Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbatterli

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

PROFUMO

662649
Capuana, Luigi 1 occorrenze

Impauriti dalle braccia tese in alto, dagli urli, dai richiami imitanti il pigolio per indurli a venir giù, e minacciati con la canna, sfuggivano da una sbarra all'altra strillando soccorso dal padre e dalla ma- dre che svolazzavano là attorno e crocidavano rabbiosamente, incuranti del pericolo del colpo di canna con cui il ragaz- zo cercava di abbatterli. Patrizio si sentiva ridiventato bambino. Se si fosse trovato laggiù, avrebbe preso parte a quella caccia, avrebbe tenta- to di arrampicarsi su pel muro mettendo i piedi nelle buche, come già faceva il maggiore dei ragazzi per raggiungere la breve altezza dell'inferriata; e quando i passerotti si decisero a prendere il volo e caddero per terra, gli parve proprio di dare spinte e urtoni, e urlare e ridere assieme con tutta quella ragazzaglia che li inseguiva; e alla fine, alzare il braccio vittoriosamente, come i due fortunati che avevano ghermito la preda. Tutt'a un tratto, una voce interna lo richiamò alla realtà e lo fece impallidire: "Tu mi dimentichi! Ingrato! Tu non mi vuoi più bene!" E si voltò, quasi il rimprovero gli arrivasse affievolito, a traverso l'uscio di quella camera che poco avanti egli non aveva aperto. "Buon giorno" disse Ruggero, entrando in quel momento. Appunto quella mattina, Eugenia era rimasta insolitamente a letto fino alle dieci. Da più giorni viveva agitatissima, col presentimento di un prossimo attacco del suo male che ella sentiva già ride- starsi, forse più violento di prima. Era avvinta da un greve torpore, da una stanchezza di tutte le membra, quasi per fati- che superiori alle proprie forze. I zufoli agli orecchi si ripetevano a intervalli sempre più vicini; l'aridità della gola, l'in- durimento alla punta della lingua apparivano e sparivano durante la giornata, sintomi precursori. Ella li riconosceva be- nissimo e ne sapeva la ragione; per ciò non osava parlarne al dottor Mola. Ahimè, il triduo alla Madonna dello Spasimo non era giovato a niente! Aveva fatto peggio anzi; le fiamme delle tor- ce, il suono dell'organo, i canti, la solennità delle funzioni religiose, la voce del predicatore, le mura stesse della chiesa erano serviti soltanto ad accrescere il fuoco che le divampava nel petto. Dall'ultimo giorno del triduo, aveva evitato d'incontrarsi con Ruggero. Inutile precauzione! L'immagine di lui le era rimasta fissata negli occhi quale lo aveva veduto in quei tre giorni, appoggiato al pilastro della cappella, di faccia a lei, divorandosela con lunghi sguardi da cui s'era sentita penetrare e invadere, quantunque, appena accortasene, si fosse im- posta di non guardarlo più. Nella terribile lotta interna tra il cuore e la volontà, i suoi nervi si esasperavano, si esaltavano. "No, non voglio, no!" Non aveva teso per questo le povere braccia alla Madonna? La Madonna intanto era rimasta sorda al grido d'ango- scia scoppiatole dalle labbra a piè dell'altare, appello, preghiera e confessione insieme. L'aveva abbandonata! L'aveva abbandonata! E, sotto la coperta, ficcava le mani tra i capelli, stringeva forte forte la testa per comprimervi e impedirvi quel rime- scolio di pensieri, di immagini, di ricordi; quella tempesta di risoluzioni contraddittorie, di pretesti, di scuse; quelle in- termittenze della volontà che la impaurivano