Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL VENTRE DI NAPOLI (VENTI ANNI FA - ADESSO - L'ANIMA DI NAPOLI)

682523
Serao, Matilde 1 occorrenze
  • 1906
  • FRANCESCO PERRELLA EDITORE
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Le antiche arti, gli Orefici, gli Armieri, i Lanzieri, i Taffettanari, son là, coi loro piccoli opificii malsani, oscuri, miserabili; sono ancora lì le straduccie affogate, fra le case, gli antichi portoncini larghi settantacinque centimetri, le antiche finestre dai vetri sporchi, gli antichi cavalcavia sui quali pare si abbattano le vecchie case crollanti, gli antichi vicoli ciechi, ricovero di ogni sporcizia: tutto, tutto è restato com'era, talmente sporco da fare schifo, senza mai uno spazzino che vi appaia, senza mai una guardia che vi faccia capolino. Tutto si fa, nelle piazzette, nei vicoletti: tutti vendono il vendibile, erbe, frutta, carne, pesci, nel fango eterno della strada; e vi sono le antiche osterie, ancora, ove si vendono le zuppe di pasta e fagioli, le fritture, di cento cose fritte, dai panzarotti ai peperoni, le insalate di scapece , il zoffritto a porzione di tre soldi, di due soldi, persino di un soldo! Come un tempo! Peggio di un tempo! A dieci passi dal Rettifilo, caldaie di patate, caldaie di polipi, caldaie di spighe bollite, caldaie di castagne, e il più acre odore, intorno, da queste cucine, dalle piccole fucine degli Orefici,e degli armaioli, dalle marmitte dei tintori! Pieno di colore? Già: ma orribile! Io rammento tre punti, fra gli altri. Una piccola regione chiamata Tentella : cioè un intrico quasi verminoso di vicoletti e vicolucci, nerastri, ove la luce meridiana mai discende, ove mai il sole penetra, ove per terra la mota è accumulata da anni, ove le immondizie sono a grandi mucchi, in ogni angolo, ove tutto è oscuro e tutto è lubrico, ove, a un crocicchio, vi è un'ostessa dai folti capelli neri, a un crocicchio, donde, in penombra si vede ancora il fondaco Tentella , una ostessa che vende ogni sorta di mangiare in grandi piatti di rame lucido, dalla fragaglia fritta alla spiritosa di pastinache. E m'incoraggia ad andare verso il fondaco Tentella , l'ostessa, con la bonomia napoletana, m'incoraggia, poichè vede che io esito, innanzi a tutte quelle sporcizie, lungo quelle mura trasudanti umidità, con quegli odori nauseanti: mi incoraggia, mentre io esito, fissando gli occhi in quella oscurità - e siamo nel paese dell'azzurro, del sole! - mentre sul suo viso giallastro, sulle sue labbra violette, nei suoi denti neri, io leggo tutte le traccie di quella vita sprofondata nel lezzo e nei contatti costantemente malsani, tre o quattro persone, in una stanza, e che stanza, e le ore del giorno, in una cucina affumicata, a preparare le vivande male olenti, da vendere! Da quanti anni non viene, qui, un sindaco, un assessore? Da quanti anni non si lavano, queste vie? Da quanti mesi non si spazzano? Tutto il letame delle bestie e delle persone e delle case, tutto è qui e nessuno ce lo toglie, qui, sull'orlo della civiltà novella, dietro ai palazzi sontuosi - andate laggiù, cercate del vicolo Barre: esso dovrebbe corrispondere a una colmata che non si è fatta, a una traversa che non si è mai aperta. È un vicolo strettissimo, lunghissimo, con case altissime, disseminate di balconi, di finestrelle: i due lati sono legati fra loro da cavalcavia, da ponti di pietre, da ponticelli di legno, il che ne aumenta l'oscurità: i due lati, anche, sono legati da corde, da funicelle a cui pendono panni, di tutti i colori, rappezzati, stinti: e questo lunghissimo vicolo Barre, i cui portoncini sembrano caverne, non ha un lampione: è una vera sentina di ogni cosa più ignobile: ed è pericoloso a esser attraversato anche di giorno, tutto abitato da donne di mala vita, da camorristi, da ladri, e l'orrore che ne proverete non sarà solamente fisico, voi proverete uno di quegli avvilimenti morali che provocano delle profonde tristezze. E se voi volete scrivere un capitolo di un