Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbassarci

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

I FIGLI DELL'ARIA

682314
Salgari, Emilio 2 occorrenze

. - Se potessimo abbassarci, l'irbis sarebbe ben contento d'andarsene - disse Fedoro. - Mi pare che sia più spaventato di noi. - Bisognerebbe avvicinarsi alla macchina - rispose il capitano. - Chi oserebbe farlo? - Volete che provi io? - chiese Rokoff. - No, sarebbe troppo pericolosa una tale mossa. - Volete continuare il viaggio con un simile compagno? Non oserei chiudere gli occhi. - Come abbassarci? - chiese Fedoro. - Non v'è alcun mezzo, capitano? - Nessuno se non rallentiamo la battuta delle ali - rispose il comandante. - Ah! Pare che si decida a sgombrare! Se si provasse a saltare! - Un capitombolo di quattrocento metri! Non lo tenterò di certo - disse Rokoff. L'irbis, dopo essere rimasto qualche minuto immobile presso il boccaporto, rannicchiato su se stesso, aveva fatto un passo indietro, senza staccare gli occhi dai quattro aeronauti. Non pareva troppo contento di quel viaggio intrapreso involontariamente. Brontolava sordamente, arricciava il pelo e agitava nervosamente la lunga coda inanellata. Di quando in quando un brivido lo faceva sussultare e girava la testa a diritta e a manca come se cercasse di scorgere qualche albero su cui slanciarsi. Aveva cominciato a indietreggiare lentamente allungando, con precauzione, prima una zampa e poi le altre, senza abbandonare tuttavia la sua posa d'assalto. Vedendo Rokoff fare un passo innanzi coll'arpione teso, arrestò la sua marcia retrograda e si raccolse su se stesso come fanno i gatti quando si preparano a slanciarsi sul topo. Aprì le formidabili mascelle, mostrando due file di denti, bianchi come l'avorio e aguzzi come triangoli, mandando un rauco brontolio che finì in un soffio poderoso. - No, Rokoff! - disse Fedoro. - Si prepara ad assalirci. - Fermatevi - comandò il capitano, il quale si era impadronito d'una pesante cassa per scaraventarla contro la belva, nel caso si fosse slanciata innanzi. - Lasciatela indietreggiare. - Finiamola - disse il cosacco. - Siamo in quattro. - E tre sono inermi - disse Fedoro. - Vuoi farci sbranare? - Lasciate che si allontani dalla macchina - rispose il capitano. - Poi scenderemo. L'irbis stette qualche po' immobile, continuando a brontolare, poi con un balzo di fianco si avventò verso la balaustrata, aggrappandosi ai ferri e guardando abbasso. Per un momento i quattro aeronauti credettero che si slanciasse nel vuoto; la loro speranza però ebbe la durata di pochi secondi. La fiera, spaventata dall'abisso che le si apriva dinanzi, si era lasciata ricadere sul ponte. Tremava, come se avesse la febbre e gettava all'intorno sguardi smarriti, nei quali però balenava sempre un lampo di ferocia. Ricominciò a retrocedere verso la prora, guatando cupamente gli aeronauti che non osavano ancora muoversi e si rannicchiò dietro una cassa, manifestando la sua rabbia con frequenti brontolii e con un incessante agitare della coda. - La