Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbasso

Numero di risultati: 21 in 1 pagine

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Passa l'amore. Novelle

241638
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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. - Abbasso i dazii! Le terre! Le terre! Vogliamo le terre! Chi aveva gridato: Dal sindaco? Chi aveva gridato: Dal cavallere? Non se ne seppe mai nulla. La folla irruppe per diverse vie, gli uomini con le accette, le donne coi tizzi accesi!... Il sindaco non li aveva aizzati contro il cavaliere? Il cavaliere contro il sindaco? Il cavaliere non aveva predicato ai reduci: Voi soli siete buoni, voi soli siete degni di rispetto, voi sfruttati e malmenati? E la folla ora rispondeva: - Lasciatemi fare! Farò giustizia di tutti! - E le case fumavano! E il sangue correva! Voleva i loro palazzi, i loro beni, le loro donne, sì, si, anche queste! E le trombe del Fascio non cessavano gli squilli sinistri; e dal nascondiglio dove si era rifugiato per scampare la vita, con la moglie e la figliuola scappate di casa come si trovavano, il cavaliere, pallido, tremante, incapace di dire una parola, si turava invano gli orecchi per non sentire gli squlli!

Pagina 178

Documenti umani

244237
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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Pagina 48

. - È qui abbasso. In un attimo, la baronessa corse a gettarsi uno scialle addosso; tornò rapidamente balbettando confuse parole dall'ansia, dal turbamento, ed uscì a braccio del duca, che la sentiva tremare da capo a piedi. La carrozza partì di corsa. - E con chi? Non me lo avete ancor detto.... - Con Sammartino. - Un'altra volta! Una crisi di dolore la abbattè. Ella lacerava il fazzoletto, si infiggeva, le unghie sulla testa, si torceva le mani, soffocando le grida che le salivano alle labbra. - E non prevederlo, iersera!... Non prevederlo!... Disgraziata, la colpa è mia!... Poi, repentinamente, afferrando il braccio al duca di Majoli, fissandolo cogli occhi atterriti: - Ma è moribondo... dite la verità! Non mi avreste chiamato se non fosse una ferita mortale!... E prima ancora d'aver ottenuto risposta, acquistata quella certezza, ruppe in un singhiozzo lacerante. Il duca le aveva presa una mano, tenendola stretta fra le sue. Una parola gli saliva alle labbra, convulsamente: "Povera!... povera!..." con un impetuoso bisogno di mescere le proprie lacrime a quelle di lei; ma uno sforzo violento, un irrigidimento di tutti i nervi ricacciava indietro la parola ed il pianto. - Fa presto!... Più presto!... - ordinava al cocchiere, sporgendo automaticamente il capo dallo sportello; ma avrebbe voluto piuttosto gridargli: "Torna indietro!... Torna a casa!... per evitare ai due disgraziati una crisi mortale.... Così dunque finiva l'illusione della gioia; era quello il terribile risveglio: quello spasimo, quell'agonia! La carrozza correva, correva per le vie popolose; delle grida echeggiavano, le cornette dei tram squillavano di tratto in tratto, e il sole splendeva nel cielo giocondo. " Sferza!... Più presto!..." Ma per fuggire lontano, per fuggire sempre, per mettere di mezzo lo spazio ed il tempo, per apprestare i grandi, i soli rimedii: la lontananza, la stanchezza, l'oblio.... Al cancello, Vittorio Giussi aspettava. La baronessa gli corse incontro, con le braccia tese, interrogando con lo sguardo. - Si faccia animo!... Non sarà nulla!... - Ah! E la donna si slanciò avanti, di corsa. I due amici la raggiunsero, cercando di trattenerla. Ella si svincolò e passò ancora innanzi. Ma nella sala, il dottore l'arrestò. - Signora, sia prudente; rinunzii a vederlo, per ora.... - È morto!... - Ma no, ma no; morirà se non gli si risparmia un'emozione. L'abbiamo chiamata per farlo contento; ma sta a lei ad esser prudente, a rinunziare.... Ad un tratto s'intese una voce debole, ma chiara, che chiamava: - Costanza! Ella si precipitò nella stanza. Pallidissimo, come di cera, col busto sorretto da un monte di origlieri, la camicia squarciata e sanguinosa che lasciava vedere una larga fasciatura, le braccia abbandonate da una parte e dall'altra, Andrea Luclovisi ripetè, più debolmente: - Costanza! Ella era caduta in ginocchio accanto al letto, aveva presa la sua mano fredda e sbiancata, stringendola fra le sue, coprendola di baci fra i singhiozzi che le spezzavano le parole. - Andrea!... Andrea mio!... Che hai fatto!... Andrea mio!... Oh, Signore!... pietà!... Cercando di liberare la sua mano, egli disse: - Calmati, Costanza... calmati... se mi vuoi bene! Alzati, fatti più vicina... così... che io ti veda tutta... che io ti baci... purchè tu non pianga, Costanza.... - Ma perchè, Signore! perchè... - e, parlando, ella