Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassarsi

Numero di risultati: 19 in 1 pagine

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Fisiologia del piacere

170560
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Quando l'uomo non può comperare un soldo di speranza, o quando non vuole abbassarsi al vile mercato, diventa suicida. L'uomo vivente senza speranza è un paradosso. Si può vivere senza godere, si può vivere in mezzo al dolore; ma per sopportare la vita bisogna avere fra mani una cambiale di gioia per l'avvenire, dovesse essere di un centesimo, dovesse essere falsa: una cambiale speranza. Essa costituisce il contravveleno dei più atroci dolori, il balsamo più soave delle piaghe morali. Quand'essa arriva a costituire un grande capitale può bastare a render amena la vita. Moltissimi individui si credono ricchi, perchè hanno nei loro scrigni fasci di valute, che potrebbero perdere tutto il loro valore col fallimento o la frode di un banchiere; così molti si credono felici perchè hanno fra mani mille cambiali per l'avvenire segnate dalla speranza. Essi muoiono sorridenti e beati senza che uno solo di quei biglietti di credito sia mai stato convertito in moneta sonante. È sotto quest'aspetto che alcuni economisti proclamano altamente che si debba in ogni caso impiegare i propri fondi su beni stabili e non sopra la carta; ma io trovo che quando non si può avere danaro sonante, è sempre meglio avere un credito, anche se inesigibile. Vi sono negozianti che lavorano sopra un capitale di credito, e vi possono essere anche uomini che vivono sopra un capitale di speranza. Quel che preme per giungere ai primi posti nel teatro della vita, è di avere qualche cosa fra mani onde abbagliare o ingannare il portiere, che fissa i posti alla folla che incalza per passare. In qualche caso ho veduto un petulante ciarlatano riescire a passare ai primi posti con un artifizio ingegnoso. Dopo avere sbuffato a lungo di impazienza e avere schiamazzato davanti alla porta per la quale doveva entrare nel teatro della vita, egli dava un pugno solenne sugli occhi del portiere, il quale, quasi accecato dal barbaglìo del colpo, credeva di vedere molt'oro, e curvandosi fino a toccare il suolo con la fronte, lasciava passare. L'oro porta sempre fra i primi posti. Se non volete credere a tanta imbecillità da parte del portiere, vi dirò che chi presiede alla distribuzione dei posti e alla gerarchia delle autorità è l'opinione pubblica, e allora mi crederete subito sulla parola.

Pagina 198

Sull'Oceano

171771
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Egli continuò a rimanere immobile contro al parapetto, con le braccia incrociate, come inchiodato là da un pensiero nuovo e profondo che assorbisse tutta l'anima sua, ed era là ancora quando, ritto sopra un nuovo vaporino in mezzo a un gruppo d'amici, io vedevo il colossale Galileo a poco a poco abbassarsi e accorciarsi, mostrando però sempre lungo i suoi parapetti le mille teste degli emigranti, come il formicolìo d'una folla affacciata agli spalti d'una fortezza solitaria in mezzo a una pianura senza fine. E riandando rapidamente quel viaggio di ventidue giorni, mi pareva davvero d'essere vissuto in un mondo a parte, il quale, riproducendo in piccolo gli avvenimenti e le passioni dell'universo, m'avesse agevolato e chiarito il giudizio intorno agli uomini e alla vita. Molta tristizia, molte brutture, molte colpe; ma assai più miserie e dolori. La maggior parte delle creature umane è più infelice che malvagia e soffre di più di quello che faccia soffrire. Dopo aver bene odiato e sprezzato gli uomini, senz'altro frutto che di amareggiarci la vita e d'inasprire intorno a noi la malvagità che ce li rese odiosi e spregevoli, noi ritorniamo all'unico sentimento sapiente ed utile, che è quello d'una grande pietà per tutti; dalla quale, a poco a poco, gli altri affetti buoni e fecondi rinascono, confortati dalla santa speranza che, nonostante le contrarie apparenze passeggiere, l'immenso peso dei dolori scemi lentamente nel mondo, e l'anima umana migliori. Quando misi piede a terra, mi voltai a guardare ancora una volta il Galileo, e il cuore mi battè nel dirgli addio, come se fosse un lembo natante del mio paese che m'avesse portato fin là. Esso non era più che un tratto nero sull'orizzonte del fiume smisurato, ma si vedeva ancora la bandiera, che sventolava sotto il primo raggio del sole d'America, come un ultimo saluto dell'Italia che raccomandasse alla nuova madre i suoi figliuoli raminghi. FINE.

Pagina 416

Come devo comportarmi?

