta, senza lume accanto, senza frate, senza croce fra le mani! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Così rompeva messer Oldrado il suo racconto. E fremeva: - Però nessuna occasione fu da me trascurata! Chiamo in testimonio il bianco spettro di tua madre! Ho ribellato Lamberto, mancai all'omaggio, comparvi al convito colla spada, feci percuotere l'araldo! Combattei! Ma non ebbi mai completa ventura, per maledetta condanna! Figliuolo, sei cavaliero: eccoti gli speroni: figliuolo, sei erede di tutto. Ecco il mio testamento!

EH!La vita...(Novelle)

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Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1913
  • Tipografia agraria
  • prosa letteraria
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Parve che una ventata li scotesse e li abbattesse da una punta all'altra del viale. Nino Sbrizza, con due poderose spinte, aveva sradicato il palo di aloè e già stendeva la mano ad afferrare la palma argentata, quando Saro Barreca, con un salto gli si precipitò addosso, strappò dall'albero la palma e, trionfalmente, la lanciò per aria, verso il punto dove erano le Ledda. Cento braccia si tesero in alto per afferrarla, ma una delle cugine Ledda fu la più lesta di tutti. La baciava, la dava a baciare come cosa benedetta. Quando toccò a Maria, però essa si baciò più volte la mano. E Nino Sbrizza, che stava per perdere il lume degli occhi per la soperchieria del Barreca, alla vista di quei baci alla mano, si frenò, diè un grande respiro di soddisfazione, e raccattò da terra il sigaro che gli era cascato nella breve lotta... - Ah!... Era di sì! Non gli occorreva altro! La gente si riversava in chiesa, dalla porta maggiore spalancata tutt'a un tratto; e mentre la processione s'inoltrava per la navata di mezzo, un frate, agitando le braccia, si sporgeva dal pulpito gridando: - Benedictus qui venit in nomine Domini! Domini!Ma il rumore della folla era tale che il predicatore pensò bene di smetter quasi sùbito. Nino, addossato a una colonna, approfittando della gran confusione, faceva cenni, con gli occhi, a Maria, che volevano significare: - Grazie! Grazie! Maria, quasi atterrita dell'assenso dato, sorrideva tristemente. Ora la lotta era presso il Parroco. La campanella di San Giovanni si concedeva al migliore offerente. Il Parroco spiegava: - Capisci, figliuolo mio. Tu rappresenteresti il più amato discepolo di Gesù Cristo, San Giovanni evangelista. Gesù è risuscitato. La Madonna e le Marie non lo hanno trovato nel sepolcro; lo cercano dappertutto dopo che l'Angelo ha detto a Maria Maddalena: - Non è qui! - E così san Giovanni va attorno per avere notizie del Signore risuscitato. 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio! Il suono della campanella significa: Lo avete visto? Lo avete incontrato? - per portar la notizia alla Madonna che piange il figliuolo morto crocifisso. - 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio! E come se tu fossi San Giovanni!... Dunque che daresti? E il parroco notava il nome e l'offerta. - Scriva - disse Saro Barreca: - Mezza salma di farro. E se ce ne vorrà di più, metterò di più. La campanella dev'essere mia. - Eccola là! - rispose il Parroco. - . Appoggiata al muro. Il manico della campanella, incastrato in bilico su un grosso bastone colorato in rosso, era già ornato di rose finte; e lasciava pendere fino a terra il laccio che doveva permettere di fare quei rintocchi di rito - 'Ntio! 