Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Fondamenti della meccanica atomica

436582
Enrico Persico 14 occorrenze
  • 1936
  • Nicola Zanichelli editore
  • Bologna
  • fisica
  • UNIPIEMONTE
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Accenneremo infine al caso in cui la singolarità si trova all'infinito, caso che si riconduce, come è noto, al precedente, con la trasformazione : si trova così facilmente che la condizione necessaria e sufficiente perchè al punto all'infinito non vi sia urta singolarità non fuchsiana è che per il coefficiente P sia infinitesimo almeno del 1 ordine, ed il coefficiente Q almeno del 2°, cioè che essi possano scriversi (per x abbastanza grande)

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Difatti, se la particella stesse ferma, p. es. in P, e l'esperienza durasse abbastanza a lungo, sulla lastra L si formerebbe una figura di diffrazione, che possiamo schematizzare in un dischetto uniforme di centro P' e raggio

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Ora, prendendo abbastanza grande, si potrà fare in modo che questi errori influiscano tanto poco quanto si vuole sulla misura dei rapporti ecc., e quindi questi si potranno considerare esattamente determinabili, ma quella che ci interessa, cioè la velocità dopo , resterà affetta da una incertezza espressa dalle (105), e che si può rendere piccola soltanto accontentandosi di poca esattezza nella misura della posizione al tempo . Le (105), che esprimono questa relazione tra le due approssimazioni, non sono altro che le relazioni di indeterminazione (94').

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E noto che se si fa cadere della radiazione di frequenza abbastanza elevata (in generale, luce ultravioletta o raggi X o γ) su una superficie metallica, questa emette degli elettroni i quali vengono espulsi con una certa energia, che è senza dubbio comunicata ad essi dalla radiazione incidente. Il fenomeno si chiama effetto fotoelettrico nel caso in cui la radiazione eccitatrice è la luce visibile o ultravioletta: noi però useremo questo nome anche nel caso più generale. Ora si è constatato che l'energia che riceve ogni singolo elettrone da parte della radiazione (energia che in parte è consumata nello strappare l'elettrone dal metallo, ed in parte rimane all'elettrone come forza viva) è indipendente dall'intensità della luce, ma dipende solo dalla sua frequenza: l'intensità influisce solo sul numero di elettroni emessi (che è ad essa proporzionale), e non sulla energia della emissione di ciascun elettrone. Così si è stati costretti ad abbandonare l'ipotesi più naturale, che cioè gli elettroni siano costretti ad oscillare sotto l'azione del campo elettrico della luce, e che, quando le loro oscillazioni divengano abbastanza ampie, finiscano per essere divelti dall'atomo cui appartengono ed essere lanciati fuori. Ma vi è una difficoltà più grave, che si presenta indipendentemente da ogni particolare ipotesi sul meccanismo dell'effetto fotoelettrico, ed è la seguente. Diminuendo l'intensità della luce, si può far sì che l'energia che cade su ogni atomo durante tutta l'esperienza (calcolata nell'ipotesi che l'energia cada uniformemente su tutta la superficie) sia assai inferiore alla forza viva con cui viene espulso l'elettrone, eppure anche in queste condizioni gli elettroni vengono emessi con la stessa energia cinetica.

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Supponiamo la E abbastanza grande perchè p risulti dappertutto reale, cioè riferiamoci al caso in cui il moto classico sarebbe rotatorio (non oscillatorio). Allora la u avrà dovunque la forma (301) (dove è un valore qualunque, ma fissato, di x) e sarà periodica a periodo solo se

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Applichiamo ora il principio di selezione al moto centrale di un elettrone ottico, supponendo che il campo generato dal nocciolo sia abbastanza vicino al tipo newtoniano per poter decomporre il movimento in un moto kepleriano più una precessione uniforme, come si è fatto al § 59: quanto diremo si applica, in particolare, ai sistemi idrogenoidi in cui la precessione è dovuta solo alla lieve correzione relativistica.

