Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La gente per bene

191699
Marchesa Colombi 11 occorrenze
  • 2007
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Queste cose sono già abbastanza elementari, nevvero? Eppure io so di signorini, fino ad un certo punto educati, che non commetterebbero mai nessuna delle sconcezze accennate ne' primi consigli di Melchiorre Gioia, che si dànno l'aria di personcine importanti, che salutano que' di fuori e fanno de'complimenti per sentirsi dire: Che ragazzi gentili! e poi in casa si svegliano domandando ad alta voce la colazione, o magari facendo il broncio e piagnucolando: siedono a tavola prima de'loro genitori; la sera si fanno dire dalla mamma di dare la buona notte al babbo; e, quando escono a passeggio, hanno bisogno che la bambinaia, la quale, poveretta, non ha avuta educazione, li avverta di salutare le persone della famiglia che rimangono in casa. Così, dunque, mi hanno intesa, signorini? Tutti i complimenti che si fanno cogli estranei, li debbono prima di tutto praticare nella loro casa, colla loro famiglia. Questo per la vita di tutti i giorni; ma vi sono giorni diversi degli altri; giorni solenni. Il Natale, il Capo d'anno, gli onomastici, i natalizi di famiglia. È allora che i ragazzi educati debbono dar prova di vera gentilezza. Quando si tratta di festeggiare il babbo, è la mamma che consiglia i bambini, e loro non hanno che a lasciarsi dirigere. Ma se sapessero come soffre la mamma, e che malagrazia hanno loro stessi, quando reagiscono contro la lettera da scrivere, contro il complimento da recitare, contro il lavoro da eseguire; e brontolano che non sanno cosa scrivere; e che il complimento è difficile da imparare a memoria; ed a dirlo poi... non osano... E, al momento di dirlo, quelle esitazioni, que'contorcimenti, quel ridere scemo, quasi che il fare una manifestazione d'affetto ai genitori fosse cosa buffa, quegli straordinari abbassamenti di voce e tutto il corredo di smorfie, con cui i fanciulli sogliono guastare le più care scene di famiglia, lo sanno loro, signorini miei, come si traducono in lingua parlata? - Che ragazzi egoisti! Come sono freddi pei loro genitori! Tutto quello che fanno è una formalità compiuta per forza, e non hanno neppur abbastanza delicatezza per non farsi scorgere. Triste solennità per que' genitori! E triste idea, soggiungo io, che danno quei fanciulli della loro educazione! Vi sono poi fanciulli soprammodo disgraziati, che non hanno più mamma, o non hanno più babbo. Ed altri la cui sventura è più grande ancora: li hanno perduti entrambi. È un parente, un'istitutrice, che tiene il luogo di que'poveri cari. Allora, a quel parente, a quell'istitutrice, debbono gli stessi riguardi che avrebbero dovuto a'genitori. Se è una sola persona che veglia su di loro, debbono ingegnarsi a farle da sè stessi qualche improvvisata che le rallegri i giorni solenni; poichè, naturalmente, non debbono farsi consigliare da lei. Allora non vi sarebbe più improvvisata possibile. In tal caso, un lavoretto semplice che sappiano eseguir bene, qualche fiore, poche parole scritte, venute schiettamente dal loro cuoricino, anche con qualche errore, non importa, ecco quello a cui debbono attenersi. Pregare un maestro oppure un conoscente che scriva per loro una lettera, sarebbe quanto dire alla persona a cui fanno omaggio, la quale conosce troppo la loro capacità per essere ingannata: - «Badi, non ci avevo proprio nulla nel cuore. Non ho trovato una parola per lei, ho dovuto farmela prestare da altri.» Dolorosa novella questa, e tutt'altro che fatta per allietare un giorno solenne. Alle volte però si possono recitare de' versi ed è certo un pensiero grazioso, sebbene difficilmente i versi possano essere scritti dal bambino che li dice. Ma bisogna che siano scritti appositamente per quella circostanza; o, quanto meno, che il fanciullo, leggendoli in qualche buona raccolta, li abbia compresi perfettamente, e vi abbia trovato l'espressione dei propri sentimenti per la persona alla quale vuol dirli. Ma è assai difficile trovare in un libro i versi che si adattino precisamente a' sentimenti, a' rapporti sociali, alle qualità, alle circostanze d'una persona. Una allusione fuor di proposito basta a metter in ridicolo chi li dice, ed anche la persona a cui sono rivolti. Io conobbi, anni sono, una bambina, che non aveva più mamma, povera gioia! Il suo babbo occupava una alta situazione, ed era sempre assorto in gravi lavori. L'educazione della piccina era affidata ad una vecchia signora nubile, buona senza dubbio, come lo sono tutti quelli che prendono cura de' bambini, ma d'aspetto tutt'altro che avvenente, di modi rigida, rigorosa, punto espansiva, austera nel suo vestire che era sempre nero o color tabacco. Una mattina, giocando con un calendario che stava sul camino, la piccola Gemma vide che quel giorno era San Gaudenzio. L'onomastico della sua governante, che si chiamava Gaudenzina. Cosa fare? Non lo aveva saputo prima, ed ormai il babbo era andato allo studio, e non c'era speranza che rientrasse fin all'ora del pranzo. Tuttavia la bimba era compresa del suo dovere, e si sarebbe fatto uno scrupolo di non fare un complimento alla governante. Nel suo imbarazzo pensò di andare in cucina a consultare la cuoca. - Se tu volessi andar a prender de' fiori, Margherita.... insinuò la Gemma colla voce supplichevole. - Sie! De' fiori ai ventidue di gennaio; dove li prendo? - Allora, aiutami a pensare cosa debbo fare per la signorina; (la signorina era l'appellativo con cui si soleva nominare la severa governante, che