172251
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
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Non mette mai nessuno nel caso di abbassarsi dinanzi a lui. Non fa mai inutili osservazioni per non offendere l'altrui suscettività. Non combatte opinione altrui; pensa che a voler correggere la gente di tutte le assurdità a cui crede, non si finirebbe pure vivendo gli anni di Matusalemme. Nel conversare si astiene da qualunque osservazione critica, perchè sa che offendere gli uomini è cosa facile ed è invece difficile, anzi impossibile, correggerli. Siccome desidera che la sua opinione trovi credito, la enuncia freddamente e spassionatamente; e ciò perchè i suoi espressi giudizi siano attribuiti alla saggia ragione, non ad un impeto che proceda da volontà. Non si abbandona mai a lodare sè stesso quando anche ne avesse qualche diritto. La vanità è cosa tanto comune e il merito tanto raro, che uno il quale anche indirettamente si loda, si fa credere che abbia parlato solo per vanità, e viene tacciato di millanteria. Difficilmente scopre mancanze o difetti, ma spesso si entusiasma alle altrui abilità e virtù. Non giudica mai. Delle persone e delle cose vede solamente il lato buono. Non sparla mai della gente nè si permette che altri lo faccia in sua presenza. Ha per la donna un tenero rispetto. Quando c'è lui, nessuno osa offenderla con volgarità, insinuazioni, motti piccanti Con l'esempio ed il contegno impedisce che in sua presenza si taglino i panni a dosso alla signora tale e alla tal'altra assenti. Nella donna egli rispetta la memoria della madre, la innocenza della sorella, la virtù della sposa. Per lui la donna è la parte eletta dell'umanità; la compagna gentile e affettuosa, educatrice assennata, la grazia che addolcisce la forza, il conforto nel dolore, l'aiuto valido e sicuro nelle disgrazie. Non l'offende con complimenti esagerati che dicono la poca stima della sua intelligenza; non la vagheggia con la stupida assiduità di uno che si prefigge di vincere una debolezza; non la tratta come una cosa bella e futile che si cerca di conquistare con l'arte delle sdolcinature e delle moire. Il timore di urtare la sua delicatezza, lo tiene sempre all'erta; dà alla sua voce un tono gentile e carezzevole, alle sue parole l'impronta del rispetto sincero. Non lusinga mai la vanità delle fanciulle, nè tenta di far entrare nei loro ingenui cuori, delle speranze irrealizzabili. La triste gloria di destare un sentimento in un'anima innocente, egli la considera come colpa grave e la, biasima acerbamente negli altri. In qualunque luogo si trovi, il gentiluomo mostra il rispetto che sente verso la donna. Le lascia sempre la destra lungo la via; nei trams si vergognerebbe di star seduto mentre una donna dovesse star ritta per mancanza di posto. Nei carrozzoni del treno le cede il posto d'angolo e non si permette la confidenza d'interrogarla curiosamente. Se il carrozzone è per i fumatori, prima di accendere il sigaro chiede il permesso alla signora o alle signore che fossero con lui. Apre e chiude i vetri quando ne mostrano desiderio, le aiuta a scendere, a salire, a mettere al posto borse e pacchi. Per la strada, se incontra una signora o una signorina, che conosce, le saluta con cortesia e rispetto, facendo di cappello. Questo nostro uso, che gli uomini debbono salutare per i primi le signore, a me pare un abuso di libertà. . Non dovrebbero forse essere le donne le prime a salutare invitando quasi l'uomo a rispondere?... Andando in un salotto ove sieno molte persone radunate, va direttamente a inchinarsi con garbo dignitoso davanti alla padrona di casa, e le stringe la mano, se gli viene offerta. Ora torna di moda il baciare la mano alle signore; moda gentile e ossequiosa che alla donna educata piace sempre. Poi con un inchino, saluta tutti gli altri e siede a un posto qualunque. In quanto al tenere i guanti o no, o lasciare il cappello in anticamera, come si usa adesso, o a reggerlo in mano, o salutare piegando il busto e il capo, o solamente il capo, o baciare la mano delle signore, o stringerla solamente, sono rose, che, siccome vanno soggette a cambiamenti, il gentiluomo fa secondo l'usanza del momento. Al ballo, il giovine gentiluomo si guarda bene di invitare una signorina, senza prima farsi presentare a lei stessa e a chi l'accompagna. E finito il ballo la riconduce tosto al suo posto presso la mamma o ad altri che ne facessero le veci, inchinandosele dinanzi rispettosamente e ringraziandola prima di lasciarla. Il giovine gentiluomo sa che è sconveniente fermare una signora lungo la via, per chiederle della sua salute o altro; e che è addirittura ineducato e imprudente fermare una signorina che sia sola. Nell'un caso e nell'altro, saluterà con atto rispettosissimo, per mostrare a chi vede, la sua deferenza per la signora e la signorina, che vanno in giro sole, sicure di sè stesse e della stima di chi le conosce.

Pagina 176

Per essere felici

179597
Maria Rina Pierazzi 1 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
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Allora, se la fidanzata ha già ricevuto l'anello e i doni dello sposo, si farà premura di restituirli, come pure restituirà le fotografie, le lettere, infine tutto ciò ch'ella ebbe in dono, senza abbassarsi a recriminazioni o a rimproveri. Gli accessi isterici non hanno mai rimediato a nulla; anzi hanno sempre imbrogliato le situazioni che potevano risolversi semplicemente e silenziosamente. Anche i doni già ricevuti dagli amici e dai conoscenti saranno restituiti dalla signorina, accompagnati da un biglietto in cui ella accennerà come per speciali ragioni il matrimonio non si effettua più, e che perciò ella si crede in dovere di rimandare l'oggetto ricevuto pur conservando la miglior affettuosa riconoscenza per l'atto gentile di cui fu fatta segno.

Pagina 195

Galateo ad uso dei giovietti

183800
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Se entrate nella casa di un Turco per ragione di visita o per interessi, dovete pure piegarvi alle costumanze orientali; accettare la lunga pipa dal bocchino d'ambra e il caffè che subito vi sono recati, e quand' anche la positura per voi riesca incomoda, incrociare le gambe e accoccolarvi sui morbidi cuscini, ripetendo tra voi stessi, come una giaculatoria, l'antico proverbio: « Paese che vai, usanza che trovi. » Ma le consuetudini a cui l'uomo ha il diritto di non abbassarsi sono quelle che offendono il sentimento della sua dignità e che formano il corredo di un barbaro o semibarbaro dispotismo. Tali sono per recarne qualche esempio, il camminare a ritroso uscendo dalla sala di ricevimento del gran sultano di Costantinopoli; il prosternarsi ginocchioni e toccar quasi colla faccia il suolo al cospetto degli imperatori della China e del Giappone e d'altri principi dell'Asia e dell'Africa. Le relazioni coi popoli civili e le rimostranze dei potentati d'Europa hanno fatto scomparire o modificare, almeno pei loro rappresentanti, siffatti usi di un cerimoniale cortigianesco e servile che mette l'uomo a livello del bruto.

