Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Elementi di genetica

421051
Giuseppe Montalenti 19 occorrenze
  • 1939
  • L. Cappelli Editore
  • Bologna
  • biologia
  • UNIPIEMONTE
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Questo fatto è abbastanza comune. Così l’albinismo, recessivo rispetto alla pigmentazione nella gran maggioranza dei casi, è talvolta dominante come, quello dell’orso bianco rispetto all’orso bruno, quello del cavallo bianco rispetto ai cavalli a mantello colorato. Nei polli vi sono diverse razze albine, e tale carattere in alcune è dominante (es. Livornesi bianchi) in altre è recessivo (es. Dorking e Wyandotte).

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Infatti è molto probabile che due minus posseggano un piccolo numero di fattori d’accrescimento; per fare un esempio concreto è facile ch’essi abbiano una formula come AABbccddEeff, e, dalla unione di due individui con solo 4 fattori d’accrescimento è abbastanza probabile che si formino combinazioni con minor numero di dominanti, o anche composti di tutti recessivi. Analogamente per i plus varianti. Quindi ci si può attendere un effetto positivo dalla selezione praticata sulla F 2, sulla F 3, ecc. fino a un limite rappresentato dai caratteri propri dei progenitori. Quando si parta da individui come quelli ora presi ad esempio, senza conoscerne l’origine, si può, ottenendo un risultato come quello anzidetto, concludere per un’azione positiva della selezione.

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La Drosophila ha otto cromosomi allo stato diploide, cioè quattro coppie di cromosomi omologhi, abbastanza facilmente distinguibili per forma e dimensioni come si è detto, e che possiamo indicare con i numeri I, II, III, IV. Se il gene che determina la forma normale delle ali è localizzato nel cromosoma II, la razza di drosofila con ali normali proveniente da due individui normali, ha nei suoi due cromosomi della coppia II (uno di origine paterna e uno di origine materna) due geni che indicheremo col simbolo Vg (ali normali) mentre la drosofila con ali «vestigiali» ha nei cromosomi della coppia II i due geni allelomorfi vg (ali «vestigiali»). All’atto della maturazione degli elementi germinali i due cromosomi omologhi si separano necessariamente, e i gameti, uova o spermî, risultano provvisti di un sol cromosoma II, insieme con un cromosoma di ciascuna delle altre coppie, I, III, IV. Se si incrociano le due razze, lo zigote riceve un cromosoma II col gene «normale» (Vg) da uno dei gameti e un cromosoma II col gene «vestigiale» (vg) dall’altro. Nello schema Vg è indicato con A e un cerchio nero, vg con un cerchio bianco. Lo zigote avrà dunque ricostituito

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generazione si chiama generazione virginale, o partenogenesi, ed è abbastanza diffuso, sia nel regno animale che in quello vegetale (i botanici distinguono fra partenogenesi e apogamia: cfr. pag. 142). Esso deve considerarsi come un modo di generazione sessuata, perché, a differenza di quanto accade nella riproduzione vegetativa, sono qui sempre cellule sessuali, vere e proprie uova, che danno origine al nuovo organismo.

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Incroci fra specie diverse di animali e di piante furono eseguiti da molti biologi premendeliani, ma soltanto in tempi recenti il problema è stato studiato con una certa estensione, sia dal punto di vista citologico, che da quello genetico, e, benché molti punti rimangano ancora oscuri e molte ricerche siano ancora da desiderare, si può oggi tracciare un quadro abbastanza completo dei risultati dell’ibridazione interspecifica.

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Si deve poi ancora ricordare che molte mutazioni sono relativamente facili a riconoscersi, perché producono cambiamenti morfologici o fisiologici abbastanza cospicui; altre si scoprono assai difficilmente, e praticamente sfuggono nella maggiore parte dei casi, perché inducono cambiamenti minimi. Queste piccole mutazioni sono molto probabilmente le più numerose.

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Ciononostante è certo che, nella massima parte dei casi, si ha l’impressione che i sistematici abbiano esattamente riconosciuto e definito delle entità realmente esistenti in natura anche senza poter applicare tutti quei criterî che sono stati preconizzati e, che, nel loro insieme forniscono certamente un metro abbastanza sicuro.

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Che le specie non constino di tutti individui identici è evidente, ed è altrettanto noto che si possono spesso distinguere, nel seno di una specie, gruppi abbastanza ben delimitati, per caratteri morfologici, fisiologici, ecologici, ai quali i sistematici hanno dato nomi diversi, che non sono certo meglio suscettibili di esatta definizione di quanto non lo sia la specie. Si distinguono sottospecie, razze, varietà, morfe, ecotipi, nazioni (E. Monti) ecc. ecc., in base a criterî morfologici, combinati spesso con criterî ecologici e zoogeografici. Si veda nel citato libro del Cuénot il significato di tali termini, molti dei quali indicano soltanto gruppi che differiscono per caratteri non ereditarî (somazioni) e sono quindi trascurabili dal punto di vista evoluzionistico.

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Ma è anche vero che un individuo eterozigote per una certa mutazione, reincrociandosi con un omozigote, la trasmette a metà dei suoi discendenti, e così, in breve volgere di generazioni, può formarsi una popolazione abbastanza numerosa e piuttosto localizzata di eterozigoti, e la probabilità di un incontro fra due di essi, cresce notevolmente. Pertanto anche le mutazioni recessive hanno una certa probabilità di emergere dal genotipo al fenotipo, e di essere vagliate dalla selezione.