non era mai discesa alla famigliarità di lasciarsi chiamare col suo nome). Fu un'ardua questione. La cuoca cominciò col proporre alla bimba di fare un sonetto. La Gemma non sapeva cosa fosse un sonetto. - Un sonetto, come quello lungo lungo, che ha recitato lo scorso Natale al babbo, spiegò la cuoca. - Quella era una poesia. - Ebbene, una poesia è un sonetto. Ne faccia uno e lo reciti questa sera alla signorina. - Ma io non so farlo. - Se scrive sempre!... - Sì, ma non so come si fa a far le poesie. So soltanto copiare. - Ne copi una da un libro. Ne ha tanti! Era un'idea. La bimba la trovò subblime, e la proposta fu approvata alla piccola unanimità da quell'ingenua assemblea. La Gemma si mise a sfogliare con gran sussiego il suo libro di lettura, ed a leggerne tutte le poesie. Non ne capiva gran cosa. Ce n'erano di quelle che parlavano della patria: comprese vagamente che non facevano al caso suo. Poi c'erano delle favole: La cicala e la formica; La rana ed il bue; IL cane e la fonte. - Ti pare che una di queste possa andare? domandò alla cuoca. La cuoca trovò che quelle storie di bestie erano fatte per raccontarsi dalle governanti a' bambini, e non dai bambini alle governanti. - E proprio per la signorina non dicono niente, soggiunse. La Gemma continuò a cercare. Finalmente trovò una poesia che le parve messa là per lei. Non la capiva tanto bene, poverina: aveva appena sette anni, e non capiva molto chiaramente neppure la prosa; figurarsi poi i versi! Ma quelli erano dedicati ad una signora, e le pareva ben chiaro che le facessero de' complimenti. La Gemma cominciò a copiarla colla sua più bella scrittura. Vi sciupò un quinterno di carta, con cui la cuoca fece un rogo per nascondere la cosa anche al padrone. Giacchè la grande impresa era riuscita senza il suo concorso, bisognava serbare l'improvvisata anche a lui. La sera giunsero parecchi conoscenti che andavano a fare la partita alle carte col babbo della Gemma e la governante, e quando quella signora fu seduta fra loro, cogli occhiali d'argento e con un bel vestito color tabacco, nuovo per la solennità della circostanza, la Gemma si fece innanzi tutta trionfante colla poesia scritta in mano, mentre la cuoca dalla porta faceva capolino, per godere anche lei di quel trionfo dovuto in gran parte alla sua pensata. Una salva di elogi accolse la bimba. - Come! La Gemmolina era riescita da se sola a combinare quella gentilezza? Era una meraviglia. E dove l'aveva copiata? Nel libro di lettura? Ma che idea luminosa! - Via, leggila tu stessa la tua poesia, disse la signorina. Sarà più accetta a me, e la sentiranno tutti. Incoraggiata così, la Gemma aperse la carta, fece un bell'inchino, e cominciò a leggere:

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Qualche volta dovrà farlo, se vede una vera mancanza; ma avrà cura di volgere la cosa in ischerzo, mettendola sul conto della distrazione e mostrandosene abbastanza stupita per non lasciar credere che quello sia il modo abituale con cui ii suo marito tratta le signore cominciando da lei. Sarebbe quanto dire: - Vedono che zotico ho sposato ! Se non foss'io ad insegnargli la creanza! Se una signora, entrando a far visita in una casa, vi trova suo marito, dovrà salutarlo porgendogli la mano, subito dopo aver salutati i padroni di casa e le altre signore, e prima d'ogni altro uomo. Se lui arriva in campagna o ai bagni dopo un certo tempo di separazione, e lei si trova ad accoglierlo alla presenza di altre persone, non eviterà per questo di corrergli incontro e di abbracciarlo; se non lo facesse mostrerebbe di vergognarsi di dargli una dimostrazione d'affetto. Ma dopo quella prima accoglienza dovrà subito ricordarsi dei doveri di cortesia e d'ospitalità, e presentare il marito alle persone che non conosce ancora, se ce ne sono o ad ogni modo lasciare che faccia i saluti e complimenti che crede, e non accaparrarlo tutto per se, e non domandargli particolari di famiglia di cui gli altri non sono informati o non si curano, e serbare le espansioni ed i discorsi intimi per più tardi, quando sarà sola con lui o in famiglia. Se il marito le offre un divertimento qualunque, una serata, un viaggio, l'accoglierlo con freddezza, il mostrarvisi indifferente per far pompa di gusti casalinghi, è una mancanza di tatto, che tende a diminuire il pregio dell'offerta ed umilia chi la fa. Qualche volta il marito approfitta del Natale, del capo d' anno, dell' onomastico, d'una festa di famiglia, per offrire in dono alla sposa un oggetto che avrebbe dovuto provvederle. Il farne l'osservazione sarebbe addirittura villano, come pure il calcolare sul prezzo della cosa offerta, e considerare quella spesa nel bilancio di famiglia. Un dono si accetta sempre come un dono, con elogi, ringraziamenti, e si mostra alle persone intime, e si ripete, che è una gentilezza del marito, precisamente come fosse d'un'altra persona. Al marito ed ai suoceri si deve il riguardo di aspettarli sempre prima di mettersi a tavola, e non si deve spiegare il tovagliolo che quando sono seduti. La moglie, alla tavola di famiglia, tiene sempre la destra del marito; ma se c'è una suocera, le cede il diritto di servirsi per la prima, e le risparmia tutte le brighe del servizio, il tagliare, il mescere, ecc. Gli stessi riguardi deve pure accennare di usarli anche al suocero, per deferenza alla sua età, ma non insistere se, come uomo, rifiuta d'accettarli. Infine una signora educata non deve ammettere altra differenza tra il contegno che usa in società, e quello che tiene in casa fuorchè un grado maggiore di espansione.

