Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Manuale di Microscopia Clinica

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Giulio Bizzozero 17 occorrenze

Il coproggetti è una laminetta di vetro di diversa grandezza, di solito di 15-20 millimetri di lato, che è abbastanza sottile (circa un ottavo di millimetro) per permettere che anche gli obbiettivi forti possano essere aggiustati al preparato sottoposto. - Tanto il porta- quanto il coproggetti devono essere tenuti pulitissimi con pezzuole di tela.

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I diametri che riferisco sono i medî poichè è da notare che le diverse uova dello stesso parassita possono variare abbastanza notevolmente di grandezza.

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La testa della taenia solium è della grossezza di una piccola testa di spillo, rotondo-piriforme, con un rostro circondato da circa 26-32 uncini, e con 4 ventose abbastanza sporgenti da dare alla testa, vista di fronte, una forma quadrangolare. Talvolta il rostro è pimmentato. Alla testa segue un collo filiforme, poi comincia il differenziamento delle proglottidi. - La testa della taenia medio-canellata (Tav. 5a, fig. 42), invece, è più grossa (larga 2mm,5) dell’antecedente, è appiattita all’innanzi, manca di rostro e di uncini, ed ha 4 ventose spesso pimmentate, più sviluppate di quelle della tenia solium, che le danno una forma più spiccatamente quadrangolare. - La estremità anteriore del botriocefalo (Tav. 5a, fig. 43) è filiforme, ed è terminata da una testa a forma di amandorla, lunga 2mm, larga 1mm, in cui le ventose, allungate a guisa di fessura, stanno non già, come si credeva, lateralmente, ma sì sulla linea mediana (LEUCKART, p. 865).

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Devo però far notare, che allorchè le cellule protoplasmatiche dell’alveolo patologicamente si moltiplicano, esse non rimangono disposte fra le cellule lamellari (in modo da meritare il nome di cellule intercalari (Schaltzellen) col quale vengono da molti designate), ma ora occupano il lume dell’alveolo, ora formano uno strato abbastanza regolare disteso sulla superficie interna delle cellule lamellari (Tav. 5a fig. 45). Il che, unito al fatto del diverso modo di comportarsi nell’infiammazione, costituisce una differenza non piccola fra l’una e l’altra forma di cellule; certo maggiore di quella dovuta puramente ad azione meccanica, come vorrebbe stabilire il KÜTTNER.

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Sono di colore bianchiccio, giallo-rossiccio, o grigio-perla; abbastanza resistenti alla trazione, ma fragili; di solito concentricamente stratificati, e solidi o cavi, col lume riempito di aria o di muco. Al microscopio appaiono constare della solita massa splendente, fibrinosa, che racchiude vario numero di leucociti, di gocciole di grasso, e rari globuli rossi: talvolta anche epitelî bronchiali.

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Al microscopio in essa si notano: a) globuli sanguigni rossi in quantità variabile, generalmente copiosi, che, trovandosi sparsi abbastanza uniformemente nel liquido, gli impartono il colore summenzionato; non di rado diffondono il loro colore nel liquido che li circonda e diventano, così, meno visibili; b) leucociti in buon numero; c) grossi epitelî polmonari con pigmento, grasso o mielina. Generalmente, massime sul finire della malattia, predominano gli epitelî fortemente distesi da gocciole di mielina, e gli ammassi di queste ultime; d) scarsi epitelî tracheo-bronchiali; e) frequentemente coaguli fibrinosi bronchiali ramificati, non di rado così grossi da essere già visibili ad occhio nudo.

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Si è per questo, che non può essere abbastanza raccomandato al medico l’esame delle orine anche in quei casi, in cui i reni non attirano direttamente l’attenzione a sè; cosi facendo, gli accadrà talvolta di poter scoprire e guarire alcune di quelle malattie renali che, come la nefrite diffusa od interstiziale cronica, combattute più tardi (quando, cioè, vennero rivelate dagli edemi, ecc.) lasciano ben poca speranza di successo.