gli passava una mano sui capelli, lievissimamente - perchè hai fatto questo?... Andrea Ludovisi chiuse un istante gli occhi. - Senti... io non potevo vivere con l'idea che quell'uomo... ti avesse... amata. Ella si rialzò con un tremore in tutta la persona. - Oh... ancora! Andrea, per quel Dio che ci vede, per quel Dio che deve ridarti all'amor mio, no! non è vero! non è stato mai!... - Allora... quella lettera? - Ma quale? Quale lettera?... - Una di quelle, la lettera che tu volesti mostrarmi.... Un sorriso sfiorò la bocca della baronessa, mentre, curva di nuovo sul ferito, ella tornava ad accarezzarlo. - Ma come quelle ve ne sono tante altre, povero amore!... Tu, amore, non l'hai letta!... Perchè non l'hai letta?... Sono delle dichiarazioni con le quali mi hanno perseguitata da per tutto!... Se sapessi quante me ne ha mandate colui!... Se sapessi da quante parti me ne sono piovute, da gente che non conoscevo neanche di nome!... Se sapessi come si tratta una donna nella mia posizione! Come tutto pare possibile, come tutto pare permesso!... Ma non era che questo, bambino?... Perchè non lo hai detto prima? E nella gioia di vedere dissipato il malinteso che era stato causa di quella tragedia, ella quasi ne dimenticava le conseguenze: - Povera Costanza! - esclamò Andrea, rivolgendole uno sguardo di compassione profonda. - Oh, sì, povera, povera tanto! Quante amarezze, quante umiliazioni! Quanta codardia in tutti questi uomini che ci circondano!... Tu solo, tu solo sei nobile e generoso, tu solo mi hai amata.... - È vero? Strettamente abbracciati, gli occhi negli occhi, pareva che essi volessero trasfondere Ie anime in quello sguardo supremo. - Sì, è vero: tu solo! Tu, che hai avuto paura di confessarmi l'amor tuo! Tu, che mi hai rispettata prima di amarmi! Tu, che hai esposto la tua vita per me! Tu, che sei stato geloso dei miei pensieri e dei miei ricordi! Tu, che non hai mai voluto conoscerli!... - Ancora!... ancora!... - Tu, Andrea, che mi hai fatto rinascere; tu, che mi hai fatto credere a tutte quelle cose di cui avevo disperato, alla bontà, alla sincerità, alla fede, all'amore.... No, io non sono mai stata amata, così! Non sono stata amata niente! Non lo sai? Mio marito mi ha lasciata otto giorni dopo il nostro matrimonio! Mi ha presa per la mia fortuna, che ha rovinata a metà! Mi hanno data a lui, perchè ero di peso in casa, e perchè aveva un nome! Ed ho subìto gl'insulti più atroci, le vergogne più innominabili. Allora, capisci, io non ero corazzata d'acciaio contro le seduzioni... Feci.... - Costanzal... te ne scongiuro!... - Zitto, bambino! Lascia fare a me. - E riprese, rapidamente: - Feci... come molte altre. Credetti d'avere incontrata la felicità; credetti - hai capito? - Fu una tregua soltanto. L'amore di... colui, finì presto... se pure cominciò mai... No, no; hai ragione, non cominciò mai!... Un sentimento di falso dovere non gli fece dir nulla; e, in cambio, mi oltraggiò... capisci come? preferendomi una... delle altre. Mi sentii sferzata a sangue. Vidi tutto abietto intorno a me; in quell'abiezione volli cadere anch'io, per vendetta, per rabbia impotente.... Fu una volta sola, e fu abbastanza... Andrea, te lo giuro, per l'amor nostro!... Andrea!... Andrea, che cos'hai?... Egli si era fatto ancora più pallido, spaventosamente, ed aveva portato una mano al petto. - Il sangue! il sangue! il sangue di Andrea! il sangue generoso versato per questa indegna! E accostate le mani alla fasciatura tutta madida, le portò al viso. - Che io mi lavi nel tuo sangue, ch'io lavi le mani, ch'io lavi la fronte, ch'io lavi la bocca, che io mi lavi tutta, ch'io mi purifichi - è questo? - sì, così... così.... - Tu sei redenta.... Al contatto di quelle labbra ghiacciate che si posavano sulle sue mani sanguinose, ella sentì un brivido passarle per tutto il corpo. - Lasciami... ch'io chiami.... - Non ancora, Costanza!... Un silenzio. A un tratto s'intese la pendola suonare le due. Egli rivolse alla donna uno sguardo pieno di passione, e disse, con voce che si sentiva appena: - A quest'ora.... sotto gli eucaliptus.... Ella non fece a tempo a contenere uno scoppio di pianto. Disperatamente, si lasciò cadere in ginocchio, mettendosi in bocca, per frenare i singhiozzi, un lembo del lenzuolo pendente. Ad un tratto, si senti chiamare: - Costanza... soffoco... l'aria.... Ella corse a schiudere la finestra. Come si voltò vide gli occhi di Andrea rovesciarsi e la bocca contorcersi un poco.... Al sordo rumore di un corpo che cadeva di peso, gli aspettanti si precipitarono nella stanza; e mentre il dottore, con un gesto disperato, accertava la morte, il duca di Majoli si curvava sulla irrigidita Costanza di Fastalia, sollevandola paternamente.

