Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassa

Numero di risultati: 43 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170111
Mantegazza, Paolo 3 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Allora ella abbassa timidamente gli occhi e si fa rossa. Non è però il pudore che le fa salire il sangue alle gote; ma la pienezza della gioia che l'inonda che deve celar in sè, tutta assorbire a poco a poco, a rischio di restarne soffocata. Ella però non si dimentica mai un solo istante, e nell'inoltrarsi incerta verso la sedia che a gara le presentano i suoi corteggiatori, studia il muover dei piedi e le molli oscillazioni dei fianchi; e negli sguardi che arrischia rammenta i moti imparati allo specchio, dal timido abbassar delle palpebre al formidabile balenare degli occhi in tutta in loro passione. Se involontariamente i suoi occhi si soffermano per qualche istante più del bisogno sopra qualcuno, ripara subito l'errore del cuore, portandoli sopra gli altri che stanno, attendendo la vita e la luce dalle sue pupille, e con un solo muover di ciglio pare che li compensi della involontaria e crudele dimenticanza. Altre volte, dov'ella vuol lasciare più profonda ferita, finge l'indifferenza o lo sprezzo; e alternando le lunghe assenze de' suoi occhi sospirati cogli sguardi più ardenti e più burrascosi, si compiace di far palpitare di gioia o impallidir di tristezza la vittima che pende da un suo cenno. E chi potrà mai svelare tutti i misteri della politica più machiavellica, che nasconde le sue arti tenebrose nei gabinetti delle belle signore? Se mai voi avete sott'occhio una donna accusata di vanità, e che desiderate assolvere, sia essa pure vestita in abito dimesso e apparentemente disordinato, guardatela bene da capo a piedi, perchè non un capello è disposto a caso, non una piega del vestito è spontanea. La ciocca che le sfugge dalla treccia è stata messa a suo luogo da una mano intelligente ed artistica; il bottone dell'abito, che sembra a caso scappato dal suo occhiello, è stato slacciato ad arte onde lo sguardo, penetrando per quella piccola fessura, possa più facilmente intravvedere i tesori nascosti, e forse a lungo si è studiato per decidere quale dei bottoni dovesse rimanere dimenticato. Infine, ricordatevi bene che una donna vana, quand'anche costretta a vivere sola in eterno, si farebbe bella per se stessa, e morente cercherebbe forse ancora di atteggiarsi in modo seducente e dignitoso.

Pagina 129

I mari e i monti sembrano dividere qua e là la catena che lega gli uomini da un punto all'altro della terra, e gli odii delle nazioni e dei governi spezzano violentemente il filo degli affetti; ma la corrente emanata da un popolo che soffre o esulta, che s'innalza o si abbassa, se non può correre con rapidità telegrafica, si diffonde però lenta e calma una superficie della terra ed arriva a confondersi con la corrente sempre viva, che produce da ogni parte l'umana famiglia, divisa ne' suoi innumerevoli alveari. Qualche volta una scintilla emanata dal genio ha impiegato molti secoli a far sentire la sua scossa all'umanità intera; ma nessuna corrente è andata mai perduta, e nella vita morale che riceviamo per eredità di nascita e di educazione, si confondono ancora misteriosamente le conquiste di Alessandro, la caduta dell'Impero romano e le guerre dei Crociati. L'oscillazione partita da Betlemme, or sono venti secoli, va diffondendosi ancora nelle estreme regioni dell'Australia, a cui misteriosamente si affiancano i fremiti partiti dalla Mecca. A scosse impetuose, o per correnti insensibili, il minimo movimento fa oscillare l'umanità intera, l'elidersi e l'incontrarsi misterioso di mille fremiti che partono da ogni punto del mondo abitato costituiscono la vita morale dell'umana famiglia. Nei grandi centri della civiltà, dove gli operai della macchina sociale formicolano laboriosi, le scintille partono senza posa; e diffondendosi per la rete delle strade ferrate e dei telegrafi, fanno muovere le nazioni d'Europa e d'America ad una vita agitate e turbinosa; mentre nelle lontane colonie, le correnti emanate dalle grandi pile della civiltà, arrivano deboli e lente, sicchè non producono più nè scintilla, nè scossa. A poco a poco per la forza della pila si accresce, i fili telegrafici, per i quali corre il pensiero, si moltiplicano, e noi ben presto dal centro dell'Europa potremo far palpitare con noi della stessa vita i selvaggi della Patagonia e quelli della Micronesia. In ogni modo un sentimento collega l'uomo all'uomo in un moto di simpatia. Indeterminato e confuso, questo affetto è il fondo sul quale si intrecciano tutte le passioni più o meno violente che legano fra loro alcuni individui, e ben di rado si mostra in tutta la sua semplicità e senza che il cuore v'abbia trapunta qualche immagine più viva. Due uomini, che provano il piacere di avvicinarsi, soddisfano il più semplice di tutti i sentimenti di seconda persona, che potrebbe chiamarsi affetto umano e sociale. Ben di rado però questa gioia esiste da sola, perchè l'oscillazione comunicata a questo sentimento, trae quasi sempre in simpatia d'azione altri affetti che lo elidono o lo ravvivano. Così, se due uomini che si incontrano si fanno paura, l'amore di se stessi oscura subito il piacere di vedersi, ed essi si allontanano o si mettono sulla difensiva. Se invece i due uomini parlano una stessa lingua e si conoscono a vicenda, associano al piacere di sodisfare il sentimento sociale, la gioia intellettuale di comunicarsi i propri pensieri. L'affetto sociale è soddisfatto tutte le volte che noi accomuniamo la nostra vita con quella di un altro uomo, sia che guardiamo semplicemente, insieme ad uno sconosciuto, uno stesso oggetto, sia che ci trovi assieme a migliaia di persone ad assistere allo stesso spettacolo. La parte misteriosa che prende questo sentimento a tutte le nostre gioie, viene espressa complessivamente della parola compagnia; ma riesce molto difficile a definirsi. Nello stesso modo che probabilmente in tutti i corpi trovasi misteriosamente celato qualche imponderabile, così in quasi tutti i nostri piaceri entra, come elemento indispensabile, l'affetto sociale: anche in moltissime gioie individuali, senza volerlo, si vive e si gode insieme a un'immagine che è fuori di noi. L'egoista più perfetto può isolarsi finch'egli vuole, ma è pur sempre un membro dell'umanità che deve con essa soffrire e con essa godere; e l'uomo individuo può resistere fisicamente, ma non moralmente; perchè l'uomo-completo, l'uomo fisiologico è sociale e vive insieme all'umana famiglia, anche quando vuol isolarsi da essa nella solitudine più profonda. L'uomo che ha vicino un altro uomo, e non ha alcuna ragione di odiarlo, anche senza vederlo lo sente, e senza saperlo comunica moralmente con lui. Supponendo che un uomo privo di tutti i sensi, tranne del gusto, sappia di essere a tavola con altre persone, egli ne sente la presenza e gode della loro compagnia. In questo caso il suo piacere è semplice e puro, e non deriva che da una sodisfazione passiva del sentimento sociale; egli non vede nè ascolta i suoi vicini, ma sa di essere in mezzo ad esseri della sue specie, e ne gode. Questo affetto però è così delicato, che si lascia modificare dalle passioni più miti. Così basta che il povero cieco e sordo-muto pensi un momento alle sue sventure, perchè il dolore cancelli il piacere ch'egli prova, e, invece di amare i suoi commensali, li invidi e li odii. Il sentimento sociale non ha che un carattere vago e indistinto quando ci mantiene allo stato di potenza, ma prende invece una forma determinata quando passa allo stato di forza attiva. In questo passaggio esso presenta il carattere speciale di tutti gli affetti, di seconda persona ai quali serve di sfondo, e che tutti rappresenta nelle leggi fondamentali che lo reggono. L'egoista e il superbo possono agire con veemenza e passione per sodisfare i loro piaceri prediletti, ma riflettono sempre in se stessi lo scopo dell'azione; mentre l'uomo che ama di qualunque affetto un suo fratello, pone la sodisfazione del proprio sentimento fuori di sè e si rallegra delle gioie altrui, provando un piacere molto maggiore, quando egli stesso direttamente ridesta nell'altro la gioia.

Pagina 152

Pagina 51

Sull'Oceano

171590
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Pagina 332

Come devo comportarmi?

172636
Anna Vertua Gentile 2 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Nella corsa, il corridore inarca la schiena, piega ed abbassa il capo per vincere la resistenza dell'aria ed agevolare la respirazione. Ma la posizione di corsa non deve essere la normale, in cui è da evitarsi ogni deformazione del corpo. Non è punto igienica la posizione che si tiene generalmente in bicicletta, con il corpo piegato in avanti e il tronco flesso, in modo da esercitare una soverchia pressione sui visceri addominali. Incontrando una signora, il ciclista staccherà un momento la mano dalla maniglia per portarla al berretto. Che se la signora fosse un'amica di casa e si fermasse mostrando desiderio di parlare, il ciclista si arresterà di botto, balzerà con un salto aggiustato dalla sua macchina, e le si inchinerà davanti reggendo la bicicletta con la sinistra e levandosi il cappello con la destra. Se la signora stendesse la mano il ciclista prima di stringerla si leverà prestamente il guanto, che nel suo caso servendo solo per riparare dalla polvere, non è certo pulitissimo ne elegante. Se con lui è una signora pure in bicicletta, il gentiluomo, misura la velocità della corsa a quella della compagna e si guarda bene dal sopravanzarla. Sta attento agli ostacoli per farli schivare; e quando la signora scende, si incarica lui della sua bicicletta.

Pagina 204

La superbia è triste sempre; ma è anche crudeltà quando abbassa e ferisce il povero e il disgraziato, ed è sciocchezza quando vorrebbe avvilire un uguale. E l'istitutrice è spesso, per nascita, educazione, coltura, uguale e anche superiore alla signora della casa ove si trova per il suo ufficio.

Pagina 308

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174755
Brelich dall'Asta, Mario 3 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Nell'aspirare il ventre si dilata, rispettivamente il diaframma si abbassa; nell'emissione dell'aria il ventre si restringe ed il diaframma viene spinto in su. La conseguenza di una cattiva e superficiale respirazione consiste in un uso soltanto parziale delle cavità polmonari; con una respirazione fiacca specialmente i bronchi vengono percorsi male dall'aria, col quale fatto si spiega in parte la formazione del catarro bronchiale, precursore della tubercolosi. Gli esercizi di respirazione sono però importanti anche per il cuore. Se nell' organismo attraverso i polmoni vien condotto troppo poco ossigeno, il cuore comincia a lavorare più celermente per dare al sangue una circolazione più rapida ed in questo modo contrabilanciare gli effetti della mancanza d'ossigeno: da ciò origina la cosidetta palpitazione di cuore. Chi non respira bene, soffre di palpitazione del cuore già ai minimi sforzi. E' importante dunque non soltanto di respirare razionalmente durante l'esecuzione di esercizi fisici, ma è anche molto raccomandabile di fare un esercizio di respirazione profonda dopo ogni esercizio del corpo. Questo si dovrebbe eseguire come segue: Si emette l'aria dai polmoni in posizione prima (calcagni uniti, braccia alle coscie), per cui il ventre verrà premuto fortemente in dentro e le costole si abbassano. Poi durante un continuato alzare delle braccia lateralmente in alto, respirare molto profondamente, in seguito a che il petto si allarga ed anche il ventre si dilata. Quando il polmone è pieno di aria, il corpo si trova in posizione tesa. Sollevando contemporaneamente il corpo sulle punte dei piedi, si aumenta l'effetto di quest'esercizio. Nell'emissione dell'aria aspirata, le braccia vengono abbassate rapidamente e l'aria viene completamente espulsa dal polmone. Si ripeta quest'esercizio più volte. Condizione preliminare per questo esercizio è l'aria buona. Nell' aria corrotta della camera da letto, con finestre chiuse, tale esercizio sarebbe più dannoso che utile. Si badi ancora di aspirare l'aria non attraverso la bocca, ma attraverso il naso. In tal modo essa si libera dalla polvere ed entra nei polmoni già riscaldata.

Pagina 234

Se ora si pone questa neve, che ha una temperatura di - 80 centigradi, in pezzi formati secondo il bisogno, sulla pelle, questa si congela istantaneamente, diventa bianca come neve e si abbassa sotto alla superficie dell'altra pelle. L'applicazione dura il più delle volte soltanto qualche secondo. Il trattamento con la neve di acido carbonico viene usato principalmente per l'eliminazione di macchie sanguigne e di voglie colorate, ma ha risultati sicuri soltanto se si tratti di difetti minori.

