Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbassato

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PROFUMO

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

Ma non appena il becchino, abbassato il coper- chio, girò la chiave della serratura, scoppiai in urli, in pianto: ""Giulietta! Giulietta!" "Diventato furioso, strappavo i vestiti delle persone, davo calci e pugni, volevo mordere tutti: ""Giulietta! Giulietta! ..." "E caddi in convulsione." "Basta, non ti commuovere troppo!" disse Eugenia con durezza gelosa nella voce, levandosi da sedere. Patrizio le prese una mano. "Ora Giulietta sei tu!" "No, io sono Eugenia" ella rispose, ritirando la mano vivamente. Patrizio stava per slanciarsi ed abbracciarla, ma l'arrestò l'apparizione della signora Geltrude, che veniva avanti sen- za far rumore pel viale, simile a un fantasma, con la ruga della fronte più severa che mai. "C'è il sindaco" disse. E prese il braccio di suo figlio, senza neppur guardare la nuora. Pareva volesse portarglielo via. Eugenia li seguiva, canticchiando per dissimulare il dispetto.

CENERE

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Deledda, Grazia 1 occorrenze

Ma perché s'era egli abbassato fino alla menzogna? Ah, vergogna, vergogna! Gli pareva di aver calunniato Margherita, tanto si credeva ignobile e lontano da lei: e che lo stesso spirito di vanità e il desiderio dell'inverosimile, che una volta gli avevano fatto dire a Zuanne l'incontro dei banditi sulla montagna, in un lontano tramonto, l'avessero ora spinto a rivelargli quest'amore impossibile. Attaccò le mani fredde alle guancie ardenti, con gli occhi rivolti al viso melanconico della luna, e rabbrividì. Ricordava un freddo e luminoso plenilunio d'inverno, la vergogna e la rivelazione del furto delle cento lire, la figura di Margherita che spandeva luce nell'ombra, come la luna nella notte. Ah, forse il suo amore datava da quella sera; ma soltanto adesso, dopo anni ed anni, scaturiva irrefrenabile come una sorgente che non vuole più scorrere sotterra. Questi paragoni, - dell'ombra e della sorgente improvvisa, - venivano fatti da lui; ed egli si compiaceva delle sue immagini poetiche, ma non cancellava con esse la vergogna ed il rimorso che lo tormentavano. «Come sono vile», pensava, «vile fino alla menzogna. Io potrò studiare e diventare avvocato, ma anche moralmente resterò sempre il figlio d'una donna perduta ... » Rimase lungo tempo alla finestra: un canto triste passò e dileguò, lontano, ridestando nell'anima dell'adolescente i ricordi della patria selvaggia, i tramonti sanguigni, le memorie d'infanzia. E sogni melanconici e luminosi come la luna gli sorsero nell'anima. S'immaginò di trovarsi ancora a Fonni; non aveva studiato, non aveva mai sentito la vergogna della sua condizione sociale; lavorava, faceva il mandriano, era anche lui un po' semplice come Zuanne. Ed ecco che si trovava sull'orlo della strada, in un rosso crepuscolo d'estate e vedeva Margherita passare, - povera anch'essa ed esiliata sull'alto paesello - coi fianchi stretti dalla gonna d'orbace, l'anfora sul capo, simile alle donne bibliche come lo sono ancora tutte le Barbaricine. Egli la chiamava ed essa volgeva il viso illuminato dal bagliore del crepuscolo, e gli sorrideva voluttuosamente. «Dove vai, bella?», egli chiedeva. «Vado alla fontana.» «Posso venire con te?» «Vieni pure, Nanìa.» Egli andava: e scendevano assieme alla fontana, camminando sull'orlo della strada, sull'alto delle immense valli, nella cui profondità la sera già si stendeva, mentre il cielo porpureo si scoloriva