Pagina 66

Il marito dell'amica

245084
Neera 5 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 110

Pagina 163

Pagina 176

Pagina 201

Pagina 89

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245286
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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Pagina 26

Pagina 94

In Toscana e in Sicilia

245839
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Pagina 89

L'indomani

246273
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Intorno, sulla fronte quasi rettangolare, dietro le orecchie, giù molto abbasso nella nuca, una cornice di capelli castagni, bruni in massa, ma luminosi, accendentisi qua e là con striscie seriche, con picchiettature d'oro brunito, spartiti modestamente nel mezzo e appuntati con due spilloni d'argento. Gli occhi tranquilli, di un colore indeciso, francamente aperti e sereni guardavano dritto, a guisa di dardo scoccato; ed era il loro sguardo tutta una dolcezza, una dolcezza invadente che assorbiva l'attenzione e la sviava dalla irregolarità dei lineamenti. Il mento stesso, senza carattere, di un disegno sbagliato, scompariva nella luce generale di quel volto a cui la bocca, raramente sorridente ed anche nel sorriso mesta, dava una speciale espressione di bellezza concentrata. Sotto il collo elegante e fiero, le spalle non sembravano interamente sviluppate e la delicatezza del seno che segnava ma non accentuava la femminilità, le dava una vaga somiglianza colle statue classiche di Ebe giovinetta. Piccola la mano, dove le vene si gonfiavano facilmente, dove, sotto l'epidermide fina, si sentivano trasalire i muscoli. Vestiva un abito di una mezza tinta, che ricordava un po' la peluria delle tortore, un po' quel pulviscolo dorato che copre gli alberi in autunno; e terminava ad ogni lembo, al giro del collo, all'apertura delle maniche, con una striscia di pallido rosa. La signora Oriani si trova in uno de' suoi giorni belli - pensò il dottorone, dopo aver dato una occhiata ingiro e fermatala con compiacenza sul volto di Marta, che gli sedeva proprio dirimpetto. - Non è certamente una bella donna, ma è di quelle che hanno la possibilità di diventarlo, a un dato momento; è la donna che si trasforma, la donna per eccellenza. Marta si accorgeva forse dell'effetto prodotto, perchè un raggio più vivo brillò ne' suoi occhi, che rivolse ad Alberto, come per metterlo a parte del suo trionfo e fargliene omaggio.

Pagina 150

Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246577
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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La ballerina (in due volumi) Volume Primo

246928
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 87

La ballerina (in due volumi) Volume Secondo

247294
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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La sorte