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Su questa modalità di reazione dell’albumina in soluzioni di 1 : 30,000 i citati autori hanno fondato un metodo di dosatura dell’albumina, il quale è importante per ciò, che è abbastanza esatto, ad onta che, al contrario degli altri metodi appena un po’ precisi di dosatura, non richieda l’uso della bilancia, ed operazioni complicate; sicchè può essere facilmente usato anche dal medico pratico. Essi continuano a diluire con acqua l’orina albuminosa fino a che la miscela non dia coll’acido nitrico il suddescritto anello bianco che dopo 2-3 minuti; a questo punto essi sanno che la soluzione contiene 1: 30,000 d’albumina. Conoscendo, ora, il volume della miscela, se ne desume senz’altro la quantità d’albumina che vi sta, vale a dire la quantità dell’albumina contenuta primitivamente nel volume di orina adoperata. - Se le orine sono molto ricche di albumina sarà bene incominciare a diluirle nel rapporto di 1 : 9 con acqua: ed adoperare una porzione misurata di questa prima diluzione per una diluzione ulteriore. A questo modo si eviterà l’impiego di grandi volumi di liquido. - Nel mettere in atto il metodo, dapprima si versa l’acido nitrico in un tubo d’assaggio, poi gli si versa sopra lentamente la soluzione orinosa con un tubo a punta capillare, in modo che non succeda mescolanza dei liquidi, e quindi l’anello bianco che si forma sia ben delimitato e visibile anche se tenuissimo.

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La dosatura dello zucchero si fa con abbastanza precisione per mezzo del liquido di FEHLING, il quale venne recentemente modificato da PAVY allo scopo di renderlo più atto ad essere conservato. Il metodo si fonda sulla proprietà che ha lo zucchero diabetico in soluzioni alcaline di solfato di rame di ridurre l’ossido di rame ad ossidulo. Se nella soluzione c’è dell’ammoniaca, l’ossidulo di rame, invece di precipitare, si scioglie incoloro. Ciò succede rapidamente quando si operi a caldo L’operazione, adunque, consiste in ciò, che ad una determinata quantità di liquido di PAVY riscaldato si aggiunge a poco a poco dell’orina (di solito diluita): e si cessa dall’aggiungere quest’ultima quando il liquido di PAVY, originariamente azzurro, è del tutto scolorato.

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Nella degenerazione grassa dei reni, infatti, noi vediamo ammassi di goccioline di grasso (contenute nelle cellule epitaliali o libere) le quali, benchè piccole, sono però abbastanza grosse per mostrare i loro contorni oscuri ed il centro brillante. - Ben diverso è il caso, invece, di quelle strane orine, così eccezionalmente rare per noi, e frequenti nei paesi caldi, dette, dal loro aspetto, orine chilose (Galacturia). In esse l’adipe è, come nel chilo, in istato di così minuta divisione, ch’esso non presenta più il suo aspetto, la sua rifrangenza caratteristica. Invece delle solite goccioline non si vedono che minutissime molecole presentanti il movimento browniano; fra esse si riscontrano dei leucociti e dei globuli rossi. Le orine chilose per l’aspetto possono a tutta prima confondersi colle purulente; lasciandole in riposo, però, si manifesta una notevole differenza: le purulente si rischiarano lasciando posare un sedimento, mentre le chilose si mantengono opache com’erano appena emesse. L’orina chilosa per aggiunta di etere o di cloroformio diventa quasi trasparente. Essa ordinariamente contiene anche albumina e fibrina; quest’ultima talvolta in tanta quantità, che si formano dei coaguli non solo fuori, ma talvolta anche dentro le vie orinarie. - Il grasso dell’orina chilosa è di origine finora ignota.

