Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbassato

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

ALLA CONQUISTA DI UN IMPERO

682161
Salgari, Emilio 2 occorrenze

Le serve avevano abbassato il lucignolo in modo che la luce fosse debolissima. Surama dormiva profondamente. Solo la sua respirazione era un po' affannosa come se qualche cosa le gravitasse sul cuore. Il fakiro contemplò per alcuni istanti il viso bellissimo e roseo della giovane indiana, poi fece un gesto di dispetto. - Maledetto sia il giorno che io ho disseccato il mio braccio - disse. - Vile mestiere è quello del fakiro! ... Ah! - Tornò rapidamente nel salotto, assicurò la fune ad un gancio delle imposte e mandò due sibili. Un istante dopo un uomo scavalcava il davanzale, tenendo stretto fra le labbra uno di quei terribili coltelli indiani chiamati tarwar. - Che cosa vuoi gussain? - gli chiese, balzando agilmente nella stanza. - Che mi aiuti - rispose il fakiro. - Io non posso usare che un solo braccio. - Vuoi che uccida? - No: il padrone non vuole. Nessun delitto per ora. Aiutami a portare via la fanciulla. - Guidami. - Il fakiro rientrò nella stanza di Surama e gliela indicò dicendogli: - Fa' presto: i fiori della carma-joga addormentano. - L'indiano strappò dal letto la coperta di seta bianca, levò con un gesto brusco le lenzuola, avvolse Surama che pareva colpita da una specie di catalessi e lasciò subito la stanza borbottando: - Maledetti fiori! Un momento ancora e m'addormentavo anch'io! ... - Afferrò Surama fra le braccia secche nervose, scavalcò il davanzale, s'aggrappò con una mano sola alla fune e si lasciò scivolare giù. Il fakiro quantunque avesse la destra anchilosata e stringesse sempre nella destra il ramoscello di mirto sacro, l'aveva subito seguìto. Dieci uomini armati di lunghe carabine e di scimitarre li aspettavano in mezzo alla via. - È fatto il colpo? - chiese uno. - Sì. - In marcia allora. - Ed io? - chiese il fakiro. - Seguici. - Un palanchino sorretto da quattro hamali era pronto. Surama sempre avvolta nella coperta di seta bianca vi fu adagiata, le cortine furono abbassate, poi il drappello si mise rapidamente in marcia preceduto da due mussalchi che portavano delle torce accese. Nel palazzo nessuno si era accorto di quell'audace rapimento compiuto nel colmo della notte e nel più profondo silenzio. I rapitori percorsero diverse vie oscure e deserte, poi si arrestarono dinanzi a un vasto caseggiato che rassomigliava nella costruzione a quei comodi e graziosi bengalow che si fabbricano gli inglesi che si stabiliscono nell'India. La porta era aperta e la gradinata illuminata da una grossa lampada. Un chitmudgar, accompagnato da quattro servi, aspettava il drappello. - Fatto? - chiese. - Sì, - rispose il fakiro. - Il tuo padrone sarà contento. - Il chitmudgar sollevò una tenda del palanchino e gettò su Surama, sempre addormentata, un rapido sguardo. - Sì, - disse poi. - È la principessa misteriosa. - Fece un segno ai servi. Questi presero il palanchino, l'alzarono e salirono frettolosamente la scala. - Potete andare, - disse allora il maggiordomo rivolgendosi alla scorta, - e anche tu gussain. È meglio che non ti si veda in questa casa. Eccovi cento rupie che il mio padrone vi regala. Buona notte. - Chiuse la porta e raggiunse i servi i quali avevano deposto il palanchino in una bellissima e ampia stanza, il cui centro era occupato da un letto incrostato di laminelle d'argento e di madreperla con ricchissima coperta di seta azzurra a ricami gialli. Il chitmudgar prese fra le robuste braccia la bella indiana che pareva morta, svolse la coperta di seta bianca e la mise a letto, coprendola per bene. - Portate via il palanchino ora - disse ai servi. Erano appena usciti quando un uomo entrò: era uno dei ministri del rajah. - Eccola signore - disse il maggiordomo, inchinandosi profondamente. - Le guardie del favorito hanno agito rapidamente e senza allarmare gli abitanti del palazzo. - Il ministro sollevò la coperta e guardò Surama. - È bellissima, - disse. - Il grande cacciatore è di buon gusto. - Devo svegliarla signore? - Che cosa ha adoperato il fakiro per addormentarla? - Gli ho dato tre fiorellini di carma-joga. - Ah! - fece il ministro. - Ne coltivo molti nel giardino. - Come potremo farla parlare? - Ho previsto tutto, signore. - Colla youma? - Ho qualche cosa di meglio - rispose il maggiordomo con un' sottile sorriso. - Fino da ieri ho preparato una infusione di bâng (10)