Pagina 19

Come devo comportarmi. Le buone usanze

184863
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Perchè ciò sia possibile, il cavaliere deve scostare alquanto il gomito dal fianco, per non stringer troppo il braccio della sua dama; egli deve anche tener conto, della statura di essa, abbassarsi leggermente se è piccola, sollevarsi un po', al contrario, se è più alta di lui. Egli si asterrà rigorosamente dal far dei gesti col braccio occupato.

Pagina 27

Nuovo galateo

189967
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Donde risulta che il segno naturale e caratteristico della venerazione si è lo abbassarsi, lo accorciarsi del corpo. Nell'uno estremo di questa espressione si vede l'uomo che si conguaglia, per cosi dire, alla terra su cui si butta bocconi perdendo tutte le dimensioni della sua altezza. Nell'estremo opposto si vede l'uomo che appena china il capo, od anco piega semplicemente la mano, con cui accenna, per la conformità del movimento sostituito, il chinar del capo o del tronco. « Non ho udito mai né di popolo nè di condizione » d'uomini, i quali si dessono ad intendere di mostrar » rispetto e riverenza col tener ritto capo e tronco, » e quasi sforzarsi di crescere l'altezza di tutto il corpo ; » come al contrario non ho udito mai d'altri a » cui la superbia non facesse appunto estollere il capo » od allungar il corpo sino a reggersi in punta di » piedi e vie meglio parere di sovrastare altrui. E » ben la intese Dante che domò col, sasso la cervice » de'superbi usi tenerla sempre ritta:

Pagina 174

Saper vivere. Norme di buona creanza

193412
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Vi sono momenti, vi sono ore, in cui un lavoro fra le mani, sotto gli occhi, è di una necessità assoluta: esso è una scusa, un pretesto, un diversivo, un derivativo; esso è una salvezza, per esso gli occhi possono abbassarsi o alzarsi come vogliono, le mani sono occupate, la persona sembra scomparsa: esso calma i nervi, regola la voce, mette delle pause sapienti nella conversazione. Una donna che ricama, è venti volte più padrona di se stessa, accanto a un uomo, che una donna, la quale non fascia nulla: una donna, che fa l'uncinetto, è molto più la padrona di suo marito, che non una donna disoccupata... Io non approfondisco il soggetto, perché voi già lo avete tutto inteso, care lettrici: il lavoro è, dunque, un'arma di difesa e di offesa, in villeggiatura. E chi di voi vorrebbe andare alla guerra, senza corazza e senza spada?

Pagina 128

Galateo morale

197459
Giacinto Gallenga 3 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Esso non deve abbassarsi nelle sue requisitorie ad imitare la mimica e il linguaggio di un attore da scena, a costo di venire fischiato, se non dal pubblico presente al dibattimento, dalla pubblica opinione giustamente indignata, dal sentimento della pubblica morale offesO. Per ogni reo esso deve ammettere una presunzione d'innocenza, come deve abbandonare tantosto l'accusa, allorché dal corso del processo questa innocenza viene sufficientemente stabilita. Esso non deve voler vincere ad ogni costo, avesse a restarne contaminata la stessa giustizia nel cui nome esso dice di combattere. Esso non deve far ispreco di facondia, di astuzia, di sofismi per intorbidare le intelligenze dei giurati ed ottenere ad ogni modo, dalle loro non sempre illuminate coscienze, una sentenza di condanna, come non deve sfogarsi di dare ad una semplice colpa le apparenze di un delitto; come non gli è lecito scherzare, per far pompa di spirito, sulla libertà, sull'onore, sulla vita di un suo concittadino.

Pagina 259

Ma fatta astrazione dal principio che rappresenta, e considerando soltanto il militarismo negli individui, diremo che il medesimo può elevarsi fino alla perfetta cavalleria nei Baiardi, nei Turenna, nei Duguesclin, nei Gustavi Adolfi, negli antichi duchi di Savoia che oltre all'essere soldati senza paura potevano pur dirsi cavalieri senza macchia; ovvero abbassarsi fino ai Mourawieff, agli Hainau, ai Narvaez, aiDe-Failly, ai St-Arnaud, agli Hudson Lowe; abbassarsi fino a rappresentare la parte dello sgherro che non isdegna insanguinare le armi nelle carni dei cittadini; abbassarsi fino al pretoriano e al giannizzero che non hanno di militare fuorché l'assisa, e che osano menar cinico vanto di facili stragi ottenute in grazia di armi perfezionate su deboli ed inermi schiere di sventurati patrioti. Il militare rozzo, prepotente, brutale è il sostegno della barbarie e del dispotismo. Esse esiste in quei paesi dove le faci della civiltà e della libertà non penetrarono ancora con la loro luce, o vennero soverchiate dai colpi di Stato della reggia o della piazza. Vediamo il soldato assumere modi selvaggi ed insolenti là dove ha preso il predominio l'anarchia ovvero dove re e ministri spinti dalla libidine di tiranneggiare, impazienti d'ogni freno che ne moderi in qualche modo gli eccessi, cercano accaparrarsi con privilegi, con carezze, con ingiuste concessioni l'appoggio soldatesco; del quale poi si valgono a stromento di oppressione delle libertà cittadine, a violare impunemente leggi e costituzioni, e trascinare il paese in guerre inconsulte col vano pretesto di rialzarne la potenza e la gloria, in realtà per consolidare a vantaggio proprio, col rinforzo del militarismo, un dominio pericolante a spese delle fortune e del sangue dell'intiera nazione.

