La nota trae spunto dalla decisione pubblicata per tentare di ricostruire in generale i lineamenti di un istituto - quello del sequestro c.d. liberatorio - ancora abbastanza controverso e misterioso. Partendo da una prima, più immediata, impressione che sembrerebbe condurre ad una sovrapposizione del detto istituto o con gli strumenti sostanziali dell'offerta reale e del deposito liberatorio, o con quelli processuali degli "ordinari" sequestri giudiziario e conservativo, e con l'intento di verificare la possibilità di una diversa, più proficua, lettura, viene prospettata, quale possibile soluzione, quella di riferire la previsione al caso dell'asserito obbligato, il quale, pur contestando la pretesa altrui, è ugualmente disposto a mettere a disposizione il bene, intendendo però che questo non passi senz'altro alla controparte, ma venga per intanto bloccato, in attesa che la questione venga decisa.
Le due pronunzie del giudice del riparto intervengono sul tema, caldo, della giurisdizione, per segnare un sostanziale pareggio fra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo contenendo, comunque, importanti principi, utili per delineare in modo abbastanza chiaro le regole che sovrintendono al sistema del riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo.
In quest'ultimo caso, la legittimità delle differenziazioni trova sostegno nella disciplina comunitaria antidiscriminatoria, che concede ai legislatori nazionali margini di manovra abbastanza ampi per emanare disposizioni contenenti misure di differenziazione basate sull'età purché ubbidiscano ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.
Nonostante due interventi normativi abbastanza ravvicinati tra loro, quello della Finanziaria 2006 e quello della poderosa opera del T.U. dell'ambiente, il legislatore sembra tradire negli intenti la normativa comunitaria che ispira il nuovo regime di responsabilità per danno all'ambiente. Infatti, facendo riemergere in modo più o meno velato il regime dell'abrogato art. 18 L. n. 349/1986, ripropone in controtendenza rispetto alla direttiva comunitaria 2004/35/CE, cui pretende di dare attuazione, una responsabilità solo formalmente di tipo riparatorio ma che in realtà continua ad essere sanzionatoria.