e veli d'ombra cadevano su tutte le cose. Margherita deponeva l'anfora sotto il filo argenteo della fontana gorgogliante, e il mormorio dell'acqua cambiava di tono, e di monotono pareva diventasse allegro, come se il cader dentro la brocca interrompesse la sua eterna noia. I due giovanetti allora si sedevano su una pietra, davanti alla fontana, e parlavano d'amore. L'anfora si riempiva, l'acqua traboccava e per qualche istante taceva, quasi ascoltando ciò che i due innamorati dicevano. Ed ecco che il cielo si scoloriva e i veli dell'ombra si stendevano anche sulle falde più alte della montagna, come il desiderio di Anania invocava. Egli allora cingeva con un braccio la vita della fanciulla; Margherita posava il capo sulla spalla di lui; egli la baciava ... In quel tempo Anania, poco più che diciassettenne, non aveva amici, e coi compagni di scuola andava poco d'accordo perché era diffidente e scontroso. Temeva continuamente che qualcuno gli rinfacciasse la sua origine, e un giorno, avendo sorpreso un brano di dialogo fra due studenti: «tu cosa faresti?» «nelle sue condizioni io non resterei col padre» credette accennassero a lui. Non salutò più i ricchi compagni che avevano pronunziato quelle parole, ma nel profondo del cuore diede loro ragione. «Sì», pensava, «perché rimango presso quest'uomo sucido che ha ingannato mia madre e l'ha gettata nella via del male? Io non lo amo e non lo odio, ma non lo disprezzo come dovrei. Egli non è cattivo e neppure completamente triviale come tutti i nostri vicini: coi suoi sogni bambineschi di tesori e di cose meravigliose, col suo affetto rispettoso verso la vecchia moglie, con la sua fedeltà costante per la famiglia del padrone, egli mi riesce talvolta simpatico, e questo mi dispiace, perché io dovrei e vorrei disprezzarlo. Che cosa è per me lui? Gli ho chiesto io di farmi nascere? Io dovrei abbandonarlo, ora che sono cosciente ... » Ma un po' d'affetto e molta confidenza lo univano a zia Tatàna. Essa non era riuscita a far di lui quello che aveva sognato, cioè un ragazzo religioso e obbediente, ma anche così come egli era, indifferente a Dio, maldicente dei preti e del re, protervo e spregiudicato, lo amava egualmente, convinta che egli, nonostante i suoi difetti, sarebbe diventato un grande uomo. Egli rideva e scherzava con lei, la faceva ballare, le raccontava tutti gli avvenimenti del paese. Ogni mattina ella gli portava a letto una tazza di caffè, e gli annunziava se la giornata era bella o brutta; tutte le domeniche, poi, gli prometteva denari se egli andava a messa. «No, ho sonno», egli rispondeva; «ho studiato tanto ieri notte.» «Allora andrai più tardi», ella insisteva. Egli non prometteva, ma zia Tatàna gli dava egualmente i denari. E sempre intorno a lui svolgevasi la stessa scena, con gli stessi personaggi: ancora il sambuco profumava l'aria e gettava foglie nella cameretta silenziosa; il vento portava dalle valli il soffio della selvaggia primavera nuorese; le api ronzavano nell'aria tiepida, e ancora, a intervalli, vibrava il lamento di Rebecca. Anania frequentava tutte le case del vicinato, e specialmente la domenica s'indugiava qua e là, portando nei miseri ambienti neri l'eleganza del suo vestito bleu, della cravatta rossa e del colletto alto, sotto il quale celavasi il cordoncino dell'amuleto di Olì. L'indomani del sogno idilliaco fatto al chiaro di luna sul davanzale della sua finestruola, appena Zuanne ritornò dal Tribunale egli lo condusse fuori, con la buona intenzione di fargli bere un calice di anisetta nella bettola del vicinato. «Chissà quando ci