più di tutto ... Non era sicura di sè. Nei sogni, in quei sogni interminabili, che riapparivano appena s'addormentava e l'agitavano, anche sveglia, come impressioni reali, ella cedeva, cedeva alle insistenze di Ruggero, gli veniva meno tra le braccia in luoghi strani: boschi, orride gole di rupi, grotte affumicate, dove enormi pipistrelli l'assalivano, sfiorandole la guancia con ali viscide, quasi a scancellarvi l'impressione dei baci! Oh, quei baci! La loro voluttuosa sensazione persisteva, tentatrice, insidiatrice, nella veglia, ed ella se ne irritava; si indignava di sorprendersi in taluni istanti della giornata, per involontario consenso, nella delizia di assaporare il contatto delle labbra sognate, che non avrebbe potuto essere più soave, più tiepido, più vivo, se fosse stato veramente quello del- le stesse labbra di Ruggero. Eppure, finora, non si era tradita nemmeno con lui! Era però mutata assai verso Patrizio. Sentiva uno sdegno sordo, una specie d'odio misto col disprezzo, al vederlo tranquillo, indifferente, incurante di lei, tutto della sua morta, della sua malaugurata morta, che non poteva, no, essere in Paradiso! Andata via col tossico nel cuore, contro di lei che non l'aveva offesa, proseguiva anche di là la sua opera in- fernale! Perciò ella si sentiva sconvolta, e gli orecchi le tintinnavano, le zufolavano, le davano sensazioni di scrosci di piog- gia; per ciò le saliva dai piedi alla testa quel formicolio dei nervi che ricominciavano a distendersi, a contorcersi, quasi a provarsi per nuovi accessi, come in quel momento. Avrebbe voluto piangere; non poteva. E nel portare le mani alla faccia, inaspettatamente sentì di nuovo, per la prima volta dopo tanti mesi, l'odor di zagara che riprendeva, percettibile appena. Scattò a sedere sul letto. Voltava e rivoltava le mani, annusandole, e spalancava gli occhi, pensando che ben presto anche Patrizio se ne sa- rebbe accorto. All'idea che tutti quei sintomi ora dovessero accusarla al cospetto di lui, rivelargli il colpevole affetto che la martoriava, si sentì agghiacciare. "E se in qualche accesso di convulsione mi sfugge un nome? ... E se faccio intendere, con scomposte parole di delirio, qualcosa di più grave di quel che non è accaduto?" Scivolò tra le lenzuola, abbattuta, prostrata, con le mani avviticchiate sul capo, e gli occhi fissi alla volta quasi in- gombra di nebbia nella semioscurità silenziosa. Le pareva che quell'odor di zagara emanasse sottile sottile da tutto il suo corpo, e invadesse la camera, impregnando talmente l'aria che ella se ne sentiva stordire, quasi soffocare. Il respiro le diventò affannoso, la vista le si offuscò e ne- gli orecchi tintinnii e zufolii s'avvicendarono con altri strani rumori che le intronavano il capo. Un sopore di sfinimento cominciò ad aggravarsele su le palpebre; strie luminose, iridate le tremolavano dentro gli occhi; l'odor di zagara conti- nuava a esalarsi sottile sottile, spossandola, togliendole ogni forza del corpo, annichilendo ogni movimento della sua volontà; e, poco dopo, ella rientrava senza accorgersene nel regno dei sogni: stretti, lunghissimi corridoi dove Ruggero la inseguiva; alte rocce sovrastanti da ogni lato e tra cui egli la raggiungeva, la stringeva fra le braccia, la copriva di ba- ci; nere grotte, dove gl'immancabili enormi pipistrelli agitavano le ali, atterrendola con quella sensazione di cosa fredda e viscida che le sfiorava la faccia. "Eugenia! Eugenia!" Non