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E se un argomento prende il campo e minaccia di non cessare finchè se n'e visto il fondo, o se nasce una discussione, la padrona di casa deve avere abbastanza spirito per troncarli. Basterà una parola: - Signori miei, non sanno che noi signore, della loro politica non ci divertiamo punto?... - Badiamo che non s'avessero a sfidare in casa mia.... Non cerchino dei ripieghi. Non gioverebbero a nulla. Una signora aveva letto in un galateo moderno pubblicato alcuni anni fa, non so che bislacca storia d'una contessa, che per far cessare una discussione politica molto animata, aveva trovato il sublime ripiego di rompere un piatto. Quella poveretta l'aveva presa sul serio, e vedendo due signori riscaldarsi in una questione alla sua tavola, s'affrettò a gettare in terra una magnifica salsiera di porcellana. Sciupò il suo abito, i calzoni del vicino; ma era troppo educata per dar importanza a quel disastro. - Via non ci badino; e cosa da nulla, disse. Ed i due oratori ripresero il discorso al punto preciso dov'era rimasto: - E come le dicevo, la Prussia e una nazione che pensa; una nazione filosofica.... - Ma lasci stare! La Francia è la prima nazione del mondo.... Un momento dopo erano più animati di prima, e la signora si credette in obbligo di rompere una fruttiera, più tardi una tazza da caffè senza ottener altro risultato, che interruzione di un momento. Se li avesse interrotti con garbo, ma francamente, la questione sarebbe finita senza lasciare sul campo la rovina di due servizi. All'opposto, bisogna aver grande cura noi stessi, è raccomandare caldamente ai servitori, di evitare, per amor del cielo, quei disgustosissimi incidenti, di rovesciamenti, di rotture, che obbligano sempre una persona a fare un atto eroico, per dimostrare uno stoicismo sovrumano, dinanzi ad un servizio guasto od un abito sciupato. Alzandosi da tavola la padrona di casa dà il braccio non più al suo vicino di destra, ma a quello di sinistra, e s'avvia per la prima alla sala dove si deve prendere il caffè, che servirà in persona aiutata dalle signorine. Gil invitati la seguono ed in ultimo viene il padrone di casa colla sua vicina di sinistra.

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disse la fidanzata al suo ballerino, abbastanza forte perchè tutti i vicini l'udissero, compresa la signora, la quale si fece di brace. Poco dopo venne suo fratello a prenderla. Era il fidanzato della signora di spirito; lei non conosceva neppure di vista quella futura cognata, maritata fuori di Milano, e giunta pochi giorni prima per passare un po' di tempo in famiglia. Da quella sera, i genitori del giovine posero tanti bastoni nelle ruote che il matrimonio non si fece più fin dopo la loro morte. Le due cognate non si vedono ancora. Boccaccio ha detto : - Il motto deve mordere come la pecora, non come il cane.

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Non è ancora abbastanza entrato nelle nostre abitudini, ed una grande quantità di persone non possono prenderlo senza soffrirne una veglia nervosa. Una padrona di casa non può offrire una seconda sera il tè ad una persona che l'ha rifiutato la prima per questa ragione. Lo zabajone, la cioccolata, il vino caldo, il ponce, i vini fini, i liquori dolci, sono tutte bevande che si possono offrire. Le paste più adatte sono i picnics, i muffins, le sugar-wafers, e sopratutto i petits fours, e soltanto col tè e coi vini si accoppiano bene i sandwichs. Col ponce e col vino caldo vanno egregiamente le brioches, il babà. Cogli altri servizi tutte le paste dolci, non escluso il panettone.... e che Dio, il signor Fanfani ed il signor Rigutini mi perdonino il linguaggio ostrogoto di questi particolari gastronomici. Per quanto la mia ignoranza mi consigli ad aggrapparmi al detto di Voltaire: Le puriste est toujours pauvre d'idees, non posso farmi illusione che il valore di queste idee ghiotte sia tale da farmi perdonare la barbarie della nomenclatura. Se un artista di professione, uomo o donna, ha fatto ad una signora la gentilezza di cantare o sonare ad una serata d'invito, senza un accordo di compenso, la padrona di casa deve mandargli un dono a titolo di ringraziamento.