Pagina 370

Quel grand'uomo non credeva di abbassarsi mettendo a parte la sua compagna dei suoi progetti, dei suoi timori, della sue speranze. Oh quante sciocchezze, quanti errori, quanti rimorsi si verrebbero a risparmiare, se la moglie venisse più sovente consultata! L'uomo è dominato talvolta dal dispetto, dall'ira, e si lascia in questi casi trascinare a commettere azioni imprudenti e riprovevoli di cui non tarda a pentirsi, appena gli è tornata la calma nel seno. Ma se prima di abbracciare una violenta risoluzione egli si abbocca colla moglie, questa gli farà conoscere con quella forza di persuasione che da l'affetto l'inconseguenza del suo procedere, e i tristi effetti di cui può essere cagione; e torna poco a poco alla mente agitata del marito quella riflessione, quella pacatezza che deve ognora procedere una importante decisione. Dicono i S. Proverbii che la moglie prudente viene da Dio. Perché dunque tenere in non cale, colui che ha la ventura di possederlo, un simile tesoro? perchè non approfittarne e stringere, con quelle saggie confidenze, l'affetto che nasce dall'estimazione? Alcuni sciocchi mariti non danno veruna importanza alle cure poste dalla moglie nel tenere in sesto la casa. Considerano questo zelo, questa passion per l'ordine, per la pulizia come una mania, non altro; ed anco qualchevolta ne ridono, quando non se ne mostrano impazienti. E non pensano costoro che con quelle cure minute le donne fanno un considerevole guadagno; giacché in tal modo nulla si guasta, nulla si perde, nulla si consuma inutilmente; sono meno frequenti, perchè più difficili a nascondersi, i furti, gli scialacqui per parte dei servitori. La polvere, la ruggine non ha alcuna presa sui mobili, sugli arnesi: il tarlo non si mangia gli abiti e va dicendo. Vi par poco tutto questo, o mariti?

Pagina 42

Eva Regina

203653
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Certe signore che pure avrebbero intelligenza e abilità da far fruttare, se ne astengono per una specie di pudore, parendo ad esse, quasi, d' abbassarsi se si dedicassero a un' opera proficua. Mentre il lavoro non umilia, ma nobilita : non abbassa, ma innalza, perchè è pace, conforto, dovere. Una madre di numerosa famiglia non può, convengo, lasciare in abbandono la propria casa per attendere a un lavoro estraneo che non le renderebbe quanto la sua poca sorveglianza detrae ai suoi ; ma se una donna che possa farsi aiutare da qualche parente nelle cure domestiche, o possa sbrigarle in breve, trova qualche ora libera, che male c' è se le impiega a dar lezione, a ricamare, a dipingere, a far fiori, a scrivere a macchina, dietro un compenso, piuttosto che uscir a zonzo a far dei vani desideri dinanzi alle vetrine o recarsi in qualche salotto a far della maldicenza? Conosco una signora in posizione modesta, la quale dando lezioni di pianoforte raccoglie in capo all'anno una sommetta che le permette di passare un mese al mare coi suoi bambini senza ricorrere al portafogli del marito. Ella dona ad essi salute e vigore, a sè un igienico riposo, fine che non potrebbe conseguire se non si adoperasse o che costerebbe al suo compagno un non lieve sacrifizio. Conosco un' altra signora che provvede le sue toilettes col ricavo d' un' industria ch' ella medesima ha iniziato e dirige attivamente. Una delle mie più care amiche seconda il marito nell'insegnamento, contribuendo e non per poca parte, al benessere della sua famigliuola. Inoltre questi guadagni conferiscono alla donna una libertà maggiore, mentre è sempre un po' umiliante per essa dover ricorrere per ogni più piccola spesa, al marito che tante volte fa pesare il beneficio. Il modo per aumentare le proprie rendite, non è però sempre in un accrescimento di guadagno. Consiste anzitutto nella regola, nel risparmio, nella previdenza ed anche... nel coraggio.

Pagina 326

Il Plutarco femminile

217477
Pietro Fanfano 1 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Donna illustre una che, nata di famiglia nobilissima e veramente illustre, non si vergogna di abbassarsi a far lavori d'ago ed a ricamare? Mi perdoni la signora direttrice; ma, io come io, a metterla per questo tra le donne illustri ci avrei i miei riveriti dubbj." Molte delle ragazze a queste parole cominciarono a chiacchierare sotto voce tra loro, ed a sghignazzare; e la direttrice, con aria piuttosto grave, alla nobil fanciulla rispose così: "Signorina, ella ha uno strano concetto della nobiltà. La nobiltà è cosa buona in sè ,e da tenersene; ma quella sola e vera nobiltà che si acquista con opere e fatti egregj della propria persona. Coloro che si vantano della nobiltà ereditaria sono stolti, perchè si vantano di meriti non propri, ma de' loro antenati; e sono poi vituperosi quei nobili di origine, che la nobiltà acquistata da' loro vecchi deturpano, o con l' ozio, o con opere men che degne e men che onorate. Nelle donne poi il vantarsi della nobiltà originaria è cosa anche più sciocca, perchè più raramente che gli uomini possono acquistar la nobiltà vera con atti ed opere egregie della propria persona, come fanno gli uomini, o con la toga, o con la penna, o con le armi. Lo sanno per altro, signorine, qual è la nobiltà vera nelle donne? l'essere ottima madre di famiglia, l'educare i figliuoli ad ogni civile virtù, ed attendere al buon governo della famiglia, come dicemmo qualche giorno addietro; e non l'attendere a vanità. La madre dei Gracchi l'avranno sentita ricordare da' loro maestri per esempio delle buone madri. Essa era delle più grandi matrone di Roma; e pure lo sanno qual era il suo maggior vanto? Ascoltino. Una ricca matrona venne una volta dalla Campania a Roma, e andò a visitare questa madre de'Gracchi, la quale si chiamava Cornelia, ed era figliuola del grande Scipione. Quella matrona di Campania era altera della sua nobiltà, della sua ricchezza; e come sogliono tutte le donne vane cominciò a parlare e far pompa de' suoi ricchi gioielli, mostrando desiderio che Cornelia le mostrasse i suoi; al qual desiderio Cornelia umanamente rispose che tra poco glieli farebbe vedere: nè passò molto tempo che i due suoi figlioletti tornarono tutti festosi da scuola. Allora Cornelia, abbracciatili e baciatili amorosamente, gli presentò alla sua orgogliosa visitatrice dicendole: "I miei gioielli ed i miei ornamenti son questi; ed ogni mia cura ed ogni mio pensiero lo spendo attorno a loro." Le quali parole fecero ben vergognare quella donna vana, che andò via tutta confusa. Venendo ora al particolare dei lavori d'ago e di ricamo della Irene da Spilimbergo, non credo che la censura della signorina meriti neppure risposta: le dir� solo, per non uscire da Roma antica, che quei Romani, i quali furono il primo popolo del mondo, tanto più pregiavano le loro donne quanto più attendevano a casa; e si reputò il più grande elogio che possa, farsi ad una donna quella iscrizione posta sopra il sepolcro di una matrona laqual diceva: Domi mansit, lanam fecit che vuoi dire: Bado a casa, filo la lana; ...scarmigliata e scalza, seguitò il marito, conducendo seco il fratello... Parte I - XXII e il nostro Dante celebra con lodi altissime le antiche donne nobili Fiorentine che tornavano dallo specchio senza il viso dipinto, e stavano contente al fuso e al pennecchio..." Qui si udì come qualche suono di riso tra le fanciulle; e la direttrice non fu tarda a continuare: "Non vo' mica dire con questo che anche loro abbiano a filare la lana; ma vo' dire che a niuna donna, anche nobilissima, si disdicono i lavori muliebri, e che anzi meritano lodi altissime quelle che non se ne vergognano, e volentieri gli esercitano."

