Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbatte

Numero di risultati: 26 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170685
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Il ridicolo può bastare ad uccidere un individuo, un vizio, una casta; esso stronca ed abbatte come un colpo di fulmine, d'un tratto, anche ciò che pare più serio e più resistente. Abbiamo già veduto come questi piaceri riescano meno vivi nell'età matura e nel sesso virile. La mobilità sensitiva della donna e del fanciullo li rende molto atti a sentire l'influenza del minimo solletico morale. Fra tutti i popoli della terra, senza dubbio, il francese è quello che ha una maggior sensibilità per il ridicolo; per cui ne fa oggetto importante di commercio. La gioia prodotta dal ridicolo può essere morbosa quando si fonda sul dolore altrui. Chi ride vedendo cadere un galantuomo, o si compiace di tutte le piccolo sventure che diventano grandi per l'associazione del ridicolo, prova certamente un piacere colpevole. L'azione del ridicolo però è qualche volta così fulminante, che non si può difendersene assolutamente e bisogna ridere anche quando la morale ci comanderebbe di tenerci seri o di mettere il broncio. Qualche volta noi non siamo colpevoli di provare un piacere che nasce da un ridicolo doloroso; ma lo diventiamo nell'esprimerlo. Un povero diavolo può essere così malconcio dalla natura, la quale ne ha voluto fare un mostro, che noi non possiamo difenderci dal trovarlo ridicolo; ma non possiamo, senza diventare crudeli, ridergli in faccia.

Pagina 236

Come devo comportarmi?

172365
Anna Vertua Gentile 2 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Il progresso che corre e corre insieme con il vapore e l'elettricità, ora è turbine che abbatte e distrugge, ora vento benefico che reca tesori; una smania del meglio e del grandioso; una foga febbrile sempre. E la giovinetta ha adesso, più che nei tempi andati, la necessità di educarsi in maniera, che le vicende e le lotte la trovino fortemente agguerrita; in maniera, che sia capace di affrontarle non solo, ma anche di difendersi valorosamente, di avere il vigore di confortarsi se accasciata, di guardare arditamente in faccia alla realtà e saperla sostenere se arcigna e triste. Per questo la società previdente e provvida, offre alla giovinetta e alla donna una sicurezza modesta ma onorata nelle scuole, negli uffici postali e telegrafici, nelle contabilità private, nella vendita di varie mercanzie. E arte abbraccia nella sua bella e generosa cerchia le musiciste, le pittrici e cantanti e drammatiche e danzatrici, e... autrici e scrittrici. Ma per amore delle illusioni, che sono fallaci ma pure aiutano a vivere, le giovinette serie non si lasciano offuscare il buon senso dell'idea, della smania, ormai invadente di scrivere per il pubblico. Non accarezzino la bugiarda speranza di ricavare l'esistenza dalla penna. Poche, anzi pochissime sono le donne in Italia, che traggono un frutto a pena discreto dal loro lavoro letterario. E piu si va avanti, più la cosa diventa difficile. O perchè ora che i pregiudizi diminuiscono di giorno in giorno, messi al bando dal progresso d'ogni cosa, una signorina sia pure nata in una culla d'oro e porti un titolo che la povertà non offusca nè cancella, ridotta alla condizione di lavorare per vivere e forse per soccorrere la famiglia, quando non mancasse di attitudine, non si darebbe al gentile mestiere della modista o a quello della sarta ?... Perchè possedendo un piccolo capitale, avanzo della ruina, non aprirebbe un modesto negozio di fiori artificiali, di mercerie, di qualunque cosa utile ?

Pagina 163

Gente che nulla sa e poco capisce, perchè nulla ha mai studiato, ma pure si strozzerebbe di rabbia se non apparisse ai concerti, ai ridotti più in voga, ai principali teatri, nei palchi più distinti, e non desse a vedere d'aver letto sia pur nel frontespizio, il più recente romanzo, d'aver ascoltato con aria da intelligente un'opera nuova; e poi innalza od abbatte con un frasario di ciancie, la riputazione d'un maestro e d'un artista. Gente che non lavora, che nulla produce; che luccica d'oro falso come sono false le loro parole e falsi i loro sentimenti. Il giovine gentiluomo non è vano. È bensì ambizioso di quella ambizione elevata che ha per movente la virtù, per scopo le nobili imprese; ambizione che si può, dire una forza, poi che spinge al bello ed al bene ed è utile al progresso dell'umanità.