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Se il battesimo dev'essere fatto con pompa, si dà l'acqua al bambino, e si differisce la cerimonia fino a che la madre sia abbastanza guarita per assistervi. Però questo non si fa da molti. Quelle esistenze pargolette sono così fragili, che difficilmente una mamma si mette in pericolo di veder morire il suo bambolino senza battesimo, sebbene alla crudeltà del limbo le mamme non ci credano, e si tengano sicure, che tutte le porte del paradiso si spalancherebbero dinanzi al piccolo innocente, per lasciarvelo svolazzare nella forma idealmente pura d'una testina alata. La mamma non è obbligata a ricevere il compare in camera finchè sta a letto. Se crede però di farlo nessun riguardo di convenienza vi si oppone. Ad ogni modo sarà il solo uomo che godrà un tale privilegio, al quale la comare ha diritto. Dopo il battesimo, il padre del bambino offrirà un rinfresco al compare, alla comare ed agli invitati. In alcuni paesi si suol dare un pranzo; ma da noi non si usa prolungare dei complimenti, che terrebbero il marito lontano dalla moglie in momenti, in cui sentono più che mai l'uno e l'altra il bisogno di stare uniti, di comunicarsi le impressioni di quel nuovo amore, che è venuto a vincolare maggiormente le loro esistenze. Oltre alle carte di visita in risposta all'annunzio, la mamma riceverà una visita dalle persone più intime, fra quelle a cui ha comunicata la felice novella. Se la sua salute glielo permette comincierà a ricevere dopo tre settimane dalla nascita del bambino. Non in sala però, ma in camera da letto, o in un salottino accanto. La mamma deve avere un abito sciolto ad accappatoio, ed una cuffietta. Nella sua abbigliatura deve dominare l'azzurro se il piccolo angelo che dorme accanto a lei è un bambino; il roseo, se è una bambina. Il personaggio minuscolo dovrà essere in ordine per venir presentato alle visitatrici. Lui però non dovrà darsene pensiero, nè prendersi disturbo di sorta. Basta che, steso tra i merletti della sua culla, si degni di lasciarsi ammirare; del resto può gridare, dormire, e fare il suo comodo in tutta l'estensione del termine. La prima visita della mamma, dopo essere stata in chiesa a rientrare in santo, dev'essere per la comare. In seguito andrà da tutte le persone che sono state a vederla. E, più tardi, quando il bambino comincerà ad uscire, dovrà andare con lui portato dalla nutrice o dalla bambinaia, da tutte le persone che hanno salutato con una visita la sua venuta nel mondo. Per riguardo al bambino, a cui si debbono evitare gli urti dei passeggieri affrettati, la signora, andando a piedi in istrada, cederà sempre la destra alla persona che porta il suo tesoro.

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Ma loro, signori uomini seri, credono veramente che vi sia più serietà nel mancare de' riguardi elementari verso le conoscenti della loro sposa, che nel mostrare, accompagnandola almeno una volta da ciascuna, che la curano abbastanza per volere sapere dove va, e con chi tratta? Via; la mano sulla coscienza ; lo credono davvero? Così accadrà loro d'incontrare per la strada delle signore che la loro moglie vede ogni settimana, a cui dà del tu, e non le saluteranno. E quelle signore non diranno certo: - È un uomo serio; è occupato di cose troppo gravi ed alte per curarsi di noi.... Punto, signori miei; me ne duole pel loro amor proprio ; ma le ho udite molte volte dire con un sorriso che non era d'ammirazione: - È il marito della signora tale. Uno screanzato. Non conosce neppure le relazioni di sua moglie; poveretta ! Io mi rallegro coi nostri uomini, che non passino la loro giornata metà ad azzimarsi, e l'altra metà in visite galanti, come i cavalieri serventi dell'altro secolo. Ma da un eccesso all'altro ci corre; ed almeno una volta all'anno, come il minimum della confessione, un marito dovrebbe fare una visita a tutte le relazioni di sua moglie. Nelle famiglie modeste che hanno due, tre persone di servizio al più, alle volte anche una sola, la moglie si trova nel caso di rendere al marito una quantità di piccoli servigi; preparargli tutto l'occorrente quando deve vestirsi, provvedergli i piccoli oggetti di toletta, fargli trovar pronta la colazione, servirgli il caffè, o una bibita d'abitudine, fargli, a pranzo, l'improvvisata dei piatti che preferisce, cucirgli la biancheria, ecc., ecc. Queste cose per la moglie possono essere una delizia che tiene luogo d'ogni altro piacere o possono venirle a noia al punto da trascurarle o farle di mala voglia. Tutto dipende dal compenso che ne riceve. Se il marito non dimentica mai che la moglie è sua uguale, che è debole, che ha bisogno da lui il coraggio che le manca per affrontare le piccole e grandi miserie della vita, accoglierà quei servigi intimi e affettuosi come altrettanti favori, e li compenserà con una buona parola, con un ringraziamento, con qualche elogio. Oh, se lo sapessero tutti gli uomini, che largo compenso possono dare con una parola amorevole e cortese! Ma se tutto quello che fa è ricevuto in silenzio, come un tributo che lei deve per obbligo al suo signore e padrone, se lui non si da la briga di mostrare che avverte le sue cure e le apprezza, anche la moglie più devota si stanca, e pensa: - A cosa serve? Da questo derivano le tante piccole mancanze, i bottoni staccati, i guanti scuciti, il pranzo in ritardo e poco accurato, e talvolta il disamore della casa nella moglie, il malcontento nel marito, la tristezza in famiglia, la pace perduta. Perchè? Per un'inezia. Perchè il capo di casa, che deve dare l'esempio del modo di vivere, ha dimenticato che nè l'affetto nè l'intimità non dispensano dalla cortesia. Perchè ha lasciata andare a poco a poco la buona e dolce abitudine della gentilezza, ha preso a