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. : se con le , soddisfacenti la (142) si costruisce un pacchetto d'onde abbastanza piccolo, esso si muove come si muoverebbe un corpuscolo di carica e, sotto l'azione delle forze derivanti dal potenziale U e del campo magnetico derivante dal potenziale vettore A.

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(1) Se gli autovalori sono in parte discreti ed in parte continui, e se l'autovalore su cui si fissa l'attenzione appartiene ai primi, le formule di questo § e del successivo continuano a valere, purchè si sostituiscano certe sommatorie con integrali, in modo abbastanza ovvio. Se invece l'autovalore considerato appartiene allo spettro continuo, si richiede un procedimento alquanto diverso (v. p. es. bibl. n. 14, p. 157).

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È questo un caso che si verifica abbastanza spesso.

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È questo un caso che si verifica abbastanza spesso. .

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., che se si lanciano i raggi del torio C" (il cui fotone ha un'energia di volt) contro uno schermo di piombo in una camera di Wilson, dal piombo escono elettroni positivi e negativi (questi ultimi assai più abbondanti), di cui si può determinare il segno e la velocità facendone deflettere le traiettorie da un campo magnetico: si trova che, mentre la forza viva degli elettroni negativi può raggiungere anche l'intera energia del fotone, quella dei positivi è abbastanza nettamente limitata a non più di volt. Ciò si interpreta così: gli elettroni negativi sono dovuti, oltrechè alla materializzazione dei fotoni, anche all'ordinario effetto fotoelettrico (nel quale, come è noto, quasi tutta l'energia del fotone può trasformarsi in forza viva), mentre i positivi sono dovuti esclusivamente alla materializzazione: poichè questo fenomeno assorbe un'energia di circa un milione di volt, la coppia formata ha complessivamente una forza viva di milioni di volt (di cui poi una parte viene perduta nell'attraversare il piombo): perciò ciascuna delle due particelle non può avere forza viva superiore a questo limite. In qualche raro caso, poi, si è potuta osservare la formazione di una coppia di elettroni (+ e —) in seno al gas della camera di Wilson anzichè nel piombo: in tal caso le due particelle non vengono sensibilmente rallentate, e quindi la somma delle loro forze vive misurate deve risultare uguale ad , ciò che in generale si verifica abbastanza bene.

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E se l'urto è abbastanza violento, l'elettrone può venire addirittura sbalzato via dall'atomo, ossia può aversi la ionizzazione di questo: la ionizzzione è dunque un caso limite di eccitazione.

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In questa teoria la discontinuità nasce in modo del tutto naturale dal procedimento matematico, in modo abbastanza simile a quello col quale, in acustica, si dimostra che un sistema vibrante può fornire solo delle note discrete.

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Dalla figura si vede bene l'influenza dell' indice di rifrazione, poichè, mentre per piccole lunghezze d'onda la (35) è abbastanza bene verificata, perchè l'indice di rifrazione è in tal caso prossimo ad 1, nelle grandi lunghezze d'onda i massimi sono invece notevolmente spostati, e questo spostamento può servire a calcolare μ in funzione di λ ossia a stabilire sperimentalmente per le onde di De Broglie una legge analoga a quella della dispersione ottica.

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Lezioni di meccanica razionale. Volume primo

506939
Tullio Levi Civita - Ugo Amaldi 34 occorrenze

Essendo dalle relazioni precedenti si desume che la traiettoria del punto I ha per tangente in tal punto la retta Ωη; e che, dando a dt valori di segno diverso abbastanza vicini a zero, l'ordinata η non cambia di segno. Ciò significa appunto che la retta Ωη è una tangente cuspidale.

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Ogni qualvolta il carico e di conseguenza l’attrito sieno abbastanza rilevanti, si determina un puro rotolamento fra zattera e rulli e fra rulli e terreno. Mostrare che l’avanzamento della zattera è doppio di quello dei rulli (più precisamente dell’asse di ciascun rullo).