'Ntio! Saro volle provarsi. - Bravo! - disse il Parroco. - Ma bisogna attendere fino a venerdì sera, per la certezza. Si tratta dell'interesse della chiesa; le offerte non servono per me ma per le spese del culto. Nino Sbrizza volle arrivare proprio all'ultimo momento, e soverchiare tutti. Andò, di sera, in casa del Parroco per parlargli a quattr'occhi. Nella sacrestia c'era sempre gente, o il sagrestano; e Nino non voleva testimoni. - Dica, vossignoria; io accetto la sua parola. - Ma, figliuol mio.... - Niente! Pago sùbito, in contanti anche. Dica vossignoria!!! E pago io pure la banda... - Sogliono far cena a mezzanotte. Un montone al forno e vino e càlia... Lo sai! - Due montoni, se occorrono... E quel che vossignoria comanda! Nino, con le braccia dietro la schiena, in piedi davanti al Parroco, attendeva la risposta decisiva, che questi pareva cercasse nel breviario aperto sul tavolino per dire l'ufficio. - E vossia farà la buona Pasqua col tacchino che riceverà sabato mattina... - Oh, per me, nulla! Io non c'entro! Io non c'entro! - protestò il Parroco. - Per la chiesa, per la campanella... una salma di farro o il prezzo.... Sei contento? Faccio una particolarità, per riguardo di tua madre che è una gran devota. - E il tacchino... lo manderà mia madre. Le bacio la mano! La gnà Vicenza col pretesto delle funzioni religiose della settimana santa, stava attorno a Maria Ledda per riportare notizie, per battere il ferro, come lei diceva, mentre era caldo, perché quella benedetta ragazza, riguardo alla fuga, aveva un cuor d'asino e un cuor di leone, secondo i momenti e le piccole circostanze. E Nino le andava dietro da una chiesa all'altra, facendo le viste di visitare i santi Sepolcri. E più tardi, durante la processione del Cristo alla Colonna, si strizzava rabbiosamente le mani e si mordeva le labbra, per quella malombra di Saro Barreca, che, assieme con Pizzuto, ora seguiva, ora precedeva le Ledda. Poi Nino pensava che, tra due giorni, Maria sarebbe scappata di casa con lui, e si rasserenava, e faceva l'indifferente. Quando Saro apprese che la campanella di Pasqua era toccata al suo rivale, andò a prendersela col Parroco, minacciando, bestemmiando nella sacrestia, quasi si trovasse in una taverna. Il Parroco, ch'era un omone, lo aveva preso per le spalle e messo fuori dell'uscio, ripetendo: - Nella mia chiesa faccio quel che mi pare! In quei giorni, Maria Ledda sembrava una mosca senza capo. Si aggirava per la casa, cominciava una faccenda, smetteva, ne principiava un'altra, e rimaneva come incantata, con le braccia ciondoloni, guardando per aria. - Che hai? - le domandava la sorella. Rispondeva con una spallucciata; e se ne andava su la terrazza, quasi nelle stanze sentisse mancarsi il respiro. Ormai aveva detto di sì! Ma che sarebbe avvenuto dopo? Le pareva che non dovesse più rivedere la casa dove era nata e cresciuta; la sua cameretta imbiancata a calce, coi santi appiccicati al cappezzale, la candela della Candelora e la piletta di terraglia per l'acqua benedetta. Nel vuoto del muro, riparato con una vecchia coltre, stavano appesi i vestiti, e giù, su una tavoletta, le scarpe, gli stivaletti, assieme con un cofanetto di paglia, a colori, ripieno di sete, di aghi, di scampoli, di fettucce, di cordelle, e tra essi, un paio di forbicine. La cassa, tinta di verde, a piè del letto, con la biancheria sua particolare, due scialli, uno nero e l'altro di seta gialliccia, per l'estate, fazzoletti, calze, nascondeva, sotto sotto, i regalucci di Nino, che non poteva mostrare ai parenti: due anelli e una collana di corallo. Maria, tirava da parte la coltre e rimaneva a guardare i vestiti, rivoltati, appesi ai chiodi; apriva la cassa verde, metteva sossopra la biancheria, gli scialli, e tastava la carta dov'erano involtati gli anelli e collana. - Non ti prepari, per la visita ai santi Sepolcri e per la processione? C'è, di là, la gnà Vicenza Vicenzache si accompagnerà con noi. Che stai a rimestare? - venne a dire Rica. Rica.