trattare in casa come non tratterebbe fuori, e, senza avvedersene, è arrivato ad essere quasi inurbano, a ricevere un atto gentile senza ringraziare, a lasciar parlare senza rispondere o a rispondere con asprezza se non è di buonumore, o a rimproverare senza tutti quei riguardi di delicatezza che si devono ad una signora, la quale, al pari di lui, è padrona di casa. Un capo di casa deve insegnare alla famiglia il rispetto dovuto alla propria moglie. A lei deve il primo saluto entrando in casa; a lei deve offrire prima i piatti in tavola, e lasciare la destra al passeggio ed in carrozza, ed uscendo insieme, di sera od in campagna, deve offrirle il braccio, ed usarle tutte le attenzioni che userebbe ad un'altra signora. Se vi sono disaperi tra loro, se deve farle qualche osservazione, avrà cura di chiamarla in disparte e di risparmiarle qualunque umiliazione davanti alle persone di casa anche alle più intime, anche ai suoi genitori. Deve tener conto delle sue delicatezze di donna, e neppure le piccole critiche sopra un abito o una pettinatura, non deve farle presente a terzi per non obbligarla ad arrossire. Una volta sarebbe cascato il mondo se una signora avesse fatto un viaggio da sola. Allora il marito doveva sempre accompagnare la moglie in viaggio, e da ciò risultava che si viaggiava pochissimo. Ora la grande facilità dei mezzi di trasporto, la maggior istruzione, che va abolendo una quantità di pregiudizi, hanno reso il viaggiare assai comune, e gli uomini che hanno delle occupazioni possono, senza essere ineducati, lasciare che la moglie vada sola da un paese all'altro, se le circostanze lo esigono. Ma, per carità, non spingano la fiducia fino all' indifferenza. Il marito deve mostrarsi interessato dell'itinerario del viaggio, dell'orario più o meno comodo; deve accompagnare la signora alla stazione, non abbandonarla prima d'averla veduta a posto nel vagone, risparmiarle tutte le noie del bagaglio, del biglietto di ferrovia, ecc., raccomandarla a qualche conoscente pel viaggio se è possibile, ed assicurarsi bene che sia aspettata dove giunga. Se la signora va ai bagni o alle acque, deve scrivere lui stesso al medico o al proprietario dello stabilimento per avvertire dell'arrivo, e raccomandare che si usino a sua moglie tutti i riguardi possibili. Ed al suo ritorno deve trovarsi ad aspettarla alla stazione, se non foss'altro perchè i compagni di viaggio, dei quali ha potuto attirare l'attenzione, vedendola andare sola come la donna di nessuno, non facciano sul suo conto giudizi temerari. Vi sono mariti che non si danno nessuna di queste brighe, e cercano di scusare la loro trascuranza dicendo : - Oh troppa stima di mia moglie per aver bisogno di curarla. So che sa regolarsi bene da sè. Questo eccesso di stima tradotto in buol volgare vuol dire: - Non credo che valga la pena di custodirla: non me ne curo. Le donne, signori miei, hanno la loro parte di amor proprio. Preferiscono un Otello che le strangoli, ad un marito placido che le stimi a quel modo. Una moglie che viene abbandonata a se stessa è come un gioiello che si lascia sopra una tavola d'anticamera, coll'uscio aperto. Non importa che venga rubato, o si giudica talmente privo di valore, da non poter attirare nessun ladro. E qualche volta il bisogno di affermare il proprio valore al marito, che non lo riconosce, induce la moglie a lasciar venire il ladro. Quando una signora va ad un ballo il marito deve accompagnarla; e se non può farlo, deve persuaderla a rinunciarvi anche lei. Soltanto nel caso in cui vi fossero delle figliole grandi, per non privarle di quel divertimento tanto caro alla loro età, se anche il capo di casa e nell' impossibilità di accompagnarle, potrà permettere alla moglie d'andarvi colle signorine, purchè vi sia un fratello maggiore, o un parente a cui affidarle. Se una signora ha una serata per ricevere il marito dovrà trovarsi in casa almeno una mezz'ora, tanto da mostrare che gradisce la presenza degli ospiti in casa sua, e non si considera estraneo alle conoscenze della sua signora. Giungendo in campagna dove la moglie passa l'estate, o tornando da un viaggio, chiunque siano le persone che si trovano al suo arrivo la prima a salutare sarà sempre la moglie, poi i figli. Uno che credesse di mostrarsi cortese salutando prima i forastieri, mostrerebbe che la sua cortesia è superficiale e non ha radice nel sentimento. E si farebbe torto, perchè, credano signori lettori, per quanto queste possano sembrare semplici formalità o leggerezze, la vera cortesia è strettamente legata ai sentimenti di umanità. Non c'e atto cortese che non s' inspiri ad un buon sentimento. Non c'è scortesia che non ferisca qualche cuore. Un amico che ci trascuri, che non ci visiti, che non ci scriva a tempo, che ci manchi di un riguardo, non possiamo considerarlo un uomo superiore che non si curi di quegli atti gentili perchè li crede pure formalità, e si riservi a dimostrare la sua amicizia nelle grandi circostanze. Le grandi circostanze, il caso di buttarsi nell'acqua o nel fuoco per salvarci, o di scendere in campo chiuso a spezzare delle lancie in nostro favore non accadono mai; quasi tutti si traversa la vita senza trovarsi nel caso di mettere un uomo a quella prova eroica. Ma si può apprezzarne ogni giorno la sua gentilezza d'animo, nelle piccole cortesie, e si può soffrire ogni giorno della sua rozzezza nelle scortesie che non sono mai piccole. E non serve la scusa pretenziosa ed assurda alla quale alcuni si aggrappano: - Sono un originale ! Saranno originali, si, ma brutti originali ed è da desiderare che non abbiano copie. Del resto, quegli originali là non saranno quelli di certo che mi avranno fatto l'onore di arrivare fino a questa pagina 230 del mio libro; ed è per questo appunto che ho intitolato il capitolo: Parole al vento. Quanto agli altri, agli uomini gentili di animo e di modi, se l'hanno letto, e se vi hanno trovato qualche cosuccia di buono, raccomandino il mio lavoro alle loro mamme, alle loro spose, alle loro figliole; ed io, che apprezzo ed ambisco l'approvazione delle graziose lettrici, ne sarò riconoscente