Pagina 273

L'organizzatore del gioco tiene il viaggiatore aereo per le mani ed a poco a poco si flette sulle ginocchia e si abbassa sempre più in modo da far ritenere al viaggiatore che invece sia egli ad essere sollevato a grande altezza. Finchè, abbassate le mani quasi completamente a terra, l'organizzatore dichiarerà di non potersi allungare tanto da reggere ancora l'infelice viaggiatore o viaggiatrice, che, vistosi così in pericolo si deciderà a buttarsi giù dal velivolo. Se sono comici tutti i movimenti della persona bendata che si ritiene sollevata a grande altezza, ancora più comico è il momento in cui questa prende la risoluta decisione di saltar giù e fa i preparativi per un salto di chissà quale altezza, mentre effettivamente la tavola non si trova che a pochi centimetri da terra. Fatto il salto, il viaggiatore resterà ancor più sorpreso di trovarsi già a terra e, forse, impreparato arrischierà di cadere. I presenti siano pronti a reggerlo a che non abbia a farsi del male. Quando il primo viaggiatore è saltato dal velivolo si chiama sotto un altro e così via. Le allegre risate che suscita questo gioco fanno eco anche fra i candidati viaggiatori che attendono fuori la chiamata e che sono molto curiosi di sapere cosa accadrà loro. Naturalmente l'organizzatore escluderà con molto garbo le persone troppo adulte o troppo pesanti o comunque inadatte al gioco, che sia pur per ischerzo, pure impressiona la persona bendata che deve decidersi al salto.

Pagina 279

Il tesoro

181869
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ma chi può sopportare a lungo una persona che leva gli occhi al cielo, che alza e abbassa le palpebre, girando le pupille in modo pietoso o drammatico, congiunge le palme e le agita in aria, come chiamasse a testimonio il cielo dei casi suoi? Ovvero le facce ripiegate, le arie e le pose ostentate di certune e certuni? Anche i moti bruschi, subitanei disturbano e così certi atteggiamenti esibizionisti. L'accavallare le gambe, in treno o in tram o al caffè e ovunque si sia; il gesto che in alcune donne è quasi automatico di darsi il rossetto alle labbra in un pubblico ritrovo; battere sulle spalle di un uomo o di una donna in modo confidenziale; oppure stendere le gambe sul tavolo o sulla scrivania, all'americana... Se da alcuni traspare un'affettazione che ci fa quasi desiderare I'imperturbabile disinvoltura di certa gioventù moderna, questa dal canto suo non ci perderebbe nulla se sapesse alle volte moderarsi. Indubbiamente riesce difficile ai temperamenti irrequieti mantenersi in una relativa tranquillità ma col dominio di sè, con la sorveglianza e il controllo di noi stessi, anche l'animo può trovare la calma, e allora i nostri gesti saranno più pacati, raggiungendo quella sobrietà che sta così bene in ogni età.

Pagina 574

L'angelo in famiglia

182799
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

essa arrossa, abbassa lo sguardo... Quello sguardo dapprima sì limpido dove si leggeva il segreto pensiero, quello sguardo è ora conturbato, inquieto, non tollera di essere riguardato... Oh! se taluna, se taluna delle mie care lettrici ha avuto una sì grande debolezza e una sì grande sventura, oh! ch'essa venga al mio seno affinchè io pianga con lei, affinchè io preghi con lei, affinchè io in qualche modo l'ajuti a ringiovanire il suo cuore, a rasserenarlo, a togliere dall'occhio suo quella nube, quel velo che le fa vedere alterati gli oggetti, ed a cancellare dalla sua mente ciò che tanto l'ha sconvolta ed ottenebrata! Oh! mia diletta fanciulla! io non sono come te nell'età della fantasia, delle speranze; pure nemmeno di tanto l'ho varcata ch'io non sappia investirmi dei tuoi sentimenti, per dividerli e compatirli. Ma gli è pel tuo bene ch'io ti parlo; io ho ricevuto da autorevole voce il mandato di parlarti, quindi io secondo non tanto i moti del cuore che potentemente si fanno sentire, quanto seguo la voce di Dio, di quel Dio che ha detto ai suoi ministri: Chi ascolta voi, ascolta me. S'io mi trovo in un'allegra brigata, e fra cento gaudenti vedo uno che piange, sospira o addolora, è ben naturale, io debbo lasciare, e lascio infatti i più, per avvicinarmi a quell'uno che soffre, e trovando chi partecipa al suo dolore pare ch'egli si riconforti, si sollevi, si rianimi. Se poi egli avesse una spina in un piede ed io gliela potessi levare, sarei io meno umana e caritatevole degli stessi bruti; e non m'affretterei a liberare il poveretto dalla causa del suo male? Orbene, se tu l'hai questa spina, vieni affinchè io te la levi; vieni, io ti condurrò vicino al Tabernacolo, affinchè tu chieda ed ottenga la forza di recarti al tribunale di Penitenza ad esporre con tutta sincerità le tue ferite, senza punto nasconderne la benchè menoma, chè sarebbe una debolezza vergognosa, ed una vergogna colpevole. Dopochè al tribunale di Penitenza saranno medicate le tue ferite, e le avrà sanate il balsamo della carità stessa di Dio, e sull'anima tua sarà scesa quella parola onnipotente: va, ti sono rimessi i tuoi peccati; guardati di mai più peccare: io ringrazierò con te il Signore del perdono che ti ha accordato, verrò con te alla mensa Eucaristica, e gustando teco le gioje celesti che da essa emanano, avrò la gioja indicibile di ritornare il sorriso al tuo labbro, la calma al tuo cuore. Oh! quanto sei bella, vergine del Signore, quanto sei bella, ora che hai stretto un patto di tenera alleanza col tuo Gesù! Ma, per pietà, non 28 lo infrangere questo patto; ti potrebbe essere fatale, ti potrebbe mancare il tempo di pentirti, di correggerti; Iddio te l'ha fatta una volta la sua grazia, vorrà fartela ancora? Ma a che pensare a minacce, quando il tuo cuore è buono, perchè riverbera un raggio della bontà stessa dell'Onnipotente? No, piuttosto facciamo insieme le nostre proteste, proponiamo il nostro piano di vita, affinchè non avvenga più mai che il tuo orecchio sia turbato da parole meno castigate, nè ti siano proposte azioni che ti vergogneresti di fare in presenza della tua mamma. La mamma non ti vede sempre, ma l'Angelo tuo sta ognora al tuo fianco; egli ti vede sempre, sempre, e quando tu non segui i suoi dettami, quando patteggi col peccato, quando pecchi, allora egli si copre gli occhi colle ali, se ne fugge da te lontano, e poveretta, tu rimani sola, senz'ajuto, senza difesa! Ma tu che mi leggi e mi ascolti, o sei candida colomba cui non adombra nessuna macchia terrena, ed io ti esorto a umiliarti innanzi a Dio, riconoscendo da lui solo il bene che ti viene, pregandolo a preservarti mai sempre dal male; o sei colomba incauta che poggiato il piede su quello che ti pareva un monte di delizie ed era un immondo carcame, e n'hai avute macchiate o tarpate le ali, onde è ritardato od anche reso penoso ed impossibile il tuo volo; recati al Santuario. Al Santuario c'è l'acqua che lava, c'è la forza che rinfranca, e le tue ali riprenderanno il loro vigore, la loro bianchezza, e sicure e leggiere potranno librarsi nell'aria, e farti vivere pura e beata fino al dì in cui ti sarà dato spiccare il tuo volo a quell' eterna Gerusalemme, dove non ci sarà più pericolo di macchiare l'anima propria. Se la persona che minaccia la tua quiete e la tua purezza, è di basso stato, od alto locata, se è dotta o idiota, incredula o credente, geniale o no, sfuggila; dichiarale apertamente senza ambagi che non puoi assolutamente acquistare quelle cognizioni; paventa di te e di essa, e prega la Beata Vergine che te ne liberi sempre. La Beata Vergine t'insegnerà non solo a sfuggire quelli che ti si fanno conoscere violatori della bella virtù; ma altresì a guardarti dalla soverchia dimestichezza colle persone dell'altro sesso, fossero pure cugini, fratelli, amici, giovani o vecchi. Una volta, nelle Missioni date alle Signore dai Padri Oblati, mi ha fatto gran senso questa massima:giuochi di mano, giuochi da villano, giuochi da non cristiano, perchè davvero anch'io molte volte aveva creduto non ci fosse verun male fra persone parenti ed intime; ma questa massima mi ha fatto capire essere un'increanza e una sconvenienza quel tenersi abbracciati, quel carezzarsi e che so io. L'affetto ha ben altri modi per esistere e per dimostrarsi, e tutto quanto ha dello svenevole e del caricato è colpevole o pericoloso. La Beata Vergine, se l'ascolterai, ti dirà ben altre cose in un proposito sì importante, e nè ai domestici, nè ai fratelli, e neppure alle amiche ed alle sorelle permetterai una soverchia confidenza; questa, te l'ho già detto jeri, mi pare, farebbe perdere quella riverenza, quel rispetto che ti saranno sempre prodigati se affabile, e contegnosa custodirai pura l'anima tua, la tua mente, ed illeso il tuo corpo da ogni alito terreno. La parola che ti ho detto all'orecchio è stata un po' lunga; ma non la posso finire senza ripeterti per la centesima volta che non l'ho detta perchè io diffidi di te, ma solo perchè amo e voglio, coll'ajuto di Dio, preservarti dal cadere in peccato, tanto per colpa quanto per ignoranza. Giacchè t'ho parlato all'orecchio, e le mie labbra sono sì vicine alle tue, lascia che vi imprima un bacio come simbolo ed espressione del bene che ti voglio e ti prego dal Signore.