La giovane assamese aveva abbassato il lucignolo della lampada per far credere che dormiva e si era gettata sulla testa una larga fascia di seta, che la nascondeva quasi tutta. - Eccomi, signore - disse a Sandokan. - Sono pronta a scendere. - Le tue serve? - Dormono profondamente. - Hanno bevuto il narcotico? - Da più di un'ora. - Prima di domani sera non si sveglieranno, - disse Sandokan. - Siamo quindi sicuri di non essere disturbati da parte loro. - Aprì una finestra e passò sulla varanga accostandosi silenziosamente al parapetto. Quantunque l'oscurità fosse fitta, scorse subito alcune ombre umane sfilare silenziosamente dinanzi al palazzo del favorito. - Devono essere Tremal-Naik, Kammamuri e i miei malesi, - mormorò. - Speriamo che tutto vada bene. - Svolse la corda, legò un capo ad una colonna di legno della varanga e gettò l'altro nel vuoto, mandando nel medesimo tempo un leggero sibilo che imitava perfettamente quello del terribilissimo cobra-capello. Un segnale identico rispose poco dopo. - È lui - disse Sandokan. - All'opera! - Tornò verso la finestra, prese fra le sue braccia Surama e s'avviò verso la fune dicendo al sudra: - Scendi pel primo tu. - Sì, padrone. - E fa' presto. - Il giovanotto varcò il parapetto e scomparve. - Tu incrocia le tue mani attorno al mio collo, - disse poscia Sandokan alla bella assamese, - e dammi la tua fascia di seta, onde ti leghi a me. - Non sarebbe necessario, - rispose la principessa. - Le mie braccia sono robuste. - Non si sa mai quello che può accadere. - Prese la sciarpa, strinse Surama contro il proprio dorso, poi a sua volta montò sul parapetto, non senza essersi prima cacciato fra i denti il kriss malese. - Stringi forte, - disse. - Non mi strangolerai colle tue piccole mani. - Afferrò la corda e si mise a scendere. Vecchio marinaio, non si trovava certo imbarazzato a compiere quella manovra, tanto più che possedeva una muscolatura da sfidare l'acciaio. In pochi istanti raggiunse la veranda inferiore. Disgraziatamente urtò coi piedi contro l'orlo della leggera tettoia che la copriva, facendo cadere un pezzo di grondaia. Una sola imprecazione gli sfuggì suo malgrado. Quel pezzo di latta o di zinco che fosse, nel precipitare sulle pietre della piazza, produsse molto rumore. Sandokan puntò i piedi contro il riparo e si lasciò scivolare verticalmente, senza badare se si scorticava o no le mani. Non distava dal suolo che pochi metri quando dalla varanga udì una voce a urlare: - All'armi! La prigioniera fugge! - Poi rintronò un colpo di pistola. La palla fortunatamente non aveva colpito né Sandokan, né Surama. Uomini, servi e guardie, si erano precipitati sulla varanga urlando a squarciagola: - Ferma! Ferma! - Due, avendo trovata la fune stesa dinanzi alla galleria, vi si aggrapparono lasciandosi scorrere fino a terra, ma già Sandokan che reggeva sempre Surama, si trovava al sicuro fra i suoi fedeli malesi. Tremal-Naik vedendo poi quei due venire avanti con dei tarwar in mano, armò rapidamente le due pistole che aveva nella fascia e scaricò uno dietro l'altro, senza troppa fretta, quattro colpi che li fece cadere l'uno sull'altro. - Via! - gridò Sandokan dopo aver sciolto il piccolo sari che legava Surama, e d'aver presa questa fra le braccia. - Al palazzo!