ancora ben desta, e mentre Patrizio tornava a chiamarla, vedeva sparire gli ultimi lembi del sogno quasi strac- ciato e disperso da un soffio improvviso. E quando si scosse, negli occhi tuttavia imbambolati le appariva il corruccio di essere stata svegliata in quel momento da lui. Patrizio, che s'era affacciato appena con la testa dall'uscio e rimaneva là aspettando una risposta, se ne avvide, ma non capì. "Ti senti male?" domandò. "No. Mi levo subito." "Fa presto. Vieni in salotto." "Che c'è di nuovo?" "Non turbarti ... Un biglietto del sindaco. Ahimè! Era da prevedersi!" "Insomma?" "Giulia ... è fuggita col Favi, la notte scorsa." "Oh, Dio!" esclamò Eugenia, balzando dal letto. Ah! Neppure alla povera Giulia il triduo alla Madonna era giovato. "Mi faranno fare una pazzia!" L'aveva detto più volte, e l'aveva fatta! Vestìtasi in fretta e in furia, coi capelli in disordine, senz'essersi lavata la faccia, finendo di agganciarsi il busto della veste, Eugenia s'era precipitata ansiosamente in salotto. Patrizio teneva in mano il biglietto del sindaco. "Ci prega di comunicare la notizia a Ruggero e di trattenerlo qui. Se ne sono accorti soltanto poco fa. La credevano in camera, a letto ... Teme che Ruggero possa fare scandali e dar da ridere alla gente." "Oh, Dio!" ripeteva Eugenia. "E dove sono andati?" "Non si sa. Ho mandato Zuccaro a prendere informazioni. Tutto si accomoderà, senza dubbio. Intanto è un brutto momento. Condurrò Ruggero qui." "Sarà un gran colpo! Vuol tanto bene alla sorella!" "Finisci di vestirti. Io torno nell'ufficio per impedire che qualcuno commetta l'imprudenza ..." Ella restò un momento in piedi presso il tavolino, sbalordita, ridomandandosi internamente: "Dove sono andati?" Poi, l'idea di doversi trovare di lì a poco faccia a faccia con Ruggero, di essere costretta a rimanere, forse l'intera giornata, sola con lui, le produsse una acuta agitazione, un fremito di paura per l'inevitabile pericolo; ma reagì contro se stessa. Lavandosi, ravviandosi i capelli, si sentiva commovere da viva compassione, immaginando il dolore che egli avreb- be provato all'annunzio della triste notizia. Dovevano partecipargliela con cautela, fargliela indovinare piuttosto che dirgliela ... "È difficile. Povero giovane!" Pensò di far preparare il caffè. Sarebbe stato un pretesto. Tra un sorso e l'altro, Patrizio o lei, o tutti e due assieme, avrebbero parlato. E diede l'ordine a Dorata. Poi prese in mano un lavoro di uncinetto, assunse l'aria più tranquilla e più indifferente che potè, e sedette presso la finestra, in salotto, aspettando. "Eugenia deve comunicarle non so che cosa. È vero?" disse Patrizio un po' impacciato. "Segga, segga qui" ella soggiunse. E gli stese la mano. Ruggero li guardava perplesso, con un sorriso di curiosità sulle labbra, imbarazzato alquanto da quel fare misterioso. E la sua immaginazione fantasticava rapidissima per indovinare che potesse mai comunicargli Eugenia davanti al mari- to. Non doveva essere una cosa piacevole, lo deduceva dal contegno dell'Agente, dalla ruga che si contraeva su le so- pracciglia di lei. E si mise in guardia. Dorata portò le tazze col caffè. Eugenia si levò da sedere e ne offerse una a Ruggero. "Troppo zucchero!" E, ridendo, egli soggiunse: "Per indolcirmi la bocca prima di darmi l'amaro". Eugenia guardò Patrizio negli occhi, stupita, e si sforzò di sorridere. "Ai suoi ordini" disse Ruggero dopo aver sorbito