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Ora ad eliminare siffatta molteplicità di circostanze complicatrici, converrà riferirsi a corpi di dimensioni abbastanza piccole (rispetto a quelle del campo in cui si svolge il moto) perché la loro posizione si possa ritener individuata, senza errore sensibile, da un punto geometrico. Ogni corpo così considerato si dirà un punto materiale.

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Si suppone bene inteso che il corpo sia abbastanza piccolo perché si possa parlare di velocità, senza bisogno di distinguere da punto a punto. Lo sforzo muscolare che determina la velocità non è evidentemente una forza costante in grandezza e direzione, ma si può supporre approssimativamente tale se supponiamo brevissimo l'intervallo di tempo Δt, durante il quale esso si esercita.

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Un campo di forza si dice uniforme se la rispettiva forza è costante (di direzione e di intensità) da punto a punto, come p. es. accade sensibilmente per la forza di gravità, quando si considera una regione terrestre abbastanza ristretta perché siano trascurabili le variazioni della direzione verticale.

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Codesti organi corrispondenti di Ω ed ω, come geometricamente simili e aventi la stessa struttura materiale, hanno pesi proporzionali ai rispettivi volumi, che stanno fra loro nel rapporto λ3; e poiché l'accelerazione g della gravità non varia da Ω ed ω (in quanto possiamo immaginare di eseguir le prove in una regione terrestre abbastanza ristretta) è pur eguale a λ3 il rapporto μ di similitudine fra le masse. Se, come accade nella maggior parte dei casi concreti, non si può prescindere, nei riguardi del funzionamento della macchina e del suo modello, dall’influenza del peso delle singole loro parti, bisogna considerare codesti pesi fra le forze agenti su Ω ed ω; e, poiché per i pesi omologhi le ipotesi poste impongono già il rapporto λ3 , non si potrà aver similitudine meccanica tra Ω, ed ω se non a condizione che anche tutte le altre forze omologhe, che entrano in giuoco, stiano fra loro nel medesimo rapporto λ3.

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Se si cerca di spostare il grave P sul piano, sottoponendolo ad una trazione orizzontale in una data direzione, vediamo che per sforzi di trazione abbastanza piccoli il punto continua a mantenersi in quiete; soltanto quando la trazione orizzontale abbia superato una certa intensità, P comincia a muoversi. Dicesi trazione (orizzontale) limite la massima intensità τ0 di una forza orizzontale che, applicata in P, lo lascia in quiete; mentre ogni forza di intensità maggiore di τ0, anche di pochissimo, lo mette in moto.

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Queste definizioni presuppongono la conoscenza d’ogni forza F, non solo in corrispondenza alla data posizione di equilibrio M, ma anche in ogni altra posizione M', abbastanza vicina e compatibile coi vincoli.

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Ora, nel primo caso, accade che ogni punto M' di σ abbastanza vicino ad M, sta al di sopra di M. Ne viene che in ogni spostamento M' M compatibile coi legami, la forza attiva (peso di P)fa lavoro essenzialmente positivo. Si ha quindi uno stato di equilibrio stabile.

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Affinché l'equilibrio in M sia stabile, si richiede, a norma della nostra definizione, che il lavoro effettuato dalla forza, tra ogni M' (abbastanza vicino ad M) ed M, riesca positivo; si richiede quindi che sia:

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Diviso S in parti ΔS abbastanza piccole, ad ognuna fa riscontro un punto materiale secondo le regole testé convenute.

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Se, per fissare le idee, si tratta di un campo S a tre dimensioni, si immagini entro S e intorno a P un piccolo campo γ, p. es. una sfera di centro P e raggio δ abbastanza piccolo e si consideri il campo S*,che si ottiene da S , togliendone γ. Entro S* la f (Q) si mantiene finita e continua, talché risulta determinato e finito l’integrale di campo

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Se rinchiudiamo P in un piccolo volume γ interno alla regione spaziale S occupata da C, p. es. in una sferetta (o parte di sfera) di centro P e raggio δ abbastanza piccolo, e indichiamo con C* il corpo che si otterrebbe asportando da C la porzioncella γ, e che perciò occupa il campo S* = S - γ, l’attrazione esercitata da C* su P ha pel n. 7 le componenti

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In realtà, tutti i corpi materiali, quando siano sottoposti a pressioni o trazioni abbastanza energiche, si deformano;ma quei corpi, che anche volgarmente si chiamano solidi, son dotati di una particolare refrattarietà alle deformazioni, talché, anche sotto l'azione di pressioni o trazioni, relativamente notevoli, non presentano variazioni sensibili di forma.