rivedremo!», disse il mandriano, «quando dunque verrai a trovarci? Vieni per la festa dei Martiri.» «Non posso. Ho tanto da studiare: quest'anno devo prendere la licenza ginnasiale.» «E poi dove andrai? In continente?» «Sì!», rispose Anania con impeto. «Andrò a Roma.» «Ci sono tanti conventi a Roma, e più di cento chiese, non è vero?» «Oh! più di cento, certamente.» «Ieri notte tuo padre raccontava che quando era soldato ... » «Dovrai fare il servizio militare, tu?», interruppe Anania, che non badava all'espressione del volto di Zuanne. «Lo farà mio fratello. Io ... » Tacque. Entrarono nella bettola. Un nugolo di mosche ronzava attorno ad una fanciulla bruna e bella, ma spettinata e sucida, seduta al banco. «Buon giorno, Agata; come hai passato la notte?» Ella si alzò e si rivolse ad Anania con triviale famigliarità. «Che vuoi, bello?» «Che vuoi?», ripeté egli a Zuanne. «Quello che vuoi tu», disse impacciato il pastorello. La fanciulla si mise a rifare la voce e l'atteggiamento di Zuanne. «Quello che vuoi tu ... E tu cosa vuoi, agnellino mio?» Guardò sfacciatamente Anania, ed anche Anania la guardò. Dopo tutto egli non era un santo; ma si avvide che Zuanne arrossiva e chinava gli occhi, e quando uscirono si sentì chiedere timidamente: «Anche quella è tua innamorata?». «Perché?», egli domandò un po' irritato, un po' allegro. «Perché mi guardava? Oh, bella, a che servono gli occhi? Ti farai frate, tu?» «Sì», rispose l'altro semplicemente. «E va a farti frate!», esclamò Anania, ridendo. «E adesso andiamo a vedere il Camposanto: così staremo allegri.» «Eppure dobbiamo andarci tutti!», disse gravemente l'altro. Mentre ritornavano verso casa, incontrarono un compagno di scuola di Anania, un brutto ragazzo che s'era già fatto crescere i baffi e la barba a forza di strofinarsi e radersi il volto. «Atonzu, vengo da te. Ti vuole il direttore. Tu dunque farai da donna», egli disse, fermando Anania. «Io? Macché donna d'Egitto! Non farò niente, io!», rispose Anania con molto sussiego. «Come si fa, allora? Sei l'unico tipo adatto! Non è vero che rassomiglia a una donna? Guarda!», esclamò lo studente brutto rivolgendosi a Zuanne. «Sei bello ... », disse timidamente il giovinetto. Anania si inchinò, levandosi il cappello. «Grazie, altrettanto!» «Sì, dunque, non fare il modesto: sei bello!» ripeté lo studente brutto: «vieni dunque dal direttore». «Più tardi, ma io non farò da donna, parola d'onore, no!» «Perché deve far da donna?», domandò con meraviglia Zuanne. «In una commedia, capisci: ed è per beneficenza ... per gli studenti poveri ... » «Io sono povero, fatela dunque voi in mio favore, la commedia!», disse Anania. «Povero! Sentilo! Il diavolo ti porti, tu sei più ricco di noi!» «Che cosa vuoi dire?», chiese Anania minaccioso, rabbuiandosi al pensiero che il compagno accennasse alla protezione del signor Carboni. «Tu sei bello, sei il primo, tu diventerai giudice istruttore e tutte le fanciulle ti vorranno raccogliere come un confetto ... » Questa espressione, che Nanna ripeteva dappertutto, fece ridere e calmò Anania; ma egli tenne la parola e non prese parte alla commedia. E non se ne pentì, perché la sera della rappresentazione egli poté assistervi seduto in seconda fila, subito dietro la sedia del padrino (in quel tempo sindaco di Nuoro) al cui fianco Margherita, in abito rosso e cappello bianco, risplendeva come una fiamma. Il capitano dei carabinieri, il segretario della Sottoprefettura, l'assessore anziano ed il direttore del Ginnasio sedevano in prima fila, accanto al sindaco ed alla sua splendida signorina; Margherita, però, non