- Su, lagnusazza! (1). Io che sono vecchia sono già pronta. E la gnà Vicenza entrata nella cameretta, appena si vide sola con Maria, la rimproverò: - Dovresti, anzi, mostrarti più allegra degli altri giorni! Infine, non vai alla morte. Quel poveretto smania, non vede l'ora. Passerà due volte (1) Lagnusazza, Pigrona. con la banda e la campanella; alla terza volta sarà solo, mentre gli altri mangeranno il montone al forno e si ubbriacheranno nella taverna di Scatà. Un vestito, due camicie, due paia di calze.... Butterai l'involto dalla finestra... e scenderai le scale!... Se non fosse pel buon fine.... Figurati, figliola mia, se penso a dannarmi l'anima! Allegra! Coraggio!... Vuoi che ti pettini io? - Farò più presto da me! - rispose Maria. E aveva il pianto nella voce, e le lacrime che le gonfiavano gli occhi! - Non farti scorgere!... Allegra! Di là si sentiva la parola grave e lenta di massaio Ledda: - Io devo tenere le maniglie della barella del Cristo alla Colonna. È devozione di famiglia: da padre in figlio. Voialtre spicciatevi. Appunto quella sera Maria, che avrebbe voluto vedere il padre alle maniglie della barella del Cristo alla Colonna, dovette voltarsi dall'altra par-te, irritata dalla sfacciata insistenza con cui Saro Barreca la guardava, quasi avesse qualche diritto di perseguitarla in quel modo. E mentre il Cristo, tutto piagato, legato da un cordone dorato alla colonna di argento, con le mani dietro la schiena, barcollava sulla barella, in mezzo alle torce accese davanti alla raggiera che lo circondava, la gnà Vicenza stringendo una mano di Maria, pregava in modo che questa la udisse: - Signore Gesù, aiutate le anime in pena che si rivolgono a voi! Date ad esse forza e coraggio per quel che devono fare; così, con la vostra divina grazia, potranno servirvi santamente in questa vita e glorificarvi, dopo morte, nell'altra! Nino era in grandi faccende per via della cena nella taverna di Scatà. Dalle due di notte - allora si contava cosi - fino alla mezzanotte, la banda andava dietro a colui che sonava la campanella di San Giovanni, con gran rumore di tamburo, di gran cassa e di piatti. Poi fatto onore al montone al forno - pietanza tradizionale in quella occasione - veniva ripresa la passeggiata per le vie, dietro il 'Ntio! 'Ntio! della campanella, con rinforzo di passi doppi, allegramente stuonati??? e grida degli sfaccendati che li seguivano: - Viva la Misericordia di Dio! Nino voleva fare le cose alla grande. Lo zi' Scatà, il tavernaio, in maniche di camicia, con le mani incrociate sul pancione, proponeva: - E se cuocessimo due fili di maccheroni? - No, si andrebbe troppo per le lunghe. - Anzi! Il sugo li fa scivolare giù per la gola meglio di ogni altra cosa. - Vada pei maccheroni! - Vino di Vittoria, arrivato fresco fresco! - E senza battezzarlo, mi raccomando. - Lo zi' Scafa è cristiano, ma il vino lo vuole turco... - Per sé. Ma per gli altri? - E càlia e fave arrostite a disposizione dei bevitori. - Tutto pronto per la mezzanotte. - Non è la prima volta, compare Nino... Io scusate il consiglio - aggiungerei le cassatelle di ricotta col miele. Mia moglie, che è stata nel Monastero, le prepara meglio delle monache... - Non mi dispiacciono, zi' Scatà! Voleva farsi onore. Voleva che, ogni anno, si ricordassero della cena di Nino Sbrizza, quando scappò con la Ledda, la notte del Sabato Santo. E mentre dava gli ordini, gli pareva che Maria fosse presente e l'approvasse, perché la campanella di San Giovanni, e il montone al forno, e i maccheroni e le cassatelle di ricotta col miele, erano in onore di lei, una festa di amore! Glielo ripetè la notte appresso: - Una festa di amore per te!..... Hai tutto pronto? - Ah, Nino! Che mi fai fare! - Ti sei pentita? Non mi vuoi bene? - Ti avrei detto di no, come da principio. Penso a mio padre. Non mi perdonerà! - Fra due mesi, saremo marito e moglie! Non devi pensare ad altro! - Rica forse sospetta qualcosa. Mi ha detto: quella gnà Vicenza! Certe vecchie portano alla perdizione! - Per chi mi hai presa? - le risposi. - Poveretta! Vorrebbe un paio di scarpe vecchie! - È la nostra Provvidenza! Le regaleremo un vestito nuovo. Se lo merita. Hai capito bene? Passerò due volte con la campanella e la banda. Poi li lascerò a ubriacarsi da Scatà. Due soli 'Ntio! 