248138
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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. - Un piantone abbasso, e non entri neppur Domineddio. L'ispettore, con la tuba dal pelo lucido, una mazzettina sotto l'ascella, si baloccava con uno stuzzicadenti e reprimeva di tanto in tanto un piccolo rutto.. - Mestiere cane, non si può neanche far colezione! Data un'occhiata dal buco della serratura, egli guardò in giro le guardie, strizzando l'occhio destro, e disse, col suo forte accento palermitano: - A noi, picciotti! I colpi picchiati sullo scalpello rimbombavano nel silenzio profondo del corridoio; poi lo strumento s'affondò fino al manico, e, girata la maniglia, la porta s'aperse. Nessuno fece un passo. Fra la soglia e il letto, di traverso, giaceva il corpo esangue, con la camicia aperta, il collo tagliato da due ferite larghe come bocche spalancate, e un rasoio accanto alla destra, sul pavimento insanguinato. L' ispettore si voltò indietro, a chiamare: - Dottore!... dov'è il dottore? - Eccolo. - Eccomi. Come ebbe guardato un momento il cadavere, il medico fece un segno con la mano, come a dire: - Che cosa volete da me? L'altro si strinse nelle spalle. - Requiescat in pace! E andò al tavolino dal tappeto stinto, dove si vedevano molte carte sciorinate. Sopra una busta gialla messa in vista, l' ispettore lesse: - «Mi uccido, non s'incolpi nessuno della mia morte. Mezzanotte. Filippo Mordina.» Il delegato Pinelli, sopravvenendo con altre guardie, si arrestò un istante sulla soglia, allo spettacolo del cadavere. - Entrate, Pinelli; due parole di rapporto per il pretore, presto. - Non c'è carta; un po' di carta, una busta... - Subito! - e donna Vincenza e il portinaio, che stavano nel corridoio, si precipitarono fuori camera. - Ehi, comare, voi venite qui. Chiamate il padrone. - Il padrone è fuori, vossignoria.... - Bravo! La padrona? - La padrona, vossignoria, piange e non sa niente.... - Portatemi il registro dei passeggieri; non c'è neanche questo?.. - Corro subito io - disse il portinaio, recando la carta al delegato Pinelli, che si mise a scrivere. - Ora sentiamo un po', com'è andata - chiedeva l'ispettore a donna Vincenza. - Vossignoria, io ho la testa che non mi regge... e se fosse venuto un Angelo, a dirmi... non gli avrei creduto, mai e poi mai!... E donna Vincenza, gettando di traverso uno sguardo al morto, si andava segnando. - Alle corte, senza chiacchiere.... - Don Ciccio, vossignoria, il portinaio, m'aveva dato una lettera, pel passeggiere; e ho picchiato un'ora, dietro a quest'uscio, senza aver risposta, e allora è venuto fuori il reverendo, che ha guardato dalla serratura, e ha visto, Dio liberi, il passeggiere... - Se permette, signor delegato.... - Ispettore. Padre Miniscalco restò un momento interdetto. - Signor Ispettore... io ero arrivato ierisera, e mi stavo facendo la barba; come lei vede son rimasto a mezzo! e sentito il fracasso della serva, mi sono affacciato: Che state a picchiare, il passeggiere sarà andato fuori! Ma il passeggiere non era andato fuori... - No, non era fuori - confermava donna Vincenza. - Allora ho capito che c'era sotto qualche cosa, e ho guardato dalla serratura, come ha fatto lei, e capirà, quando ho visto... - Bravo lei, ho capito. Avete finito, Pinelli? - Ecco qui - disse il delegato. - Su via, Spina, questo al pretore, al Duomo, in quattro salti. - Poi, rivolto al Pinelli: - Vedrete adesso che cosa ci vorrà perchè il signor pretore si scomodi! - E, additando il cadavere: - Mi pare che.... - C'è poco da fare! - rispose il delegato. - Alle corte; Bruscalà, vai dal compare Mezzanca, pel carrozzone e una cassa. Intanto vediamo che cos'è tutta questa roba. Sedette dinanzi al tavolino, cavò di tasca una lente, l'inforcò e prese ad esaminare le carte. - «Mi uccido, non s'incolpi nessuno...» questo lo sappiamo. Qui c'è una lettera: « Regalbuto 19 ottobre. Caro... caro cugino, possessore della tua cara del 16 corrente, ho saputo con dispiacere la cattiva notizia del tuo... del tuo... concorso per impiegato alla posta e spero... e spero» che razza di calligrafia! «che sarai più fortunato nell'altro di cui, mi parli. Qui nessuna novità, tuo