sembrava soddisfatta di tanta compagnia, perché si voltava indietro guardando con dignità gli studenti e gli ufficiali. In fondo alla sala adorna di ghirlande d'edera e di vitalba, il sipario di percalle qua e là rattoppato ondulava e lasciava scorgere coppie di studenti che ballavano allegramente. Alla fine il tendone fu tirato su con grande stento e la commedia cominciò. La scena risaliva al tempo delle Crociate, e si svolgeva in un castello molto turrito e vetusto all'esterno, per quanto all'interno fosse arredato con un solo tavolino rotondo e mezza dozzina di sedie di Vienna. La fida Ermenegilda, uno studentino dal viso tinto con carta rossa, indossava un largo vestito da camera della signora Carboni; seduta presso il balcone, con le gambe accavalcate indecentemente, ricamava una sciarpa per il non meno fido Goffredo, guerriero lontano. «Ora si punge le dita», mormorò Anania, chinandosi verso Margherita. Ella si chinò a sua volta, portando il fazzoletto alla bocca per soffocare una risata. Il capitano dei carabinieri, seduto accanto a lei, volse lentamente il capo, dando un bieco sguardo allo studente. Ma Anania si sentiva tanto felice, aveva una pazza voglia di ridere e voleva comunicare a Margherita tutta la gioia che la vicinanza di lei gli destava. Nel secondo atto il conte Manfredo, padre di Ermenegilda, voleva costringere la fanciulla ad obliare Goffredo e sposare un ricco barone di Castelfiorito. «Padre mio!», diceva la donzella, aprendo le gambe in modo sguaiato. «A che mi vuoi tu costringere? Mentre il prode Goffredo langue forse in una prigione orrenda, tormentato dalla fame, dalla sete e da ... » « ... dagli insetti», mormorò Anania, chinandosi nuovamente verso Margherita. Il capitano si volse di botto e disse con disprezzo: «La finisca, dunque!». Anania sussultò, si ritrasse, gli parve d'essere umile e pauroso come la chiocciola che appena disturbata si ritira nel guscio; e per qualche minuto non vide e non udì più nulla. «La finisca, dunque!» Sì, egli non poteva scherzare, non poteva parlare: sì, egli aveva capito benissimo; non poteva sollevare neppure gli occhi: egli era povero, era figlio della colpa ... «La finisca, dunque!» Che faceva, lui, fra tutti quei signori, fra tutti quei giovani ricchi ed onorati? Come gli avevano permesso di entrare? Come aveva potuto chinarsi all'orecchio di Margherita Carboni e sussurrarle frasi volgari? Perché ora sentiva tutta la volgarità delle osservazioni fatte. Ma non poteva parlare altrimenti il figlio d'un mugnaio e di una donna ... «La finisca, dunque!» Ma a poco a poco riprese animo, e guardò con odio la nuca rossa e la testa calva del capitano. Non udendolo più ridere né parlare, Margherita si volse alquanto e lo guardò: i loro occhi si incontrarono ed ella s'offuscò vedendolo triste, ed egli se ne accorse e le sorrise. Immediatamente tornarono allegri tutti e due; ella rivolse il viso al palcoscenico, ma sentì che gli occhi lunghi e socchiusi di Anania non cessavano di guardarla e di sorriderle. Una sottile ebbrezza li avvolse entrambi. Verso mezzanotte Anania accompagnò i Carboni fino alla loro casa: l'assessore anziano, un vecchio medico chiacchierone, camminava a fianco del sindaco: Anania e Margherita andavano avanti, ridendo e inciampando sui ciottoli della strada buia e diruta. Gruppi di persone passavano, ridendo e chiacchierando. La notte era scura, ma tiepida, vellutata: di tanto in tanto arrivava un soffio di levante, profumato da un odore di bosco umido. Stelle e pianeti, infiniti come le lagrime umane, oscillavano sul cielo