Pagina 77

Mitchell, Margaret

221309
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Vide i suoi occhi abbassarsi e rialzarsi sotto lo sguardo turbato di suo padre; e allora, un po' perplessa, si chiese che cosa poteva nascondersi nel cuore di Ashley. Ma questo pensiero svaní subito, perché nella sua mente non poteva esservi altro se non un senso di delirante felicità e la speranza di potersi trovare sola con lui. Quella felicità durò finché tutti quanti intorno al caminetto cominciarono a sbadigliare, e il signor Wilkes e le figlie si accommiatarono per tornare all'albergo. Allora, quando Ashley, Melania, Pittypat e Rossella salirono le scale illuminate da zio Pietro, un brivido ghiaccio le attraversò il cuore. Fino a quel momento Ashley era stato suo, soltanto suo, anche se in tutto il pomeriggio ella non aveva potuto scambiare una parola con lui. Ma ora, augurando la buona notte, vide che le guance di Melania erano di porpora e che essa tremava. Vide pure che la sua espressione era timida ma felice e che quando Ashley aperse l'uscio della loro camera, essa scivolò dentro senza alzare gli occhi. Ashley disse «buona notte» bruscamente e richiuse l'uscio senza piú guardarla. Rossella rimase a bocca aperta, improvvisamente desolata. Ashley non era piú suo. Era di Melania. E finché Melania viveva, poteva andare in una camera con suo marito e richiudere l'uscio... chiuderlo a tutto il resto del mondo.