Pagina 426

Il codice della cortesia italiana

184426
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Questo, se è floscio, non si prende per la tesa, ma per la parte superiore; né si solleva troppo in aria, o si agita, o si abbassa fino a mezza la persona. Lo si toglie con la mano della parte opposta a quella della persona che si vuol salutare, sempre che essa sia libera. Chi va a capo scoperto, o porta berretti di forma speciale - senza visiera, - s'inchina. I militari fanno il saluto di prescrizione, il quale è sempre il piú elegante, purché fatto con decisione e con marzialità. Una coppia saluta una signora sola. C'è chi saluta isolando, per cosí dire, il destinatario da quelli co' quali si trova: « buona sera, dottore! »: non è ben fatto; ugualmente, si deve salutare e rispondere ai saluti con chi è con noi. Quando s'è cominciato a salutar qualcuno per una speciale relazione stabilita con lui, si continua a salutarlo, anche quando quella relazione è finita. Sia detto questo specialmente per quei genitori - e non son pochi! - che salutano gl'insegnanti dei loro figlioli, e omettono poi la bella abitudine quando i figlioli passano ad altre classi o con altri insegnanti. È bene tener presente che l'« a rivederci! » è un modo amichevole di commiato: quindi, è del superiore verso l'inferiore, della donna verso l'uomo, mai il contrario. Se una signora ferma un amico o un conoscente, questo si scopre, e rimane a capo scoperto fino a quando la signora non lo autorizzerà a coprirsi; non le porgerà per primo la mano: non cercherà di trattenerla a lungo; non proseguirà il cammino con lei, salvo che non ne sia autorizzato. Se si accompagnerà con lei, o smetterà di fumare o le chiederà il permesso di continuare. Non si fermerà a parlare con altri, né le lascerà, come usava, sempre la destra, ma il posto piú comodo e piú sicuro; oggi specialmente che gl'investimenti non sono troppo rari. Nei casi di grande amicizia - o quando la signora ne abbia bisogno - le offre il braccio sinistro: gli ufficiali le offrono il destro quando portano la sciabola. È elegante che un ufficiale di grado piú elevato saluti per primo un suo inferiore quando quest'ultimo è accompagnato con signore. Due uomini mettono in mezzo una signora: di tre o piú uomini, si mettono in mezzo quelli piú ragguardevoli: alla destra di questi, o della signora, le persone, per cosí dire, numero due; alla sinistra quelle numero uno. Una coppia mette in mezzo una signora, o una signorina: il marito sempre alla destra della moglie, lasciando la destra a un altro. Due signorine possono mettere in mezzo un giovanotto, se c'è dimestichezza fra loro. Un giovinetto o una giovinetta vanno alla sinistra dello loro istitutrice: se sono in due, la mettono in mezzo. Si suol dire che è uno spagnolismo questo del posto: a me non pare; perché, in fondo, mira a far godere a tutti la compagnia e la conversazione della persona che si suol collocare in mezzo. Un uomo non ferma sulla via una signora che conosce; salvo casi urgenti, o che non possa incontrarla piú, o altrove. Per salutare una signora in auto, non s'introduce il capo nel finestrino. Alle signore non si dànno denari o lettere sulla via. Se, poi, è segno di dubbia educazione fissare insistentemente signore e signorine che passano, o volgersi indietro a guardarle, è indice di somma volgarità farle bersaglio di complimenti piú o meno sdolcinati e galanti. Lode incondizionata, a questo riguardo, merita l'iniziativa di alcuni Prefetti e di alcuni Questori i quali hanno energicamente affrontato l'increscioso inconveniente, sparpagliando da per tutto agenti della squadra mobile e facendo diffidare quegli stupidi elegantoni sfaccendati, detti «pappagalli della strada » - o esoticamente gagà - che si ostinano a infastidire le passanti. Molto spesso, in verità, anche le donne si volgono indietro per esaminarsi - ammirarsi o deridersi, secondo i casi; - ed è divertente vedere come rimangano male quando, voltatesi nel medesimo istante, si sorprendono a squadrarsi a vicenda. È sommamente ridicolo, per un uomo, fermarsi di fronte allo specchio di qualche mostra per compiacersi del nodo della cravatta o della piega dei calzoni. Per quanto è possibile, si deve evitar di camminare, come si suol dire, con la testa per aria; lo esige, prima di tutto, l'infernale movimento stradale moderno, che è quasi un permanente attentato alla incolumità e alla vita; e, in secondo luogo, l'obbligo di adempiere ai doveri della cortesia. Se si rimane mortificati quando si saluta uno sconosciuto scambiato per un conoscente, o gli si rivolge la parola, quando addirittura non lo si prenda sotto il braccio; e si risponde a un saluto che non era diretto a noi - il che, in fondo, non è gran male - si rimane peggio quando ci accorgiamo d'aver guardato una persona, cui eravamo stati presentati, senza vederla e senza farle un cenno di saluto. Quando le chiederemo scusa, la prossima volta che ci troveremo insieme, apprenderemo che essa aveva notato la nostra distrazione. Non è conveniente fermare sulla via amici professionisti - avvocati, ingegneri, medici, insegnanti - per consultarli intorno a cose riguardanti appunto la loro professione. Al passaggio d'un funerale, è doveroso fermarsi per salutare o cavandosi il cappello, o mettendosi sull'attenti, se si è a capo scoperto. Ugualmente, se passa la bandiera nazionale. Non diversamente, se passa una processione. Chi fosse d'altra confessione religiosa torna indietro, svolta, entra in una bottega; ma non rimane a capo coperto, quando tutti si scoprono ; se non per altro, come omaggio alla opinione altrui. È bello vedere in alcune città - a Siena, per esempio, - salutare le lettighe che passano con un malato. Non bisogna fermarsi in crocchi sulla via per discutere: i passanti son quasi come gli anelli di una catena: se ne tiri uno, vengono via tutti; se uno ne fermi tutti si arrestano. Il che accadrebbe anche se si leggessero giornali o lettere. Guardarsi dal parlare, per la via, a voce alta, o con gesti, o di cose delicate, o facendo nomi; dal bisticciarsi, per le coppie sopra tutto ; dall'indicare col dito; dal fischiare o zufolare; dal ridere sguaiatamente; dall'intavolare conversazioni con persone che sieno in finestra; dal passare davanti a persone ferme, che guardino vetrine o leggano manifesti; dal passare fra due o piú che vadano insieme. In alcuni paesi - e città! - si tenta finanche di passare fra due carabinieri di servizio, perché... porta fortuna! Se s'incontra una persona di nostra conoscenza in compagnia d'un'altra con la quale preferirebbe di non esser veduta, si passa oltre con disinvoltura come se non la si fosse notata. Se si porta l'ombrello, o il bastone guardarsi dal farlo roteare. Soltanto, poi, i venerandi pensionati di provincia fanno compiere all'ombrello l'ufficio del bastone. Su quello non ci si appoggia, passeggiando, né lo si porta, come un famoso personaggio da commedia, sotto il braccio, o in altro modo che possa dar noia a chi è al nostro fianco o ai passanti. Inoltre, per non intralciare il movimento, è doveroso andar sempre dal lato prescritto, che non è da per tutto lo stesso, specialmente nelle città dove le vie son senza marciapiede. Imbattendosi faccia a faccia con uno che non tenga la sua mano, piuttosto che fare per parecchi secondi quel grottesco va e vieni, da destra a sinistra e viceversa, con le braccia piú o meno aperte, proseguire risolutamente per la propria destra. Può darsi che si abbia bisogno di qualche indicazione o informazione: ci si rivolge garbatamente a qualche passante che si vede pratico del luogo o a una guardia - è meglio non disturbare una signora - chiedendo scusa del fastidio e ringraziando: si dà alla stessa maniera; dolenti se non siamo in grado di farlo. Se chi si rivolge a noi è uno straniero, non risparmiare anche qualche passo perché l'indicazione sia completa e precisa. Talora si formano, sulle vie e sulle piazze dei crocchi, degli assembramenti per un incidente o di fronte alla esposizione di una bottega: una signora specialmente non s'imbranca. E non si cerca in tutti i modi di passare ai primi posti, spingendo dietro gli altri, se c'è un qualsiasi pubblico avvenimento. Quando piove e noi siamo forniti d'impermeabile o d'ombrello, si lascia lo spazio piú riparato, presso i muri, ai passanti che ne sono sforniti: se s'incontra una signora amica in tali condizioni, meglio offrirle senz'altro l'ombrello che proporle di accompagnarla. Non si gettano sulla via carte strappate e né pure scatole vuote di cerini o di sigarette: se non ci sono, qua e là, lungo la via, gli speciali cestini metallici, si tiene tutto in tasca, salvo a sbarazzarsene quanto prima, e tanto meglio se in modo che ne possa usufruire la Croce Rossa. Mi si son proposti due quesiti: Possono le signore, per via, portare dei pacchetti? - Non era elegante, specialmente in alcune nostre regioni; ma, oramai, le signore hanno superato questo pregiudizio: a condizione, però, che i pacchetti, per il numero o per il peso, non diano l'idea dello sgombero. È elegante, per una signora, andare a passeggio con un cagnolino al guinzaglio? - Al guinzaglio si, non certo in quelle altre maniere in cui oltre Manica e in America - per quanto non sia altrettanto elegante fermarsi col cagnolino - lo si guardi o non lo si guardi!, a tutti gli spigoli e a tutti i pali...È bene altresí educare il proprio cagnolino - senza, beninteso, picchiarlo sulla via - a non annusare i passanti, né ad abbaiar loro dietro; per quanto le bestie, e i cani specialmente, abbiano un odorato piú fino degli uomini, e, meglio degli uomini, sappiano distinguere gli amici veri dai falsi; ma, allora, bisognerebbe condursi dietro, invece di un cagnolino, un molosso! Si può mangiare sulla via? - In linea generale, no ; ma ci son vie e vie, e cose e cose che si posson mangiare. Non sarebbe, certo, conveniente mangiare per qualcuna delle vie centrali delle nostre città, e all'ora del passeggio; o mangiare dovunque panini imbottiti o fette di cocomeri; ma perché non dovrebbe esser permesso di assaporare, per esempio, qualche marrone candito? Quindi, è questione di discrezione!

Pagina 162

Galateo per tutte le occasioni

187692
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Dunque è inutile riservare occhiatacce a chi vi sembra invadente o al barista che non abbassa il volume della musica. Il bagno è pubblico: se il locale ha l'obbligo di metterlo a disposizione di tutti (e non solo degli avventori), chi vi entra ha il dovere di rispettarlo e lasciarlo pulito come - si spera - lo ha trovato. Né ci si intrattiene troppo a lungo per rifarsi il trucco, o peggio analizzare le condizioni della pelle e procedere a una casereccia pulizia del viso mentre altre signore aspettano in coda. Regola, questa, sempre valida per qualunque bagno pubblico ci troviamo a dover frequentare.

Pagina 61

Nuovo galateo

189777
Melchiorre Gioja 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ora in generale s' abbassa il prezzo delle cose tutte a misura che il bisogno di vendere a più palesi segni si mostra nel venditore. Alla pulitezza e pudicizia deve unirsi la convenienza, e ciascun sesso, ciascuna età, ciascuna condizione e magistratura deve di particolari abiti adornarsi: quindi é condannabile l' uomo che s' abbassa a vestire abiti donneschi, e a guisa, di femmina si abbellisce; perciò dà prove di poco senno un vecchio che si presenta cogli ornamenti, co' vezzi e colle pretensioni de damerini. . . Non offende l'altrui sguardo, ma scema rispetto alla sua carica un ecclesiastico che passa il suo tempo ne' caffé, e vi comparisce

Pagina 130

E' compatibile una donna che, priva di bella dentatura, ride solo cogli occhi; ma é ridicolo chi affetta sempre quel gesto che fa di più sfavillare la gemma che ha in dito; é noioso chi alza, abbassa, rivolge iristancabile il capo per mostrare il pennacchio che gli ondeggia sul cappello. Si dica lo stesso di chi agita tra irrequiete dita