macchina è libera - disse Rokoff. - Approfittiamone. - Lasciate fare a me - rispose il capitano. - Voi non muovetevi. - Non vi assalirà? - Può darsi. - Allora signore vi domando il permesso di affrontare io il pericolo. Voi siete il capitano e dovete essere l'ultimo a esporre la vostra vita. - Ma anch'io reclamo l'onore di farmi divorare per salvare voi - disse Fedoro. - Né l'uno né l'altro - rispose il comandante. - D'altronde voi non sapete maneggiare la macchina. Vedendo poi che il russo ed il cosacco aprivano le labbra per replicare, aggiunse con voce quasi dura: - Basta, signori. Mi rincresce ricordarvi che il capitano sono io e che perciò voi mi dovete obbedienza assoluta. Poi con un sangue freddo ed un'audacia ammirabile, s'avanzò verso la macchina, dardeggiando sulla fiera uno sguardo che pareva di sfida. L'irbis non si era mosso; solamente le sue poderose unghie si erano infisse profondamente sulla cassa, sgretolando il legno. Il capitano fece agire la leva, poi retrocesse tranquillamente, senza staccare i suoi occhi dal feroce avversario. - Ecco fatto - disse con una voce perfettamente tranquilla. - Fra cinque minuti saremo a terra. Lo "Sparviero" cominciava infatti a discendere. Il movimento delle eliche era stato arrestato e le ali non battevano più che leggermente. - Dove cadremo? - chiese Rokoff. Il capitano si curvò sulla balaustrata. La collina era stata attraversata e l'aerotreno scendeva sul deserto che in quel luogo era coperto da un lieve strato di neve già indurita dal gelido vento del settentrione. - Tutto va bene - disse. - Tenetevi pronti ad afferrare le carabine, appena il leopardo ci lascerà. Lo "Sparviero", sorretto solamente dai piani inclinati, continuava ad abbassarsi dolcemente. L'irbis sempre più spaventato dalle ondulazioni che subiva il fuso, continuava a brontolare e a dare segni d'inquietudine. S'alzava sulle zampe posteriori fiutando rumorosamente l'aria e girava continuamente la testa in tutti i sensi. A un tratto avvenne un urto: lo "Sparviero" aveva toccato terra. - Attenzione! - gridò il capitano. Il leopardo con un salto immenso aveva varcata la balaustrata precipitandosi sulla neve. Stette un momento immobile, stupito forse di trovarsi a terra, poi spiccò tre o quattro salti dirigendosi verso un gruppetto di betulle nane. Il capitano, Rokoff e Fedoro si erano precipitati sulle carabine. - Fuoco! ... Tre spari rimbombarono formando quasi una sola detonazione. Il leopardo che si trovava a solo cento passi dal fuso, si rizzò di colpo mandando un urlo prolungato, girò due volte su se stesso, poi cadde in mezzo alla neve, agitando pazzamente le zampe. Quasi nel medesimo istante si udirono dei clamori selvaggi, poi degli spari. - Mille folgori! - esclamò Rokoff. - Che cosa succede ancora? - I mongoli! - gridò il capitano. - Su, alziamoci! - E il leopardo? - Lo lasceremo a quei banditi; ci manca il tempo di raccoglierlo. Presto: grandina e s'avanzano al galoppo. Un istante dopo lo "Sparviero" s'alzava maestosamente, salutato da una scarica di fucili.