lestamente il caffè, stendendo il braccio per posar la tazza nel vas- soio. "Nulla di grave" rispose Eugenia con voce malsicura. "Cioè ... un fatto doloroso, sì, ma che non produce mai cattive conseguenze ... Il matrimonio sana tutto." "Sana tutto" ripetè Patrizio dietro la pausa di sua moglie. "Sventataggine da innamorati! ... Biasimevole, chi lo nega? ma, in certe circostanze, scusabile. Lei, che è uomo e giovane, compatirà facilmente." Ruggero scattò dalla seggiola, pallido come un morto, con gli occhi smarriti, e fece per slanciarsi fuori del salotto. Patrizio lo trattenne. Eugenia, tremante, gli prese una mano, balbettando: "No, no! Resti qui. Dove vuole andare?" "Non dovevano farlo! Non dovevano! ... Ah Giulia! Giulia!" Mugolava, più che parlare, si strizzava le dita, pestava co' piedi, stralunava gli occhi: "Non dovevano farlo! È un'infamia ... Non dovevano!" Non riusciva a dir altro, tentando di svincolarsi. Voleva correre dietro ai fuggitivi, andare a sputare sulla faccia a Corrado Favi per quell'affronto a una famiglia che egli avrebbe dovuto rispettare come propria. E tornava a prendersela con Giulia: "Non la guarderò più in viso! Non è più mia sorella!" "Si calmi. Suo padre vuole che si trattenga qui fino a sera. La ricondurrò io stesso a casa. Tutto è bene quel che fini- sce bene." "Che disonore! No, non dovevano farlo!" rispondeva Ruggero, mentre l'Agente cercava di rimetterlo a sedere. "Ha ragione. Dice benissimo" soggiunse Eugenia commossa. "Oramai però bisogna pensare al rimedio." Ruggero si lasciò cascare su la seggiola. Dalla rabbia, faceva stridere i denti e singhiozzava, col capo fra le mani, ri- petendo: "Che disonore! ... Non dovevano farlo!" Patrizio s'aggirava attorno al tavolino aggiustando le tazze nel vassoio, stirando una piega del tappeto, come persona che non sappia che cosa fare o dire. Eugenia, in piedi dinanzi a Ruggero, cercava di scusare alla meglio l'amica. Ine- sperta, innamorata cieca, Giulia, con quella fuga, aveva voluto soltanto forzar la mano ai parenti; nè il Favi, poverino, poteva aver avuto cattive intenzioni. Buon giovane, a quel che ne dicevano, colto, modesto, con un bell'avvenire davanti a sè ... "La benedizione a piè dell'altare scancellerà ogni cosa, toglierà qualunque malinteso tra le due parentele. Una sorella è sempre sorella, anche quando commette uno sbaglio." Ruggero negava, scotendo la testa tra le mani, coi gomiti appoggiati sui ginocchi, inconsolabile. Successe un lungo intervallo di silenzio, durante il quale Patrizio, avvisato del ritorno di Zuccaro, uscì nel corridoio. "Mi fa male vederlo così afflitto" disse allora Eugenia, posandogli una mano su la spalla. "Ah, signora!" Ruggero alzò la testa, la guardò in faccia e, quasi per persuaderla meglio a dargli ragione, prese tra le sue la mano che gli era stata posata affettuosamente su la spalla. Eugenia non ebbe il coraggio di ritirarla, assai turbata da quel contatto che le pareva la mettesse, imprevedibile cir- costanza! proprio in balia di lui. E così, tra le pressioni delle mani di Ruggero, che s'avvicendavano ora lievi, ora forti, secondo la varia intensità del sentimento, stette ad ascoltare il rapido sfogo che gli sgorgava dalle labbra contro la sorel- la, contro il Favi, contro il padre, contro le altre sorelle, contro tutti. E rispondendo con lievi assensi del capo, con sguardi che dicevano: "Sì, è vero ... Mah! ... Mah! ..." lasciava che intanto il