padre come ti dissi nell'altra mia ha consumato il matrimonio con la Finocchiara e della sant'anima di tua madre nessuno più se ne ricorda. Ma se vuoi sentire il mio consiglio, torna a casa che tuo padre ti riceverà, e così ti levi dalle tue pene. Lo zio ti manda venti lire, con vaglia postale; io ti abbraccio caramente e sono il tuo affezionatissimo cugino Giovanni Ba... Bu... Bertella.» Nel silenzio della camera si sentiva il borbottìo dell'ispettore che leggicchiava e s'interrompeva di tratto in tratto facendo fischiare l'aria attraverso i denti, per scacciarne i residui della colezione. Un sordo rumore di voci, di scalpiccii di passi saliva dalla folla ingrossante dinanzi la porta dell'Albergo. - Che cappio stanno a guardare? l'opera di Pulcinella? - Le guardie ridevano alla facezia dell'ispettore - Vediamo un po'; un'altra lettera: «Regalbuto, 25 ottobre. Caro cugino, ho ricevuto la tua del 21 corrente mese e sento quanto mi dici; tu hai ragione e la tua lettera mi ha fatto piangere; ma considera la difficoltà di procurarti un pane in una grande città, e tu stesso mi fai sapere che alla Banca Industriale non ti hanno voluto; se tua madre, sant'anima, potesse parlare dall'altro mondo, ti direbbe di tornare a casa, e di fare buon viso alla Finocchiara, che così tuo padre ti torna a voler bene e ti considera come i figli della Finocchiara. Poi mio padre è dello stesso sentire, e anzi ti dico che ho dovuto stentare per le venti lire che ti mandai; ma io farò il possibile per poterti aiutare. Il canonico Pesce ti manda la lettera di raccomandazione pel barone... - Eccellenza, questo è il registro - disse don Ciccio, porgendo il fascicoletto stretto e lungo, dalla copertina sporca di grasso e d'inchiostro. - Si chiamava Mordina? - Eccellenza sì. - Era qui dal 10 ottobre? - Eccellenza non ricordo. - Va bene, non c'è altro. Ma che è questo vociare? Pinelli, fate sgombrare il corridoio. E l'ispettore riprese a frugare tra le carte. - Questo che cos'è? «Navigazione generale, società, etc. Onorevole signore, il personale di questa Agenzia trovasi attualmente al completo; mi è quindi impossibile tener conto della sua domanda. Con perfetta osservanza, etc.» Un'altra: «Amministrazione delle zolfare del barone Cardara. Signore, il signor barone ricevette a suo tempo la lettera che lei gli fece pervenire, e le fa sapere che pel momento, trovandosi provvisto ad esuberanza di personale, non può corrispondere al suo desiderio. Mi creda, etc.» Tò, questo è un libretto: «Le Campane di Corneville, operetta in tre atti del maestro Planquette». Che c'è scritto sopra? «Le.... Pe...» Pinelli, venite a vedere; come dice? Il delegato compitava anche lui: - Pe... Se... Teresa! - Avanti. Questi che cosa sono? Mezzi biglietti di platea del Teatro Nuovo? E questo? «Elenco dei titoli di Filippo Mordina: licenza della scuola tecnica, licenza dell'istituto tecnico, patente di lingua inglese, patente di grado superiore... - Ispettore, lo frughiamo? - domandò il delegato. - Senza il signor Pretore? Oibò! - Egli faceva boccaccie - Volete farmi dare dello sbirro borbonico? E riprese a rovistare sul tavolino. - Un'altra lettera : «Caro cugino, sono dispiaciuto delle notizie della tua salute, e spero che per guarirti tornerai a casa, se il dottore ti ha prescritto l'aria del paese. Mi angustia la tua lettera, per lo stato in cui ti trovi, tanto più che non posso domandare niente a mio padre, che vuole che tu ritorni al paese, ma spero in settimana entrante poterti mandare qualche cosa. Caro Filippo, torna presto, questo è il mio consiglio, e meglio soffrire a casa tua che in una locanda.... - Signor ispettore... - La guardia si era fermata a due passi, sull'attenti. - Che c'è? - Ho portato l'ufficio al pretore; dice così che aspettino un momento.... - Pinelli, che cosa v'ho detto? - E l'ispettore riprese a leggere le carte. - «Al signor Giuseppe Bertella, sue proprie mani, Regalbuto.» Un altro plico: «AI signor Michelangelo Mordina, sue proprie mani, Regalbuto». Questi sono giornali... giornali... giornali.... Pare che non ci sia altro. L'ispettore lasciò il suo posto e si fece alla porta del corridoio. - Dov'è il portinaio? - Eccellenza! - Don