Pagina 79

Anche il contadino, a modo d'esempio, s'affretta a raccorre una moneta od altra cosa che vi è fuggita di mano; egli si abbassa, onde togliere a voi l'incomodo d'abbassarvi: ci è qui un risparmio di pena nell'esecuzione d'un desiderio; e questo risparmio non è figlio di stabilita convenzione, ma dell'indole delle nostre facoltà. Allorchè, al teatro, quelli che si trovano nelle file posteriori gridano a quelli delle anteriori, levatevi il cappello, lo fanno forse per convenzione? No certo. Il desiderio di partecipare al comune spettacolo è ragionevole e legittimo, come ragionevole e legittimo si è il principio che il piacere della maggior parte non debb'essere distrutto dalla minore, nè dimezzato. Nel codice della pulitezza v'ha certamente alcune pratiche arbitrarie e convenzionali, come ve n'ha ne'codici civili; ma la massima parte dei precetti a risparmiare sensazioni incomode o memorie afflittive, e produrre idea lusinghiere o piaceri morali, è diretta. Si può riguardare come convenzionale, a cagion d'esempio, l'uso europeo che, per torre di mezzo le dispute, guarentisce il diritto di restar sul marciapiede a chi ha la destra verso il muro; giacchè quasi con uguale ragione si poteva lo stesso diritto alla sinistra guarentire. Ma questa convenzione alla legge del comodo e dell'incomodo va soggetta. Infatti camminando voi a cavallo con persona più meritevole parimenti a cavallo, la convenzione vuole che le lasciate la destra e siate qualche passo indietro. Nel caso però che la strada fosse alquanto sdrucciola o sassosa a destra, voi dovreste cambiar luogo; e se il vento cacciasse contra il vostro compagno la polve sollevata dal vostro cavallo, voi, in vece di stare indietro, dovreste procedere avanti. Per la stessa ragione sarete il primo a tentare il guado d'un fiume e a passarlo, sì per servire di guida al compagno, e si per non aspergerlo d'acqua o di fango. Si vede spesso la convenzione cedere al comodo negli stessi usi che da'carrettieri, cocchieri, postiglioni si osservano. Infatti una vettura, per esempio, la quale stia aspettando d'essere caricata o scaricata, benchè abbia il muro alla sua sinistra, costringe quelle che vanno o che vengono a scostarsi dalla loro linea, e talvolta a retrocedere; giacchè se ella dovesse moversi, a misura che un'altra sopraggiunge, si renderebbe talvolta il carico e lo scarico impossibile. Se si riduce la pulitezza a pratiche arbitrarie e convenzionali, più inconvenienti ne emergono: 1.° La pulitezza perde qualche grado di pregio; 2.° Riesce più difficile ad appaiarsi e ritenersi; 3.° Sorgono dubbi in ogni nuova combinazione di cose; 4.° Mancano le norme per giudicare gli usi e le consuetudini. Per le cose dette è chiaro che la pulitezza, considerata nel suo scopo e ne'suoi mezzi, non differisce dalla morale, fuorchè nella gradazione. Chi, per esempio, dà un bicchiere di vino a persona assetata, eseguisce un atto di misericordia; chi dà la chiave del suo palchetto a chi brama d'assistere ad una rappresentazione teatrale, eseguisce un atto di pulitezza. Nell'un caso e nell'altro v'è cessazione d'un dolore o soddisfacimento d'un bisogno; ed è questo dolor cessato che costituisce il principal merito dell'azione. Nel 1.°caso v'è un dolore più forte; men forte nel 2.°: ma il più e il meno non cambiano la specie. Voi che mi negate 20 lire di cui mi siete debitore, venite accusato d'ingiustizia, perchè mi private de'piaceri che colle 20 lire potrei procacciarmi. Voi scrivete senza motivo ragionevole cinque ponderose lettere ad un povero uomo , e lo costringete a pagare 4 lire per ciascuna, sicchè il danno ch'egli ne sente sale in tutto a lire venti; ciascuno vi taccerà d' indiscrezione, d'inurbanità, non già per convenzione, ma pel danno suddetto che nell'uno caso e nell'altro è uguale; anzi suoi essere maggiore nel secondo, giacchè il dispiacere di sborsare, in parità di circostanze, è maggiore del dispiacere di non ricevere. Le virtù vincono in grandezza e, per cosi dire, in peso la pulitezza; ma questa vince quelle nella frequenza de'suoi atti. Non è possibile nè a tutti nè sempre d'essere generosi; ma è possibile a tutti e sempre d'essere puliti. L'occasione d'esercitare modi gentili si rinnova parecchie volte alla giornata, sicchè la frequenza all'importanza supplisce. In somma la pulitezza è il fiore della morale, la grazia che l'abbellisce, il colore che amabile la rende ed amena. Fa d'uopo confessare che la pulitezza non sempre si presenta abbracciata alla morale; e l'uomo più pulito non è sempre il più morigerato. Il popolo chinese è il popolo più cerimonioso, e nel tempo stesso il più falso tra quanti vivono sulla terra; e, senza andare alla China, ciascuno giornalmente s'avvede che con gentilissimi complimenti sanno titillare l'altrui amor proprio anco gli scroccatori di professione. Quindi un illustre scrittore italiano dice: « Altro infine non è » la pulitezza che l'arte d'ingannare sè medesimi » coll'apparente sacrifizio della propria all'altrui » volontà, talchè non è raro che gli uomini » più puliti siano i più perfidi. Alle quali lagnanze si può andare incontro colle seguenti considerazioni: 1.° Una bella pittura può sussistere sopra un muro fracido, sdruscito, cadente: questa combinazione di cose scema forse il pregio generale della pittura? Le monete false, che non di rado sulla piazza appariscono, distruggon forse l'utilità e la necessità delle monete legittime? Perché la vipera s'asconde talvolta fra l'erbe e i fiori, cessiamo noi di pregiare i fiori e l'erbe? Spogliandoci de' modi gentili, e l'apparenza assumendo o la realtà della rozzezza, ci allontaniamo noi dalla perfidia? Un vizio divien forse manco nocivo, a misura che con maggiore sfacciataggine ed impudenza si mostra? 2.° Parecchi de'nostri sentimenti, se compariscono alla luce, offendono gli astanti, o ci fanno scopo all'altrui motteggio: l'arte che c'insegna a velarli non sarà ella un'arte stimabilissima? Infatti molti litigi che dividono le famiglie, molti odii che covano nell'animo i cittadini, la maggior parte de'duelii che alla giornata succedono, da un detto offensivo, da un atto impulito, da una semplice mala grazia traggono non di rado origine.

Pagina 9

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190953
Schira Roberta 2 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Un altro indizio: nel sorriso vero tutta l'arcata sopracciliare si abbassa. Ma fidatevi anche un po' del vostro intuito e soprattutto ricordate le regole iniziali, quelle che dovrebbero garantirci un buon livello di comprensione: coerenza di almeno tre gesti e contesto. Sottotesto del sorriso. Non posso farti del male, vedi che non sono pericoloso? La scienza ha ormai dimostrato che ogni volta che sorridiamo induciamo reazioni positive negli altri. Ricordatelo sempre. Oltre a chiederci se il nostro interlocutore è sincero, è molto importante per noi scoprire se è interessato a quello che stiamo dicendo e se ci trova gradevoli. Immaginate un uomo che sta vedendo alla televisione la partita decisiva del campionato: ecco, quello è l'atteggiamento che esprime la massima attenzione per i maschi. Oppure una donna che osserva una fantastica torta al cioccolato o una borsa di Hermès in una vetrina; mentre vi ascolta dovrebbe avere proprio quell'espressione. Non siete obbligati a mantenere livelli di attenzione del genere, ma dimostrarvi interessati nei confronti del vostro interlocutore è di importanza strategica. Muovere le labbra, protenderle e leccarsi gli angoli della bocca, giocherellare con il bicchiere o con un oggetto sul tavolo, toccarsi lievemente i capelli sono tutti gesti che esprimono interesse e vengono letti come messaggi seduttivi. Anche toccarsi e lisciare la cravatta per gli uomini ha lo stesso significato, peccato che ora si porti molto meno. E per seduttivi non intendo affatto finalizzati alla conquista sessuale, ma semplicemente a suscitare nell'interlocutore benevolenza ed emozioni positive. I capelli sono, ahimé anche a tavola, oggetto di attrazione. Possono essere accarezzati, accomodati (anche dagli uomini), una ciocca può essere arrotolata su un dito o intrecciata. Tutti segni di gradimento. Tra i gesti utili da leggere e da mettere in atto c'è «il capo reclinato». Potrete adottarlo voi stessi o leggerlo nei vostri interlocutori. Ricordate questa importante regola generale: mostrare il collo, i polsi e i palmi delle mani suscita benevolenza, tenerezza e desiderio di protezione. Ancora una volta, si tratta di comportamenti geneticamente acquisiti. Si mostra il collo quando non si teme di essere attaccati dal nemico; i polsi liberi e le mani aperte verso l'alto un tempo indicavano che l'uomo non era armato. La stretta di mano, che presso gli antichi coinvolgeva anche gli avambracci, aveva proprio questa funzione. Pensate a tutte le immagini dei religiosi: palmi in vista. E ora pensate alle fotografie di Hitler con il braccio teso e il palmo rivolto in giù, come a voler schiacciare il mondo. Ma torniamo per un secondo al capo reclinato. Fate una prova; formulate una richiesta con un tono di voce neutro, tipo «Mi accompagneresti domani alla conferenza sull'estinzione della foca monaca?», insomma una domanda cui è difficile dire subito sì, e provate a chiederlo mantenendo il capo eretto, e poi fate la stessa domanda con il capo leggermente reclinato di lato e usando un tono più accattivante. L'effetto è sorprendente. Un adulto che vuole ottenere qualcosa da un altro o desidera apparire attraente accenna un sorriso e inclina il capo di lato, e per la precisione, secondo la sinergologia, inclinare a sinistra indica benevolenza, a destra un atteggiamento critico. Tuttavia, in assoluto è un gesto completamente privo di aggressività. Vi ricorrono spesso i bambini, le donne, ma anche gli uomini. Il sottotesto è: non farti ingannare dal mio aspetto, in verità sono innocuo come un bambino e vorrei appoggiare il capo sulla tua spalla. Non puoi dirmi di no, te lo sto chiedendo mentre sono indifeso. È anche il residuo di un comportamento infantile, quando il bambino appoggia il capo sul petto di un genitore per trovare protezione. Diversi studi mostrano come, davanti a questo gesto che suscita tenerezza, diminuisce subito l'aggressività. Lo sguardo è tutto. Le donne lo sanno usare meglio. Quando stiamo bene e vogliamo manifestare benessere tendiamo a guardare più spesso l'altro a livello degli occhi e meno sul resto del volto o su mani o tronco. Anche gli antichi sono sempre stati affascinati dalle pupille, ma solo negli ultimi vent'anni si è iniziato a studiare tutti i fenomeni annessi: si chiama pupillometria. Ormai è dimostrato che quando proviamo piacere le pupille si dilatano: questo è un indizio infallibile. Le pupille si dilatano anche quando c'è poca luce, ecco perché nei locali romantici le luci sono tendenzialmente basse. Adesso però non mettetevi a scrutare nel bulbo oculare i vostri compagni di tavola come un etomologo, basterà un minimo di osservazione. Tenete conto che le pupille non sono controllabili a livello conscio. In determinate condizioni di luce le pupille si dilatano o si contraggono a seconda dei cambiamenti di atteggiamento e di umore: quando un individuo si trova in uno stato di eccitazione le pupille si possono dilatare anche di quattro volte rispetto alla dimensione normale; viceversa, in presenza di uno stato d'animo negativo o infuriato si contraggono, dando luogo al ben noto «sguardo da vipera». La parte bianca dell'occhio si chiama sclera, attenzione: più «bianco» vedete, più furioso è il vostro interlocutore. I popoli nord-europei e i giapponesi tendono a evitare di guardare in modo prolungato i propri interlocutori, mentre nelle culture latine o arabe lo sguardo prolungato è segno di sincerità e interesse verso l'altro. Un altro segno di piacere ci arriva dall'ammiccamento palpebrale: quando l'interlocutore ci piace, le ciglia vengono sbattute anche quattro volte di più e più velocemente. E questo non vale solo per le ciglia truccate delle signore. Numerosi segni di gradimento sono poi collegati alla regione della bocca: la lingua può passare sul labbro superiore; le labbra possono essere mordicchiate, premute o spinte verso l'esterno; mentre si ascolta, la bocca è dischiusa e talvolta vi si appoggia sopra un dito. Ricordate, come abbiamo già detto, che le mani vicino alla bocca sono anche uno dei segnali di falsità. Cosa fa un bambino che mente? Spesso nasconde le mani dietro la schiena, oppure appena dopo aver svelato un segreto si porta le mani alla bocca. Noi abbiamo mantenuto questa reazione, solo che, come adulti, mascheriamo il gesto fermandolo in prossimità della bocca. A volte può evolvere in uno sfregamento del naso o in un dito sulle labbra.