'Ntio!'Ntio! da sentirsi appena; butterai il fagotto giù dalla finestra, io sarò davanti alla porta.... - Zitto!... Mi è parso.... Maria accostò l'imposta; Nino si addossò al muro. Nella fitta oscurità e nel silenzio egli sentiva il battito accelerato del cuore. Maria riaperse lentamente l'imposta. Nino, con un salto, fu sul pezzo d'intaglio che gli serviva da piedistallo proprio sotto la finestra. - Sii pronta, per carità! - Sì, sì! Buona notte! - Buona notte. E Nino si avviò, zufolando, verso casa, strofinandosi le mani dall'allegrezza perché quello era l'ultimo loro colloquio notturno! La festa dell'Inchinata, dalla notte del Sabato Santo alla mattina della Domenica di Pasqua, poteva dirsi una specie di rappresentazione, di Mistero Sacro, dove facevano da personaggi la campanella di San Giovanni, la Madonna avviluppata col manto di lustrino nero, e il Cristo Risorto, col braccio destro levato in alto, il pennone tramato d'oro, attaccato all'asta, nel pugno sinistro. Per ciò ogni anno don Giuseppe il sacrestano ripeteva le istruzioni a colui che doveva fare da San Giovanni, e ai quattro giovani massai che regalavano due tumoli di frumento ciascuno per portare a spalla la leggera barella della Madonna col manto. - Nella nottata, è niente. 'Ntio! 'Ntiò! per le vie; ma, domenica mattina, quando vien la Madonna in cerca del Signore Resuscitato e va ad attendere nella chiesetta di San Rocco, voi, figliuolo caro, dovete correre su e giù, tra le due ale di confratelli schierati in piazza; andare come uno sperduto che non sa più dove dar la testa; sempre più lesto, sempre più lesto, perché vorreste consolare la Madonna: Finalmente! L'ho trovato! Intanto il Signore Resuscitato vien portato nella Piazza, con la testa alta, con quegli occhi da spiritato che mettono paura... E appena voi lo vedete, un bell'inchino con la campanella e con tutta la persona e, addietro, di corsa. 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio! Voialtri, con la barella della Madonna, accorrerete alla notizia, a precipizio; io tiro il laccio che fa andar giù il manto e.... tre volte avanti, tre volte indietro, tre inchini tra Madre e Figlio. Poi si fermano l'uno di faccia all'altro, fino a che non arriva il clero col Santissimo Sacramento, e non si avvia la processione, la Madonna innanzi, il Signore Resuscitato dietro, e San Giovanni con la campanella 'Ntio! 'Ntio! quasi per invitare a gridare: Viva! Viva! Viva!Non c'era bisogno di queste istruzioni; ma don Giuseppe avrebbe creduto diminuita la sua autorità se non avesse riuniti nella sacrestia Nino Sbrizza e gli altri quattro giovani massai. Il suo zelo, però, non era proprio disinteressato. Nino infatti gli disse: - Verrete a prendere un boccone assieme coi bandisti, da Scatà, domani notte. E gli altri: - Scusate, don Giuseppe. Bevete un bicchiere di vino alla nostra salute. Don Giuseppe stese la mano e intascò, senza fiatare, quel pugno di soldi. - Sissignore! Col camice da confratello! E Nino, al lume del mozzicone di torcia accesa da don Giuseppe su un piccolo candelabro della sacrestia, indossava il camice e la mantellina rossa; ma sopra di esso infilava il giubbone di panno, sfoderato di lana verde, col cappuccio, per garantirsi dal freddo di quella nottata di marzo, che era proprio di quello che penetra fin il corno del bue! bue!Appena l'orologio della chiesa finì di sonare i cento colpi - din-don - delle due ore di notte.... Nino si mise alla testa della banda, tirando il laccio che pendeva dal manico della campanella infiorata. 