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In quella casa non si avvezzano abbastanza bene i ragazzi. Non voglio che i miei si vizino al cattivo esempio. Questo lo dirà nell'intimità, col proprio marito, e, di comune accordo, troveranno una scusa plausibile per non accettare l'invito senza offendere le persone, cortesi ed ospitali, che l'hanno fatto. Ma guai se un ragazzo indiscreto avesse il cattivo pensiero di ripetere a' suoi piccoli amici quell'osservazione! Basterebbe a far nascere un diavolìo, a mettere la discordia fra due famiglie, a screditare sè stesso e l'educazione che ha ricevuta. Quand' anche dal ripetere una parola udita, non dovessero risultare altri danni che quello di fare un po' ridicolo il piccolo relatore, sarebbe sempre abbastanza per consigliarle a non ripetere mai, se non i discorsi sui quali ha potuto acquistare la certezza che le stesse persone, da cui lì udì, non esiterebbero a farli dove lui li ripete. Anche a questo proposito l'infanzia della piccola Gemma mi offre un esempio. Usciva coll'istitutrice per andar in una famiglia dove spessissimo la trattenevano a pranzo. - Se invitano la Gemma a pranzo, posso lasciarla? domandò l' istitutrice prima di uscire, al babbo della bambina. II babbo che s'annoiava di non averla a tavola, rispose: - Se le fanno molte istanze, la lasci, altrimenti veda di ricondurla. Infatti la signora che andavano a visitare, disse alla bimba: - Mi fai il regalo di rimanere a pranzo, Gemmolina - Il babbo ha detto che se mi fanno molte istanze posso restare, ripetè quella pettegolina, senza saper neppure cosa volesse dire fare delle istanze. Le istanze reclamate a quel modo le furono fatte; sfido io! Ma l'istitutrice rimase male, ed il babbo pure quando lo seppe, al vedere rivelato così, che in famiglia s'era quasi contato su quell'invito, e si erano prese anticipatamente delle disposizioni in proposito. Sono cose che tutti fanno, ma non si dicono mai. Rimanendo ospite in casa d'altri, un bambino educato dovrà mettersi in ischiera coi bambini della famiglia, obbedire come loro, alzarsi, coricarsi, mangiare, studiare, giocare, passeggiare, alle ore fissate pe' suoi piccoli compagni. Soltanto, se quelli si permettono qualche indisciplinatezza o qualche capriccio, allora si guarderà bene dall'imitarli. Andando in giardino, si ricorderà sempre che i frutti ed i fiori non sono proprietà della sua famiglia, e però non gli è permesso toccarli. Trovando qualche mammola, qualche ciclamino, o fragole selvatiche, o altre cose che, siccome vengono naturalmente dalla terra, non si considerano proprietà esclusiva di nessuno, le potrà cogliere ed offrire alla mamma, alla sorella, alla zia, all'istitutrice de' suoi ospiti. Ma deve ricordarsi pure che le persone educate e gentili, accolgono con apparente soddisfazione e con ringraziamenti anche una cosa di cui non sanno che farne, per puro riguardo a chi l'offre. Per cui si guarderà bene dall'insistere sulla stessa offerta, com'è pur troppo una noiosa abitudine dei bambini, che, se vedono una signora gradire un fiore, seguitano a portargliene piene le mani, pieno il grembiulino, obbligandola a caricarsi d'un fascio di fieno. A tavola poi dovranno osservare le stesse regole che ho indicate pel pranzo in casa propria; ed anche con maggior scrupolo, perchè una sconvenienza commessa in casa d'altri, acquista maggior gravità. Fuori dalla loro famiglia, se appena non sono più piccolissimi, non saranno serviti nel piatto dalla mamma nè da altri. Passerà il piatto di mezzo davanti a loro come davanti agli altri commensali, e dovranno servirsi da sè. Prendano un po' di tutto, accettando il pezzo che vien più comodo, e non istiano a fare una scelta accurata da piccoli ghiotti, facendo aspettare il vicino. E si servano sempre con misura, in modo da non lasciare avanzi sul piatto. Dimentichino addirittura le parole: «Non mi piace» come se non esistessero, perchè, con quelle; sembra che vogliano fare un rimprovero ai padroni di casa d'aver fatto servire una cosa che non ha la fortuna d' incontrare il loro gusto. Se vi sono bambini di casa, i piccoli invitati si ritireranno da tavola quando si ritirano loro, altrimenti aspetteranno di riceverne un ordine diretto. Uscendo da una casa dove sono stati a pranzo, i bambini, come tutti gli invitati, sono tenuti ad un ringraziamento ai padroni di casa. Ma sono caldamente pregati di non cercare di fornir complimenti imitati da qualche signore o signora, per far il ragazzo di spirito ed attirar l'attenzione. Riescirebbero soltanto ad apparir pedanti, pretenziosi e ridicoli. Si limitano a dire: Tante grazie e buona sera, o qualche cosa di simile; ma molto simile, perchè i bambini, nuovi al mondo, non si rendono ben conto del valore delle parole, non sanno quello che va detto, e quello che non va, e facilmente sbagliano. Conosco un ragazzino di sette anni e mezzo che, uscendo da una casa dove era stato a pranzo, disse al padrone di casa, coll'aria di un giudice supremo che decreta un'assolutoria: - Votre diner a été bon. Je vous remercie. - Aveva la cattiva abitudine di parlar francese anche in compagnia. Tutti risero di quello strano complimento, e lui si credette il bambino più spiritoso dei due mondi, mentre l'ilarità generale era nata dalla grottesca figura che faceva erigendosi lui, così piccino, a giudice culinario; e dichiarando implicitamente, che non avrebbe ringraziato se il pranzo non gli fosse sembrato buono.