profondo; sopra l'Orthobene Giove brillava vivissimo. Chi non ricorda nella sua prima giovinezza una notte, un'ora così? Stelle oscillanti nell'oscurità d'una notte più luminosa d'un tramonto, stelle pronte a cadere sovra la nostra fronte, come un diadema regale; l'Orsa brillante, a guisa d'un carro d'oro che ci attenda per condurci in un lontano paese di sogni; una strada buia, la Felicità vicina, così vicina da poterla afferrare e non lasciarla mai più. Due o tre volte Anania sentì la mano di Margherita sfiorare la sua; ma il solo pensiero di poterla prendere e stringere gli parve un delitto. Egli parlava e gli pareva di tacere e di pensare a cose ben lontane da quelle che diceva; camminava e inciampava e gli sembrava di non sfiorare la terra; rideva e si sentiva triste fino alle lagrime: vedeva Margherita così vicina da poterle stringere la mano, e gli pareva lontana e inafferrabile come il soffio del vento che veniva e passava. Ella rideva e scherzava, ed egli aveva ben veduto negli occhi di lei il riflesso della sua sdegnosa tristezza; ma gli sembrava che ella non potesse badare a lui che come ad un cane fedele. «Se ella», pensava, «potesse immaginare che io mi struggo dal desiderio di stringerle la mano, griderebbe d'orrore come al morso di un cane arrabbiato.» Ad un certo punto la voce alta e nasale dell'assessore tacque; Margherita ed Anania si fermarono, salutarono, ripresero la via, ma lo studente parve destarsi da un sogno; tornò a sentirsi solo, triste, timido, barcollante nel vuoto della strada scura. «Bravo, bravo!», disse il sindaco che si era messo fra i due ragazzi; «ti è piaciuta la commedia?» «È una stupidaggine», sentenziò Anania con tono sicuro. «Braaavo!», ripeté meravigliato il padrino. «Sei un critico acerbo, tu!» «Ma son cose da farsi quelle? Già, il direttore è un fossile; non poteva scegliere altro. La vita, la vita non è quella, non è stata mai quella!» «Potevano dare una commedia moderna: una cosa commovente: queste stupide contesse han fatto il loro tempo!», disse Margherita, prendendo il tono e l'accento d'Anania. «Brava! Anche tu! Sì, davvero, dovevano dare una cosa più commovente: per esempio la commedia di quegli indiani che quando la moglie partorisce si mettono a letto e si fanno trattare da puerpere anche loro ... avete sentito l'assessore?» Margherita rise: rise anche Anania, ma il suo riso si spense subito, come troncato da un improvviso pensiero triste. Camminarono in silenzio. «Ebbene, questi lampioni; bisognerà provvedere», disse piano, parlando a se stesso, il signor Carboni; poi a voce alta: «Cosa hai detto per il direttore?». «Che è un fossile.» «Bravo! E se vado a dirglielo?» «Che mi fa? Tanto l'anno venturo me ne vado.» «Ah, te ne vai? E dove?» Anania arrossì, ricordandosi che non poteva andar via senza l'aiuto del signor Carboni. Che significava ora la sua domanda? Non ricordava più? O si burlava di lui? O voleva fargli pesare già la sua protezione? «Non lo so», disse a bassa voce. «Ah!», riprese il sindaco, «tu vuoi andar via? Non vedi l'ora di andar via? Andrai, andrai: tu vuoi volare già, tu scuoti già le ali, uccellino! Ebbene, ssssst, vola!» Fece atto di lanciare in aria un uccello, poi batté la mano sulle spalle del figlioccio. Ed Anania sospirò, e si sentì leggero, lieto e commosso come se veramente avesse spiccato il volo. Margherita rideva: e nel silenzio della notte, il riso vibrante di lei pareva ad Anania, fattosi uccello, il fremito arcano d'un ramo fiorito sul quale egli poteva posarsi e cantare.

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