Pagina 212

L'angelo in famiglia

183099
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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JERI col mio discorso e colla minaccia del frustino, temo forte di averti scontentata, mia cara, poichè so bene che una delle cose da te più carezzate, e di cui meno paventi, è appunto la tua fantasia sbrigliata, poetica, capricciosa, che abbatte ogni ostacolo, supera ogni barriera, e più veloce dell'elettrico, si trasporta da questo a quel paese, da questo ad un tempo o remoto, o futuro, dal possibile e dal reale, all'impossibile ed all'immaginario, da un mondo ad un altro... Se la fantasia fosse meno lusinghiera ed ingannatrice, ne saremmo meno adescati, lo so; ma perchè un cadavere non ci si mostra sotto la sua forma naturale di orribile spettro, ma di leggiero e trasparente fantasima, ci inspirerà minor orrore, e ci invoglierà forse di raggiungerlo, di unirci strettamente a lui? La fantasia è veramente un'ombra che non ha corpo, nè sostanza, nè moto; un'ombra che vista da lungi ti desta o suscita mille pensieri; chè se tu tenti raggiungerla, essa ti sfugge, si dilegua, ed allorchè tu allarghi le braccia per stringertela al seno, non trovi nulla, nulla, e quelle povere braccia ricadono giù amaramente incrociate, stringendo convulsivamente le mani mentre tu gridi forte:all'inganno, all'inganno fatale. Sì, lo vedo, io t'ho toccato sul vivo e me ne duole, poichè avrei voluto fare a meno di contristarti: forse sarebbe bastato il dirti di sfuggir l'ozio generatore di prave lusinghe, l'insinuarti di lavorar sempre, di non lasciar errare la tua mente in un campo inesplorato, pericoloso, di confidare alla tua mamma od a chi ne fa le veci le disposizioni dell' animo tuo; io avrei dovuto fare pieno assegnamento sulla tua virtù, sulla tua bontà, sul tuo criterio senza ardire di funestarti con minaccie di punizioni terrene e celesti... Oh! se il pericolo si trovasse in te soltanto; certamente non avrei avuto d'uopo d'insistere tanto; ma pur troppo i pericoli ti circondano numerosi e da ogni parte, e gli è contro di essi ch'io ti doveva premunire, affinchè per inavvertenza tu non ne fossi trascinata. Nella società vi hanno molte buone cose, le quali ci vengono dalla legge di Dio o scritta sulle tavole del monte Sinai, o scritta sulle tavole del cuore umano, e questo ci spiega come taluni senza avere la grande ventura di essere cristiani cattolici, abbiano un fondo di rettitudine e di bontà che ce li fa amare e stimare grandemente. Ma pur troppo nella società vi hanno delle cose assolutamente cattive, le quali partono dalla violazione della legge divina e rivelata, e da queste, che portano stampate in fronte un marchio di condanna, tu saprai sempre conservarti illesa; altre però ve ne hanno nè buone nè cattive, che una lunga consuetudine 42 ha accettato e tramandato alle generazioni, e quindi non ti è dato di risolutamente respingerle, ma di esse è obbligo tuo star ben bene in guardia: fra queste io pongo in prima fila il codice delle convenienze e delle cerimonie. Questo codice potrebbe bensì essere modificato da una società sinceramente cristiana; ma siccome l'elemento prevalente non è sempre il cattolico, vale a dire il migliore, così ci è forza, almeno in parte, sottoporci ad esso se non vogliamo suscitare un vero male che sarebbe risvegliato dall'eccentricità o dall'intolleranza. La nostra sommissione a questo codice non dev'essere assoluta, si intende; ma relativa, e deve lasciarci sempre aperti gli occhi, affinchè non veniamo poi condotti fuori di strada. I più innocenti e i meno bugiardi paragrafi di quel codice sono quelli che riguardano il linguaggio dei complimenti, i quali fanno ripeterti da uno le professioni della massima servitù, mentre alla prova egli ti rifiuterebbe il benchè minimo servigio. Eppure qui vi ha un pericolo grande alla tua fantasia, pericolo che potrebbe comunicarsi più tardi al tuo cuore, allorchè da un complimento generico si passasse a una dimostrazione speciale a tuo riguardo. In guardia, in guardia! Colui che arde oggi il suo incenso davanti a te, lo arderà domani davanti ad un'altra, e bene spesso i bellimbusti hanno tale e tanta provvisione d'incenso, che lo bruciano successivamente a tutte le dee di una festa, di un'adunanza, di un paese, od a tutte le più belle, non già per esprimere un sentimento, ma per ostentare gentilezza di modi, ed uno spirito raffinatamente galante e moderno. Io stessa ho veduto fumare l'incenso a' miei piedi, allorchè ai miei venti anni, giovane sposa, per obbligo di convenienza, mi sono recata in elegante acconciatura ad un brillante ritrovo; per un momento ho creduto che dal mio povero individuo emanasse alcunchè d'interessante; ma quando il dì seguente