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio!Si udiva per le vie il grande scalpito degli scarponi dei contadini che seguivano la banda, e il picchiare dei loro bastoni sul selciato quasi per battere la solfa. E, di tratto in tratto, le grida: - Viva la Misericordia di Dio! Maria aveva dovuto fingere di andare a letto dopo che la campanella era passata per la via, tornando indietro. Tendeva l'orecchio per convincersi che il padre e la sorella fossero nel primo sonno; e non osava di accendere il lume, di mettere i piedi a terra, con le sole calze, per non fare il minimo rumore. Nel gran silenzio della notte, le arrivava, ora sì, ora no, il lontano 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio!della campanella, la voce di Nino, le pareva, che si raccomandava: Tienti pronta! Tra un'ora sarò costì! Tra un'ora! Oh, per amore di lui si sarebbe buttata viva nel fuoco. Ma quella fuga diventava per lei qualcosa di peggio. Lei stessa aveva terrore che, all'ultimo momento, non le venissero meno la forza e il coraggio.... Ed ecco - mettevano i brividi, quasi lanciassero per l'aria un malaugurio - ecco i cento colpi dell' orologio - din-don - che suonavano la mezzanotte dal campanile della Matrice. Arrivavano da lontano, fiochi, lenti... non finivano più. Tra mezz'ora, tra un quarto d'ora. Nino avrebbe lasciato gli altri nella taverna di Scatà.... L'avrebbe condotta da una parente di lui, e sarebbe tornato a riprendere il giro con la campanella e la banda, fino all'alba, come se niente fosse stato!! Nella casa e nella via silenzio profondo. Acceso il lume, preparò il fagottino, infilò le scarpe, si buttò addosso lo scialle, e si sedette accosto alla finestra socchiusa, soffocando i singhiozzi con un fazzoletto, col cuore in tumulto, trasalendo a ogni piccolo rumore. Udì lievi passi sotto la finestra. Spense il lume, aprì metà dell'imposta, e tossì leggermente. Le fu risposto allo stesso modo. - Tieni! Scendo! Il fagotto non era caduto per terra. L'imposta fu socchiusa, il lume riacceso; e due minuti appresso per la via dove ancora non erano lampioni, nella fitta oscurità della notte, risuonarono i passi dei fuggitivi.... Immediatamente, allo svolto della cantonata un gran grido di donna che chiamava: Aiuto! Aiuto! Poi, niente. Pietro Chitella, inteso Lasagna, si era precipitato nella taverna di Scatà come, se fosse stato inseguito, pallido, con la voce strozzata nella gola: - Hanno ammazzato... qualcuno! - Dove? - Lassù... Vicino a casa mia. Un grido: Aiuto! Aiuto! - È il vino di Pasqua! Eh? - disse lo zi' Scatà che non voleva disturbata la festa. Il brigadiere dei carabinieri però ordinò di preparare le lanterne e con due militi e parecchi della banda che volevano vedere il morto - Torniamo subito! - si affrettarono dietro a Lasagna che ripeteva, senza andar oltre nella narrazione: - Volevo accendere la pipa dopo di aver chiuso la porta... Erano tre, quattro alla svolta della cantonata.... Andavano di fretta, si capiva dal rumore dei passi.... E tutt'a un tratto: Aiuto! Aiuto!... Lasciai di accendere la pipa... Mi parve voce di donna! Nino era rimasto inchiodato su la seggiola, sbalordito dal contrattempo. - Quel Lasagna! È il vino di Pasqua!... Allegria, signori miei!... Lo zi' Scatà andava da un punto all'altro della tavola per rianimare la festa; ma pure quelli che eran rimasti là si sentivano impressionati dalle parole di Lasagna. Lasagna.