Pagina 285

Ma con un respiro di sollievo vide il lievissimo sollevarsi e abbassarsi del seno: Melania respirava ancora. Rossella si fece visiera con la mano e si guardò attorno. Evidentemente avevano trascorso la notte sotto gli alberi del cortile di accesso di qualche casa perché dinanzi a lei era un viale inghiaiato fiancheggiato da cedri. «Ma è la piantagione di Mallory» pensò; e il suo cuore balzò di gioia all'idea di trovare amici e aiuto. Ma nella piantagione era un silenzio di tomba. L'erba e gli arbusti del prato erano strappati e calpestati, come se zoccoli, ruote, piedi, avessero camminato freneticamente avanti e indietro finché il suolo non era stato completamente sconvolto. Guardò verso la casa, e invece del vecchio edificio bianco col tetto coperto di latta che conosceva cosí bene, scorse un lungo rettangolo di pietre di granito annerite; quelle delle fondamenta; e in mezzo agli alberi due grossi mucchi di mattoni fumiganti. Si sentí stringere il cuore. Troverebbe cosí anche Tara, rasa al suolo, silenziosa come la morte? - Non devo pensare a questo adesso - si disse in fretta. - Non devo. Altrimenti sarò ripresa dal terrore. - Ma suo malgrado il cuore ricominciò a batterle precipitosamente e ogni battito sembrava dirlo: - A casa! Presto! A casa! Presto! Bisognava muoversi. Ma prima occorreva trovare qualche cosa da mangiare e dell'acqua; specialmente acqua. Svegliò Prissy la quale si guardò attorno con gli occhi spaventati. - Oh Dio, miss Rossella. Io credere di non svegliarmi mai piú se non nella Terra Promessa. - C'è tempo, per quella, - rispose Rossella cercando di respingersi indietro i capelli, scarmigliati. Si sentiva sudicia e già bagnata di sudore. Gli abiti erano sgualciti; non si era mai sentita cosí poco pulita - le sembrava quasi di emanare cattivo odore! - e cosí stanca. Muscoli che ignorava di possedere le dolevano per l'insolito esercizio a cui li aveva sottoposti la notte prima; ed ogni movimento acutizzava le sue sofferenze. Guardò Melania e vide che i suoi occhi neri erano aperti. Erano brillanti di febbre e cerchiati da occhiaie profonde. Le labbra aride si socchiusero e bisbigliarono: - Acqua. - Alzati, Prissy - ordinò Rossella. - Andiamo al pozzo a prendere un po' d'acqua. - Ma, miss Rossella, forse esserci qualche morto e... - Scendi subito, ti ho detto; altrimenti... - E Rossella, che non era in vena di discutere, discese faticosamente a terra. Pensò allora al cavallo. Dio! Se fosse morto durante la notte! Sembrava prossimo a dare l'ultimo respiro quando lei gli aveva tolto i finimenti. Girò attorno al carretto e lo vide sdraiato. Se fosse morto, lei maledirebbe Dio e morrebbe. Era successo a qualcuno nella Bibbia, che aveva maledetto Dio ed era morto. Ne comprendeva perfettamente i sentimenti, ora. Ma il cavallo era vivo. Respirava con fatica, ma era vivo. Un po' d'acqua farebbe bene anche a lui. Prissy discese riluttante dal carretto e con molti gemiti seguí timorosamente Rossella per il viale. Dietro alle rovine le file delle capanne degli schiavi imbiancate a calce erano mute e deserte sotto gli alberi. Fra il quartiere degli schiavi e le fondamenta fumiganti, trovarono il pozzo; sospeso alla sua tettoia era ancora il secchio. Svolsero la fune e quando il secchio tornò in alto pieno di acqua fredda, Rossella lo portò alle labbra e bevve lungamente rumorosamente, spruzzandosi d'acqua dappertutto. Bevve finché la voce petulante di Prissy: - Anche io avere sete, miss Rossella! - le ricordò che anche gli altri avevano bisogno di bere. - Sciogli la corda, porta il secchio al carretto e dài da bere a miss Melania e a Wade; il resto dàllo al cavallo. Non credi che miss Melania dovrebbe allattare il piccolo? Morirà di fame. - Oh, miss Rossella, miss Melania non avere latte e non potere neanche avere! - Come lo sai? - Avere visto troppe donne come lei. - Non darti delle arie con me. Lo abbiamo visto ieri, come te ne intendi di bambini! Sbrigati. Io vado a cercare qualche cosa da mangiare. La ricerca fu vana, finché nell'orto trovò alcune mele. I soldati erano passati prima di lei e sugli alberi non vi era piú nulla. Quelle che trovò a terra erano per la maggior parte marce. Sollevando la gonna, si riempí il grembo delle migliori e tornò verso il carretto, sentendo che nelle scarpine le penetravano terriccio e sassolini. Perché non aveva pensato a mettere delle scarpe piú pesanti, iersera? Perché non aveva preso il cappello da sole? Perché non aveva portato qualche cosa da mangiare? Si era comportata come una stupida. Ma aveva creduto che a tutte quelle cose pensasse Rhett. Rhett! Sputò a terra, per il disgusto di quel nome. Come lo odiava! Com'era stato spregevole! E lei si era lasciata baciare... i suoi baci le erano quasi piaciuti. Doveva essere pazza... Che individuo abbietto! Giunta al carretto, divise le mele e gettò quelle che avanzavano nella parte posteriore del veicolo. Il cavallo ora era in piedi, ma pareva che l'acqua non lo avesse ravvivato molto. Di giorno sembrava anche piú miserevole che di notte. Aveva tutte le ossa fuori e il dorso era ridotto una sola piaga. Nel mettergli i finimenti, Rossella si ritraeva per non toccarlo e quando gli mise il morso in bocca vide che era completamente sdentato. Cosí vecchio? Non avrebbe potuto, Rhett, dal momento che rubava un cavallo, rubarne uno migliore? Salí sulla cassetta e lo frustò col ramo di noce americano. La bestia si avviò, respirando con difficoltà; ma cosí lentamente che Rossella si disse che certo avrebbe progredito piú velocemente a piedi. Se non avesse dovuto occuparsi di Melania e di Wade, di Prissy e del pupo! Avrebbe percorso a passo veloce la distanza che la separava da Tara e dalla mamma. Non potevano esservi piú di quindici miglia; ma col passo di quella rozza sfiancata ci vorrebbe tutto il giorno, perché sarebbe necessario fermarsi ogni tanto per farla riposare. Tutto il giorno! Guardò la strada rossigna e i solchi profondi prodotti dalle ruote dei carriaggi e delle ambulanze. Passerebbero delle ore prima di sapere se Tara esisteva ancora e se Elena vi era. Lunghe ore prima di terminare quel viaggio sotto il sole ardente. Guardò Melania che giaceva con gli occhi chiusi sotto quel sole; sciolse i nastri del suo cappello e lo porse a Prissy. - Mettiglielo sul viso. Almeno le riparerà gli occhi. - E sentendo il calore violento sul capo scoperto pensò: «Prima di sera sarò piena di lentiggini come un uovo di faraona». Non era mai stata al sole senza cappello o velo, non aveva mai tenuto le redini senza guanti, per proteggere la candida pelle delle sue mani. Eppure adesso era esposta al sole in un carretto sconquassato, con un cavallo bolso; assetata, affamata, lorda di polvere e di sudore, incapace di fare altro se non di procedere a passo lento per quella landa deserta. E dire che poche settimane prima era cosí sicura e tranquilla, nella certezza che Atlanta non sarebbe mai caduta e la Georgia non sarebbe mai invasa! Chi sa se Tara era ancora in piedi? O se anch'essa era stata spazzata via dal vento che si era scatenato sulla Georgia? Percosse con la frusta il dorso del cavallo e cercò di fargli affrettare il passo, mentre le ruote sconnesse sbalzavano lei e gli altri da un lato all'altro del carretto.