con abito dimesso e con un velo trascuratamente allacciato sotto il mento mi recai alla chiesa, vidi più d'uno di quei petulanti cicisbei volgere lo sguardo da me, meravigliati e disgustati di vedermi senza strascico, senza gemme, senza fiori, e non ebbero neppure il coraggio di salutarmi. Questo fatto si ripetè parecchie volte, risvegliando sempre in me una voglia matta di ridere, di ridere; l'ho narrato a molti; ma ora che mi è dato imprimergli una maggiore pubblicità, ne afferro a volo la buona occasione, ansiosa che al veritiero mio racconto pensino le illuse damigelle quale sia il conto da farsi dell'adorazione prodigata alle nostre vesti, ai nostri monili, al nostro volto vantaggiato dalle galanterie, dalle sottigliezze e da quegli adornamenti che lo possono mettere in risalto. Bisogna cominciar per tempo a ragionare ed essere serie a questo mondo; non prendere ed accettare come oro massiccio quello che si mostra come tale, ma forse non è se non un cartone dorato; guardati quindi dal ricevere come atto di adorazione fatto a te certe espressioni studiate, compassate, esagerate ed entusiastiche. Jeri stesso un giovane cavaliere mi confessava che tra di loro i giovanotti eleganti studiano le parole, le maniere per adescare ed illudere le fanciulle inesperte e le donne sperimentate, riservandosi poi di farne i complimenti a quelli che vi sono riusciti e le beffe agli altri i quali hanno fatto, come suol dirsi, un buco nell' acqua. Ma allora questo incenso che si brucia alle divinità della terra è un giuoco, un'ironia, uno scherno? Davvero, è così, non è altro. Quando in fondo al cuore vi ha una passione nobile, un amor vero, un sentimento forte, gli uomini sdegnano e sfuggono le incensazioni, le occhiate languide, le adulazioni, e tutte quelle odiosissime smorfie che compromettono chi ne è fatta segno; ma conservando ed aumentando dentro di sè la stima per la giovane vagheggiata, non ardiscono fissarla in volto, o dirigerle una parola che non sia altamente rispettosa e discreta, e ben lungi dal metterla in impaccio, spiano ogni sua mossa per vedere se nulla nulla vi ha in essa di posticcio o di civetteria. Allorchè son ben sicuri che il suo cuore è vergine come il suo sguardo, e che resiste e si tien chiuso ad ogni affetto non legittimo e non protetto dalla più severa virtù, con passo celere e pur tremante si recano dal padre, o dalla madre, o dai parenti a domandare come una grazia grande sia loro dato il bene di porre in dito all' onesta e pudica donzella l'anello di sposa. Sta sull'avviso, fanciulla, contro coloro che abusando dell'ingenuità del tuo carattere, della soverchia credulità fomentata dall'amor proprio e perfino talvolta dalla stessa tenerezza del tuo cuore, studiano la via per giungere ad esso, ti adulano, t'incensano; per carità, non prender sul serio le loro dimostrazioni, i loro elogi, le loro dichiarazioni, come non prendi sul serio quella che altrui ti fa quando, scrivendoti, ti dice: Servitore umilissimo. Avresti tu il coraggio di dire a costui: ebbene, se mi siete servitore, fermatevi alla mia anticamera, prestatemi i vostri servigi? Se ogni signora avesse lo spirito di trattare in simigliante maniera coloro che le profondono inchini, riverenze, smancerie e sospiri, ben presto gl'incensieri dei ganimedi diventerebbero oggetti d'antichità, ed i loro complimenti sarebbero registrati fra gli atti più umilianti, ingannevoli e ridicoli di una società che si dice, ed in certi rapporti è infatti, supremamente civile. Ma non devi tu essere eccentrica od intollerante, quindi sopporta fino ad un punto conveniente, e finchè non nasca urto colla virtù, col pudore e colla carità, le adulazioni che ti vengono fatte, sempre però sentendo e facendo sentire che tu le stimi pel loro valore; parole, pure parole, nulla di più. Un simile contegno potrà far diventar veritiere quelle lodi bugiarde, attirando su di te la stima, una stima profonda, che potrà generare molto facilmente un sentimento più profondo, efficace e vantaggioso. Quanto a te guardati sempre dall'adular chicchessia; ma ove emerga il vero merito, la tua lode non sia avara; ma suoni sincera e sinceramente sentita dal tuo cuore, ed anzichè inorgoglire colui al quale sarà diretta, riuscirà d'incoraggiamento, di compenso e di esca al suo ben fare. Ma l'incenso, oh! l'incenso non lo devi ardere che davanti a Dio! Egli solo merita tutte le nostre adorazioni, e le usurpa vilmente chi arde agli uomini quell' incenso che deve ardere soltanto davanti a Lui, o se lo lascia ardere davanti a sè come ad un idolo. L'incenso è per Iddio! Che se le tue buone azioni ti attireranno una lode meritata, riferiscine a Dio solo l'onore e la gloria, pensando e credendo, che l'incenso è dovuto a Lui soltanto.