Pagina 135

Quando un uomo vuole sottolineare la propria virilità abbassa il tono, e la sua voce diventa più grave e profonda, molto gradita alle donne. Le quali forse non sanno che questo timbro è collegato al livello di testosterone. La donna, da parte sua, usa toni più alti e acuti per esaltare la propria femminilità. Diverse ricerche, anche nel mondo animale, dimostrano che in una situazione di corteggiamento i due soggetti tendono a esaltare e a mettere in mostra le differenze tra i sessi. Gli individui pignoli, metodici e razionali a tavola sono compassati, e il gesto che fanno più di frequente è tagliare con le mani l'aria per puntualizzare ogni cosa. Peraltro, questi individui hanno altre peculiarità sul piano non verbale: a tavola tendono a sistemare posate, oliera e altre suppellettili secondo un loro schema; sulla scrivania o nella loro stanza tutto è ordinato. Sono gli ipercontrollati, un po' pignoli e maniaci dell'ordine, gesticolano molto e in modo esuberante. Inoltre tengono un tono di voce alto. A cosa dobbiamo mirare senza snaturarci? A una voce profonda e calda e a un modo di parlare rassicurante. I gesti devono sembrare spontanei ed eleganti come quelli di un esperto artigiano. L'antropologo Desmond Morris dice che le mani sono, per gli esseri umani, ciò che la bacchetta è per un direttore d'orchestra. Non è sbagliato gesticolare a tavola, basta non esagerare rischiando di far cadere bottiglie e bicchieri. Il galateo più rigido non incoraggia il gesticolare. Tuttavia sono stati analizzati bambini italiani e americani: è stato dimostrato che in entrambe le culture i bambini che gesticolano hanno maggiore facilità nell'apprendimento e nello sviluppo linguistico complessivo. La psicologa Susan Wagner Cook, in una ricerca pubblicata su Science, ha analizzato due gruppi di bambini delle elementari che dovevano risolvere esercizi di matematica complicati. Quelli del primo gruppo sono stati invitati a gesticolare liberamente, agli altri è stato chiesto di tenere ferme le mani. I primi hanno risolto i problemi molto più brillantemente dei secondi. Sempre riguardo al gesticolare, i coniugi Pease hanno effettuato un esperimento obbligando alcuni oratori a tenere un discorso con le mani chi rivolte verso l'alto, chi verso il basso. La platea ha attribuito l'84 per cento dei consensi a quelli che avevano tenuto il discorso con il palmo per lo più verso l'alto. Ricordatelo quando siete seduti a tavola e volete convincere il vostro capo o piacere ai vostri commensali. Qui vale lo stesso discorso che abbiamo fatto per il sorriso: è dimostrato che, se ci sforziamo di mantenere i palmi all'insù, il che è indice di trasparenza, e di sorridere, non solo condizioniamo il nostro stato emotivo positivamente ma, per il principio dello specchio, riusciamo a influenzare anche il nostro interlocutore. Il meccanismo è davvero semplice, come tutte le cose geniali. Se ci esercitiamo a inviare segnali positivi (sorridere, mostrare i palmi, reclinare il capo) il nostro interlocutore si adeguerà inconsciamente ai nostri gesti, in una sorta di sintonizzazione emotiva. Provare per credere. Alcuni si presentano a cena come a un colloquio di lavoro: non fatelo, rischiate di rovinare tutto comportandovi da commensale ansioso. Riconosciamo tali individui dai seguenti indizi: parlano in tono un po' stridulo, si agitano nervosamente sulla sedia, hanno difficoltà a tenere lo sguardo su di voi e vagano incessantemente con gli occhi. Se si sfregano le mani violentemente e si agitano toccando convulsamente le posate o il volto, è chiaro: sono agitati. Altra regola da ricordare bene: più una parte si trova lontana dal cervello meno riusciamo a controllarla. Capire questo ci permette di comprendere meglio anche la parte del corpo che resta nascosta sotto il tavolo. La direzione dei piedi è certo più sintomatica quando siamo in piedi o seduti su un divano, ma anche sbirciare sotto la tovaglia può essere utile. Decine gli studi dimostrano che uno degli indici di menzogna è il movimento dei piedi. Ekman ci dice che il piede del mentitore è abbastanza agitato. Sarà per questo che, in molti colloqui di lavoro, i dirigenti se ne stanno ben protetti dietro le loro scrivanie. È vero, a tavola è molto più difficile ma, per aumentare il nostro campo di osservazione, basterà invitare la nostra amica o amico di turno a bere qualcosa in un locale dotato di bancone senza tavoli che impediscono una visione totale. Attenzione al piede che dondola e ricordate che la reazione deve seguire quasi immediatamente lo stimolo verbale. Voglio dire, non restateci male se lui dondola il piede quaranta minuti dopo che gli avete chiesto «Ma io ti piaccio veramente?» La domanda è stupida comunque: il vero seduttore, di entrambi i sessi, sa perfettamente se piace o no. I piedi incrociati denotano chiusura, il messaggio è un po' lo stesso che riceviamo quando le braccia sono conserte, anche se in questo caso il segno di rifiuto è meno accentuato. Chi si avvinghia alle gambe della sedia ci sta dicendo che non cambierà idea e che nessuno lo smuove dalle sue opinioni. Tutti gli studi confermano che nel 90 per cento dei casi è la donna a prendere l'iniziativa, anche se può sembrare il contrario. È lei che manda segnali con viso, mani e corpo, e la riuscita di un incontro dipende soprattutto dalla capacità maschile di cogliere questi messaggi. È anche vero che, se siete arrivati sin qui, cioè a sedervi allo stesso tavolo, significa che i segnali sono stati ben inviati. Vediamo schematicamente i segnali di corteggiamento femminili: - Gettare indietro il capo e scostarsi i capelli dal viso. - Sorridere e cercare gli occhi dell'altro con lo sguardo. - Giocherellare con i capelli e attorcigliarli su un dito. - Pavoneggiarsi spostando il busto in avanti e indietro. - Accarezzarsi il corpo, il collo, la gola. - Mostrare i polsi o tenere il polso rilassato. - Tenere le labbra semiaperte e sporgenti. - Giocherellare con un oggetto cilindrico, o sfilare e infilare un anello dal dito. - Sollevare una spalla guardando da sopra di traverso. - Tenere la borsetta vicino all'uomo. - Dondolare la scarpa sulla punta del piede. Gettare indietro il capo e scostarsi i capelli dal viso ha come sottotesto: ti faccio vedere il mio viso, per mostrarti come voglio essere bella ai tuoi occhi. È incredibile come anche le donne dai capelli corti ricorrano impercettibilmente a questo gesto. Pavoneggiarsi, per le donne, significa tenere il busto in evidenza per mostrare il décolleté e poi, subito dopo, avvicinare il capo a quello di lui. Per osservare le gambe sotto il tavolo sono necessarie pratica e astuzia, anche se il gesto di accavallare è più comune su un divano o una sedia al di fuori dell'ambito conviviale. Se i piedi di lei sono rivolti all'interno, un po' come fanno i bambini, vi sta dicendo: mi sento fragile come una fanciulla. Toccarsi alcune parti del corpo, quelle visibili a tavola, è un modo per dire inconsciamente: queste cose mi piacerebbe le facessi tu. Mettere in mostra i polsi è facile quando si è seduti a un tavolo. Basta tenere i gomiti sul tavolo tra una portata e l'altra (anche se non si dovrebbe) e il gioco è fatto. Mostrando i polsi ti dico: sono disarmata davanti a te e gli antropologi sostengono che richiami l'ala spezzata degli uccelli. Avete presente le fotografie delle dive americane degli anni Cinquanta? Quasi tutte si mettevano nella stessa posa da bomba sexy. Guardavano maliziosamente l'obiettivo di lato dietro una spalla sollevata. Funziona sempre, anche se il gesto non è più così accentuato. La borsetta, si sa, è un po' l'emanazione dell'universo di ogni donna e tenerla accanto all'uomo denota il desiderio che lui entri nella nostra sfera più intima, senza sentirci invase. Sebbene il galateo non preveda che la borsetta venga messa sul tavolo. Se una donna vi chiede di prendervi qualcosa dalla borsetta, allora siamo già in una fase di confidenza. Quando si alza, la donna può usare la borsetta come una sorta di scudo: avete presente le foto della regina Elisabetta? In quel caso, stiamo dicendo: «È il caso che mi protegga da eventuali attacchi». Dondolare la scarpa sulla punta del piede è un chiaro messaggio sessuale, ecco perché gli uomini ne rimangono così colpiti. Ecco come il corpo di lui ci vuole sedurre e ci parla. Se lo vediamo: - Sistemarsi la cravatta, lisciandola per tutta la lunghezza. - Passarsi un dito nel collo della camicia. - Spazzolarsi gli abiti con le dita o farlo sui nostri abiti. - Toccarsi polsini e orologio. - Stare in piedi a gambe allargate (prima di sedersi a tavola). - Infilare le mani nella cintura esibendo la zona inguinale. - Divaricare le gambe da seduto. - Giocherellare con le chiavi della macchina, l'accendino o con altri oggetti. - Abbassare il tono di voce. Come i maschi di tutte le specie animali, l'uomo di fronte a una potenziale partner si pavoneggia con una serie di gesti. È stabilito che, nei primi incontri, chiacchiera di più, anche con l'obiettivo di mettere a proprio agio e far parlare la donna; proseguendo nella relazione racconta sempre meno di sé e sempre più il dialogo esprime informazioni. Peccato che all'inizio vi parli dei propri sogni e dopo un anno del mutuo. Gli studiosi hanno ormai dimostrato che tutta la strategia di corteggiamento nel maschio umano si focalizza, inconsciamente, sulla zona inguinale. E non servirà a nulla anche al più evoluto intellettuale negarlo: è così. Pensate alle foto che ritraggono muscolosi giovanotti con le mani in tasca tranne i pollici, un chiaro messaggio a focalizzare lo sguardo da quelle parti. Il maschio, persino il più insospettabile, tende inconsciamente a mettere in evidenza l'inguine. Il che può avvenire anche indossando pantaloni aderenti o portando un voluminoso mazzo di chiavi appeso alla vita, lasciando un lembo della cintura penzolare fuori dai passanti. Insomma ogni espediente è utile per darsi quella che gli studiosi di linguaggio del corpo chiamano «sistematina». Noi donne non faremmo mai una cosa simile. E non mancano i signori che si esercitano sotto la tovaglia: l'istinto è troppo forte. A proposito di simboli fallici, se volete misurare l'interesse di una donna (ma non solo), invitatela fuori e spostate appositamente la cravatta di lato: se lei si metterà a raddrizzarla il messaggio sottinteso è «Così sei più in ordine e mi piaci di più». È vero, oggi la cravatta si porta meno, lo stesso esperimento lo potete fare con la «prova pelucco», e questo vale per entrambi i sessi. Appoggiate un pelucco o un granello di polvere su un braccio e state a vedere cosa succede.

Pagina 142

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192811
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 2 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Pagina 359

Ponendo il termometro alla temperatura del ghiaccio che comincia a dileguare , il mercurio o lo spirito di vino si restringe o si abbassa : e lì nel punto ove allora quelle sostanze si fermano si segni zero. Poi s'immerga il termometro nell'acqua bollente; quelle sostanze saliranno, e dove si fermano si segni 80. Ora si divida lo spazio compreso fra 0 e 80 in parti eguali, ed ognuna di queste parti è un grado. Col termometro si misurano dunque esattamente i vari gradi del calore sparso nell'aria e nei fluidi in cui l'istrumento può essere immerso.

Pagina 361

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193737
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Il fiore, così vago e fragrante al mattino, la sera abbassa il capo scolorato sullo stelo insecchito! i nostri parenti, che ci volevano tanto bene, dormono nel cimitero! Ad ogni passo che facciamo per le vie c' incontriamo in una, bara! Tutto ci parla di morte! E tuttavia una voce intima in fondo del cuore ci dice: ma tu non muori; e uno spirito arcano ci solleva da questo mondo di cose fuggevoli, e ci fa sperare una vita, che non deve finire. Materialista di ogni dove, lascia per un momento le sottigliezze de' tuoi sofismi, rientra unistante nel tuo cuore, sorprendi la coscienza de'tuoi voti, e rispondi: trovi in te il desiderio della morte o della vita? Ma la morte è il nulla, da cui abborre il pensiero; e l'infinito è il desìo dell'anima. Se tutto qui ha fine, l'anima deve avere un'esistenza fuori di qui, in Dio cioè, che è l'infinito, il pascolo del pensiero, l'aspirazione dell'anima,,. Queste cose che partivano da una convinzione pro- fonda producevano un effetto maraviglioso in chi ascoltava. E poi senza perdersi in troppo sottili speculazioni teologiche e dogmatiche, si attaccava piuttosto alla pratica della vita, alla morale sociale; commentava storicamente tali e tali istituzioni religiose, come feste e riti; onde non solo faceva l'animo migliore, ma erudiva la mente sì che facilmente si venivano a riconoscere tanti perchè, a cui pel generale non si sa rispondere (1).

Pagina 59

Pagina 93

Nuovo galateo. Tomo II

194919
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ma se qualche gusto sensuale ci cattiva in modo isolato; s'egli acquista la forza d'un vero bisogno; allora egli soffoca ogni altro sentimento e ci abbassa al grado degli animali, i quali in nulla più si distinguono dall' uomo morale fuorché in questa cieca ed assoluta dipendenza da un istinto dominatore. L' esperienza dimostra che gli uomini dotati delle più felici disposizioni, di talenti distinti ed anche di virtù stimabili, s'abbrutiscono del tutto, se troppo imprudentemente all'impeto delle loro inclinazioni sensuali si abbandonano; ed altri non arrivano giammai al grado di perfezione intellettuale e morale al quale sembrano chiamati dalla sensibile superiorità de' doni che dalla natura avevano ricevuto. Osservate Antonio, pensate all'eminenza del suo genio come guerriero, come oratore, come politico, e ricordatevi la vergogna e l'infelicità del suo destino. Antonio sarebbe forse stato uguale a Cesare, certamente vincitore d' Ottavio, se meno dall'impeto del suo temperamento si fosse lasciato dominare e da' suoi gusti sensuali. Tra tutte le sensualità quelle che più istupidiscono lo spirito, sono l'ubbriachezza e la ghiottoneria. Combinando gli antecedenti riflessi colle idee esposte nel capo 1.°, non resteremo sorpresi, se, rimontando il corso de' secoli, ritroveremo l'ubbriachezza e la ghiottoneria dominanti presso tutti i popoli barbari e semi-barbari, principalmente ne' climi freddi, uniti ai sozzi e feroci vizi che le accompagnano. 1.° (Secolo XVIII) Nelle isole occidentali della Scozia si riguardava come atto di coraggio il bere finché si fosse ubbriaco. Gli abitanti occupavano 24 e talvolta 48 ore a bere. Alle porte di queste orgie si trovavano due uomini muniti di barella, i quali l'uno dopo l'altro trasportavano gli ubbriachi alle loro case. In Edimburgo (almeno sino al 1779) davasi tutti gli anni un concerto per soscrizioni nel giorno di Santa Cecilia. Le più belle dame della città vi erano con speciale biglietto invitate. Dopo il concerto i soscrittori si univano in una taverna e cenavano insieme. Collocavasi sulla tavola una cassetta la quale portava il nome d'Inferno. Si presentavano i biglietti delle dame che avevano assistito al concerto, e l'una dopo l'altra si proclamavano. I biglietti di quelle che non trovavano alcun campione pronto a bere per salvarle, venivano gettati nella cassetta; e quegli che beveva di più (purchè potesse terminare quella bravura bevendo in un solo fiato un gran bicchiere che chiamavasi S.Cecilia, e che d'ordinario rovesciava ubbriaco sul suolo il bevitore più potente) era autorizzato ad andare il giorno appresso dalla sua dama, presentarle il suo biglietto, gloriandosi d'avere avuto l'onore d'ubbriacarsi per salvarla. Ciò che é più strano si è, che quand'anco ella non avesse avuto relazione alcuna con lui, egli era sempre ben accolto, gentilmente ringraziato, ed invitato a rinnovare le sue visite a suo piacere. Ho conosciuto delle dame, dice Odier che racconta il fatto, in onor delle quali uno di questi bravi avea bevuto 17 in 18 bottiglie di punch (giacché non il vino, ma il punch serviva a questo stravizzo), e le quali altamente se ne gloriavano. Le Grand d'Aussy che scriveva verso la metà del secolo XVIII, ricordando l'antico costume vigente in Francia di costringere i commensali a bere, e le leggi che lo condannarono, aggiunge: « II tempo non ha potuto guarirci di questa riprensibile » stravaganza. La si trova tuttora in molte » parti del regno ed in più d'una classe. Fu anche » un tempo in cui, quando taluno assisteva ad un » pranzo di bevitori, e ricusava di bere come essi, » il costume voleva che gli si tagliasse il cappuccio » a segno d'insulto». Anche dopo la metà del suddetto secolo i Francesi cantavano a mensa una canzone, ciascun ritornello della quale in ciascuna strofa, citando Ipocrate, dichiarava