romanzo popolare, più innanzi, molto più innanzi di questo tremendo vicolo Barre, attraversate il vico dei Cangiani, col suo relativo supportico. Esso è costeggiato, a manca e a dritta, tutto da piccole locande, dove si pagano quattro o cinque soldi per dormire, ove si dorme in quattro o cinque in una sola stanza: queste locande hanno una clientela speciale, quella dei carrettieri di Calabria, di Basilicata, del Cilento, di Terra di Lavoro, coloro che si chiamano nel popolo, vaticali , da viatico, certo: e questi contadini stanno, di giorno, sui portoncini di queste locande da quattro soldi, stanno, vestiti dei loro panni pesanti e di taglio contadinesco, coi loro cappelli di strana foggia, coi loro mantelli, seduti per terra, seduti sovra una pietra, aspettando di rimettersi in cammino. Io ho attraversato questo vicolo, fermandomi a guardare quei volti adusti, immobili di espressione, pazienti sotto le fatiche e sotto i disagi, quelle labbra mute: ho vissuto dei lunghi minuti in questo vicolo nerastro, tutto disselciato, pieno di acque luride, pieno di una melma attaccaticcia, in questo vicolo talmente tetro che sembra una tomba, e, a un certo punto, sono stata presa dal delirio di fuggire, di fuggire, per non vedere più, per non udire più, per non avere più lo spettacolo della più amara delusione, nel mio cuore di napoletana, per non soffrire delle sconosciute sofferenze altrui, da niuno consolate, poichè quella gente vive e muore, laggiù, alle spalle dei superbi palazzi, ignota, obliata, disdegnata, disprezzata! E, in ultimo, sapete che è accaduto? Che il popolo, non potendo abitare il Rettifilo, di cui le pigioni sono molto care, non avendo le traverse a sua disposizione, non avendo delle vere case del popolo , è stato respinto, respinto, dietro il paravento! Così si è accalcato molto più di prima; così il Censimento potrebbe dirvi che tutta la facciata del Rettifilo, è poco abitata, e tutto ciò che è dietro, disgraziatamente, è abitato più di prima; che dove erano otto persone, ora sono dodici; che lo spazio è diminuito e le persone sono cresciute; che il Rettifilo, infine, ha fatto al popolo napoletano più male che bene! In quell'intrico che va da Porto a Mercato, a Vicaria, si aggroviglia una folla spaventosa; non vi sono che poche fontanelle di acqua e le case, che debbono essere, demolite (?), ne mancano; non vi sono fognature regolari, non vi sono lampioni, poichè il piano stradale, è assolutamente dissestato: tutto ciò che serve alla vita, vi manca. Se una epidemia, lontana sia, dovesse capitarci, impossibile circoscriverla, impossibile dominarla: in quei quartieri farebbe novellamente strage, come venti anni or sono; e i nostri edili nulla ne sanno; e nessuno vuol saperne niente. E quel popolo che è stato tradito, poichè non ha avuto quanto la nazione gli aveva donato, per redimerlo igienicamente e moralmente, quel popolo che è abbandonato, che lo sa, che un po' ne ride, un po' ne sospira, un po' ne digrigna i denti, questo grande popolo che noi dobbiamo amare, che noi amiamo, perchè ci sentiamo affratellati con esso, perchè anche noi siamo popolo, perchè noi siamo come esso e figliuoli del medesimo Iddio di giustizia e di clemenza, questo popolo non resiste agli antichi istinti, al bisogno di vivere come che sia, al bisogno di vendicarsi di questa società ingrata e traditrice: non resiste alla suggestione del vizio, del male: e giuoca: e ruba: e si vende: e ferisce: e uccide: e colà, di giorno, di notte, appena dietro il paravento, o nel Rettifilo istesso, il crimine, il delitto, si espandono, fioriscono, eterna rampogna, eterno rimorso a coloro che, fedifraghi al Re, ad Agostino Depretis, a Niccola Amore, a Guglielmo Sanfelice, alla Nazione, commossa di orrore e di pietà, mancarono ai patti giurati e ruppero ogni promessa, lasciando il popolo napoletano a languire, a struggersi, a patire, ad agonizzare, nella più profonda ignavia del corpo e dell'anima.

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