Pagina 655

Il galateo del campagnuolo

187392
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
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Pagina 18

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192718
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 2 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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L'intemperanza snerva il corpo, distrugge la sanità, ottunde l'ingegno, abbatte l'animo, corrompe i costumi. Le temperanti ragazze non sono ghiottone, e si contentano di cibi semplici; imperciocchè quanto più un cibo è composto ed artefatto, altrettanto più indigesto diventa; non s'impinzano di cibi, ma quando sono satolle non si sforzano più a mangiare, ancorchè si trattasse di cibi molto appetitosi. Voi potete mangiare fintantoché siete sazie, cioè finchè avete appetito: mangiate solamente adagio, ma non tanto da recar nausea a chi vi vede; il cibo acquista il primo grado di digestione in bocca, purchè lo mastichiate bene e sia abbondantemente inzuppato di saliva; se l'appetito vi manca non mangiate nè bevete, imperciochè il vostro corpo allora non ne ha bisogno; non è ciò che mangiate che vi dà la vita, ma ciò che digerite. Talora avete un appettito morboso che potete distinguere facilmente dalla difficoltà che troverete a digerire; in questo caso dovete essere moderatissime e consultare il medico. Procurate di serbare un certo ordine nei vari pasti che fate nella giornata, e di noi mangiare tutti i momenti come fanno i polli, razzolando ogni ora, perciocchè questo vi gioverà molto per conservarvi in salute. Non mangiate subito dopo che avete sofferto un dispiacere, o l'animo vostro è agitato per qualche altra causa, ne dopo un esercizio corporale un po' violento, ma aspettate prima che ritorni la calma. Dopo il pasto astenetevi per un po' di tempo da ogni esercizio intellettuale o corporale troppo attivo: dopo il pranzo o la cena è buon costume lo stare in piedi o passeggiare lentamente e lietamente conversando: del resto il miglior moto é quello che si fa prima di pranzo e tre ore dopo. Chi non mastica bene il cibo difficilmente digerisce; le lente digestioni non solamente sconcertano lo stomaco, ma producono ancora certe esalazioni che imbiancano la lingua ed infettano i denti di certa materia detta tartaro o gromma, il quale li investe e nuoce allo smalto di essi; esso si forma pure nelle lunghe diete e quando per alcuna causa non si mastica che da un lato. Ma il tartaro non è la sola causa del guasto dei denti, sonovi altre ancora, come il rompere noccioli e simili, lo stuzzicarli con spilli acuti di ferro è peggio di ottone, si che talora le gengive sanguinano; e così gli acidi, come l'agro del limone, l'agresto, le frutta immature, tutto ciò insomma che vi allega i denti. Essi ne tolgono il liscio, ne lasciano aspra la superficie e la corrodono. Aggiungete ancora il masticare spesso confetti, e specialmente quelli che sono mescolati con materia tenace, e lo zucchero a lapilli, l'abuso dei liquori fermentati e dei cibi troppo salati, il bere freddo o ghiacciato, che mozza i denti dopo aver mangiato vivande calde; l'andare al freddo e prender aria fredda quando la testa cola di sudore. Per conservare adunque i denti bisogna che vi guardiate dalle dette cause, che togliate assiduamente col dentelliere i residui degli alimenti rimasti frammezzo di essi, perché non si putrefacciano; che ve li laviate sovente adoperando anche la setolina che conoscete, particolarmente al mattino e dopo il mangiare, non con quei certi specifici da cerretani, che sono o inutili o nocivi, ma con acqua pura; potete anche stropicciarveli colla polvere di carbone, purché essa sia finissima sì, che non possa rigarli. Se con tutte queste precauzioni v'avviene che si formino tuttavia concrezioni, bisognerà che ricorriate a quei dell'arte, perché esse non sieno causa di certo gemitio che li distacca dalle gengive e che gli scalza cagionando fetore di fiato ed altri malanni. Lo stomaco, perché adempia perfettamente al suo ufficio, non bisogna dargli di più di quello che, giusta le leggi di natura può contenere; sforzandolo smoderatamente s'indebolisce, non può consumare a dovere il di più che ricevette, quindo ne nascono crudezze e cattivi umori elle vie degl'intestini, per cui bisogna prendere purgativi, i quali indeboliscono di loro natura. Il ghiottone dopo il pasto sente un peso nello stomaco, una voglia vomitare, di sbadigliare, di dormire, e la testa grave ed ottusa : che tristo stato è questo! Oh, le mie ragazze, siate adunque temperanti, perchè non lo abbiate a provare.