- La porta del bengalow del favorito, si era aperta e dieci o dodici uomini muniti d'armi da fuoco e da taglio e ancora semi-nudi, si erano scagliati dietro ai fuggiaschi, urlando senza posa: - All'armi! All'armi! - Sandokan correva come un cervo, fiancheggiato da Tremal-Naik e da Kammamuri e protetto alle spalle dai malesi. La caccia era cominciata furiosa, implacabile; ma quantunque gli indù godano generalmente la fama di essere corridori instancabili, avevano trovato nei loro avversari dei campioni degni dei loro garretti. Di quando in quando qualche colpo di fuoco echeggiava, facendo accorrere alle finestre gli abitanti delle vicine case. Ora veniva sparato dagli inseguitori ed ora dai fuggiaschi, senza gravi perdite né da una parte né dall'altra non potendo, in quella corsa disordinata, prendere la mira. Nondimeno una viva inquietudine cominciava a tormentare Sandokan. Quelle grida e quegli spari facevano accorrere ad ogni istante altre persone ed il drappello dei servi del greco s'ingrossava rapidamente. Sarebbero riusciti a salvarsi nel palazzo senza essere stati scorti? Lo stesso pensiero doveva essere sorto anche nel cervello di Tremal-Naik, poiché senza cessare di correre, chiese a Sandokan: - Non verremo noi assediati? - Prima di voltare l'angolo dell'ultima via, faremo una scarica. È assolutamente necessario che non ci vedano entrare nel palazzo. Forza alle gambe! Cerchiamo di distanziarli. - Avevano percorso sette od otto vie, senza incontrare fortunatamente nessuna guardia notturna. Con uno sforzo supremo raggiunsero l'angolo del palazzo vantaggiando a un tempo di duecento e più passi. - Fate fronte! - gridò Sandokan ai malesi. - Caricate! Fuoco di bordata prima! - Le terribili tigri di Mompracem, niente spaventate di trovarsi di fronte a cinquanta o sessanta avversari, puntarono le carabine facendo una scarica, poi estratte le scimitarre caricarono furiosamente con urla selvagge. Vedendo cadere parecchi dei loro, gl'indù volsero le spalle senza aspettare l'attacco impetuoso, irresistibile, dei malesi. - Kammamuri, fa' aprire la porta del palazzo prima che quei furfanti ritornino! - È già aperta, signore! - gridò Bindar. - A me, malesi! - I pirati che si erano slanciati dietro ai fuggiaschi ululando come bestie feroci, si ripiegarono di corsa e si gettarono dentro l'ampio peristilio del palazzo di Surama, chiudendo e barricando precipitosamente la porta. - Spero che nessuno ci abbia veduti, - disse Sandokan deponendo a terra Surama e aspirando poscia una lunga sorsata d'aria. - Grazie, Sandokan, - disse la giovane. - A te ed al sahib bianco devo ormai troppe volte la mia vita. - Lascia queste cose e andiamo a vedere che cosa succede. Intanto fa' armare tutta la tua gente. Temo che vi sarà battaglia questa notte. - Salì la gradinata insieme con Tremal-Naik e con Kammamuri e si affacciò ad una finestra del secondo piano. - Saccaroa! - esclamò. - Ci hanno ritrovati! Qui corriamo il pericolo di venire presi! Ah! Per Maometto, preparerò loro un bel tiro, prima che giungano i soldati del rajah! - Che cosa vuoi fare? - chiese Tremal-Naik. - Surama! - gridò invece Sandokan. La giovane assamese saliva in quel momento la scala. - Che cosa desideri signore? - chiese avvicinandosi rapidamente. - La tua casa è isolata mi pare. - Sì. - Che cosa vi è di dietro? - Una piccola pagoda. - Isolata anche quella? - No, si appoggia ad un gruppo di palazzi e di bengalow. - È larga la via che divide la tua casa dalla pagoda? - Una diecina di metri. - Fa' portare subito delle funi, tutte quelle che puoi trovare. Ci raggiungerai sul tetto. Bindar! - L'indiano che era sulla varanga vicina fu pronto ad accorrere. - Eccomi, padrone - disse. - Da' ordine ai miei malesi ed ai servi di tenere in iscacco gli assalitori per alcuni minuti. Che non facciano economia di polvere né di palle. Va' e comanda il fuoco. E ora, Tremal-Naik, vieni con me e con Kammamuri. - Salirono una seconda gradinata raggiungendo l'ultimo piano e trovato un abbaino, passarono sul tetto che era quasi piatto, non avendo che