Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbatterli

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Racconti 3

662739
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1905
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Per abbatterli occorrono forza ... e destrezza sopra tutto; ma questa non è da giovani come voi. Girarvi attorno o voltar strada è un altro mio metodo; me ne sono trovato bene finora tutte le volte che l'ho adoprato. Io vorrei darvi in imprestito la mia esperienza. Sventuratamente l'esperienza altrui non serve a nulla. Ognuno si figura di poter riuscire là dove altri ha fatto fiasco. Per questo noi vediamo ripetersi gli sbagli degli altri nella vita degli individui e delle nazioni, che sono, secondo me, individui piú grandi e piú complicati. Lasciate dire ai filosofi che la storia sia la maestra della vita. La storia è una bella fiaba che diverte la gente adulta, come le fiabe delle balie i bambini. Da migliaia e migliaia di anni, individui e nazioni commettiamo costantemente gli stessi errori, riproduciamo le stesse sciocchezze e perdureremo fino alla fine dei secoli in questo stupido divertimento. - Ma, dunque? ... - Ma dunque, caro mio, fate una sdegnosa scrollatina di spalle e mettetevi il cuore in pace. Capisco: consigliare è cosa comoda quando non ci troviamo nella situazione di chi ci chiede aiuti piú che consigli. Io, prima di farvi questo po' di sermone ho tentato di giovarvi con le mani e coi piedi, come suol dirsi. Mi dispiace di dovervi annunziare che ho fatto un buco nell'acqua. Lo prevedevo, quantunque in diverso modo. E aggiungo un'altra cosa. Se il mondo andasse «come dovrebbe andare» sarebbe estremamente noioso. Vi assicuro che esso è bello e interessante perché va a casaccio, perché ci offre lo spettacolo dell'impreveduto e dell'imprevedibile. Senza dubbio, chi non si attende un tegolo tra capo e collo e se lo sente piombare addosso non può esser contento della sua disgrazia. Spesso il tegolo non casca precisamente tra capo e collo, ma proprio sul capo e vi fa un buco e manda un povero diavolo all'altro mondo. Ma, per buona sorte, c'è tegolo e tegolo. Dicono (sarà poi vero?) che Tertulliano era una specie di cretino, e che divenne poi quel dotto turbolento padre della chiesa ed anche eretico, se non sbaglio, appunto per via di un tegolo cascatogli sul capo mentre gironzolava per non so qual via di città africana. Non vi garantisco la mia erudizione; ma se il fatto non è vero, è vero come apologo. Io ne ho ricevuti parecchi di cotesti tegoli, fortunatamente sempre tra capo e collo; ma sappiatelo, fanno male lo stesso, e bisogna ricorrere da un dottore per farsi curare la contusione o la ferita. Forse, prima di morire, me ne capiterà qualche altro ... Non si sa mai! Ora, tra tutti i tegoli possibili, l'amore è il peggio. E anche il piú ordinario, ma il piú pericoloso, perché noi lo scambiamo per quel che non è, e siamo felici di sentircelo capitare addosso quasi fosse una benedizione del cielo. Non si è mai visto un colpito da questo genere di tegolo che pensasse di andare a farsi curare. Voi immaginate che il vostro sia un caso eccezionale; ognuno crede cosí per tutte le vicende che gli capitano. È inconsapevole vanità; o, forse, istintivo artificio per interessar meglio la gente in nostro favore. «Cose che accadono soltanto a me!» Lo sentiamo ripetere a ogni po'. Eh, via! Se non inconsapevole vanità o istintivo artificio è certamente ignoranza di quel che è accaduto agli altri prima di noi. Quando siete venuto a raccontarmi il vostro «caso eccezionale», io non ho potuto frenarmi dal sorridervi in viso. Non ho riso per educazione, per non offendervi, per non farvi dispiacere. Chi non ha incontrato, almeno una volta in vita sua, la bella ragazza che gli ha fatto svampare improvvisamente il cuore? Chi non ha pensato ingenuamente: «O quel possesso o la morte?» E poi il possesso non è avvenuto, e la morte neppure. Si ammazzano soltanto gli innamorati che hanno fretta come voi. Se costoro non avessero avuto fretta sarebbero ancora, belli e sani e tranquilli, in vita, capaci d'innamorarsi allo stesso modo parecchie altre volte, ripetendo seriamente: «O quel possesso o la morte!» e non si accorgendo di essere supremamente ridicoli. Ma io divago; è un difetto di cui non riesco a correggermi. Vi tengo su la corda, povero giovane! Veniamo al fatto. Avrei potuto anticipare di un giorno la mia visita in casa Borrelli; non ho