Pagina 314

E allora, più che a fiume, mi parrebbe costei simile a torrente che, per discioglimento di nevi o stemperanza di protratte pioggie, precipitando dalle montane vette, tutto abbatte, conquide, travolve nella vertiginosa sua piena. Misera a capanna che gli oppose contrasto, tapino il colono sul cui poderetto passò! Sterpi, alberi, sassi, bestie ed umani cadaveri esso trascina ne' procellosi suoi fiotti, nè v'ha ingego o forza che basti ad arrestarne la foga. Se non che passeggiero è quest'impeto, e poche ore appresso tu varchi a piedi asciutti il terreno sopra il quale infuriò tanta desolazione. Breve n'è sì la durata, ma gravissimo il danno e il più delle volte non riparabile. - Fanciulle, guardatevi dall'ira. Ed a mitezza e soavità, virtù tutte proprie di voi, vi richiami, o care, il lene mormorio del ruscello, che su letto di verdura serpeggia e scorre. Fresche e cristalline ha le onde, tanto che l'occhio potrebbe numerare le pietruzze del fondo, contar l'erbucce che vi germogliano. Rigogliosi cespugli ne ingiardinano i lembi, il salcio e l'ontano lo spargono dì molli ombre, i fiorellini che sì liberalmente nutrica profuma l'aere circostante. Ma se la vista d'un ruscello d'imagini pure e leggiadre vi rallegra la mente, e pascer l'animo con più elevati pensieri trasferitevi, o giovinette, coll'agile fantasia, nel bel mezzo d'un lago. Piana, lucida, trasparente, egualissima è la sua superficie ; le nuvolette vaganti vi si specchian per entro, e i pini, le balze, le cascine circostanti, a spiccati contorni, vi si riflettono capovolte. Bello il solcarne le onde, quando, increspate da lieve brezza, vi scintillano i raggi del sole, o nell'ora in cui la luna della modesta sua luce ne illustri i seni od i porti. Or questo lago si placido e terso non vi dà sembianza, o giovinette, d'una coscienza innocente e tranquilla? Inconsapevole dei propri doveri, e ignara degli strepiti e delle cure mondane, s' abbandona a cheto sonno fra le braccia materne di provvidenza. Che se invece s'agiti fra i rimorsi della colpa o il fremito delle passioni, non ravviserete piuttosto in essa un'imagine di quella cateratta che sul morire del lago precipita spumeggiante e fremente nella valle sottoposta? Gli stessi augelli, raddoppiando il remeggio delle ali, ne volan via, e il pastore, facendosi schermo delle mani alle orecchie, le segna di lontano o fugge. Fugge egli e s'invola all'orribil rimbombo; ma mentre si caccia davanti il diletto gregge, ecco affondarglisi il piede, ed accorgersi, ahi ! troppo tardi, che le pecorelle corrono in fratta verso lo stagno in cui mette capo la palude che ora gli lega il passo. Morto quivi o languente è l'aspetto della natura: squallide ed irte di pungenti canne le rive, salmastre ed immote le acque, e dai crassi vapori ch'indi s'innalzano, l'aria si corrompe ed ammorba. Ma ben mille volte peggiore d'ogni stagno o palude è, o fanciulla, il tuo animo ove in sè accolga la malizia del peccato. Ne' tuoi sguardi brillava testè il sorriso dell'innocenza; adesso cupa, rannuvolata è la fronte, irrequieti gli atti, le parole o troppo melate o troppo iraconde. Oh! se non ti affretti a spigliarti dalla lurida pozza in cui, o sventurata, cadesti, vi resterai immersa per tutta la vita.

Pagina 341

Le buone usanze

195397
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Galateo morale

196387
Giacinto Gallenga 2 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Giovani che non fecero mai esperimento di uno di quegli infortunii che radono talvolta dal cuore e dalla mente dell'uomo sentimenti e credenze quasi uragano che abbatte, sterpa, inaridisce ai campi le verdi speranze, tu li vedi a vent'anni fiaccati dall'ozio, abbrutiti dal vizio parlar della vita disperatamente, non credere né a virtu, né a felicità, quindi a libidine di sensualità e di guadagno ridurre tutto quanto lo scopo della umana esistenza. «In fondo in fondo sono della pasta di cui è formato ogni citrullo..... e in realtà né scettici né disperati. Oh guarda, guarda dove va a cacciarsi l'ambizione!..... Nel voler passare a qualunque costo per fina schiuma di roués, essi appena giunti alle soglie della vita; onde fa d'uopo per tutto ciò che ha profumo d'onesto forzar le labbra a sbadiglio o armarle d'un sogghigno derisore e satanico.— Povere labbra! e appena le premi, stillano ancora il latte della balia».