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Quando una signora, o anche un visitatore, si alza per uscire, se la casa non è abbastanza ricca perchè vi sia sempre qualche servitore in anticamera, la signorina suonerà il campanello perchè una persona di servizio vi si trovi ad aprire l'uscio. Trattandosi d'un uomo però, dovrà lasciarsi salutare prima da seduta, e non alzarsi per suonare il campanello, se non quando lui sarà per uscir dalla sala. Le convenzioni vogliono che una signorina non sia mai la prima ad osservare che una visita è stata breve, nè insista perchè si prolunghi. Questo riguarda sua madre. Non deve mai domandar conto alle visitatrici dei loro figli, dei fratelli, dei cognati, quando sono giovinotti. Si deve limitare ad informarsi, delle signore, dei vecchi, dei mariti, dei bambini. È una affettazione ipocrita, ed io non l'approvo. Ma l'uso ne ha fatta una legge, che ora però si va perdendo. E badino di non dire a nessuno: Come sta il suo signor padre o la sua signora madre, ecc. Non si sono mai trovate a sentire le vecchie commedie in cui i personaggi parlano così! A noi fa un effetto strano; sembra uno scherzo. Se la situazione sociale della persona a cui parliamo non è differente della nostra, si dice semplicemente il suo babbo, la sua mamma. Se poi si tratta di persone di gran soggezione, invece di nominarle col titolo di parentela, si dirà: Come sta il conte? La contessa? Il commendatore? II presidente? Il duca? ecc., ecc. Alle persone che ci sono superiori non si mandano saluti; sarebbe un atto di confidenza. S'immagini un povero scrittorello, un professorello, un concertista ricevuto dalla Regina, il quale nel congedarsi dicesse: Maestà, mi saluti il Re! Andando a far visite una signorina, sia a piedi che in carrozza, lascierà la destra alla mamma. Se è col babbo, accetterà lei la destra, se le è offerta. Non avrà carte da visita, s' intende. Se è figlia unica, può avere un biglietto collettivo colla mamma: Signora e signorina tale. È però un'usanza imitata affatto dai Francesi. Da noi nessuno si chiama signora nè signorina sulla carta di visita. Si mette soltanto nome, cognome e titolo, se c'è, e la figlia scrive a matita il proprio nome sotto quello della madre. Entrando in una sala una signorina siede accanto alla sua mamma, o accanto alla signorina di casa, se c'è. Se la padrona di casa le accenna un posto, anche al suo fianco, lo deve accettare senza complimenti, in atto d'obbedienza. Questo genere di complimenti indicano un sentimento di eguaglianza, che una giovinetta non può arrogarsi con una signora. Cederà poi quel posto d'onore alla prima signora che entrerà. In tal caso dovrà evitare di impegnare una questione noiosa. Dovrà alzarsi, ed accennando in atto di offerta il sedile abbandonato, andar subito a sedere presso sua madre. È affatto provinciale l'usanza di certe signorine, di offrire alle figlie delle visitatrici di passare in un'altra stanza, o di andare con loro al balcone. Questo fa supporre discorsi secreti, che offendono le mamme, e fanno torto alle signorine. L'uscire sul balcone poi, perchè sono signorine, mentre le signore rimangono in sala, vuol dire: -"Dacchè non abbiamo ancora trovato un cormpratore, andiamo a metterci in mostra; chi sa?" Se la signora di casa è una di quelle adorabili padrone attempate, che amano la gioventù, e la trattano con quell'aria di dolce protezione che invita l'affetto, una signorina farà bene a porgere il volto in atto di domandare un bacio nel congedarsi. Altrimenti cercherà, nello stringerle la mano, di accentuar molto l'inchino, in modo di escludere quel che c'è di confidenziale in quell'atto. Se una signorina non ha madre, e fa o riceve visite colla istitutrice, deve lasciare a lei il posto alla destra del camino o del divano, con quella deferenza che è sempre dovuta da una giovinetta ai superiori. Però sarà lei che osserverà che la visita fu breve quando una signora si alza per congedarsi, e che insisterà presso le persone intime, perchè si trattengano più a lungo. In tali circostanze, se c'è qualche invito affatto privato e confidenziale (non potrebbero essere differenti, perchè in una famiglia senza signore non si fanno inviti), toccherà alla signorina il farlo. Potrà benissimo pregare un'amica di rimanere a pranzo, o a passare la sera; o di andare in campagna con lei. Ma non mancherà mai di dire che farà molto piacere anche al babbo ed all'istitutrice; e pregherà questa di unire le sue insistenze alle proprie, affinchè la povera signora, condannata dalle circostanze a vivere in una casa che non è la sua, non se ne senta troppo estranea, e messa da parte. Gli stessi riguardi dovrà usare ad una zia, o ad una parente qualsiasi che vivesse con lei.