voluto. E sapete perché? Non ridete; perché quel giorno era venerdí! Va'! lo credo che certe cosí dette superstizioni debbano avere un fondo di verità, altrimenti non sarebbero cosí radicate nello spirito umano da resistere a tutti i tentativi della filosofia e della scienza per divellerli. Che ne sanno i signori filosofi, i signori scienziati di certe misteriose influenze delle forze della natura? Io ho un gran rispetto per la filosofia e per la scienza, rispetto di ignorante; e non soltanto per tutto quel che esse sanno o credono di sapere, ma per quel che non sanno e che sperano di sapere. Ho fiducia in loro, fiducia d'ignorante anch'essa, perché non ha nessuna plausibile ragione di dubitare di ciò che sfoggiano di sapere e che probabilmente sanno davvero. Quando io leggo un libro di filosofia (leggo tutto, non so come passare altrimenti il tempo, giacché mio padre ha avuto la previdenza di lasciarmi agiato se non ricco e l'amministrazione dei miei beni, regolata come un orologio, va quasi da sé); quando io leggo un libro di filosofia, rimango a bocca aperta, sbalordito. Con quella brava gente che cerca cosí attentamente il pel nell'uovo, che vede tante cose invisibili per noi grossolani, immersi nella materialità delle sensazioni immediate, io m'insuperbisco di essere uomo. La mia gratitudine per costoro non ha confine. Non m'importa se uno dice bianco e l'altro nero; se si danno vicendevolmente dell'asino a tutto spiano. Penso: qualcuno di essi avrà ragione! E non mi torturo il cervello per conoscere chi ha torto. Che cosa ci guadagnerei? Io non ho la bozza della filosofia. Leggo quei grossi volumi con lo stesso piacere con cui leggo un romanzo. Prendo talvolta delle accapacciature, quando le cose sono un po' difficili a capire; ma cosí ho passate due, tre ore, mezza giornata; è l'importante per me. Per gli scienziati, ve lo confesso, non ho la stessa ammirazione che pei filosofi. Dicono che vogliono restare nella bassa regione dei fatti positivi, non far salti nel buio: e intanto veggo che quei benedettissimi fatti oggi sono una cosa, domani un'altra, anche per loro. Oggi ne cavano fuori una legge; e domani, che è che non è, buttano via quella legge perché ne hanno intravisto una nuova, la vera. Vera provvisoriamente, giacché neppur con gli scienziati si è mai sicuri di niente ... E mentre i sistemi dei filosofi si smentiscono uno dietro l'altro, le famose leggi degli scienziati, tratte da fatti positivi, si smentiscono piú allegramente. Non me n'importa un corno; io leggo le loro opere per divertirmi e passare il tempo; non ho, piú che la filosofica, la bozza scientifica, dato che queste bozze esistano davvero. E quando veggo che certe cosí dette superstizioni tengono duro piú che tutti i «sistemi» e tutte le «leggi», rifletto che debbono contenere proprio qualche verità indiscutibile, superiore a tutte le altre proclamate dai filosofi e dagli scienziati. E per ciò non ho vergogna di credere, come la piú umile femminuccia, che il venerdí sia giorno nefasto, e che non bisogna intraprender niente di nuovo in quel giorno, se si vuole riuscire. Lo so, ci sono tante cose che non riescono anche se fatte in altri giorni della settimana; ma queste non riescono perché non possono riuscire per natura loro, per circostanze invincibili. Il venerdí non riescono le cose piú facili: ecco la differenza! Dovevo darvi questa dilucidazione del mio ritardo di un giorno; non ho divagato. Sono dunque andato in casa Borrelli sabato mattina, alle undici precise. Era la prima volta che mi mescolavo di un affare come il vostro, delicatissimo e che per voi era, secondo la vostra espressione, «la vita o la morte». Se avessi preso sul serio questo aut, aut, avrei rinunziato alla mia imbasciata, assalito da anticipati rimorsi. La «vita» significava condurre a buon porto l'affare; la «morte ... » O che si scherza, con simile responsabilità? E se mi fossi sbadatamente avviato, sarei tornato addietro appena arrivato davanti al portone. Invece ho salito le scale, ho sonato il campanello e poco dopo mi son trovato faccia a faccia col signor Borrelli che non rivedevo da un pezzo. «Oh! Lei!» «Già! Io!» «Qual buon vento?» «Scirocco» risposi scherzando. Trattandosi di cose di amore non potevo citare altro vento. È inutile riferirvi parola per parola la nostra conversazione. Senza falsa modestia, vi dirò sinceramente che sono stato abilissimo nell'introdurre il discorso, eloquentissimo nel perorare la vostra