tepore, le scosse, le con- trazioni delle mani le insinuassero per la persona un senso novo d'intimità con quella viva partecipazione al dolore di lui, qualcosa che già somigliava a un abbandono di se medesima, per conforto, per consolazione, senza però conceder niente che ella dovesse rimproverarsi, o di cui pentirsi, dopo. "E come rideranno i nemici della nostra famiglia!" esclamò all'ultimo Ruggero. "Come ridono in questo momento!" "Non s'occupi di essi. Non rideranno più quando il matrimonio sarà compiuto." "Ah, signora! ... Ella non sa le basse invidie, le malignità dei partiti in questo miserabile paesetto!" Le stringeva più forte la mano, se la portava alla fronte con gesto desolato. Eugenia, paventando non se la portasse anche alle labbra, la ritirò lestamente; e si rimise a sedere di faccia a lui. "Buone nuove!" gridò Patrizio, rientrando. I fuggitivi erano a Rosolini, presso una famiglia amica dei Favi. Giulia vi si trovava ospitata come una figlia. Corra- do era già tornato a Marzallo. Le cose si mettevano bene per la dignità e per l'onore di tutti. Intanto, amici comuni s'in- gegnavano di appianare le difficoltà. Sopraggiunse il dottor Mola. "Ebbene? Che vuoi farci?" esclamò, vedendo il gesto furibondo di Ruggero. "Siamo tutti senza cervello a vent'anni. Ora sarà una sfilata di fughe; vedrete, signora mia! L'esempio è contagioso. Accade sempre così. Voi però, voi sopra tutti, dovete sforzarvi di stare tranquilla. Che viso, che occhi, Dio mio! ... Date qua. E che polso! Ecco una ricetti- na. Calmante. A cucchiaiate, d'ora in ora, lungo la giornata. Sono venuto a posta." "Grazie." "Niente. Lo faccio anche per egoismo, per non dovervi curare a lungo dopo. Non ci ho gusto a veder malata la gen- te, quantunque sia il mio mestiere. Brutto mestiere vivere a costo del male altrui! Tu" soggiunse rivolto a Ruggero "bevi un bel bicchiere d'acqua fresca; ti farà bene. E non ti muovere di qui; così ordina tuo padre. In queste circostanze, meno chiasso si fa e meglio è." Dopo desinare, Eugenia e Ruggero erano rimasti soli in salotto. Calmato, egli non ragionava più del triste avveni- mento; fumava una sigaretta, appoggiato col dorso alla finestra. Eugenia, seduta poco distante, aveva ripreso in mano il suo lavoro di uncinetto e lavorava a capo chino. Si sentiva addosso, insistenti nel silenzio, gli sguardi di lui e non sapeva come stornarli. Di tanto in tanto, portava le mani alla faccia; una vampata l'assaliva a ogni movimento di Ruggero, che pareva non riuscisse a star fermo e si appog- giava ora su l'una or su l'altra gamba, accavalciando i piedi, quasi impazientito di quel silenzio troppo prolungato. Eugenia avrebbe voluto prevenirlo e avviare la conversazione in maniera da impedire che si mettesse per uno sdruc- ciolo pericoloso; ma non trovava nulla. E provò una stretta al cuore, sentendo la voce di lui, che, esitante, diceva: "Si annoia. Ha ragione. La mia compagnia non è piacevole oggi." Ella fece un lieve atto di protesta col capo, e si chinò di nuovo sul lavoro, senza aggiunger parola. "Mi fa impazzire!" esclamò tutt'a un tratto Ruggero, buttando fuori dalla finestra, dietro le spalle, la sigaretta fumata a metà. "Non parli così!" balbettò Eugenia. E, atterrita, si volse istintivamente verso l'uscio. "Compatisce gli altri, con me! ..." continuò Ruggero con voce repressa. "Non s'accorge o finge di non accor- gersi di niente! ... Mi fa impazzire!" "Non parli così! Che