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Ciò equivale a dire che, se una specie possiede un certo numero di coppie di geni «non fissati» cioè soggetti alla oscillazione suddetta, e se la specie originariamente estesa su di una area abbastanza

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In secondo luogo la scarsa prolificità della specie umana non offre discendenza tanto abbondante da poter ottenere da una sola coppia dati statistici sufficienti: soltanto radunando i dati relativi a molte famiglie si ottengono numeri abbastanza elevati; ma spesso si introducono così altre variabili, che complicano il problema. Inoltre la lentezza relativa dello sviluppo fa sì che uno studioso possa seguire appena una o due generazioni, e debba accontentarsi, per le precedenti, dei dati tramandati dalla tradizione, o raccolti da altri, che sono spesso scarsi, manchevoli, errati, raramente un po’ più precisi quando si tratta di famiglie illustri o nobili. Si aggiunga infine che la legittimità delle nascite dà talvolta luogo a dubbî, i quali rendono anche più complicata la situazione, e ci si convincerà che l’indagine genetica dell’uomo deve essere

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Non si insisterà mai troppo sulla necessità di prendere tutte le misure possibili per evitare gli errori in cui si può facilmente cadere, né si deploreranno mai abbastanza i metodi faciloni e privi di critica; ma, quando si sia al riparo da errori e leggerezze, il procedimento è perfettamente legittimo, e, soprattutto, è il solo applicabile per approfondire veramente le nostre conoscenze sul problema dell’eredità nell’uomo. Perciò sono vani i timori e gli allarmi di coloro che deplorano che la genetica sia fatta prevalentemente sugli animali: la si studia sul materiale che meglio si presta, e se i principî che valgono per i piselli sono trasferibili all’uomo, non v’è ragione di stupore né di allarme.

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La reazione per la determinazione degli agglutinogeni è abbastanza facilmente osservabile: se ad una goccia di sangue fresco si aggiunge una goccia di siero campione, provvisto di un’agglutinina nota, si scopre facilmente la presenza dell’agglutinogeno corrispondente, perché il sangue floccula ed assume un aspetto particolare,

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Donde la necessità di tenere registri accurati della genealogia degli animali e delle piante che si allevano, e di procedere alle ibridazioni o alle unioni consanguinee secondo quei metodi che sono ormai abbastanza precisamente codificati. Le norme pratiche per il calcolo della produttività, per l’apprezzamento delle differenze fra gruppi di individui geneticamente diversi, oppure simili, ma sottoposti a diversi trattamenti, per il calcolo del coefficiente di consanguineità, nonché per la registrazione e classificazione dei dati, si possono trovare in alcuni trattati di genetica applicata, e non è il caso di esporle qui.

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Se prendiamo in esame una «popolazione» abbastanza numerosa, scelta a rappresentare la specie, o la razza, che vogliamo considerare, e misuriamo, P. es. la statura dei singoli individui, registrando le nostre misure una per una, ci avvediamo, a lavoro ultimato, che son rappresentate numerosissime stature intermedie fra due limiti, minimo e massimo. E se, per non rendere troppo difficili le misure e troppo lunghe le tabelle, classifichiamo le stature (per esempio di una popolazione umana) in un certo numero di classi, riunendo ad esempio in un’unica classe tutte le stature comprese fra 170 e 172 cm., in un’altra quelle comprese fra 172 e 174, e così di seguito (ampiezza di classe di 2 cm.), potremo costruire una tabella in cui tutte le stature esaminate trovano posto in un numero abbastanza limitato di classi. Nella tabella I (pag. 43) sono classificate le misure raccolte dal Quételet, e da lui espresse in pollici.

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Anche nel caso in cui si facciano sviluppare individui genotipicamente omogenei nelle «stesse» condizioni, non manca una variabilità più o meno notevole, e ciò dimostra la difficoltà di potere ottenere sperimentalmente una assoluta identità di condizioni per ciascun individuo: piccole diversità d’ambiente, che in pratica non si possono annullare, sono sufficienti per dar luogo ad una variabilità abbastanza notevole.

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Il Jollos osservò che, se si abituano gradatamente dei Parameci a vivere in soluzione sempre più concentrata di un veleno, ad esempio di acido arsenico (AS 2 O3), si riesce a farli tollerare concentrazioni abbastanza notevoli del veleno (da 1.1% - 1.2%, che è la tolleranza normale, fino a 3.5%). Se poi si riportano i parameci in acqua priva di arsenico, e qui si lasciano riprodurre, anche per molte generazioni (15-20 giorni) la popolazione che ne deriva conserva la sua resistenza al veleno. Non però indefinitamente, perché la perde poi gradatamente e lentamente nel corso delle successive

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« Dei numerosi esperimenti eseguiti — dice il Mendel nella introduzione al suo lavoro, riferendosi ai suoi predecessori — nessuno è stato abbastanza esteso e fatto in modo tale da permettere di determinare il numero delle differenti forme che si presentano nella progenie degli ibridi, di classificare con sicurezza queste forme nelle generazioni relative, e di accertare i loro rapporti statistici ». In questa premessa è la chiara visione del problema, che gli permise di giungere alla soluzione.

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Ci si deve cioè servire prevalentemente di quelle specie che si possono facilmente allevare in cattività, che raggiungono la maturità abbastanza presto e mettono al mondo discendenza sufficientemente numerosa. Finora sono stati esaminati dal punto di vista genetico, oltre ai Protozoi, che, per la particolarità dei loro modi di riproduzione, fanno classe a sé, soprattutto animali appartenenti ai seguenti gruppi: Insetti, Aracnidi, Molluschi, qualche Echinoderma, Pesci, Uccelli e Mammiferi.

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