Pagina 448

L'amore troppo imperioso non è amore vero, giacchè invece di sollevare ed educare, abbatte e conculca». Non trascorrete giammai a percuoterli; più che il corpo, voi guastereste la loro anima, le cui ferite sono insanabili. I migliori castighi sono le privazioni delle carezze paterne, del materno sorriso; la più valida correzione sarà quella di far loro toccar con mano i torti di cui si resero colpevoli, quel far loro conoscere con esempi che si confacciano all'età, la gioia che deriva dal bene, i danni che provengono dalle mancanze verso il prossimo, verso Dio.

Pagina 50

Eva Regina

203943
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 3 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Spesso è appena giunto che la morte lo ghermisce: o, più crudele, gli lascia intravedere attraverso a mille lusinghe l' esistenza e gli recide d'un colpo vita e speranze: talvolta lo abbatte nel pieno rigoglio della maturità, appena, attraverso a infinite tribolazioni, è pervenuto a porre il piede sulla vetta della vittoria. Eppure se non ci fosse la morte, non ci sarebbe la vita, poichè la vita è rinnovazione continua. Non vi sarebbe lavoro, nè progresso, nè civiltà, giacchè l'azione dell'uomo è costituita dalla sua difesa contro la morte, e la civiltà non è che il prodotto di innumerevoli generazioni succedute le une alle altre. Inchiniamoci dunque ai decreti imperscrutabili della Divinità e alle savie leggi della natura, forti della nostra fede che ci fa intravedere oltre i ri- stretti confini del mondo una plaga luminosa dove sapremo il perchè del dolore, e il nostro spirito, purificato da una serie di prove penose, raggiungerà l'apice del suo glorioso destino. « La vita nostra è un momento fra due eternità disse Platone.

In un momento o nell' altro, della vita, il dolore coglie, sferza, abbatte: e quand'anche alcuno fosse così privilegiato per sfuggirgli, non si potrebbe mai sottrarre al dolore prodotto dalla perdita di qualche persona teneramente cara. Ma poi quale anima può dirsi al sicuro dalle delusioni, dai tradimenti, dalle offese, dalle separazioni, dalle tristezze: e in ispecie l'anima femminile così facile a schiudersi a un raggio che la illumini, a una carezza che la sfiori, a una musica che la faccia vibrare, a un profumo che la innebbrii ? Eppure anche il dolore, noi lo sentiamo, ha la sua bellezza austera, la sua rude bontà. L'arte più bella fiorì dai dolori inconsolabili. Le azioni più magnanime furono meditate e compiute sfidando il dolore e la morte. Scrisse Giuseppe Giusti: «Dal dolore, dal solo dolore nascono le grandi cose, e sorgono i forti caratteri come il fiore dalla spina. Nella gioia l'uomo è sbadato, imprevidente, infecondo: le belle qualità dell'animo e della mente, o non sono o non si palesano negli uomini felici: una sventura le fa scintillare come l' acciaio la pietra focaia. » Eppure allorchè giunge il soffio rude della bufera, quando i fiori dell'anima cadono, quando i sostegni si spezzano, quando le luci si spengono, noi ci troviamo disorientati, smarriti, in preda al terrore del caos. Cerchiamo affannosamente se qualche cosa sia rimasta dopo la tempesta, uno stelo, una fronda, a cui poter attaccare un filo — sia pure esilissimo — di speranza nuova. Nulla! Non è rimasto nulla, un deserto! Ci rivolgiamo allora ai nostri simili, a coloro che nei giorni lieti avevamo un po' trascurato, ma ai quali pure ci legano rapporti cordiali... Inutile! Essi non ci capiscono più, o meglio: noi li sentiamo troppo lontani dal nostro dolore, per averne un sollievo. Nemmeno la preghiera può, in questi primi momenti di terrore arrecare conforto. Anche Gesù ebbe a provare questo abbandono nell'orto degli Olivi. Tutta l' anima è piena d' amarezza e di ribellione. Non abbiamo che il sentimento d'una grande ingiustizia, non sentiamo che il nostro dolore, e la preghiera che non può più essere un inno o una supplica ardente, muore sulle nostre labbra.... Ebbene, in queste ore di buio, di annientamento, bisogna imporsi una coscienza vigile, una volontà indomabile. « Preghiamo, diceva il Manzoni, che il nostro capo possa sempre inchinarsi quando la mano di Dio sta per passarvi sopra. » Se abbiamo errato, accogliamo la dura prova come un' espiazione: se non abbiamo nulla a rimproverarci, sforziamo i nostri occhi mortali a vedere in essa più d' una causa comune di sofferenza, qualche cosa di prestabilito, d' utile per il bene del nostro spirito, per il nostro progresso morale. E se avremo la coscienza di sentirci puri, anche fra il martirio una pace arcana, malinconica ma benefica, non tarderà a scendere leggera e non sperata sui tumulti del cuore, sull' acerbità del dolore. Noi dobbiamo imparare inoltre a soffrire in silenzio senza far portare agli altri il peso della nostra croce: dobbiamo sorridere alle gioie degli altri senza funestarli coi fantasmi dei nostri disinganni, dei nostri rimpianti: dobbiamo valerci della nostra esperienza del dolore senza perdere la fede nell'esistenza della bontà e della giustizia, e consolarci consolando....