- Anche voi, compare Nino. Dove volete andare? Nino, che si era tolto la mantellina rossa e il camice da confratello, s'infilava in fretta in fretta il giubbone di panno, e scappava via, senza rispondere una parola, quasi uno gli avesse sussurrato all'orecchio... non capiva che cosa, ma una cosa trista assai... E a mezza strada, incontrò il brigadiere e gli altri che tornavano addietro ridendo: - Niente! Niente! Una ragazza rapita, pare. Sentiremo domani! Lo avevano visto sparire nel buio, e lo attesero invano da Scatà. Don Giuseppe il sacrestano, all'ultimo, prese lui la campanella e uscì per le vie, seguito dalla banda: 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio!Nino intanto, come un cane da fiuto, andava; gli pareva di seguire una traccia, dopo che aveva trovato aperta la porta di massaio Ledda e Maria non aveva risposto alla chiamata nel vicolo. - Com'è stato? Com'è stato? Si fermava, origliava, riprendeva a correre all'impazzata. E l'alba lo trovò seduto a pie' di un ballatoio, in una straducola, coi gomiti su le ginocchia, con la testa tra le mani, quasi rantolando: - Scellerata! Scellerata! Due giorni dopo, Pizzuto si presentava al brigadiere: - Creda, creda, signor brigadiere! È stato per caso. Chi ne sapeva niente? Io avevo detto a Saro Barreca: - Vuoi scommettere che Nino Sbrizza penserà di far assaggiare alla Ledda le cassatelle con la ricotta preparate da Scatà? - E andammo ad appostarci in fondo al vicolo, per mettergli paura e portargli via almeno le cassatelle... Fu così, signor brigadiere!.... Chi ne sapeva niente? Ora, però, bisogna accomodare la faccenda. La picciotta dice ancora di no! Ma, capisce? Saro, che n'era inmamorato pazzo... Capisce?... Non è giovane per nulla... Vedrà. Si aggiusterà ogni cosa. Venga con me. Intanto bisogna tener d'occhio Nino Sbrizza, che non vuol credere al caso e minaccia di ammazzare, di squartare!!... Dovette crederci, povero Nino, quando seppe che la sua Maria, non potendo sopportare la triste fatalità e la violenza patita, si era conficcata nella gola un paio di forbici, ed era morta proprio mentre Pizzuto diceva al brigadiere: - Venga! Si aggiusterà ogni cosa! Saro è pronto!....

LE NOVELLE DELLA NONNA. Fiabe fantastiche

679076
Perodi, Emma 1 occorrenze
  • 1992
  • Newton Compton Editori s.r.l.
  • prosa letteraria
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All'autunno era succeduto l'inverno crudissimo; e la povera contessa Laura, desolata della scomparsa di Chiara, e afflitta, vedendo che la gente intorno a lei languiva di fame e soffriva il freddo, temeva da un momento all'altro che la più orribile delle sventure si abbattesse sulla sua famiglia e che il conte Guido s'impossessasse di Fronzola. È vero che il marito e il figlio, giovinetto, davano l'esempio della più energica resistenza e dividevano le privazioni degli assediati; ma la fame é cattiva consigliera, e il grano era esaurito, esaurite le provviste di carne, e i soldati si stimavano felici quando potevano mettere in pentola qualche civetta o qualche corvo, scovati nei merli del castello. L'assedio, nonostante la carestia, si protraeva ancora. I cavalli erano stati uccisi, uccisi i muli, e non restava agli assediati che una scarsa razione di fagioli per otto giorni ancora, quando una sera Chiara, che dalla Grotta del Serpente aveva assistito alle vicende dell'assedio, si presentò nella casetta dalla quale il conte Guido dirigeva le operazioni della guerra, e chiese di essere ammessa alla presenza del signore. - Che vuoi? - le domandò bruscamente il signore di Poppi. - Messere, - rispose ella, - io sono una infelice immensamente beneficata dal conte e dalla contessa di Fronzola. So che la difesa è