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Era una buona signora, ed abbastanza amena in compagnia. Ma quel maledetto appellativo di Tota l'aveva demolita coll'immagine primaverile che me ne aveva suggerita, e le raddoppiava ai miei occhi tutti gli anni che aveva in più, di quei tanti di meno che le avevo dati. Se è ammissibile un consiglio contrario agli usi del paese dove si vive, io consiglio le signore nubili piemontesi a non permettere mai che le chiamino Tote quando hanno passata la quarantina....

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Non era abbastanza agiata per avere una istitutrice addetta alla sua persona. Viveva sola con uno zio vecchio e severo. Per una delle tante licenze poetiche rigorosamente vietate da tutti i codici delle convenienze, s'era fidanzata di sua testa con un compagno d'infanzia; e con un coraggio degno di miglior causa, ed una fede idem, rifiutava tutte le proposte di matrimonio per aspettare che quel suo fidanzato minuscolo raggiungesse una situazione non ancora determinata, che si smarriva nel più lontano avvenire. Un giorno una conoscente di fuori città le mandò un bel giovine, un vero giovine con baffi e basette, munito d'una lettera di presentazione. Andava a stabilirsi in quella provincia, e la signora, amica della madre di lui, voleva procurargli qualche conoscenza. Un'altra sconvenienza. - Alle signorine senza mamma non si presentano giovinotti. Ma quella signora sperava di veder combinarsi un matrimonio, ed aveva presa la sola via che le era aperta. I due giovani si rividero in società, in teatro, e, per farla breve, perchè mi accorgo d'essermi impegnata in una storia lunga, s'innamorarono come due eroi da romanzo, malgrado quel fidanzatino più da romanzo ancora. Un bel giorno il giovine si presentò in casa della signorina portandole una lettera della signora che lo aveva presentato a lei, e che aveva riveduta in una sua gita a Torino. Lasciò la lettera ed uscì. Lo zio era presente, ma udendo che si trattava semplicemente d' un'epistola da signora, si risparmiò la briga di leggerla. Era quello appunto su cui il giovine aveva contato. La lettera era sua, e, confessando sentimenti che i suoi occhi ed il suo contegno avevano già rivelati, offriva la sua mano ed il suo cuore, e domandava alla signorina il consenso per chiederla in isposa allo zio. Precisamente il contrario di quello che avrebbe dovuto fare. Ma erano eroi da romanzo e dovevano passare di sconvenienza in sconvenienza. Infatti, la fanciulla non disse nulla allo zio, e, lottando col proprio cuore, innamorato del bel giovinotto coi baffi, e stemperandosi in lacrime, rispose segretamente nella prossima visita, che era fidanzata, e spinse l'eroismo donchisciottesco, fino a dirsi innamorata di quell'ombra di fidanzatino col quale giocava alla sposa. II bel giovine fu desolato, pianse, prese atteggiamenti sentimentali, .... poi si fece sposo con un'altra. Ma la signorina, che s'era imposto un vero eroismo per rifiutarlo mentre ne era innamorata, pensò che l'eroismo di cui nessuno è informato non ottiene il compenso d'ammirazione che gli è dovuto. E narrò la sua grande azione ad un'amica in tutta confidenza, tanto che vi fosse almeno una voce al mondo, per rimandare ai posteri la notizia di quel gran sacrifizio che si era compiuto in quel piccolo cuore. Il segreto fu così ben custodito che si seppe in anticamera ed anche in cucina. Uno di quei casi, che sembrano fatti apposta per gli eroi da romanzo, portò, poco tempo dopo, una cameriera che era allora in casa della signorina eroica, a servire la nuova sposa del giovinotto. Quella cameriera era una giovine invidiosa e pettegola. E appena ebbe veduto lo sposo, profittò di quanto sapeva per informare la sposa del precedente amore, della precedente domanda e del precedente rifiuto, tacendo, con malizia crudele, le lacrime che quel rifiuto aveva fatte spargere, e che erano a tutta gloria del giovine. Narrata cosi, la cosa era d'una trivialità.... La povera sposa si vide nel pericolo di accettare un uomo rifiutato, disprezzato da un'altra. (Oh! disprezzato!) E, con quell' amor proprio che distingue, o per dir meglio, accomuna tutti gli esseri umani, dichiarò che: visto e considerato che il tale giorno del tale anno, nella casa tale, il signorino aveva patito un rifiuto, la sua dignità la obbligava a dargliene un altro. Ma i parenti della sposa non potevano' lasciar andare a rotoli un matrimonio ben assortito, per quella inezia; si misero intorno al povero giovine, e lo indussero a scrivere alla infelice eroina del gran rifiuto, invitandola a dichiarare per iscritto, che lui non le aveva mai fatta domanda formale di matrimonio. «Da questo, scriveva, dipende per me una questione vitale.» La domanda che egli aveva fatta, in realta, era tutt'altro che formale, ma era una domanda di matrimonio bella e buona. Ad ogni modo però, quella povera fanciulla aveva troppo decoro, malgrado il suo curioso fidanzamento, per non mostrare di aver dimenticata tutta l'importanza che lui aveva data a quel passo extralegale. E dichiarò che mai in eterno lui aveva pensato a lei, che la conosceva appena, ecc. E l'altro matrimonio si fece. Morale. Una parola imprudente, suggerita dalla vanità di farsi vedere desiderata, può offendere l'amor proprio di un uomo, e far nascere un ginepraio di guai, in cui la meno umiliata e ferita non è certo la signorina imprudente.

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