cosa vuole?" ella domandò con angoscioso smarrimento. "So che non è felice; me n'ha parlato Giulia, tante volte!" "E se pure fosse vero?" "Mi dica una sola parola! ... Una sola!" "Zitto, per carità!" Eugenia s'era levata da sedere, col cuore in tumulto, con la mente turbata e un gran tremito per tutta la persona. Pen- tita delle inconsulte parole sfuggitele di bocca, s'irritava di non trovar la forza di interrompere con un gesto, con una ri- sposta recisa, quella tanto paventata dichiarazione sentita addensare nell'aria simile a un temporale, e che già scoppiava irresistibile nel peggior momento per lei. "No" riprese Ruggero, tentando di afferrarle una mano che Eugenia ritirò per portarla rapidamente alla fronte. "No, non è possibile che il suo cuore sia rimasto indifferente. È di ghiaccio? ... Una parola! Una sola parola! ... Non le chiedo altro. Se sapesse quanto l'amo! ... Fino al delirio! ... Lo sa, lo sa ... Finge di non saperlo. Ah! ... Mi disprezza dunque?" "Perché dovrei disprezzarlo? Che cosa vuole da me? Sono maritata. Non mi offenda, supponendo che io possa tradi- re mio marito. Gli voglio bene ..." "Non è vero!" All'energica affermazione, Eugenia sgranò gli occhi, quasi vedesse in quel punto il proprio cuore aperto come un li- bro davanti a Ruggero. Egli le si era accostato, supplicandola a mani giunte: "Una parola! ... Una sola parola!" E tornava a ripetere: "Non è vero. Giulia mi ha confidato tutto. Non è amata, non ama; io, io solo l'amo alla follia, da otto mesi, dal primo istante che la vidi!" "Perché me lo dice? ... Perché?" Si torceva le mani, crollava la testa, smaniando: "Non voglio saperlo! Non devo saperlo! ... Mi lasci in pace, per carità! Mi lasci in pace! ... o dirò tutto a mio marito!" Le parve d'aver trovato la parola giusta, e guardò in viso Ruggero. "Glielo dica, se ha coraggio!" egli rispose, arrestandosele davanti. "Potrà impedirmi di amarla? Glielo dica; così lei si leverà di torno la mia odiosa persona. Io debbo venire qui per forza; vederla tutti i giorni per forza, perché mio padre lo vuole, per le lezioni. Quando mio padre saprà, mi manderà via da Marzallo. E sarà liberata dalla persecuzione de' miei sguardi; non mi vedrà, non mi udrà più! Glielo dica. È una soluzione ... per lei! Io l'amerò lo stesso. È la pri- ma volta che amo. Ah! L'ha condotta qui la mia mala sorte. Ero tranquillo, felice. E, da otto mesi, soffro tormenti incre- dibili; vivo soltanto per lei, penso soltanto a lei, giorno e notte! ... E lei mi ha visto, mi vede soffrire, e non si è mai commossa, non si commuove! ... Che cuore ha?" "Oh, Dio! ... Zitto! Zitto!" S'era coperta la faccia con le mani, senza sapere quel che diceva e faceva. Le pareva di sognare a occhi aperti; udiva quasi le stesse parole udite tante volte nei sogni; e, come nei sogni, sentiva venir meno ogni forza, quantunque la sua volontà dicesse ora, come sempre: "No! No!". Dalla faccia portava le mani agli orecchi per non udire le fatali parole e non esserne ammaliata; e ripeteva: "Zitto! Zitto!" con doloroso accento di preghiera. Ruggero non l'ascoltava; tornava a insistere: "Una parola! Una parola! ... Che le costa? ... È dunque vero che non ha cuore? Senta, senta come tre- mo!" E le prendeva una mano. "Così non si finge! Così non si mentisce!" Eugenia tentò invano di svincolarsi. Ma appena si fu meglio impossessato della cara mano, egli cominciò a baciarla sempre più avidamente, come più la