ormai inutile e che essi debbono arrendersi o morire. Concedetemi di penetrare nella rôcca e di morire insieme con i miei benefattori. La soave espressione del volto di Chiara, la voce dolcissima di lei, e più di tutto la nobiltà dei sentimenti che ella esprimeva, commossero il conte Guido, il quale ordinò ai suoi valletti di sventolare bandiera bianca per chiedere di parlamentare. Fu abbassato il ponte levatoio e un drappello di assediati, pallidi e macilenti, si avanzò verso i valletti del signore di Poppi, i quali consegnarono ai fronzolesi la bionda fanciulla. Il ponte levatoio fu rialzato, e Chiara venne condotta nella sala d'armi, dove passeggiava inquieto e turbato il conte di Fronzola. - Che vieni a far qui? - le domandò il signore. - Vengo a portarvi la salvezza, se la rôcca può resistere ancora. - Non far nascere nel mio cuore vane speranze, - disse il Conte. - La fame c'incalza e fra breve non avremo più forza di resistere. - Questa forza, signore, ve la saprò procurare io con l'aiuto della Vergine Santissima. Destinatemi un luogo ove io possa esser al coperto dalla curiosità, e ad ogni ora venite a prendere quanto può occorrervi di vettovaglie. Il conte di Fronzola aveva poca fiducia in Chiara e credeva che ella macchinasse un tranello per vendicarsi di essere stata espulsa dal castello; ma, ridotto a quei ferri, credé obbligo suo di non respingere l'aiuto che ella gli offriva. Tuttavia, a fine d'impedirle di nuocere agli assediati, la rinchiuse in una stanza attigua alla sala, che prendeva luce dalla vôlta, e si allontanò. Dopo un'ora il Conte andò ad aprire e fu molto meravigliato di vedere la stanza, che prima era vuota, essere ora piena di mucchi di farina, di cacciagione e di agnelli scannati. - Con quali arti ti sei procurata tutto questo ben di Dio? - domandò. - Con l'aiuto della Vergine Santissima, come mi procuravo tutto quello che dispensavo ai poveri del contado. Il signore riprese coraggio e ordinò subito che fosse fatto il pane e arrostita tutta la carne, che dispensò ai difensori. Intanto la stanza ove stava Chiara si riempiva sempre, ora di vino, ora di carbone, ora di sassi per lanciare sugli assedianti, e la rôcca resisteva validamente agli attacchi del conte Guido, il quale, dopo lunghi mesi d'assedio, stanco alla fine di tanta resistenza, tornò a Poppi insieme con i suoi, e Fronzola riprese a fronzolore con grande molestia di lui. Figuriamoci se, dopo quel fatto, Chiara si ebbe ringraziamenti dal conte e dalla contessa Tarlati! La chiamarono col nome di "liberatrice", e se fosse stata figlia loro, non avrebbero potuto amarla di più. Anzi, per non separarsi mai più da lei, le offrirono di sposare il loro Guglielmo. Le nozze furono celebrate con molta pompa, e quel giorno, quando Chiara cinse il grembiule, la Madonna glielo fece trovar pieno di pietre preziose, degne di una regina di corona. Così non entrò povera nella famiglia dei conti Tarlati, di cui fu la benedizione, poiché col grembiule miracoloso non solo sollevò tutti i miseri del contado, ma assicurò ai conti di Fronzola la ricchezza. Disgraziatamente, quando ella era già vecchia, un incendio distrusse le stanze di madonna Chiara e anche le vesti di lei, nonché il grembiule miracoloso, che era stato la salvezza del castello. Questo, dopo la morte di madonna Chiara, cadde in potere del conte Simone di Poppi, che lo prese con l'aiuto de' fiorentini. Il Conte ne rese grandi grazie al comune di Firenze, e andando egli in quella città vi mandò la campana di Fronzola in segno di ricordanza. - Oh, se l'avessi io pure un grembiule come quello! - esclamò l'Annina. - Che ne faresti? - domandò la nonna. - Vorrei farvi stare bene tutti e empir la casa di tanta roba che non si potesse