causa. In prima istanza, come dicono gli avvocati, la causa, dopo tre quarti d'ora, era vinta! Il babbo acconsentiva. «Bisogna però interrogare la parte interessata - disse il signor Borrelli. E soggiunse sornionamente: - Forse è una superfluità, una mera cerimonia. Questi benedetti ragazzi manipolano i loro pasticci tra loro e ci chiamano soltanto quando è l'ora di infornarli!» L'immagine non era eletta. A voi sarebbe parsa una profanazione. Pasticcio l'amore! Oh! Oh! Eppure, secondo me, quel bravo signor Borrelli che non è una cima, che non vede una spanna piú in là dei libri maestri del suo negozio di seteria (e fa bene, benissimo attaccandosi al sodo, diciamolo di passaggio, in parentesi) eppure quel bravo signor Borrelli non aveva detto una sciocchezza. Gran pasticcioni gli innamorati! Quando ripenso i pasticci da me manipolati in gioventù (ne ho fatti anch'io, parecchi; sono uomo come gli altri, ma per fortuna, non sono mai arrivato a infornarne uno solo, e li ho visti tutti muffire e andar a male crudi) quando penso ai miei pasticci di anni e anni fa - ho sessantanove anni, se non lo sapete, amico mio - mi vien la voglia di darmi degli schiaffi ora ... o per lo meno di darmi venti volte - e forse è poco - dell'imbecille! Troppo tardi! Poi rifletto. E per ciò mi limito a ringraziare la natura, il destino, Domineddio, colui insomma che dispone le cose di questo mondo come gli pare e piace ... della grazia speciale concessami - giacché è stata una vera grazia ... Ve l'assicuro! Scusate quest'altra piccola digressione. Era giusto spiegarvi perché lasciai correre quella parola, a parer vostro - indovino? - profanatrice dell'amore! Risi, anzi applaudii ... E la parte interessata fu convenuta in giudizio, per continuare la metafora curialesca. Devo dirvelo? La mia impressione, appena la signorina entrò in salotto, non fu gradevole. L'avevo vista bambina, non la ricordavo piú; e trovai che il ritratto da voi fattomene era troppo adulato. Capelli d'oro quelli? No, no, caro amico, ma di un rosso stridente urtantissimo. Ricordai che quel grand'uomo di Leonardo da Vinci avea dato a Giuda capelli rossi precisamente come quelli della vostra signorina e mi sentii stringere il cuore. Qui permettetemi di essere spietato, per carità umana, amico mio! «Parli lei» mi disse il signor Borrelli. «No, tocca a lei» risposi io. La signorina intanto faceva un viso arcigno, come chi si attenda qualche insidia e si metta in difesa. Parlò il signor Borrelli, seriamente, dignitosamente, affettuosamente, e non aggiungo un altro avverbio perché mi pare che, secondo i precetti del bello scrivere e quindi del bel parlare, non se ne possano mettere piú di tre in fila. Coraggio, amico caro; siete sul punto di ricevere un colpo inaspettato, un violentissimo colpo ... Andando, io prevedevo che le difficoltà sarebbero provenute da parte del babbo. I babbi ordinariamente la pensano tutt'all'opposto dei loro figli o figliuole; non vogliono mai ricordarsi che sono stati giovani anch'essi, che hanno avuto accecamenti, passioni irragionevoli, e che per ciò dovrebbero essere piú arrendevoli, piú facili al compatimento. Ebbene ... M'ero ingannato. «Ma, dunque? ... » insistete voi. La signorina non lasciò che il suo babbo finisse di parlare; scoppiò in una gran risata: «Ah! Si tratta di quell'imbecille che mi segue dovunque? Ma è pazzo! ... » Ecco che cosa vuol dire aver fretta! Tenetelo bene a mente, amico mio: «Non bisogna aver mai fretta in nulla, specialmente in amore.» E ringraziate Iddio che questo regolo vi sia cascato tra capo e collo ... Vi sono signorine che, pur pensando: «Ah! Si tratta di quell'imbecille? Ma è pazzo! ... » rispondono intanto di sí. E il cieco innamorato si accorge troppo tardi che, tra il possesso dell'oggetto amato e la morte, avrebbe fatto meglio a sceglier la morte senz'altro! E scusate se per dirvi questo poco ho chiacchierato forse ... troppo. Coraggio! Coraggio, amico mio! Mancano ragazze a questo mondo? Ce n'è, dice la statistica, tre e mezza per ogni omo! ... Non mi crede? Prendo il libro: ho segnato la pagina ... E ricercando il volume tra le carte che ingombravano la scrivania, il signor Girolamo continuava a dire: - Sissignore, tre e mezza per ogni omo! ... Lasciamo stare la mezza ... che fa onore alla precisione dei calcoli statistici ... Ma tre ... tre! ... Ma, voltandosi, si avvide che il povero giovane non era piú là.

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