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Questo perché si potrà, in generale, equilibrare Σ' con reazioni applicate negli appoggi e abbastanza prossime a quelle (normali), che equilibrano Σ, cioè appunto contenute, come è necessario e sufficiente, nelle falde esterne dei coni d’attrito.

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Ma basta allargare un poco il campo delle nostre osservazioni sperimentali per riconoscere come la suindicata ipotesi sia insufficiente, in casi ancora abbastanza ovvi, a render ragione del reale andamento del fenomeno.

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Posto infatti che nel cilindro (o nel suolo o in entrambi) intervenga una qualche deformazione, sì che il contatto abbia luogo non secondo una sola retta g, ma in tutta u’area (una sottile strisciolina comprendente g), non è più vero che si annulli necessariamente il momento delle reazioni rispetto a g, anzi esse possono benissimo esplicarsi (colle solite leggi dell’attrito radente) in modo da equilibrare il peso e una trazione abbastanza piccola.

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Tuttavia i principi dianzi stabiliti rispondono abbastanza bene ai fatti osservati e conducono a formulare leggi generali sull’attrito volvente, che bastano per i bisogni della tecnica.

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., se in un punto generico della superficie della sfera, si fa agire una forza orizzontale F, comunque orientata, purché abbastanza piccola, l'equilibrio seguiterà a sussistere; e lo stesso più generalmente avverrà sotto una sollecitazione qualsiasi fino ad un certo grado di intensità. Ciò vuoi direche dall’appoggio P si desta, non solo una forza, ma anche un momento reattivo Γ, atto ad equilibrare il momento rispetto a P (in generale non nullo) della sollecitazione esterna. Al momento Γ si dà il nome di attrito volvente; per caratterizzarlo giova considerare i suoi due componenti tangenziale e normale Γ τ e Γ n, detti rispettivamente attrito di rotolamento (o di seconda specie) e attrito di giro o d’imperniamento (o di terza specie).

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Con ciò infatti si vengono a trascurare delle azioni, che possono destarsi soltanto in senso favorevole all’equilibrio e sarebbero capaci di assicurarlo anche se la sollecitazione effettiva, senza soddisfare esattamente alle condizioni di equilibrio in assenza d’attrito, se ne discostasse abbastanza poco.

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Da questa formula o, più semplicemente, dalla (25) si può trarre una espressione approssimata di l, valida ogni qualvolta (rapporto fra il carico totale sopportato dal filo e la componente orizzontale φ della tensione, che non è se non la componente orizzontale della forza che lo tende agli estremi), sia abbastanza piccolo; tale per es. che se ne possa sensibilmente trascurare la quarta potenza, come avviene, in generale, nei problemi tecnici.

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Più precisamente supporremo che il rapporto (dove a designa la portata, cioè la proiezione orizzontale della funicolare che si considera) sia abbastanza piccolo, perché la sua quarta potenza riesca trascurabile di fronte all’unità. È appena necessario osservare che, essendo in ogni caso a ≤ l, l’accennata condizione è senz’altro verificata, ove si ritenga trascurabile Comunque, ci proponiamo di mostrare come basti poter trascurare perché la funicolare divenga assimilabile ad un arco di parabola.

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. - Applichiamo le equazioni intrinseche (36) allo studio della configurazione di equilibrio di un filo adagiato su di una superficie sotto l’azione di forze che lo tendano (abbastanza fortemente) agli estremi. Qui la sollecitazione continua lungo il filo si riduce alla reazione di appoggio se, come noi supporremo, si può prescindere dal peso, cioè se il peso (complessivo) si può ritener trascurabile rispetto alle tensioni esercitate agli estremi.