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Innanzi tutto è necessario la massima precisione nel misurare le quantità di sangue e di soluzioni che devono essere mescolate fra loro: e a questo scopo non solo si avrà la maggior cura all’atto del misurare, ma altresì si baderà a che la goccia di sangue, onde si usa, evaporando non si condensi, o che la pipetta misuratrice del sangue non sia abbastanza asciutta e così via. Ove si badi a tutto ciò, gli errori prodotti dalla misurazione son così piccoli da poter essere posti in non cale.

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Se il sangue non s’è adoperato in troppa quantità, i globuli sono abbastanza lontani l’uno dall’altro perchè la loro numerazione si possa fare agevolmente. Se la goccia è troppo abbondante non è buon metodo di sminuirla applicando ad un lato del coproggetti un pezzetto di carta bibula che l’assorba, poichè, essendo i leucociti appiccaticci, essi aderiscono tenacemente al vetro del preparato; sicchè la carta bibula assorbe prevalentemente i globuli rossi ed il liquido, ed altera, quindi, il rapporto numerico fra gli elementi. È preferibile, perciò, distruggere il preparato e farne un altro con minor quantità di sangue. Con un po’ di abitudine si riesce facilmente a valutare la quantità necessaria.

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I globuli rossi in certe malattie presentano delle modificazioni di forma e di costituzione, le quali non sono, però, abbastanza caratteristiche per servire come argomento sicuro di diagnosi. Tempo fa si credeva, che queste modificazioni fossero assai più frequenti di quel che non si ammetta ora; e questa erronea opinione traeva origine da errori di osservazione; che non si teneva abbastanza calcolo delle alterazioni che i globuli subiscono per l’evaporazione, l’aggiunta di soluzioni improprie, ecc. Quando, perciò, si vorrà fare l’esame del sangue, converrà raccogliere e coprire lestamente la goccia che si vuol esaminare; se si vuol diluirla, impiegare un liquido indifferente; se si desidera continuare a lungo l’esame, impedire l’evaporazione col chiudere il preparato mediante una striscia di olio disposto all’intorno del coproggetti.

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Due specie di questi microfiti, però, hanno forma abbastanza caratteristica da permettere di riconoscerli con certezza. In questo caso l’esame microscopico del sangue è il fondamento più certo della diagnosi.

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Esso è basato sulla constatazione delle strie d’assorbimento che producono nello spettro le soluzioni abbastanza diluite di sostanza colorante del sangue.

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Nel primo caso il liquido avrà la costituzione sopradescritta del pus; nel secondo caso esso potrà anche avere un aspetto purulento, benchè di solito abbia un colore grigio-brunastro per la decomposizione della sostanza colorante del sangue; l’esame colle lenti, però, vi dimostrerà l’assenza dei corpuscoli purulenti, e, in loro vece, granuli di pigmento, granuli albuminosi e grassi risultanti dalla disaggregazione degli elementi rammolliti del tumore, e, talora, qualcuno di questi stessi elementi abbastanza ben conservato per poter gettare un po’ di luce sulla natura della neoformazione. Questa sorta di esame deve quindi essere fatto colla massima cura.

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In questa affezione (Tav. 2a, fìg. 24), che passa spesso inosservata, e che è abbastanza comune, i peli della barba esaminati ad occhio nudo presentano 1, 2, 4 e più nodetti bianchi, disposti a diversa distanza l’uno dall’altro, a livello dei quali facilmente il pelo si rompe. Questi nodetti sono dovuti ad uno sfibramento della sostanza corticale del pelo, e il color bianco dipende dall’aria raccolta nelle cavità che ne risultano; quando il pelo si rompe, la sua estremità non è tagliata di netto, ma è tutta sfibrata. Ho studiato cinque casi di questa malattia; in tutti la barba era a peli grossi ed ispidi; in nessuno (concordando in ciò con altri osservatori) ho potuto trovare qualche parassita o qualunque altra causa che spiegasse l’alterazione.

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