due leggere inclinazioni. - Non mi aspettavo tanta fortuna, - mormorò Sandokan. - Andiamo a vedere quella via e quella pagoda. - Mentre s'avanzavano carponi, dinanzi al palazzo echeggiavano clamori assordanti. Gli assedianti dovevano essere cresciuti di numero a giudicarlo dal fracasso che facevano. Il fuoco però non era ancora cominciato né da una parte né dall'altra. Bindar non aveva forse giudicato prudente cominciare pel primo le ostilità, per non irritare maggiormente gli avversari. Sandokan ed i suoi due compagni in pochi momenti attraversarono il tetto, raggiungendo il margine opposto. Una via larga, nove o dieci metri, separava il palazzo da una vecchia pagoda di modeste proporzioni, la quale era sormontata da una specie di terrazzo, irto di antenne di ferro che sorreggevano dei piccoli elefanti dorati che funzionavano forse da mostraventi. - È alta quanto questa casa, - disse Sandokan. - Che cosa vuoi tentare? - chiese Tremal-Naik. - Di passare su quel terrazzo, - rispose la Tigre della Malesia. Il bengalese lo guardò con spavento. - Chi potrà saltare attraverso questa via? - Tutti. - Ma come? - Tu sai ancora adoperare il laccio? Un vecchio thug non dimentica facilmente il suo mestiere. - Non ti capisco. - Non si tratta che di gettare una buona corda al di sopra d'una di quelle antenne e di formare poi un ponte volante con un paio di gomene. - Ah! Padrone, lascia fare a me allora, - disse Kammamuri. - Sono stato un anno prigioniero dei thugs di Rajmangal e ho appreso a servirmi del laccio a meraviglia. Non sarà che un semplice giuoco. - E poi dove scapperemo noi? - chiese Tremal-Naik. - Vi sono delle case dietro la pagoda che attraverseremo facilmente, passando sui tetti. In qualche luogo scenderemo. - E non ci daranno la caccia? - Io eleverò fra noi e gli assedianti una tale barriera da togliere loro ogni idea d'inseguirci. - Tu sei un uomo meraviglioso, Sandokan. - Non sono stato forse un pirata? - rispose la Tigre della Malesia. - Nella mia lunga carriera ne ho provate delle avventure e ne ho ... - Una scarica di carabine gli tagliò la frase. I malesi ed i servi del palazzo avevano aperto il fuoco, per impedire agli assedianti di abbattere la porta e d'invadere le stanze del pianterreno. - Se la resistenza dura dieci minuti noi siamo salvi, - disse Sandokan. Si volse udendo delle tegole a muoversi, Surama s'avanzava con precauzione andando carponi sul tetto, accompagnata da due servi e da un malese, che portavano corde di seta, strappate probabilmente dai tendaggi, e grosse corde di canape tolte dalle varanghe. - Chi è che ha aperto il fuoco? - chiese Sandokan aiutando la brava ragazza ad alzarsi. - I tuoi uomini. - Vi sono dei seikki fra gli assalitori? - Una dozzina e avevano subito attaccata la porta. - Kammamuri scegliti la corda e bada che sia solida perché tu dovrai passare su quella. - Lascia fare a me, padrone; - rispose il maharatto. Si gettò sulle funi che erano state deposte dinanzi a lui e prese un cordone di seta, lungo una quindicina di metri e grosso come un dito, osservandolo attentamente in tutta la sua lunghezza. - Ecco quello che fa per me, - disse poi. - Può sorreggere anche due uomini. - Fece rapidamente un nodo scorsoio, si spinse verso il margine del tetto, lo fece volteggiare tre o quattro volte intorno alla propria testa come fanno i gauchos della pampa argentina e lo lanciò. La corda ben aperta alla sua estremità, in causa di quel rapido movimento rotatorio, cadde su una delle aste di ferro e vi scivolò dentro. - Ecco fatto, - disse Kammamuri volgendosi verso Sandokan. - Tenete forte il cordone. - Guarda prima se vi è gente nella via. - Non mi pare, padrone. D'altronde l'oscurità è fitta e nessuno ci vedrà. - Sandokan e Tremal-Naik si gettarono sulle tegole afferrando strettamente il cordone, subito imitati dai due servi e dal malese. - Coraggio amico, - disse il pirata. - Ne ho da vendere, - rispose il maharatto