Ciccio si rigirava fra le mani il berretto gallonato. - Era andato fuori, iersera? - Eccellenza sì; tanto è vero che tornò a notte avanzata, dopo il teatro. - Come lo sapete? - Che un momento dopo venne la commediante, quella del numero 5. - Quale commediante? - Quella del Teatro Nuovo. - Ah, Teresina Scardaniglio? - Eccellenza sì. L'ispettore pensò un momento. - Che abitudini aveva? - Ma, eccellenza, quasi sempre in casa; non lo veniva a cercare anima viva, solo qualche volta tornava tardi, come ieri... Interrompendolo, l'ispettore strizzò un occhio e disse al delegato: - Pinelli, si è visto il pretore?... - Poi, rivolto al portinaio: - E col padrone, c'erano conti? - Al padrone gli doveva una quindicina, e lo voleva mandare a spasso; poi pregò tanto che gli dette un'altra settimana di tempo, e l'orologio in pegno. - Quando finiva la settimana? - Quando finiva?... Domenica, lunedì, martedì... - don Ciccio faceva il conto sulle dita, guardando all'aria - Eccellenza, finiva oggi. Per questo si sarà scannato. Ma non poteva campar molto, eccellenza... - Perchè? - Era malato, qui alla cassa... Quando rifacevo la camera, lo sentivo abbaiare come un cane.... e sputava sangue... - Il pretore!.. il pretore!.. - A un tratto le guardie si schierarono da una parte e dall'altra, padre Miniscalco si tirò indietro sull'uscio della sua camera; l'ispettore si cavò il cappello, indietreggiando. - Signor pretore, le bacio le mani! Il pretore guardò il cadavere, impassibilmente, scialbo nel viso dalle guancie un po' infossate, dalle occhiaie profonde. Intanto che l'ispettore lo andava informando della faccenda, egli si cavava i guanti di lana, si soffregava le mani gonfie pei geloni, girava intorno uno sguardo distratto. - Questa qui è la dichiarazione... queste sono lettere e carte... - Mi lasci vedere. Intanto gli faccia frugare addosso. Sedette dinanzi al tavolo, lentamente, come all'ufficio, e cominciò a esaminare una dopo l'altra le carte. Nella camera non si sarebbe sentito volare una mosca. Sotto l'albergo, malgrado il tempo sempre più buio, la folla ingrossava e ne saliva un mormorio come di acque scorrenti. - Ecco quello che si è trovato. Il pretore prese ad esaminare quel ritratto, formato promenade, su cui il sangue aveva tirato come un velo rossastro. L'ispettore, colla mazzettina a spall'arme, il cappello un po' rovesciato indietro, si avanzò anch'egli a vedere. - Ma questa è Teresella Scardaniglio, nelle Campane di Corneville! E mostrava la figura di contadina, con la veste corta che lasciava vedere le gambe fino al ginocchio, le braccia nude e le prime curve del seno. - Quella che piglia sempre posto a destra, in capofila? - chiese il Pinelli. - Sicuro, Teresella! - Dove avete trovato questo ritratto? - domandò il pretore. - Fra il gilè e la camicia - rispose la guardia - Si sentiva una cosa dura. - Nient'altro? - Nossignore. Ora il cadavere restava con le braccia in croce, la testa rimossa dalla prima posizione e un po' inchinata verso la spalla sinistra, l'abito aperto mostrante la camicia insanguinata. - Delegato - chiamò il pretore - venga qui, cominciamo due parole di verbale. Avete pensato pel trasporto? - È disposta ogni cosa. L'ispettore, senza far rumore, uscì sul corridoio e chiese a don Ciccio, fermo lì in mezzo: - A che numero sta la Scardaniglio? - Numero 5, al piano di sotto. - Da questa parte? - Eccellenza sì. L'ispettore scese e andò a picchiare discretamente all'uscio. - Avanti, chi è? Teresella stava vicino alla finestra, con una forbicina in mano, ritagliandosi le unghie, mentre guardava la folla. La faccia bianca di cipria pareva una maschera sul fazzoletto di seta rossa che le avvolgeva il capo. - Neh, cavaliere, che è stato? - chiese colla sua voce rauca, accorrendo. L'ispettore la guardò un momento; poi, rifacendo anch'egli quel verso: - È stato che uno s'è acciso per causa tua! - Voi che dite, Giesù! Voi scherzate.... - Non mi credi? Gli abbiamo trovato il tuo ritratto sul cuore. - Il mio ritratto? ... Guarda, guarda com'è serio!.. E gli dette uno spintone. - Ferma con le mani. Parlo sul serio, il tuo ritratto, nelle Campane, e c'è anche una copia del libretto, col tuo