Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La gente per bene

191405
Marchesa Colombi 1 occorrenze
  • 2007
  • Interlinea
  • Novara
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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E, al momento di dirlo, quelle esitazioni, que'contorcimenti, quel ridere scemo, quasi che il fare una manifestazione d'affetto ai genitori fosse cosa buffa, quegli straordinari abbassamenti di voce e tutto il corredo di smorfie, con cui i fanciulli sogliono guastare le più care scene di famiglia, lo sanno loro, signorini miei, come si traducono in lingua parlata? - Che ragazzi egoisti! Come sono freddi pei loro genitori! Tutto quello che fanno è una formalità compiuta per forza, e non hanno neppur abbastanza delicatezza per non farsi scorgere. Triste solennità per que' genitori! E triste idea, soggiungo io, che danno quei fanciulli della loro educazione! Vi sono poi fanciulli soprammodo disgraziati, che non hanno più mamma, o non hanno più babbo. Ed altri la cui sventura è più grande ancora: li hanno perduti entrambi. È un parente, un'istitutrice, che tiene il luogo di que'poveri cari. Allora, a quel parente, a quell'istitutrice, debbono gli stessi riguardi che avrebbero dovuto a'genitori. Se è una sola persona che veglia su di loro, debbono ingegnarsi a farle da sè stessi qualche improvvisata che le rallegri i giorni solenni; poichè, naturalmente, non debbono farsi consigliare da lei. Allora non vi sarebbe più improvvisata possibile. In tal caso, un lavoretto semplice che sappiano eseguir bene, qualche fiore, poche parole scritte, venute schiettamente dal loro cuoricino, anche con qualche errore, non importa, ecco quello a cui debbono attenersi. Pregare un maestro oppure un conoscente che scriva per loro una lettera, sarebbe quanto dire alla persona a cui fanno omaggio, la quale conosce troppo la loro capacità per essere ingannata: - «Badi, non ci avevo proprio nulla nel cuore. Non ho trovato una parola per lei, ho dovuto farmela prestare da altri.» Dolorosa novella questa, e tutt'altro che fatta per allietare un giorno solenne. Alle volte però si possono recitare de' versi ed è certo un pensiero grazioso, sebbene difficilmente i versi possano essere scritti dal bambino che li dice. Ma bisogna che siano scritti appositamente per quella circostanza; o, quanto meno, che il fanciullo, leggendoli in qualche buona raccolta, li abbia compresi perfettamente, e vi abbia trovato l'espressione dei propri sentimenti per la persona alla quale vuol dirli. Ma è assai difficile trovare in un libro i versi che si adattino precisamente a' sentimenti, a' rapporti sociali, alle qualità, alle circostanze d'una persona. Una allusione fuor di proposito basta a metter in ridicolo chi li dice, ed anche la persona a cui sono rivolti. Io conobbi, anni sono, una bambina, che non aveva più mamma, povera gioia! Il suo babbo occupava una alta situazione, ed era sempre assorto in gravi lavori. L'educazione della piccina era affidata ad una vecchia signora nubile, buona senza dubbio, come lo sono tutti quelli che prendono cura de' bambini, ma d'aspetto tutt'altro che avvenente, di modi rigida, rigorosa, punto espansiva, austera nel suo vestire che era sempre nero o color tabacco. Una mattina, giocando con un calendario che stava sul camino, la piccola Gemma vide che quel giorno era San Gaudenzio. L'onomastico della sua governante, che si chiamava Gaudenzina. Cosa fare? Non lo aveva saputo prima, ed ormai il babbo era andato allo studio, e non c'era speranza che rientrasse fin all'ora del pranzo. Tuttavia la bimba era compresa del suo dovere, e si sarebbe fatto uno scrupolo di non fare un complimento alla governante. Nel suo imbarazzo pensò di andare in cucina a consultare la cuoca. - Se tu volessi andar a prender de' fiori, Margherita.... insinuò la Gemma colla voce supplichevole. - Sie! De' fiori ai ventidue di gennaio; dove li prendo? - Allora, aiutami a pensare cosa debbo fare per la signorina; (la signorina era l'appellativo con cui si soleva nominare la severa governante, che non era mai discesa alla famigliarità di lasciarsi chiamare col suo nome). Fu un'ardua questione. La cuoca cominciò col proporre alla bimba di fare un sonetto. La Gemma non sapeva cosa fosse un sonetto. - Un sonetto, come quello lungo lungo, che ha recitato lo scorso Natale al babbo, spiegò la cuoca. - Quella era una poesia. - Ebbene, una poesia è un sonetto. Ne faccia uno e lo reciti questa sera alla signorina. - Ma io non so farlo. - Se scrive sempre!... - Sì, ma non so come si fa a far le poesie. So soltanto copiare. - Ne copi una da un libro. Ne ha tanti! Era un'idea. La bimba la trovò subblime, e la proposta fu approvata alla piccola unanimità da quell'ingenua assemblea. La Gemma si mise a sfogliare con gran sussiego il suo libro di lettura, ed a leggerne tutte le poesie. Non ne capiva gran cosa. Ce n'erano di quelle che parlavano della patria: comprese vagamente che non facevano al caso suo. Poi c'erano delle favole: La cicala e la formica; La rana ed il bue; IL cane e la fonte. - Ti pare che una di queste possa andare? domandò alla cuoca. La cuoca trovò che quelle storie di bestie erano fatte per raccontarsi dalle governanti a' bambini, e non dai bambini alle governanti. - E proprio per la signorina non dicono niente, soggiunse. La Gemma continuò a cercare. Finalmente trovò una poesia che le parve messa là per lei. Non la capiva tanto bene, poverina: aveva appena sette anni, e non capiva molto chiaramente neppure la prosa; figurarsi poi i versi! Ma quelli erano dedicati ad una signora, e le pareva ben chiaro che le facessero de' complimenti. La Gemma cominciò a copiarla colla sua più bella scrittura. Vi sciupò un quinterno di carta, con cui la cuoca fece un rogo per nascondere la cosa anche al padrone. Giacchè la grande impresa era riuscita senza il suo concorso, bisognava serbare l'improvvisata anche a lui. La sera giunsero parecchi conoscenti che andavano a fare la partita alle carte col babbo della Gemma e la governante, e quando quella signora fu seduta fra loro, cogli occhiali d'argento e con un bel vestito color tabacco, nuovo per la solennità della circostanza, la Gemma si fece innanzi tutta trionfante colla poesia scritta in mano, mentre la cuoca dalla porta faceva capolino, per godere anche lei di quel trionfo dovuto in gran parte alla sua pensata. Una salva di elogi accolse la bimba. - Come! La Gemmolina era riescita da se sola a combinare quella gentilezza? Era una meraviglia. E dove l'aveva copiata? Nel libro di lettura? Ma che idea luminosa! - Via, leggila tu stessa la tua poesia, disse la signorina. Sarà più accetta a me, e la sentiranno tutti. Incoraggiata così, la Gemma aperse la carta, fece un bell'inchino, e cominciò a leggere:

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