finire per anni e anni. Me lo rammento, sapete, quando càpitano gli anni cattivi, quando le raccolte vanno male, quando il babbo si arrabbia e soffre e voi vi affliggete. - Bambina mia, tutto non è sempre sereno nella vita, e i giorni tristi sono più frequenti di quelli lieti; ma quando si lavora e si cerca, nell'adempimento del proprio dovere, il coraggio per resistere alle avversità, si finisce per vincere l'avversa fortuna. Il grembiule miracoloso sarebbe una bella cosa, ma noi dobbiamo invece affidarci al lavoro, nient'altro che al lavoro. La terra è il nostro grembiule miracoloso; le affidiamo un chicco di grano e ci rende una spiga granita. - Le vostre parole sono d'oro, mamma! - esclamò Cecco facendosele accosto, - e se i vostri nipoti le ricorderanno, sapranno certamente trionfare sempre in ogni avversità. - Per quest'anno, - disse Maso che era un po' superstizioso come molti contadini, e non sentiva parlar volentieri di disgrazie, - se Dio vuole, la raccolta promette bene. Già siamo alla porta co' sassi, e se non si scatena qualche diavolo contro di noi, potremo contarlo fra gli anni migliori. - Ma anche se fosse cattivo, - ribatté la vecchia, - voi trovereste la forza di lottare contro l'avversità. Avete fortuna di volervi bene, di star d'accordo, e l'unione nella famiglia è già una forza. Le famiglie disunite sono quelle che vanno in perdizione. Vi rammentate dei Ducci? Avevano un podere che era una fattoria, braccia robuste per lavorarlo; ebbene! Non andavan d'accordo, ognuno tirava l'acqua al suo mulino, e ora son tanti pezzenti. - A proposito, nonna, - disse l'Annina, - m'ero scordata di dirvi che oggi, su a Camaldoli, abbiamo visto il capoccia dei Ducci, il cieco, guidato dal nipotino. - L'avete incontrato lassù? E che faceva? - domandò la Regina. - È venuto dall'ispettore Carli a chiedere l'elemosina. Aveva il bussolotto di stagno in mano, proprio come gli accattoni di professione. - E i figliuoli lo lasciano andare a chieder la carità? - domandò commossa la Regina. - I figliuoli sono ora tutti sparsi per il mondo; - rispose Maso, - i nipoti si sono allogati per garzoni nei poderi, e se il capoccia mangia, è in grazia della gente caritatevole, se no sarebbe morto di fame, lui e quel piccinuccio che gli hanno lasciato. - Se lo aveste conosciuto, quel capoccia, una trentina d'anni fa, - riprese a dire la vecchia, - sareste anche più meravigliati di vederlo elemosinare. Pareva il padrone di questi posti. Non c'era fiera, non c'era mercato, non c'era festa dove non si recasse, guidando un cavallo che andava come il vento; e spadroneggiava, dava consigli, s'intrometteva nelle contese fra contadini, insomma era per tutto, sapeva tutto, pagava da bere e da fumare a quanti gli si accostavano. Intanto i figliuoli, seguendo le sue orme, trascuravano il podere, e la povera massaia se ne stava a casa a piangere e a disperarsi. È morta di dolore, quella infelice; poi, sparita lei, che lavorava, tutti sono andati in rovina, e quel che è peggio, hanno preso a odiarsi scambievolmente. I figli accusavano il padre, questi accusava loro, e adesso tutti soffrono. Brutta fine hanno fatto, ma il loro esempio è stato giovevole a molti, e ora, quando si vede fratello questionar con fratello o padre con figli, si dice: "Faranno come i Ducci". I bimbi avevano ascoltato con il solito religioso silenzio le parole della nonna, e Gigino, per mostrarle che ne aveva capito il significato, tirò per la manica l'Annina, che gli era seduta accanto, e le disse: - Io ti voglio tanto bene! Quella scappata del Rossino fece rider tutti, e l'ilarità dileguò nell'animo dei bimbi il ricordo delle meritate sventure della famiglia Ducci.

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