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LA CONVALESCENZA Nella sua prima fase, la convalescenza è quasi più penosa della stessa malattia che abbatte e intorpidisce e toglie sensibilità all' organismo. Cento piccoli mali, cento piccoli incomodi tormentano, impediscono di sentire il sollievo del miglioramento, della malattia superata. Così anche l' umore s' inasprisce e certi malati pazienti e tranquilli nel periodo più acuto del male, si mostrano insofferenti, bruschi, irritabili, quando s'avviano verso la guarigione. L' organismo, prima di riprendere il suo equilibrio deve lottare ancora, ed essendosi fatto più delicato, si risente dello sforzo. Tutto ciò che il male ha decomposto e logorato e distrutto deve rinnovarsi in breve tempo e ringagliardire come in una adolescenza accelerata. Ma trascorsa la prima fase, quando le fibre si fanno più resistenti al rifluire del nuovo sangue purificato, la convalescenza è una soave esultanza della carne, una dolcezza profonda per lo spirito. Tutto par troppo forte, quasi insostenibile; il sole, la luce, i profumi, i suoni, i sapori ; ma si abbandona con una specie di ebbrezza la propria fragilità a queste energie che riconducono alla vita. È una rinascita piena di fascino sottile ; l' esistenza appare sotto colori rosei, gentili, come nella giovinezza ; e l'anima, come il corpo, si sente purificata, leggera, calma, inondata di fede, attratta verso le più poetiche idealità. Gabriele d'Annunzio in un suo romanzo ha analizzato con l'acutezza che gli è propria questo stato speciale dallo spirito durante una convalescenza facile e ne fa risultare una delle voluttà più squisite. Tutto sorride intorno alla convalescente, tutto le ritesse l' illusione d'un propizio destino, come se si trovasse di nuovo per la prima volta alle soglie della vita. Allungata nella più comoda poltrona della sua camera a poca distanza dalla finestra semiaperta da cui scorge il verde giardino sotto il cielo azzurro di maggio, mentre salgono a lei come il saluto della primavera, il profumo delle corolle fiorite, la signora in una posa di languida grazia parla poco, con una voce ancora debole, ma ascolta e contempla assai. Le sue amiche sono venute ad una ad una a congratularsi con lei, a recarle fiori, dolci, piccoli doni: ed essa per riceverle ha indossato un abito elegante, tutto sciolto perchè non può ancora mettersi la fascetta, ma guarnito con buon gusto, di color delicato e ridente. Ha ripreso i suoi gioielli, meno gli orecchini: gli anelli le sono diventati larghi nella mano diafana e così bianca che pare il pètalo di un giglio. È pettinata semplicemente, ma con cura, e gli occhi sembrano più grandi nel suo volto smagrito: il suo sorriso ha acquistato una dolcezza e i suoi gesti sono pieni d'una remissività che prima non aveva. Il medico non le ordina più che ricostituenti, e le fa delle visite da amico, raccomandandole di coricarsi presto, cosa che essa fa volontieri, giacchè uno dei sollievi della convalescenza è quello di adagiarsi un po' stanchi in un letto fresco che vi offre col buon sonno il riposo riparatore. Le sue amiche, i suoi parenti la rimettono un po' per volta al corrente di tutto ciò che è avvenuto nel tempo dal suo esilio dal mondo, ma la convalescente guarda ora l'esistenza, le persone, gli avvenimenti, con altri occhi, giudica in diverso modo. La morte ch'essa ha veduto da vicino le ha insegnato il vero valore della vita, le ha dato la lucida percezione della verità su tante cose. Il suo pensiero si è fatto più maturo, più severo, i suoi gusti si sono un poco modificati: la sua sensibilità è così viva che piange per un nonnulla, ma sono lagrime di emozione dolce, giacchè nessuno certo vorrebbe procurarle un dispiacere. E se nel suo passato vi fu qualche leggerezza, se ha a rimproverarsi qualche mancanza al suo dovere, qualche po' d' incontentabilità per la sua sorte, in quest'ora di purificazione soave se ne pente, e forma un voto fervido e sincero nel segreto del suo cuore rinnovato.