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Parassiti. Commedia in tre atti

231743
Antona-Traversi, Camillo 1 occorrenze
  • 1900
  • Remo Sandron editore
  • Milano, Napoli, Palermo
  • teatro - commedia
  • UNICT
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La favola di Parassiti è sottilissima, l'azione non procede di gran che dal primo alzarsi all'ultimo abbassarsi del sipario. È una commedia di caratteri, la vera commedia di caratteri, dove la psicologia spicciola non aggiunge nessun fastidioso frastaglio; la vera commedia di caratteri dove l'azione non ingombra mai lo sviluppo di quei caratteri, anzi la seconda. L'autore dei Parassiti, accingendosi a scrivere quei quattro atti, si è ben reso conto che, per riuscire nell'intento, erano necessarie quattro qualità eminentissime: un raro dono di osservazione acuta e sincera, un'ironia sostenuta e piena di arguzia e di bonomia, una satira non sguaiata ma energica, una semplicità piena di festevolezza e di verità. Queste infatti sono le principali doti dei Parassiti. La commedia non mette in scena che un losco tipo di affarista, il comm. Gaudenzi, un suo luogotenente e il figlio, tre tipi perfetti per cui il parassitismo è l'unico mezzo di vita e di salute. Il piccolo imbroglio si svolge tra queste persone con una economia drammatica di divagazioni e di particolari quale è oramai sempre più raro ritrovare nelle commedie d'oggigiorno, fatte con la famosa ricetta: prendete un buco e arzigogolateci alla meglio o alla peggio. Non vi potete imaginare, non avendo intesa la commedia, di quanta osservazione essa sia piena: a ogni cinque minuti, voi date un balzo su la vostra poltrona, poichè avete conosciuto persone simili a quelle che si muovono su la scena e le vedeste agire cosi, le udiste parlare così, imaginaste che pensassero così. A ogni momento, il dialogo festevole e scorrevolissimo vi fa udire di quelle frasi che tante volte avete udito nella vita, di quelle frasi che sono dette sempre, perchè in quei casi solo quelle si possono dire. Tutto questo condito da un'ironia sempre presente, mascherata abilmente da una certa aria di bonomia, una certa aria di sorriso e di perdono che accompagna il colpo di scudiscio vibrato in pieno volto. Ma in certi punti la bonomia scompare, il sorriso diventa una smorfia o un sogghigno, l'ironia divien satira. E la satira è violenta, efficace , arditissima. Quella società del secondo atto, quel ricevimento in casa del commendator Gaudenzi, quelle ragazze che si lascian portar via dai Naldini nell'ebrietà sottile dello sciampagna, quei critici esteti e quelle cantanti americane, tutta quella società varia, mescolata, ibrida, nella satira trova la più terribile sferza. Non sempre , è vero , queste intenzioni satiriche sono completamente riuscite. Qualche volta la satira resta bassina, lo scrittore non ha la forza di levare la sferza e si contenta della caricatura. Ma per ben poco. La commedia riprende il suo corso. Ritorniamo all'ironia, alla festevole semplicità, per giungere a quella fine veramente classica; una di quelle fini che - ultima linea decisiva di un carattere - erano il segreto ineffabile di Molière e di Goldoni. Dopo anni e anni d'imbrogli e di parassitismo, il commendatore avvocato don Gennaro Gaudenzi - che non è commendatore e non è avvocato - quando sua figlia, a causa degli imbrogli e del parassitismo di lui, ha dovuto rinunziare al matrimonio con l'uomo che ama e decidersi ad accompagnare in una tournée artistica per l'Europa un celebre violinista polacco, quando vede sfuggirsi tutte le sue risorse, i suoi redditi, i suoi rampini per gl'imbrogli e i pretesti alle sue furfanterie, quando questa ultima débacle può dirsi imminente, allora il commendatore Gaudenzi, il parassita, non si rassegnerà a una vita nuova, morigerata e modesta; ma, come il lupo, con quel che segue - e specialmente i lupi di quel genere! - così egli andrà con sua figlia e col violinista, egli sarà il loro impresario: egli - naturalmente - li imbroglierà: egli classicamente - dopo essere stato il parassita di grandi e di meschini, di amici e di conoscenti, di parenti e di ignoti, sarà il parassita di sua figlia, di quella povera figliuola la cui felicità egli distrusse e rese impossibile con le losche mene delle sue geniali canaglierie! Questo - lo ripeto - mi pare un epilogo classico e da grande commedia. Camillo Antona-Traversi, con un ultimo andace e vigoroso colpo di stecca, mette in piedi, completa, la statua del parassita. Alcuni hanno trovato troppo scarsi gli esemplari di Parassiti che Camillo Antona-Traversi ci presenta. Costoro avrebbero ragione se l'autore della Rozeno avesse, con un semplice articolo, generalizzato l'intento della sua commedia. Se non che non I parassiti s'intitolano i quattro atti, ma semplicemente Parassiti. Come vedete, non esigua è la differenza. Non tutti i parassiti egli volle rappresentare ; ma solamente alcuni tipi di quella innumerevole razza. Non ripeterò ancora quanto egli sia riuscito nel suo scopo. Il commendator Gaudenzi è un carattere. Si potrà, dire - e non sembri esagerazione la mia - si potrà dire un Gaudenzi, come si dice un Mercadet, un Rabagas, un Desjenais, o un Monsieur Alphonse. Io credo che consentirete nel dire che, per un autore, questo è un invidiabile risultato. Gli attori diedero tutto il sussidio della loro arte alla bellissima commedia. Il magnifico Calabresi fu vero collaboratore di Camillo Antona-Traversi, interpretando perfettamente il perfetto personaggio, prestandogli quella vena di umorismo e di genialità che deve renderlo simpatico pur tra le sue birbonate. Claudio Leigheb fu un irresistibile Naldini, segretario particolare e ajutante di campo del Gaudenzi. Luigi Carini fu, secondo il solito, misurato, elegante, efficace, spontaneo. La signora Carini piena di passione o di ardore. E tutti, tutti quanti - meno, naturalmente, la signora Virginia Reiter che volle ostinatamente rifiutare alla commedia dell'esule amico nostro il sussidio della sua arte e del suo nome, non ritenendo forse degna la parte della sua interpretazione, accampandosi dietro il pretesto di quel phisique du rôle di cui, malauguratamente, gli attori non tengono alcun conto in altri casi, quando fa comodo a loro. Ma, del resto, la commedia di Camillo Antona-Traversi trionfa da sola delle ostilità grandi e piccole. Si svolse, s'impose, trionfò. Essa è il più recente frutto di un autore drammatico di altissimo ingegno, che molte opere di gran valore, come questa, dovrà dare al teatro italiano per molti anni ancora. Questo significavano a Camillo Antona-Traversi, lontano, le acclamazioni del pubblico di Roma , così restio all'applauso in generale. In una sua recentissima lettera, Camillo Antona-Traversi mi scriveva: «Tu non puoi imaginare quale raggio splendente di luce dopo tanta notte sia stato per me il successo: tu non puoi imaginare come ciò mi riconduca e mi risospinga, alla speranza, alla vita e al lavoro!». Con tutta l'anima, io auguro al lontano che questa speranza si realizzi, che la vita abbia ancora rose per lui e il lavoro frutti ancora opere d'arte come i Parassiti per il nostro orgoglio letterario e per il successo e la gioja del forte e irrequieto scrittore. LUCIO D'AMBRA .Gazzetta Letteraria, an. XXIII , n. 32 ; Milano-Torino , 12 agosto 1899.