Pagina 195

Le buone usanze

195727
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Chi parla guarda in viso chi ascolta; si fa subito giudicar male una persona che abbassa gli occhi fuori tempo e sfugge lo sguardo. Saper ascoltare è forse più difficile che saper parlare; ci vuole mente, una gran pazienza, molta bontà e una buona dose di educazione per non interrompere fuori tempo, e sopportare racconti forse noti o già uditi, e ci vuole intelligenza per supplire alle lacune e saper trovare la risposta adatta a secondare chi ha parlato, e a dimostrare d'aver seguito il pensiero o capito l'intenzione del discorso. Specialmente i giovani debbono ricordare questo dovere, forse talvolta penoso, verso persone di età avanzata. Il contraddire sistematicamente è cattiva educazione, ma è anche male l'approvazione continua, che prova o indifferenza o cortigianeria, che può venire molto male interpretata. Non si interrompe chi parla e, dovendolo fare, si abbia la cortesia di premettere una parola di scusa. È scortese dire parlando: avete capito? È meglio dire: mi spiego? Sono oltremodo noiosi gli intercalari che ritornano ad ogni frase; ed è anche una mancanza di educazione. Sono pure da evitarsi i sorrisetti maliziosi, o peggio le risate sfacciate, quando alcuno racconta cosa che a noi sembra assurda. Sentendo dire una cosa sconveniente si può con una parola delta a tempo troncare il discorso ed evitare l'imbarazzo in cui può trovarsi qualcuno presente. Questo è ufficio della padrona di casa; la donna ha più tatto in simili cose e tocca a lei impedirle nel proprio circolo. È mal fatto introdurre parole straniere nel proprio discorso, ripetere ad ogni istante: signore, signora, conte, marchese, ecc.; sono ridicole le donne che passata una certa età, adoperano frasi infantili, intonazioni di voce che ricordano il grembialino e la veste corta, sono pesanti quelle che per mostrarsi versate in tutte le scienze e le arti, adoperano termini tecnici; così cagionano noia i continui motti di spirito, i giuochi di parole, ecc. Non parlo poi dell'uggia che mettono addosso gli uomini che parlando delle proprie mogli, dicono: la mia signora, invece di dire semplicemente: mia moglie. Ma che vuol dire mia signora? non è gonfio, e pretensioso? Preferisco quasi i contadini i quali dicono addirittura: la mia donna. Siamo semplici, sinceri; in questa frase invalsa nell'uso c'è assolutamente un errore di sentimento, un errore morale. Gli scherzi troppo spinti sono di pessimo genere; una persona giovane non se li permetterà mai con una più avanzata negli anni; un uomo poi si mostrerà scortese addirittura permettendosi con una signora una parola di dubbio senso, un'allusione, non dico sconveniente, ma anche semplicemente equivoca. Non vi è nulla di più difficile che aver dello spirito; è una di quelle eccellenti doti che non ammettono mediocrità, e sforzandosi a mostrarne si corre il rischio di diventar volgari. La donna specialmente deve mostrare, nella conversazione, più sentimento che idee, più grazia che sapienza, più bontà che argutezza, se vuole che gli uomini cerchino la sua compagnia. Questi dal canto loro hanno torto quando vogliono imporre il racconto dei loro affari ad un circolo di persone riunite per divertirsi; ma ha maggior torto una signora la quale non pensa che colui che la intrattiene ha cercato la sua compagnia appunto per distrarsi dalle sue cure quotidiane, e affligge, per esempio, un ingegnere, con minute interrogazioni sulle sue macchine, un pittore sui suoi quadri, un uomo politico sulle vicende della Camera, o del Senato. Per caper parlare occorre molto tatto, molta finezza e prudenza: tra un chiacchierone e un taciturno, avrà più amici e simpatie quest'ultimo, che piuttosto di parlare a vanvera non dice niente. Per discorrere bene occorre anche un bell'organo vocale, e a questo devono badare le madri avvezzando i loro figliuoli, fino dalla prima età, a non sforzarlo, ad evitare tutto ciò che indebolendolo toglie ad esso la limpidezza, in sonorità, l'argentino che tanto piacciono a chi ascolta.

Pagina 154

Galateo morale

196294
Giacinto Gallenga 3 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ond'e che la giustizia viene altamente compromessa dal magistrato che abbassa a fautrice d'ire partigiane e di vendette di potenti. Gli elementi della giustizia non si devono cercare in quelli delle basse passioni; come non devono né i giudici, né gli avvocati, né i testimoni ricevere le ispirazioni e tanto meno gli ordini di quei bassi fondi sociali, la esistenza dei quali e la forza poggiano essenzialmente sul mistero, sulla simulazione e sulla corruzione A questi pericoli alludeva il poeta milanese nella sua bella canzone ai caroccee e fiaccaree. Facciam voti che la favola non al traduca giammai, per parte dei nostri tribunali, in istoria. La giustizia de sto mond La someja a quij ragner Ordii in longh, tessu in redond, Che se troeuva in di tiner. Dininguarda ai mosch, moschitt Che ghe barzega on poo arent, Purghen subet el delitt Malapenna ghe dan dent. A l'incontra i galavron Sbusen, passen soma dagn, E la gionta del scarpon La ghe tocca tutta al ragn. PORTA, Poesie milanesi. Vorrei vederlo, il magistrato, sempre calmo e sereno nell'adempimento delle sue terribili funzioni. Esso deve far mostra sempre della massima fermezza e, senza attentare alla libertà della parola, contenere per altro nei limiti della decenza tanto l'accusa quanto la difesa. L'animosità, l'impazienza di cui taluno potesse dare segno contro i difensori o peggio contro gli imputati, qualunque segno di approvazione agli argomenti del pubblico Ministero non potrebbero a meno di destare una penosa impressione in chi li vede ed ascolta, e far sorgere talvolta dei dubbi ingiuriosi sull'imparzialità dei loro giudizi. Maxima est pars justitiae patientia, diceva già il sommo Cicerone. Rifletta il magistrato che con un giurì, come avviene talvolta, composto in gran parte di uomini poco istruiti ed impressionabili, il suo riassunto artificioso e passionato può determinare per se solo un verdetto di morte; poiché se i giurati sanno fino ad un certo punto premunirsi dall'eloquenza dell'accusatore pubblico e del difensore, non egualmente lo sapranno contro l'eloquenza del magistrato che essi suppongono naturalmente imparziale. Non dimentichi mai, il magistrato giudicante, il bell'avviso che gli dà il Cousin: «La carità deve intervenire anche nella punizione dei delitti; oltre al diritto di punire la società ha eziandio quello di correggere; il colpevole è ancora un uomo, e non già una cosa di cui essa possa sbarazzarsi dall'istante in cui le nuoce, una pietra che ci cade sul capo e che ci è lecito di gettar nell'abisso per toglierle ogni possibilità di recarci alcun danno». (V. COUSIN, Justice et Charité).

Pagina 256

E così d'un uomo a pochi danari, ma onesto, che tratta bene con tutti, che parla pulito, che ragiona a modo, che non si abbassa a fare nè a ricevere sgarbatezze, sapete cosa dice l'uomo del volgo col suo buon criterio? «Vedi la! non ti par egli un signore? - Se lo è! - risponderà benevolo il camerata - quanto meriterebbe d'essere ricco!».

Pagina 26

Pagina 325

Galateo della borghesia

201788
Emilia Nevers 1 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Per uomini, il lutto pesante consta di vestiti neri, alta fascia di velo nero sul cappello, cravatta di battista bianca; per mezzo lutto si abbassa la fascia del cappello e si mettono gilè bianchi e guanti grigi. I militari, pei lutti di famiglia, mettono una fascia di velo nero al braccio, poi lutti patrii un velo alla spada. Chi è in lutto fa listar di nero la propria carta da lettera, nonchè i biglietti di visita. Non assiste nè a matrimoni nè a funerali. Pei divertimenti la regola è di rinunziare, durante il primo periodo del lutto, a teatri, balli, concerti, pranzi e veglie, e nel secondo soltanto ai balli. Per esaurir affatto questo triste argomento, dirò che gli annunzi vanno fatti con la massima semplicità, sebbene sia lecito che ne trasparisca il dolore della famiglia. Così pure nei cenni necrologici bisogna evitare lo stile ridondante, ampolloso, le lungaggini, le esclamazioni: bisogna essere sobrii più che possibile. È sempre cortese in chi sa tener la penna, onorare di una parola, d'un ricordo le persone amiche che muoiono, e quell'attenzione torna specialmente grata alla famiglia, come pure i discorsi pronunziati al cimitero. L'enfasi va evitata del pari nel discorso..... e perfino nell'epitaffio. Nulla è più funebremente ridicolo che certi panegirici che si leggono sul marmo. La morte, nella sua austerità grandiosa, richiede stile semplice e severo. Certe pompose liste d'epiteti, che sono uno sfogo di vanità e nulla più, ci lasciano freddi, mentre siamo invitati al pianto da poche parole che dipingano con verità l'affanno dei derelitti, la morte precoce d'una fanciulla, una di quelle disgrazie, insomma, che colpiscono tutta una famiglia di dolore inconsolabile. Chi lo può, si faccia comporre l'epitaffio da un uomo di lettere o lo componga da sè con l'inspirazione del cuore; non prenda, dal primo marmorino venuto, delle formole trite e ritrite, come prende il marmo del monumento. E sulle tombe, per semplici che siano, non manchi mai un fiore, viola o mortella, che dica come l'affetto duri nei superstiti e la memoria del perduto sia sempre onorata. Un fiore rugiadoso sarà più elegante che le ghirlande di perle o le corone di fiori artificiali. Così, perfino nell'ultima sua dimora la persona per bene può manifestare le sue tendenze. Chateaubriand venne molto censurato per aver voluto che gli fosse cimitero la roccia di St-Malò, mentre tutti apprezzano gli uomini che raccomandano la semplicità pel loro funerale. Si trova ora molto spesso nei testamenti la raccomandazione di non portar lutto e di non astenersi dal frequentare la società. È una delicatezza da parte del testatore che non vuole, nemmeno in morte, arrecar noia ad altrui. Chi riceve un legato deve, come e più di chi riceve un dono, mostrarsene soddisfatto, ed è cosa assolutamente gretta e biasimevole il lagnarsi se un'eredità non corrisponde ai nostri desideri. La maldicenza deve rispettare chi non è più. È cosa codarda aggredire colui che non può più difendersi - cosa crudele serbar rancore oltre la tomba. Chi ha trasgredito le leggi del bene è già punito dal non lasciare « quell'eredità d'affetto » che è la « gioia dell'urna ». Gli si conceda almeno il silenzio della pietà.