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Cipí

206540
Lodi, Mario 1 occorrenze
  • 1995
  • Edizioni E. Elle
  • Trieste
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 65

Il libro della terza classe elementare

210764
Deledda, Grazia 3 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 292

Pagina 305

Pagina 315

La freccia d'argento

212060
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Un silenzio pesante si abbatte sulla delusione dei ragazzi, e dura a lungo. Il cappellano invece ha un lampo malizioso negli occhi quando infine riprende: - Ragazzi, statemi a sentire! Un mezzo c'è! - E mentre illustra il suo piano ai crociati, tutti quei volti giovanili, prima aggrondati, poco per volta si rischiarano. E il sorriso ritorna sulle labbra di Alo.

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Quartiere Corridoni

216853
Ballario Pina 1 occorrenze
  • 1941
  • La libreria dello Stato
  • Roma
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Pagina 164

Il ponte della felicità

218968
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 31

Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219880
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Pagina 28

Passa l'amore. Novelle

241185
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Pagina 34

Documenti umani

244237
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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Un ciclone che si abbatte sopra la vostra casa, su tutto il vostro paese; un disastro che vi porta via tutta la vostra fortuna e non vi lascia altro che gli occhi per piangere; la morte d'una persona cara che isterilisce la sorgente delle lacrime, danno appena un'idea della miseria in cui il conto fu repentinamente piombato. L'amor suo per la contessa era tutta la sua vita; scomparsa la creatura reale, restava almeno nel suo cuore l'immateriale figura, la pura idea; ed in quella religione d'oltre tomba l'uomo trovava ancora una ragione - l'unica ragione di vivere. Ora avveniva questa cosa orribile: la profanazione d'un ricordo, la morte d'una fede!... Ad un tratto, quella imagine ideale portata gelosamente nell'anima, adorata, divinizzata, invocata a tutti gl'istanti come il supremo dei beni in tanta amarezza ed in tanta solitudine, ad un tratto si dissolveva in putredine.... Che cosa posso io dirvi ancora? Come poter seguire in tutte le sue fasi il processo svoltosi nel secreto della coscienza di quell'uomo? Io ve ne ho detto il risultato, lo smarrimento della ragione, preparato da lunghe ore di un'agonia spirituale, affrettato dalla vista di colui che per il primo gli aveva rivelata l'amara verità.... - Il marchese ha una spalla fracassata, - venne in quel momento a riferire il Monterani. - Ecco il giudizio di Dio! - esclamò l'avvocato Corsi. - Non conosco cosa più buffa, - riprese Baldassare Gargano. - Ed il comico di quella tragica scena, sapete voi qual era? Che il Mendosa, alla dichiarazione del dottore, esclamò guardando in giro: "È un caso imprevisto!..." Io non dimenticherò mai l'aria di meraviglia, di sbalordimento, di curiosità, di indignazione, di incredulità, che alla folle risata ed alle parole del medico gli si era dipinta sul viso: "È un caso imprevisto!..." "Una fede perduta, una ragione smarrita, un'esistenza spezzata, il terribile dramma scoppiato in una coscienza, si riducevano per quel signore ad un caso imprevisto nella giurisprudenza cavalleresca. Evidentemente, il codice aveva una lacuna. Perchè non si dice in un articolo che cosa bisogna fare se uno dei due avversari perde la ragione sul terreno? E quali conseguenze diverse derivano, secondo che l'impazzito è l'offeso o l'offensore? Come va fatto il verbale? E come accertare la pazzia?..." Vi era un grande umorismo nella serietà con cui Baldassare Gargano diceva quelle cose. - Avete ragione! - esclamò l'avvocato. - La verità, - aggiunse poi, a modo di conclusione, - è che siamo dei matti un po' tutti.

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Donna Paola

244819
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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Pagina 36

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245442
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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E ad un tratto pare che qualcuno accenda un lume: le ultime nuvolette si tingono d'oro, la spuma le imita: e il vento di tramontana ricaccia di là dal mare il libeccio e abbatte i cavalIoni verdi. È il sorgere della luna.

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