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.; per f qualsiasi codesta condizione di equilibrio esprime che la tensione, pur potendo variare, deve variare abbastanza poco, e, a parità di altre condizioni, tanto meno quanto più piccolo è f.

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Poiché è infinitesimo assieme a Δs, per Δs abbastanza piccolo, l'unità prepondera certamente sul prodotto ε x n, onde il secondo membro risulta positivo, qualunque sia il segno di Δs.

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Per provarlo, basta evidentemente constatare che, per P, abbastanza vicino a P, il vettore P l - P forma un angolo acuto con n, ossia che è positivo il prodotto scalare (P l - P) x n. Ora dalla (41) si ha

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Lasciando da parte i sistemi a legami unilaterali (il che si fa abbastanza spesso anche senza esplicita menzione), non si hanno a considerare che spostamenti reversibili e il principio dei lavori virtuali richiede che si annulli il lavoro delle reazioni per ogni spostamento conciliabile coi legami, e perciò si traduce nell’equazione

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Qualora le Fi non fossero fra loro commensurabili, si potrebbe sempre scegliere un τ abbastanza piccolo, perché esse fossero rappresentabili sotto la forma (2) con una qualsiasi approssimazione prefissata.

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In tal caso si può infatti asserire che, per ogni spostamento abbastanza piccolo del sistema, compatibile coi vincoli, il baricentro si innalza. Ne consegue che, nel tornare alla posizione di equilibrio, le forze attive (che qui si riducono al peso dei singoli elementi) fanno complessivamente lavoro positivo.

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Con ciò, il termine cτ: certo prepondera, per Δs abbastanza piccolo, sul prodotto infinitesimo ε x b, e il segno di (P 1 - P) x b è quello del prodotto

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e può assimilarsi ad r pf (f coefficiente d’attrito dinamico), se è abbastanza piccolo.

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Per ψ = 0, essa si riduce a -ρ sinφ ed è quindi negativa; è invece positiva e grande a piacere per ψ abbastanza prossimo a π/2; ciò si rende manifesto, immaginando di scrivere Ψ(ψ) sotto la forma:

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Va rilevato che l’angolo ζ, (rigorosamente eguale a π, quando si ha un avvolgimento diretto fra due pulegge eguali) è in ogni caso abbastanza prossimo a π; un po’ più piccolo nel caso di avvolgirnenti diretti, un po’ più grande negli incroci.

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Secondo che nell’istante t la velocità è positiva o negativa, la s(t) è, nell’intorno di t, crescente o decrescente, cioè in ogni intervallo di tempo abbastanza piccolo che segua o preceda l’istante t il moto è progressivo o retrogrado.

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Enciclopedia Italiana

533214
Enrico Fermi 2 occorrenze
  • 1936
  • Istituto dell'Enciclopedia Italiana
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Il volume si piò scegliere abbastanza grande perché ogni cella contenga un considerevole numero di molecole, ma abbastanza piccolo perché le variazioni della densità di distribuzione dei punti rappresentativi entro una cella siano trascurabili. Indichiamo le varie celle con un numero d'ordine, e siano N 1, N 2, ... N s, ... i numeri di molecole i cui punti rappresentativi appartengono alla 1°, 2°, ... s°, ... cella. Una elementare considerazione di calcolo combinatorio dimostra che il numero di modi di distribuire le N molecole costituenti il gas tra le varie celle, in modo che N 1 appartengano alla prima cella, N 2 alla seconda, ecc. ... è dato da

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Il principio della equipartizione dell'energia, che si piò dedurre abbastanza semplicemente dalla legge di Boltzmann, afferma che: il valore medio dell'energia cinetica pertinente a ciascuno dei gradi di libertà della molecola è costante ed uguale a kT/2 (per le applicazioni di questo principio v. gas).

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