sorridendo. - E poi non soffro le vertigini. - Si appese al cordone, incrociandovi sopra, per maggior precauzione, le gambe e s'avanzò audacemente al di sopra della via, senza nemmeno pensare che poteva da un istante all'altro cadere da un'altezza di diciotto o venti metri e sfracellarsi sul lastricato. Sandokan e Tremal-Naik seguivano con viva emozione e non senza rabbrividire quella traversata, dal cui buon esito dipendeva la salvezza di tutti. Vi fu un momento terribile, quando il coraggioso maharatto giunse a metà della distanza che divideva il palazzo dalla pagoda. Il cordone quantunque tirato a tutta forza dai cinque uomini, aveva descritto un arco accentuatissimo, crepitando sinistramente sotto il peso non indifferente di Kammamuri. - Fermati un istante! - gridò precipitosamente Sandokan. Il maharatto che doveva pure aver udito quel crepitìo che poteva annunciare una imminente rottura, ubbidì subito. Fortunatamente la corda non aveva ceduto, né aveva dato alcun altro suono. A quanto pareva, i fili di seta si erano solamente allungati senza spezzarsi. - Vuoi provare? - chiese finalmente Sandokan. - Aspettavo il tuo ordine, - rispose Kammamuri con voce perfettamente calma. - Va', amico, - disse Tremal-Naik. Il maharatto riprese la sua marcia aerea, procedendo però con precauzione e giunse ben presto sul terrazzo della pagoda, mandando un gran sospiro di soddisfazione. - Le funi, padrone! - gridò subito. Sandokan aveva già scelto le più grosse e le più solide. Le annodò facilmente. Le due funi, annodate l'una sopra l'altra, all'altezza d'un metro e mezzo e assicurate a due aste di ferro, potevano permettere il passaggio senza correre troppi pericoli. - Tremal-Naik, - disse Sandokan; - occupati di far passare le persone. Surama hai paura? - No, signore. - Passa per la prima. - E tu? - chiese Tremal-Naik. - Vado a coprire la ritirata e preparare la barriera che impedirà agli assedianti di darci la caccia. - Riattraversò il tetto e ridiscese negli appartamenti. La battaglia fra gli indù, i malesi ed i servi del palazzo infuriava, facendo accorrere da tutte le vicine vie nuovi combattenti. I malesi nascosti dietro i parapetti delle varanghe che avevano coperti con materassi, cuscini e pagliericci, sparavano furiosamente facendo indietreggiare, ad ogni scarica, gli assalitori e mandandone molti a terra morti o feriti. La folla però, che era pure armata di ottime carabine e di pistole, rispondeva non meno vigorosamente e anche dalle case fronteggianti il palazzo di Surama si sparava contro la varanga, mettendo in serio pericolo i difensori. Sandokan si era precipitato fra i suoi uomini, gridando: - Riparate subito sul tetto! Fra pochi minuti il palazzo sarà in fiamme! Prima le donne ed i servi, ultimi voi per coprire la ritirata. - Ciò detto strappò una torcia che illuminava la varanga e diede fuoco alle stuoie di coccottiero, quindi si slanciò attraverso le splendide stanze che formavano l'appartamento riservato di Surama, incendiando i cortinaggi di seta delle finestre, le coperte dei letti, i tappeti, i leggeri mobili laccati. - Ci diano la caccia ora, - disse quando vide le fiamme avvampare e le stanze riempirsi di fumo. - Cinquantamila rupie non valgono un dito di Surama. - Ritornò sulla varanga inseguito dalle colonne di fumo per accertarsi che non vi era più nessuno. Indiani e malesi, dopo d'aver fatta un'ultima scarica, erano precipitosamente fuggiti; e le stuoie, le colonne di legno e persino il pavimento, avvampavano con rapidità prodigiosa lanciando intorno bagliori sinistri. - Questo palazzo brucerà come un pezzo d'esca, - mormorò Sandokan. - È tempo di metterci in salvo. - Raggiunse l'abbaino e balzò sul tetto. La ritirata era cominciata in buon ordine; uomini e donne attraversavano rapidamente il ponte volante reggendosi sulle due funi, mentre i malesi, curvi sui margini del tetto, consumavano le loro ultime munizioni e scagliavano nella