Pagina 279

Passa l'amore. Novelle

241617
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Quasi fosse una principessa che non deve abbassarsi.... - Ma, compare Nittu! Questo non mi sembra ragionamento degno di voi. - Io non so di lettere; discorro con la mia testa di contadino. Mi toglie una gran fortuna mia figlia, non facendomi ottenere la mezzadria di Salto Martino. Il cavaliere dice: - A questo patto. Ho bisogno di una serva da fidarci sopra. Vostra figlia mi converrebbe. È forte, di buona salute. Io pago bene le serve. - Una fortuna che ci piove dal cielo; non dovremmo far altro che chinarci per raccattarla.... - E al disonore non pensate? - Si son maritate tutte e bene le serve del cavaliere. - Ah, comare! Voi dunque non guardate altro che a l'interesse? - Guardo che alla povera gente accade sempre così; in un modo o in un altro; è destino; sempre così. Meglio in quel modo, se mai! Ma son tutte sciocchezze che si spacciano dai maligni. Il cavaliere fa il comodo suo. Vuole giovani per casa; e, per quel che lei pensa, ci sono le signore sue pari. Non le conosciamo forse? Di quelle là non si sparla. E se una poveretta inciampa.... Ma non lo sa lei che inciampa chi vuole? E non lo sa lei che se io non avessi avuto cent'occhi e cento orecchie, a quest'ora il pasticcio sarebbe avvenuto, con quel morto di fame di Tinu Mèndola che le veniva a cantare le canzoni, con l'organetto, tutte le notti?... E perchè io ho fatto finire la commedia, e lo zi'Nittu qui gli disse: - Tinu, se non smetti, bada, una di queste notti ti faccio fare una fiammata e non ti pagherò neppure un soldo! - per questo ora essa ci fa il dispetto di non voler andare a servizio del cavaliere. - Comare mia, Tinu, suppongo, agiva pel buon fine. - Si sposavano la Fame con l'Appetito! - E voi, comare? Ricordatevi. Il vostro primo marito non era.... un barone. - - Appunto: l'esperienza ammaestra. Che intende dire voscenza? Che sono stata nella disgrazia pure io? Non me ne vergogno. Quando abbiamo gli occhi chiusi s'inciampa: è destino. Non è una buona ragione per non dire agli altri: - Aprite gli occhi! Qui c'è da inciampare. - - Ma anzi, eomare, in questo caso voi prendereste la ragazza per mano e la condurreste proprio dov'è l'inciampo. Vediamo.... - Insomma, che cosa pretende voscenza? - disse bruscamente compare Nittu. - Mia figlia non è più sotto tutela; ha ventidue anni compiuti. Vada a buscarsi il pane dove vuole. Io ne ho appena tanto che basti per me. Mi dispiace che voscenza si sia dovuto incomodare a venire fino a qui. Sa eome mi ha chiamato mia figlia? Padraccio scellerato!.... Sa come ha chiamato mia moglie? Se lo faccia ripetere da lei stessa.... Non ne parliamo più. Ha altri comandi da darmi voscenza? Mi chiamano lo Storto.... e ci ho piacere. Non mi raddrizza nessuno. Storto son nato e storto voglio morire!

Pagina 13

E tutti e trenta gli uditori erano scoppiati a parlare assieme, facendo una gran confusione, senza nessun rispetto dell'oratore che avea dovuto abbassarsi a discutere con loro. - Non più dazii? È presto detto! Ma.... - Non vogliamo più dazii! Il cavaliere, indignato, avea risposto: - Il Municipio saprà fare il suo dovere! Ed era andato via. Neppur Cipolla lo aveva accompagnato fino a casa.

Pagina 174

Saper vivere. Norme di buona creanza

248767
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Vi sono momenti, vi sono ore, in cui un lavoro fra le mani, sotto gli occhi, è di una necessità assoluta: esso è una scusa, un pretesto, un diversivo, un derivativo; esso è una salvezza, per esso gli occhi possono abbassarsi o alzarsi come vogliono, le mani sono occupate, la persona sembra distratta: esso calma i nervi, regola la voce, mette delle pause sapienti nella conversazione. Una donna che ricama è venti volte più padrona di sè stessa, accanto a un uomo, che una donna, la quale non faccia nulla: una donna, che fa l'uncinetto, è molto più la padrona di suo marito, che non una donna disoccupata.... Io non approfondisco il soggetto, perchè voi già lo avete tutto inteso, care lettrici: il lavoro è, dunque, un'arma di difesa e di offesa, in villeggiatura. E chi di voi vorrebbe andare alla guerra, senza corazza e senza spada?

Pagina 168