Pagina 113

Le buone maniere

202456
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

La clemenza e l'umiltà sono due virtù ma dipendono da una stessa passione - l'orgoglio; fra esse v'ha questa differenza: che la clemenza esalta il nostro amor proprio e l'umiltà lo abbassa. Ora la scelta è troppo facile fra queste due; ciascuno ama la parte del vincitore più che quella del vinto, siano pure due forti uomini come Carlo V e Francesco I. Colui che sa innalzarsi può giungere a sedere cogli Dei; ma solo ne è degno chi sa comprimerne in sè stesso il desiderio o l'aspirazione. L'uomo bene educato sarà sempre pronto a difendere una donna sola insultata per la strada, a soccorrere un poverello a cui cadesse il bastone o la stampella o il vento portasse via il cappello, anche quando fosse coperto di luridi cenci; e a condurre a casa un bambino smarrito. Esso non reputa cosa vile la pietà che i più Infelici di noi destano nei cuori, innalza fino a sè gli umili, dissimula i risentimenti personali all'altrui presenza e seduto a mensa col suo nemico in casa d'altri, non lo punge nè lo irrita con allusioni pericolose. Egli sta al corrente delle notizie anche indifferenti, quel tanto che basta per potere mettere i suoi amici e conoscenti al contatto di sè medesimo e degli altri; e raccoglie la voce pubblica per sapersi regolare con prudenza e con moderazione, non dimenticando che la voce del popolo, se non è sempre la voce di Dio, è nella maggior parte dei casi la vera pietra di paragone per conoscere i caratteri e i cuori degli uomini. Combatte le calunnie scagliate dagli invidiosi e le insinuazioni dei malevoli a viso aperto, quando può. E quando può, deve; quando non può e non sa, sta in quella forma di forte silenzio per cui a non spuntare gli strali, attutisce il rumore e diminuisce l'urto dei colpi. Non ignorando che una sapiente leggenda tolse dalla costola sinistra del suo cuore, dove si crede abbiano sede gli affetti, la donna, egli la tiene in quel rispetto che rivela un animo gentile ed amoroso, senza sdolcinature, ma evitando quello che ha l'aria di un imperativo, il quale nella crescente civiltà è diventato un vecchio e incomodo elemento di tirannide morale, rifiutato dal progresso e dalla ragione. E posto al contatto di donne loquaci e litigiose o importune si solleva al di sopra delle piccole questioni inevitabili nella vita, con quella fortezza, senza di cui un uomo non potrà mai credere di essere bene educato.

Pagina 87

Il galateo del contadino

202960
Miles Agricola 1 occorrenze
  • 1912
  • Casalmonferrato
  • Casa agricola F.lli Ottavi
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ora sta appunto alle nuove generazioni di contadini più svegliati e più evoluti di quelli di altri tempi passati lo smentire questa credenza - purtroppo generale - che abbassa il livello della classe. Ma come? Il come è presto detto: abituando i contadini ad osservare il «galateo». Il galateo? Ma che cos'è il «galateo»? Sono le regole sommarie della buona educazione, del modo di contenersi in tutti gli atti della vita, del vivere civile, della buona società. E forse che anche i contadini non hanno il diritto e il dovere di vivere fra loro secondo le regole della buona creanza come tutti gli altri uomini? Anzi appunto perchè essi sono maggiormente osservati e criticati da questo punto di vista, essi sentono maggiormente il dovere di osservare le buone regole del «galateo». Il quale per quanto sia comune a tutti i viventi, ha tuttavia per una classe così numerosa di persone qualche lato speciale,che è bene far rilevare. Ecco perchè io credo utile scrivere in poche pagine «il Galateo del contadino», destinato a dirozzare, ed ingentilire una benemerita classe di persone che vivono un po' diversamente dalle altre e che pur contribuiscono tanto alla floridezza del paese. Leggete, miei buoni amici, questi modesti consigli e fatene buon pro',poichè ciò servirà e a beneficio vostro e a vantaggio della vostra classe.

Pagina 3

Eva Regina

203559
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 4 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Poichè ella non si abbassa, ma eleva tutto sino a lei, come la fata che può trasformare in gemme la materia più vile. Quindi, o una posizione fortunata le permetta di sorvegliare solamente ; o una posizione modesta la costringa a fare da sè, non dovrà mai rinunziare a rimanere la signora, la regina della casa. Disinteressandosi d'ogni regola d' andamento, come scendendo al grado di serva, la sua casa resterà in egual modo priva di direzione. E chi potrà sostituirla nelle cure dirette o nel pensiero vigile, dall' alto ?

Molte poesie, molti delicati riguardi che avrebbero potuto durare, si sono dissipati nel matrimonio a motivo di questa camera comune che abbassa l' amore alla sua semplice funzione di riproduttore della vita. Vi sono certi pudori che una donna di fine educazione non può sacrificare nemmeno al proprio marito; vi sono promiscuità ripugnanti, specialmente fra esseri il cui organismo è così diverso e dà abitudini e necessità così differenti. E poi l' indipendenza individuale è offesa continuamente dai gusti e dalle consuetudini spesso opposte : al signore piacerà dormire al buio, alla signora tenere il lume ; il marito avrà l' abitudine di fumare una sigaretta prima di prender sonno, alla moglie darà noia l' odor del fumo; l' uomo soffrirà il caldo e non sopporterà che coltri leggere, la donna sarà freddolosa e vorrebbe addosso una montagna ; qualche volta l' uno o l' altra vorrebbe leggere un poco ; il coniuge che non capisce questo gusto si lamenta. Poi l' uno rincasa tardi e sveglia l' altra ; lei vorrebbe alzarsi presto e si sacrifica per non svegliar lui; insomma, a pensarci bene, è un conflitto continuo, preludiante spesso a divergenze più gravi. E la vita ha già tante noie, costringe già a tanti sacrifizi, che non mi pare giusto nè ragionevole che si debba fabbricarne apposta quando si potrebbe farne a meno.

Pagina 293

Mentre il lavoro non umilia, ma nobilita : non abbassa, ma innalza, perchè è pace, conforto, dovere. Una madre di numerosa famiglia non può, convengo, lasciare in abbandono la propria casa per attendere a un lavoro estraneo che non le renderebbe quanto la sua poca sorveglianza detrae ai suoi ; ma se una donna che possa farsi aiutare da qualche parente nelle cure domestiche, o possa sbrigarle in breve, trova qualche ora libera, che male c' è se le impiega a dar lezione, a ricamare, a dipingere, a far fiori, a scrivere a macchina, dietro un compenso, piuttosto che uscir a zonzo a far dei vani desideri dinanzi alle vetrine o recarsi in qualche salotto a far della maldicenza? Conosco una signora in posizione modesta, la quale dando lezioni di pianoforte raccoglie in capo all'anno una sommetta che le permette di passare un mese al mare coi suoi bambini senza ricorrere al portafogli del marito. Ella dona ad essi salute e vigore, a sè un igienico riposo, fine che non potrebbe conseguire se non si adoperasse o che costerebbe al suo compagno un non lieve sacrifizio. Conosco un' altra signora che provvede le sue toilettes col ricavo d' un' industria ch' ella medesima ha iniziato e dirige attivamente. Una delle mie più care amiche seconda il marito nell'insegnamento, contribuendo e non per poca parte, al benessere della sua famigliuola. Inoltre questi guadagni conferiscono alla donna una libertà maggiore, mentre è sempre un po' umiliante per essa dover ricorrere per ogni più piccola spesa, al marito che tante volte fa pesare il beneficio. Il modo per aumentare le proprie rendite, non è però sempre in un accrescimento di guadagno. Consiste anzitutto nella regola, nel risparmio, nella previdenza ed anche... nel coraggio.

Pagina 326

Ma potrà ben astenersi però, senza danno della sua coltura artistica e letteraria, dall' intervenire alle antiestetiche e sconce pochades nelle quali l'arte non ha molto a vedere; dove l'interesse, l' intreccio, lo spirito, non hanno altra base o altro fine che quello di un istinto animalesco e grossolano, che ottunde ogni visione serena e abbassa il livello morale all'infimo grado. Come una donna, d'educazione raffinata e d' animo nobile, non si soffermerebbe ad udire con compiacenza il racconto di barzellette da osteria, o eviterebbe di entrare in una sala, sulla fine d'una cena di scapoli, anche con la sicurezza d'essere materialmente rispettata : o non tollererebbe nei suoi ricevimenti discorsi troppo arditi, così non deve recarsi là dove la sua anima muliebre può ricevere impunemente le più brutali offese. E quest' astensione deve essere fatta semplicemente, senza ostentazione di pruderie, senz'aria di dar lezioni di morale e di contegno, senza mostra di sacrifizio. Risponda, a chi la richiede, che quello spettacolo « non la interessa » e basta. Una propaganda libera, confidenziale, nascosta, da amica ad amica, da signora intelligente a piccola borghese che non sa e non ha il dovere di sapere, ritengo che basti. Delle signorine non parlo, perchè mi pare impossibile che possano esistere delle mamme così sciocche, così depravate o così ingenue da condurre le proprie figliuole a certe scuole di costumi : come mi sembra degradante per una madre il lasciare dietro di sè la figlia giovinetta per recarsi dove si vergognerebbe di averla seco. Lo stesso dico per i Cafè-chantants, gli Eden e simili, che io non vorrei mai veder frequentati da signore e da signorine per bene, se anche accompagnate dai loro mariti o genitori.

Pagina 420

Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205500
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Si corica a terra un tralcio per riempiere qualche vuoto nei filari, o si abbassa l'intero ceppo per ringiovanirlo. Si fa anche mettere radici ad un ramo, lasciandolo, com'è, sulla pianta, e fasciandolo solamente alla base con terra fresca. Questa è la margotta; che poi si taglia, quando la nuova pianticella può vivere da sè. Molte piante legnose si moltiplicano per via di polloni. Così si chiamano i rampolli che sorgono dalle radici, o dal ceppo, per esempio, del castagno, del pruno, del faggio, ecc. Si riproducono anche talune piante per tuberi, per gemme, per radici, ecc. Quando si vuole ingentilire una pianta, o addomesticarla, si ricorre all'innesto. L'innesto è un bottone, o germoglio, con gemme che, staccato da una pianta, ed inserito convenientemente su un'altra, vi fa presa, e crea sulla pianta innestata, o soggetto, una pianta nuova, come farebbe, se vivesse da sè nel terreno. DOMANDE: 1. Come si riproducono ordinariamente le piante? 2. Con quali altri mezzi l'agricoltore moltiplica le piante? - Che cosa è la tàlea? - La barbatella? - La propaggine? - La margotta? - Il pollone? - L'innesto?

Pagina 19

La freccia d'argento

212216
Reding, Josef 2 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

La sua voce si abbassa di tono, ma si fa più imperiosa e cattiva. - Dunque, il primo argomento sono i miei pugni, che ti pianto subito nel mostaccio, e l'altro è una parolina in un orecchio alla polizia, a cui interesserà sapere chi è quel ragazzo che di notte ha trafugato la bandiera del Municipio, che poi non si è più ritrovata. - Maledetto! - geme Jörg. - Ma sei stato tu a esigere da me quella prova di coraggio prima di ammettermi nella banda! - Hai delle prove? Hai testimoni? Lo vedi, dunque! Jörg stringe i pugni furibondo, ma è completamente disarmato. Ede li tiene tutti in suo potere. Dopo quel facile trionfo, Ede, che sa di aver ottenuto l'effetto desiderato, impartisce i suoi ordini senza che nessuno fiati. - Allora dopodomani, di notte!... Alla medesima ora dell'altra volta. Però prenderemo le chiatte e dal canale punteremo dritti sul capannone. Ma attenti? I mocciosi hanno messo le sentinelle. Saranno sopraffatte senz'altro. Portate anche i vostri randelli, intesi?... E ora filate! Ede armeggia ancora un poco nel locale. Anche questa volta è lui che se ne va per ultimo. Apre la porta: uno scialbo raggio di luna si insinua nella cantina e va a cadere sul teschio Guarda, guarda! Sotto il teschio ora c'è un solo pugnale!