. - A simili altezze l'aria è quasi irrespirabile, però le vostre nausee cesseranno subito appena avremo varcato quella catena di monti e torneremo ad abbassarci. - Soffrono anche gli animali portati a simile elevazione? - Più degli uomini, signor Rokoff, e infatti su questi altipiani non vedete né cammelli, né montoni e nemmeno jacks. Si gonfiano, perdono le forze, la loro respirazione diventa affannosa e bruciante e sovente cadono al suolo fulminati. - Ci innalzeremo ancora? - No, non sarebbe prudente; l'asfissia potrebbe manifestarsi, o per lo meno avvenire delle emorragie al naso e agli orecchi, che è meglio evitare. - Avete mai superato queste altezze? - chiese Fedoro. - Ho potuto raggiungere i diecimila metri, facendo uso di serbatoi d'ossigeno, eppure non ritenterei la prova. Volevo provare ad attraversare tutto lo strato d'aria che circonda il nostro globo. - Per giungere alla luna? - chiese Rokoff, ridendo. - No, per vedere il sole violetto. - Violetto! ... Che dite mai, signore? - E che, anche voi credete che il sole sia giallo come noi lo vediamo ora? - Io non l'ho mai veduto cambiare colore, capitano. - Nemmeno io, eppure non è giallo e se non esistesse intorno al nostro globo la massa d'aria, tutto il mondo diventerebbe, almeno di giorno, violetto. - Questa è grossa! - Può sembrarvi tale; eppure, dopo gli ultimi studi e le ultime e più diligenti osservazioni fatte dagli scienziati europei ed americani, non vi è più da dubitare, signor Rokoff, per quanto la cosa possa parervi inverosimile. Se si squarciasse la nostra atmosfera, che è un velo ingannevole che fa ostacolo alla vista vera, si vedrebbero delle cose spettacolose che prima non si supponevano esistere. Togliete l'aria e con vostro grande stupore vi apparirebbe il cielo, anche in pieno meriggio, non più azzurro come lo vedete ora, bensì nero come il fondo d'una botte di catrame e al sommo di quell'abisso tenebroso vedreste fiammeggiare un. grande astro del più bel violetto e che altro non è se non il nostro sole. - Il cielo nero? - Sì, signor Rokoff. - E perché ci appare invece azzurro? - In causa delle rifrazioni della nostra atmosfera, la quale è satura ormai di luce, di vapori, di miriadi di germi erranti e di polveri impalpabili. Langley, il segretario dell'Istituto Smithsoniano degli Stati Uniti, e Su, il famoso astronomo dell'osservatorio di Washington, l'hanno ormai luminosamente provato. - E come mai i raggi del sole ci appaiono gialli? - Perché oltre alle fiamme violette, ne ha pure di gialle e siccome queste sono le più lunghe e hanno una maggiore estensione ci giungono prima. Quando le violette arrivano, le prime hanno già saturata la nostra atmosfera. - Sicché anche gli altri astri, che a noi sembrano d'oro più o meno giallo o rossiccio, avranno invece tinte diverse. - Sì, signor Rokoff. La stella Scorpione, per esempio, è d'un rosso fiammeggiante, mentre la sua vicina, che le tiene compagnia, è un piccolo sole verde pallido! Sirio invece è d'un viola oscuro; la Beta della costellazione del Cigno è pure violetta, mentre la sua compagna è giallo-pallido. - Deve essere però enorme il nostro sole per sprigionare tanto calore. - Un milione e duecentocinquantamila volte più grosso della terra, signor Rokoff. - Che meschina figura farebbe il nostro globo. - E altrettanto meschina la farebbe il sole messo a fianco di Acturus, il re dei soli, che espande pel cielo cinquemila volte più luce e calore dell'astro che ci illumina - disse il capitano. - Eppure anche il nostro sole deve produrre del calore in quantità enorme - disse Fedoro. - Tanto che nel solo spazio d'un secondo potrebbe, se accumulato, portare al grado di ebollizione cinquecento milioni di chilometri cubi di ghiaccio. - Misericordia! - esclamò Rokoff. - Mi pare di sentirmi cucinare malgrado quest'aria gelata che mi fa scoppiare la pelle del viso. - Ma allora il nostro globo non deve ricevere che una piccola parte del calore che irradia il sole - disse Fedoro. - Una quantità infinitesimale - rispose il capitano. - Diversamente, la nostra terra da migliaia d'anni sarebbe stata abbruciata e ora non sarebbe più che un semplice carbone. - Capitano, non vi è pericolo che il sole possa aumentare la massa di calore che ci manda? - Se si deve credere agli scienziati, il calore del sole non ha ancora raggiunto il suo massimo sviluppo, anzi continuerebbe ad aumentare per sette od ottocentomila anni, poi dovrebbe succedere un periodo di ristagno e quindi di decadenza, perché l'astro finirà col consumarsi. - E che cosa avverrà, quando comincerà a raffreddarsi, per la nostra umanità? - chiese Rokoff. - Se non l'avrà abbruciata prima di giungere a quel periodo, tristi giorni dovranno passare gli abitanti del nostro globo. La terra, non più riscaldata, diverrà infeconda, anche in causa del continuo ritirarsi dei fuochi centrali; le sue estremità si copriranno di ghiaccio e i poli invaderanno a poco a poco l'America e l'Australia. I popoli saranno costretti a radunarsi sotto l'equatore, finché suonerà anche per quelle regioni l'ora fatale. - Capitano, ora mi fate rabbrividire pel freddo - disse Rokoff. - Mi pare di trovarmi rinchiuso in un monte di ghiaccio. Mi sento venire la pelle d'oca pensando a quei giorni. - Serbate i vostri brividi per altre occasioni - disse il capitano ridendo. - Fra dieci, o venti, o centomila secoli non vi saremo più, state sicuro. Lasciate quindi che tremino i nostri tardi pronipoti. Signori, passiamo la catena! Badate alle nausee!

Cerca

Modifica ricerca