sentiva cedere, cedere sotto la pressione delle labbra, con deboli proteste: "No. Non è vero che mi vuol bene! ... Non è vero! ..." Le pareva che il suolo le mancasse sotto i piedi; e si aggrappava a lui, singhiozzante, invocando pietà con quel fil di voce: "Ah! ... Che male mi fa!" Lo respinse con sforzo improvviso e corse a rifugiarsi in un angolo. "Non s'avvicini! Grido; faccio accorrere gente. Per carità! ... Per carità!" tornava a supplicare. "È mai possibi- le? Come ha potuto credere? Mi prometta che non ricomincia. Sia bono! Sia bono!" "Sì, sì; farò tutto quel che mi ordina" disse Ruggero a bassa voce. "Purché io sappia se mi vuol bene o no ..." "Non devo." "No, no! Lo dice per ingannarmi. Glielo leggo negli occhi." "E allora? ... Sia bono! Gli voglio bene, ma non come crede lei. A che scopo? Non me ne riparli più. Sono d'altri. Sarei imperdonabile, se rispondessi diversamente. Non lo capisce? Deve capirlo." "Che m'importa d'altri? Che può importarne a lei, se non è amata? Una parola! Una parola soltanto! Sarà un segreto tra me e lei. Senta! Senta! ..." Lo aveva lasciato accostare a poco a poco, vinta dal fascino della voce, dalle insinuanti parole, dall'atteggiamento di calda preghiera con cui egli le si rivolgeva, incapace di fare il minimo movimento per sfuggirgli. E quando le fu vicino, gli stese le mani, invocando pietà col gesto, con lo sguardo, gesto e sguardo d'amore desolato, di passione irrompente, quasi di resa. "Senta! Senta!" ripetè Ruggero. Questa volta però le loro mani, incontràtesi, si strinsero forte. Vedendola mancare dalla violenta commozione, egli l'attirò a sè, la premè al petto e la baciò su la fronte e su le lab- bra, ripetutamente, intanto ch'ella, inerte, gli si appesiva addosso, diaccia e pallida, con un fioco lamento, tra' singulti. Ruggero ebbe paura. La sollevò tra le braccia, la mise a sedere, sorreggendola, quasi in ginocchio dinanzi a lei. Nel turbamento la chiamava: "Donna Eugenia! ... Donna Eugenia!" E le strofinava le mani per farla rinvenire, spaventato dall'idea che Patrizio, sopraggiungendo, potesse trovarla in quello stato. "Quanto male mi ha fatto! ..." Queste parole, uscite dalla bocca di Eugenia come un gemito di moribonda, lo rincorarono alquanto. "Mi perdoni!" supplicò umilmente. Eugenia aperse gli occhi. Credeva di destarsi da un sonno profondo, e fissava Ruggero, per ricordarsi bene quel che doveva essere accaduto. E, intanto che andava riprendendo coscienza, la indignazione per la sua debolezza le increspava le sopracciglia, le con- traeva le labbra. Poi svincolando con uno strappo le mani da quelle di Ruggero, si levò subitamente da sedere e lo re- spinse con gesto vibrato, muta, ansante. "Mi perdoni!" egli tornava a pregare. "Purché non ricominci!" rispose severa. E mutando accento, soggiunse: "Per carità! ... Se mi vuol bene, mi la- sci in pace, si scordi di me. Non posso amarlo. Non devo amarlo. Lei è giovane e libero ... Io non sono più libera ... Mi lasci in pace! Trovi una scusa, non venga più qui ... Non si lusinghi ... No! ... No! ... Abbia stima di me. Abbia pietà pure! Sono malata ... Non concorra a farmi peggiorare. Le voglio bene anch'io, ma non come intende lei. Si scordi di me. Si scordi di me! ..." "Impossibile! Scordarla, ora? Ora?" la interruppe Ruggero. "Si fidi. Non lo saprà nessuno, mai! Nessuno!" "No! No!" gemeva Eugenia. Ma l'accento, ma gli sguardi, pur troppo, dicevano sì.

Cerca

Modifica ricerca