via, sulle teste degli assedianti, ammassi di tegole. Sul terrazzo della pagoda le persone si accumulavano, prendendo subito la via dei tetti, sotto la guida di Tremal-Naik, di Kammamuri e di Bindar. Quando Sandokan vide finalmente il ponte volante libero, vi fece passare i malesi, poi troncò con un colpo di coltello le due funi che erano state legate attorno al comignolo d'un camino, onde gli assedianti, nel caso che la casa non bruciasse interamente, non potessero accorgersi da qual parte gli assediati fossero fuggiti. - Ora un esercizio da buon marinaio, - mormorò Sandokan. Prima di eseguirlo lanciò intorno un rapido sguardo. Dagli abbaini uscivano nuvoli di fumo e getti di scintille e nella sottostante via si udivano i clamori feroci della folla. - Entrate e dateci la caccia, - mormorò il pirata con un sorriso ironico. Afferrò una delle due funi, si spinse fino sull'orlo del tetto e senz'altro si slanciò andando a battere i piedi contro il cornicione della pagoda che sorreggeva il terrazzo. Nessun altro uomo, che non avesse posseduta l'agilità e la forza straordinaria di Sandokan, avrebbe potuto tentare una simile volata senza fracassarsi per lo meno le gambe. Il pirata però che doveva possedere una muscolatura d'acciaio, non provò che un po' di stordimento, prodotto dal violentissimo contraccolpo. Stette un momento fermo per rimettersi un po', quindi cominciò a issarsi a forza di pugno finché raggiunse il terrazzo. Sui tetti delle vicine case i servi e le donne fuggivano rapidamente, fiancheggiati dai malesi. Surama camminava alla testa, sorretta da Tremal-Naik e da Kammamuri. Sandokan, pur camminando con una certa precauzione, in pochi istanti li raggiunse. - Finalmente! - esclamò il bengalese, - cominciava a diventare inquieto non vedendoti comparire. - Io ho l'abitudine di giungere sempre, - rispose la Tigre della Malesia. - Ed il mio palazzo? - chiese Surama. - Brucia allegramente. - È un patrimonio che se ne va in fumo. - E che la Tigre della Malesia pagherà - rispose Sandokan alzando le spalle. - Ci inseguono? - chiese Tremal-Naik. - Attraverso le fiamme? Si provino a mettere i loro piedi entro quella fornace. Io già non ti seguirei di certo. - Ma dove finiremo noi? - Aspetta che troviamo una via che c'impedisca di andare più innanzi, amico Tremal-Naik. Ho già fatto il mio piano. - E quando la Tigre della Malesia ne ha uno nel cervello, si può essere certi che riuscirà pienamente, - aggiunse Kammamuri. - Può darsi, - rispose Sandokan. - Non fate troppo rumore e non guastate troppe tegole. In questo momento non potrei risarcire i danneggiati. - La ritirata si affrettava sempre in buon ordine, passando da un terrazzo all'altro. Gli uomini aiutavano sempre le donne a scavalcare i parapetti, che talvolta erano così alti da costringere i malesi a formare delle piramidi umane, per meglio favorire le scalate. Verso il palazzo si udivano sempre urla e spari e si scorgevano le prime lingue di fuoco sfuggire attraverso gli abbaini. Nelle case di fronte e di dietro, di quando in quando, partivano delle grida altissime: - Al fuoco! Al fuoco! - I fuggiaschi che temevano di essere sorpresi, si affrettavano. Se le fiamme s'alzavano, qualcuno poteva scorgerli e dare l'allarme, e questo, Sandokan assolutamente non lo desiderava. - Presto! presto! - diceva. Ad un tratto gli uomini che si trovavano all'avanguardia, si ripiegarono verso il terrazzo che avevano appena allora superato. - Che cosa c'è? - chiese Sandokan. - Non si può più andare innanzi, - disse Bindar che guidava quel drappello. - Abbiamo una via dinanzi e tanto larga che non la potremo sorpassare. - Vedi nessun abbaino? - Ce ne sono due sotto il terrazzo. - Di che cosa ti lagni dunque amico, quando abbiamo delle scale per scendere nella via? Fa' sfondare quegli abbaini e andiamo a fare una visita agli abitanti di questa casa. Sarà troppo mattutina, ma la colpa non è nostra. -

Cerca

Modifica ricerca