nome scritto sopra. - Voi davvero?.. Giesù, Giesù!.. E com'è stato?.. - Si è scannato, con un rasoio. - È morto? - chiese con grandi occhi spalancati. L'ispettore trinciò una piccola croce, col dito. - Il ritratto glie lo avevi dato tu? - Io? Siete pazzo! Chi lo conosceva!. - Allora, come? - Io che so! L'avrà comprato dal fotografo. - E.... non l'hai mai visto? - Dalli! V'ho detto che non lo conosco - Un giovanotto, coi baffetti castagni... occhi neri... alto... - Aspetta, aspetta... Con la lente?.. Mo' ricordo; qualche volta l'incontravo, dopo la recita, abbasso al portone. - E... non t'ha avvicinato mai? - Quante volte v'ho da dì... - L'incontrasti anche iersera? - Mi pare... - Poi aggiunse, curiosamente: - Chi ve l'ha detto?... L' ispettore la guardò, ammiccando: - Con chi eri? Teresella gli dette un altro spintone. - Ih com'è curioso!... S'intese una carrozza arrestarsi sotto l'Albergo; l'ispettore andò a guardare dalla finestra. - Lasciami andar via; portano la cassa. - Giesù, Giesù! Poi, mentre quegli stava per uscire sul corridoio, Teresella gli corse dietro. - Cavaliè... sentite... avessi mai da passà qualche seccatura?... L'ispettore le accarezzò il mento, paternamente. - Non aver paura. E salì nella stanza del morto. Dietro, il becchino portava la cassa: tre tavole inchiodate e una mobile. - Pretore, ci siamo? - Avanti. - Picciotti, a noi. Preso dalle spalle e dai piedi, il cadavere fu deposto nella cassa. L'abito aperto faceva ingombro; lo affagottarono alla meglio. Il tempo diventava sempre più scuro; alla luce triste, giallastra, filtrante tra i nuvoloni color creta, la faccia del morto pareva di cera. A un tratto s'intese, fuori il corridoio, un confuso rimescolio, voci sorde, indistinte; poi dei passi affrettati che si avvicinavano, striIli di bambino e un gridar rauco: - Assassino!... lasciatemi, sangue di Dio!... Assassino, assassino!... - Saverio!... per carità, Saverio!... Il padrone, terribile nella faccia accesa, gli occhi iniettati di sangue, i capelli rossicci sconvolti, si precipitò nella camera, come una furia. - Assassino!... dov'è l'assassino?... - E corse addosso alla cassa. Le guardie furono a tempo ad afferrarlo. Contorcendosi, tentando di svincolarsi, con la bava alla bocca, egli gridava parole mozze. - Il cuore debbo mangiargli... a cotesto infame!.. Mi ha rovinato!.. I'Albergo è rovinato!... - E nella rabbia dell'impotenza, gonfiò le gote e lanciò uno sputo che andò a stamparsi sulla fronte del morto. - Carogna, tieni! L'ispettore, facendo fischiare più forte l'aria fra i denti, gli si fece incontro, gli posò una mano sulla spalla, e disse, guardandolo fermo: - Principale, che facciamo? Restarono un momento così, gli occhi negli occhi. Il pretore guardava, impassibile, stropicciandosi le dita. Poi il padrone, fremente, con le labbra strette e le mascelle contratte, si lasciò portar via, barcollando. - Su, facciamo presto. Il becchino s'inginocchiò, inchiodò la cassa, leggermente; le guardie la presero da capo e piedi e gliela misero sulle spalle. Pel corridoio angusto, giù per la scaletta dalla volta bassa, il carico andava sbattendo di qua e di là. - Adagio!... attento alla porta!... più basso! - avvertivano don Ciccio e donna Vincenza. Sul marciapiede, la folla indietreggiò. La guardia aperse lo sportello del carrozzone, e come la cassa vi sdrucciolò, lo richiuse, sbattendolo. - Al deposito - disse al becchino, consegnandogli l'ufficio del pretore. Come il carrozzone fu partito, donna Vincenza, nel risalire, vide qualcosa di bianco per terra. - La lettera del passeggiere! - «Municipio di Messina» - lesse il pretore, interrompendo la redazione del verbale - «Oggetto: concorso fra gl'insegnanti elementari. Le si partecipa, in risposta alla sua del 20 corrente mese che, ai termini dell'avviso 8 ottobre, quando la patente di grado superiore è conseguita prima del 1878, occorre espressamente, per essere ammessi al concorso, il certificato speciale di abilitazione allo insegnamento della ginnastica. Tale essendo il suo caso, la commissione non può passare all'esame dei titoli già presentati se la Signoria Vostra non le farà pervenire il certificato di cui sopra.» FINE.

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Una notte d'estate

249487
Anton Giulio Barrili 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 99

Una peccatrice

249717
Giovanni Verga 4 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 170

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Tutt'a un tratto fu veduta una figura umana, imbacuccata in pelli nere che la facevano mostruosa, montare di un salto sul palcoscenico, e gridare colla sua voce più forte, stendendo il braccio con un gesto imperioso verso l'orchestra: - Abbasso il valtzer! Non vogliamo valtzer! Non vogliamo balli aristocratici!... Vogliamo la Fasola!... Quella voce che comandava, quel gesto che imponeva fecero fermare i ballerini che danzavano e i professori che suonavano; e cominciò un immenso frastuono. Dai palchi partirono alcuni fischi acutissimi, tratti certamente con l'aiuto delle chiavi. Allora quell'uomo, quel mostro, alzò la testa orribile a vedersi col suo pallore cadaverico sui suoi lineamenti dimagriti, collo scintillare dei suoi occhi infuocati fra i peli che gli cadevano dal cappuccio sulla fronte; e quello sguardo che fissò su quei cavalieri giovani, ricchi, eleganti; su quelle mani in guanti bianchi che si sporgevano fuori dei palchi ad imporgli silenzio; su quelle signore belle, profumate, splendenti di gemme; su quella folla dorata che faceva il più vivo contrasto con quella brutta, cinica, briaca, cenciosa, che l'accompagnava, quello sguardo fu d'odio immenso, indicibile, e anche di feroce vendetta. - Abbasso gli aristocratici! - gridò egli, Pietro, il giovane aristocratico per istinto; - abbasso i guanti bianchi! Vogliamo la Fasola! Suonate la Fasola! A quelle parole successe un immenso schiamazzo di urli che applaudirono alle sue parole e chiamavano la Fasola, questa danza popolare. I carabinieri, quantunque avessero spiegato la massima energia nel cercare di calmare l'effervescenza erano in troppo piccol numero per imporre a quella folla resa audace dalla sua istessa insolenza; finalmente si fece venire il picchetto di Guardia Nazionale ch'era alla porta. In questa una fischiata solenne e generale, partita dai palchi, sembrò sfidare la collera di quella gentaglia irritata: le mani inguantate di bianco non volevano lasciarsi sopraffare dalle mani nere e callose. Nella platea scoppiò un grido generale di rabbia. Alcune signore svennero allo spettacolo di quella folla urlante che levava braccia nere e facce infuocate e furibonde, come ad imprecare, verso i palchetti, e in mezzo alla quale scintillavano alcuni ferri aguzzi. I carabinieri misero le mani sui rewolvers, e la Guardia Nazionale entrò nella sala colle baionette in canna. Rinunziamo a descrivere lo stato d'esasperazione di Brusio a quella sfida imprudente che l'aveva percosso come uno schiaffo; egli saltò in mezzo alla folla gridando: - Ora faccio scendere tutta questa canaglia coi guanti a ballare la Fasola con noi! Vado a prenderveli per le orecchie! E si fece largo in mezzo alla calca. Nessuno, nè carabinieri, nè Guardie Nazionali badarono a quell'uomo che usciva, a quella jena assetata di vendetta, che spingeva in avanti il collo anelante come un animale sitibondo. In due salti egli fu sulla scala del second'ordine, e si avanzò pel corridoio. Tutt'a un tratto egli si fermò, come percosso dal fulmine, coll'occhio smarrito, col volto pallido e convulso: si era trovato faccia a faccia a Narcisa, che partiva dal Teatro, spaventata di quel frastuono. La contessa aveva messo un grido nel vedere quell'uomo che correva come un pazzo contro di lei, facendo scintillare nel suo pugno la lama larghissima di un coltello a manico; quella figura informe ed orrenda sotto le pelli che la coprivano, della quale gli occhi soltanto luccicavano come due carbonchi sul volto che sembrava una maschera di cera gialla. Ella si era stretta contro la parete, aggrappandosi al braccio del conte, come per farsene schermo. Pietro aveva avuto uno sguardo, un solo, per lei; il coltello gli era caduto di mano; poi era fuggito, correndo a salti, urlando disperatamente, come l'animale che voleva figurare. - Oh! questa donna! questa donna!... questo demonio! - gridava egli, correndo all'impazzata pel Molo. Si fermò sull'ultimo limite di questo, quando non vide più dinanzi a sè che il mare bruno ed immenso, su cui scintillavano le stelle. Fissò uno sguardo ebete, smarrito su quella superficie che si stendeva e perdita di vista, luccicante di riflessi fosforici; su quelle stelle che splendevano sulla sua testa... Due o tre volte avanzò il passo verso quell'abisso che poteva inghiottire la sua vita coi suoi vortici spumeggianti; e ciascuna volta egli sentì una forza che l'afferrava e lo tratteneva.... Finalmente cadde accosciato sul suolo umido e spazzato qualche volta dalle onde, prorompendo in lagrime amare, ardenti, ma non più disperate. Egli pianse a lungo: quel pianto che non aveva potuto versare da circa cinque mesi, forse lo salvò. - Questa donna ha ragione, - mormorò quando fu calmo, come avea detto allorquando gli era parso che il suo cuore si fosse spezzato: - quali diritti ho io al suo amore, alla sua attenzione, fin'anche?..... lo, Piero Brusio!... Ma io voglio averli questi diritti che io m'ha dato, che in un istante di scoraggiamento io ho sconosciuto, ho ripudiato, ma che sento in me... Questa donna anderà superba un giorno dell'amore di Pietro Brusio!! E rialzando la testa, quasi lieto ed altiero di quel nuovo indirizzo che dava alla sua vita, di quell'espiazione che s'imponeva del passato, della speranza che gli brillava negli occhi ridenti, guardò il cielo quasi calmo, quasi giocondo ora. Si alzò, e con passo fermo s'incamminò verso la sua casa. Egli andò ad abbracciare la madre nel letto, come per darle la lieta notizia, mescolando le sue lagrime a quelle di gioia di lei, che ritrovava il figlio suo; e dandole la sola spiegazione della metamorfosi che uno sguardo ed un pensiero avevano potuto operare in lui con queste sole parole: - Perdonami, madre mia!... perdonami! Due mesi intieri ebbe la forza di non cercare Narcisa, di non vederla. Usciva di rado, la sera; e sempre in compagnia di sua madre e delle sue sorelle. L'aveva dimenticata? No! Egli aveva tal forza perchè viveva per lei, con lei, in lei; perchè tutta la sua vita era ormai Narcisa. Egli lavorava con un entusiasmo quasi accanito; con una lena che soltanto poteva dargli l'esaltazione in cui si trovava; e fece passare tutto il suo cuore nell'opera sua. Due mesi dopo aveva finito un dramma che rileggeva cogli occhi brillanti di sorriso; del quale era contento; che amava quasi di una parte dell'amore di cui amava Narcisa; che amava come un'emanazione di lei. Quanto egli tu soddisfatto dell'opera sua, di sè stesso; quand'egli si sentì più vicino a Narcisa, allora la cercò. La sua casa era deserta e le imposte dei veroni chiuse. La cercò inutilmente otto giorni poi passeggi e al Teatro: ne domandò agli amici: nessuno l'avea più veduta. Risoluto di trovarla ad ogni costo andò a far visita in casa A*** e colla signora condusse il discorso sino alla contessa. - A proposito, che n'è di lei? domandò. - Credevo che lo sapeste, voi suo amante: è partita. - Partita! - Sì, da venti giorni. - E per dove? - Per Napoli. - Anderò, a Napoli! disse a sè stesso. Brusio.

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