Pagina 32

Ora Ede si accosta alla Freccia d'argento e lentamente abbassa la fiaccola: oh, poter prolungare all'infinito questo istante di trionfo!... Con un'imprecazione soffocata Ede dà un balzo indietro... L'alta fiamma guizzante, che già lambiva la Freccia d'argento, si spegne friggendo fumosa in un mastello pieno d'acqua, ed Ede- mastica-gomma si acquatta dietro l'armadio degli attrezzi. Se lo scoprissero! Se si venisse a sapere chi ha tradito la parola data! La sua stessa banda lo rinnegherebbe e gli sputerebbe in faccia! Egli però teme ancor più i pugni di coloro che in questo momento armeggiano alla porta: vigliacco com'è, se ne sta là, dietro l'armadio, tremando come una foglia. - Alo è un disgraziato! Un vero «svitato»! Due serrature ha montato sulla porta! - bofonchia Mikro dal di fuori. La porta si spalanca. - Ehi, babbuino, dove hai cacciato il pane? - Puah! Ma qui c'è puzzo di bruciaticcio?... Il pane è lassù sulla mia cuccetta. Io però... allungami il faro, svelto! Crac! Bum! Burumbumbum! Una lunga ombra misteriosa li sfiora e con fracasso si precipita fuori. La porta vien richiusa di e già le serrature stridono. Ma Mikro e Makro afferrano al volo la situazione e come un sol uomo si buttano a catapulta contro la porta. Il timore di dover star rinchiusi tutta la notte centuplica le loro forze. Non che abbiano paura di passare una nottata qui soli, tutt'altro! Sarebbe anzi quel che fa per loro: un'avventura emozionante! Ma se domattina papà Kroppke dovesse andare al lavoro senza le sue solite pagnotte, che gragnuola di colpi pioverebbe sulle retrovie! Quando papà Kroppke comincia a menar le mani... Dio ce ne scampi e liberi! Dunque Mikro e Makro si buttano con tutta la loro forza contro la porta, e così svelti che Ede non ha nemmeno il tempo di dare un giro di chiave. Uno strattone... e di fuori risuona un urlo selvaggio. - L'amico si è pizzicato le zampe! - esclama Makro. - E ora, dietro! Quando riescono a spalancare la porta, quell'ombra che a gran balzi si allontana nella notte non si distingue ormai più. - Che affare sporco! - sbuffa Mikro, aspirando l'aria tra i denti per il dolore: nel buttarsi contro la porta si è ammaccato una spalla. - Razza di mascalzone! Chi sarà stato quel vigliacco? Ora Mikro e Makro sono ben contenti che il babbo li abbia costretti a fare quella maratona per via del pane, e in fretta e furia tirano a sorte chi debba rimanere qui la notte a far la guardia. Chissà che a quell'individuo non venga in mente di calarsi di nuovo dal foro del tetto! - Ambarabàm ciccì coccò, tre civette sul comò... Ambarabàm ciccì coccò! Tocca a Makro. Mikro allora afferra la rete con le pagnotte e a gambe levate corre verso casa.

Pagina 63

Quell'estate al castello

213704
Solinas Donghi, Beatrice 1 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

. - O dama che t'affacci al marmoreo verone e contempli le nuvole del cielo e gli ucc... e gli augelli erranti, deh abbassa lo sguardo... - ... plin plin... - ... plin plin, su me che ai piedi dell'eccelsa tua torre consumo le ore, plin plon plon, plon plon plin, in attesa di vederti apparire. Come il sole tu sorgi, o dama gloriosa.... Mi veniva proprio benino e ci stavo prendendo gusto, quando, patatrac! chi ti esce fuori come se niente fosse da un vialetto tra le siepi delle ortensie? Il conte Ottavio, che, si vede, aveva fatto anche lui un giretto nel parco invece della siesta. Il «plin plin» che avevo già pronto non mi usci piú. Rimasi cosí, a bocca aperta, immobilizzata nel gesto di suonare il liuto, come se giocassi alle belle statuine. Il conte tirò su fino in cima alla fronte un sopracciglio color sabbia e ghignò di nuovo sotto i baffi. Non mi ero sbagliata: aveva proprio una faccia umoristica. - Amabili diporti di gaie e sciocche pulzelle, - disse, parlando anche lui alla medioevale, ed entrò in casa. Avrei voluto sprofondare, non mi ero mai sentita cosí scema in vita mia, però un po' mi veniva anche da ridere. Ippolita era sparita dal verone, voglio dire dal balcone, e siccome non si faceva piú vedere entrai anch'io per cercarla. Cominciava allora a scendere, cosí che la incontrai sullo scalone. Era tutta tirata in faccia, come succede quando si è presa una grossissima arrabbiatura. Io non capivo

Pagina 23

I miei amici di Villa Castelli

214329
Ciarlantini, Franco 1 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

IL MERLO E IL PASSERO Un Merlo disse al Passero: - Guarda che quando l'uomo si abbassa e raccoglie qualche cosa per terra è certo che prende un sasso per tirartelo. Quando lo vedi in quella posizione scappa pure, ch'è assai meglio per te.... - E Passero rispose: - E se il sasso lo avesse già in tasca? Io mi fido poco, perciò sta' sicuro che appena vedo l'uomo volo via senza aspettare che si chini per terra. - Si dice che il passero sia più furbo del merlo.

Pagina 65

Pane arabo a merenda

219832
Antonio Ferrara 1 occorrenze
  • 2007
  • Falzea Editore
  • Reggio Calabria
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

L'autista, ignaro di ciò che gli capita sopra la testa, mi guarda con la faccia chiusa come un pugno, abbassa il vetro del finestrino e sibila tra i denti: - Grazie, il parabrezza me lo pulisco da solo! Subito dopo scatta il verde e la macchina riparte. Noi pure. Nerone tiene la borsa saldamente tra i denti e le zampe ben larghe, nel tentativo di rimanere in equilibrio sul tetto della vettura. Una vecchietta con la borsa della spesa si volta a guardare la scena e scuote la testa: - Non sanno più cosa inventare, quelli della pubblicità!

Il romanzo della bambola

222072
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

. - Creda, anzi, che non è affatto cara - rispose subito il commesso - perché, osservi bene, è tutta di pelle di guanto carnicina; muove le gambe, le braccia, la vita, come si vuole; gira la testa, alza e abbassa gli occhi; ha i capelli veri, non di seta, sa? Chiama Mamma! tirando questo spago, vede? E dice anche T'amo!, tirando quest'altro. Poi non ha soltanto questo vestito; ha un ricco guardaroba; adesso glie lo mostro. Vede? Un abito da corse, di seta scozzese, col cappello grande guarnito di penne di struzzo; una veste da casa di crespo della China color limone e frange...; un abito da visita di velluto marrone ricamato d'oro, col cappello pure di velluto e penne di struzzo... - Va bene, va bene - l'interruppe il compratore - questo lo vedrà e lo ammirerà la mia bambina. Ma il commesso riprese: - Quanto al corredo di biancheria, è tutto di tela batista finissima, guarnito di pizzo vero!...vero, creda... - Lo credo, lo credo. - Sta in un baulino coperto di velluto, ch'è anch'esso un mobilino elegante... Vede, dunque, signore, che non è caro, tutto insieme... Il signor de' Rivani sorrise di nuovo, e pagò. Quando si trattava di far piacere alla sua Marietta, nulla gli pareva un sacrifizio. - Eccomi venduta! - pensò tra sè la bambola, mentre la involgevano delicatamente nella carta velina e la mettevano dentro una grande scatola di cartone piena di ovatta, come in un letto morbido e sicuro. E durante il viaggio da Milano a Roma, ch'ella fece sempre accanto al signor de' Rivani, stette come in un dormiveglia curioso, in cui alle memorie del passato s'univan le fantasticherie dell'avvenire. A dir vero, le memorie di codesta bambola non erano molte nè fino allora interessanti. Non avrebbe saputo precisare da quanti giorni o da quante settimane era nata: ma doveva essere al mondo da poco tempo, perchè tutto in lei era d'una modernità estrema. Si ricordava vagamente un grande laboratorio con tante donne che tagliavano, cucivano; cucivano, tagliavano... Il corpicino di lei, coperto, come aveva detto il mercante, d'una sottile pelle rosata, con le sue molle per giunture e un meccanismo nella pancia che le faceva dire due parole, a uso pappagallo, s'era completato con una testolina d'una leggiadria rara, abbellita da due larghi occhi azzurri di vetro. E quando ella ebbe su le spalle quella testolina dalla folta capigliatura bionda come il grano, sentì di aver acquistata un'anima; un'anima piccola, sì, molto soffocata tra la segatura che le riempiva il corpo, e impotente a manifestarsi in un movimento spontaneo, nella più leggiera vibrazione de' muscoletti di acciaio, ma, in fine, un'anima che aveva sensazioni piacevoli e dolorose, sentimenti d'affetto e d'avversione; qualche cosa tra l'anima de' fanciulli e quella delle povere bestie, che nè anch'esse possono parlare. A mano a mano che l'avevano vestita e fatta bella, la pupattola avea capito di poter fare un giorno o l'altro buona figura nel mondo; intorno a lei, nell'accomodarle addosso stoffe di seta e trine, c'era chi aveva detto: - È una principessina! - Allora, se lo confessava, le era venuta un po' d'ambizione; e l'ambizione era cresciuta quando ella fu posta quasi al centro della vetrina sfolgorante di luce, dove era rimasta esposta quattro o cinque sere davanti al pubblico estasiato della sua personcina. Guardava gli altri fantocci con superiorità. Non erano, certo, le contadine brianzuole quelle che potevano rivaleggiare con lei! Una marchesa del settecento appariva gentile nel suo gonnellino drappeggiato a fiorami e nastri rosei; una suora della carità era un modello d'esattezza, quanto al costume; ma la monaca, povera, s' intende, come tutte le monache, non aveva corredo; la marchesa aveva un lettino, non altro; Io scimiotto... Oh, lo scimiotto era un giocattolo per un maschio: come il cane barbone, come la carovana dei Beduini e tanti, tanti altri giocattoli. Dunque, lei era lì in mezzo una principessina; questo era vero; e non si curava di certe occhiate un po' canzonatorie che le dava il vecchietto dall'oriolo, scrollando il capo bianco davanti alla superba creaturina. Erano venute, in que' giorni, parecchie signore con delle bambine vogliolose a domandar di lei, ma nessuna se l'era portata via; a causa del suo prezzo, enorme per una pupattola. Chi, dunque, poteva essere il signore che l'aveva comprata? Pareva buono, e doveva esser più ricco di molti altri; sopra tutto si vedeva ch'egli adorava la sua figliuoletta, se per lei non badava a far certe spese. E la bambina, come l'avrebbe trattata? Purché non le avesse fatto troppo male! Le tornava in mente, a questo proposito, che nel nativo laborotorio, mentre la stavano vestendo, era stata riportata una bambola comprata due giorni avanti, alla quale la piccola padrona aveva aperto la pancia con le forbici, per vedere che cosa la facesse parlare quando le si tirava lo spago. Aveva tutto il ventre squarciato, la poverina, e versava segatura come gli uomini feriti versano sangue. Non si poteva accomodarla che male, disse una lavorante tra le più brave; e la pupattola era stata messa in un angolo, con le braccia aperte, come una morta... Brr! Uno strano brivido senza scossa apparente raggricciava la bella bambola! Dio mio, se anche a lei fosse toccata una sorte cosi infelice, quali sofferenze non viste, non intese, non indovinate da nessuno avrebbe dovuto sopportare. Chi mai, al mondo, sa quanto patiscono tante cose che ci sembrano insensibili? Cosi ragionava, tra' suoi sogni, la bambola, nell'oscurità della scatola, dove giaceva supina, immobile, in un rumore assordante, mentre il treno correva traversando tanto paese. Ogni volta che si fermavano a una stazione, ella credeva d'esser giunta a Roma; ascoltava, attenta, delle voci confuse... Ma no, no, non era Roma. E il treno ripigliava, rapido, il cammino; e il rumore, simile al brontolio cupo del tuono, ricominciava. Come Dio volle venne la volta in cui udì gridare: - Roma! Romaa!! - e di lì a un momento: - Avanti l'uscitaa! Ah, finalmente, erano giunti! La scatola della bambola venne afferrata da una mano ruvida. Era, certo, d'un facchino. - Fate piano! - esclamò la voce del signore che l'aveva comprata. D'improvviso, sonarono dolci parole interrotte da baci, da domande che s'incrociavano: - Babbo mio! - Ben arrivato! - Ben trovate, care! - Come stai? Hai fatto buon viaggio? - E voi, come state? - Come sono contenta, babbo! - Anch'io, tesoretto mio! - È la bambina alla quale son destinata! - pensava la pupattola. - Dimmi, babbo, m'hai portata una cosa bella, bella? - chiese la Marietta quasi a mezza voce. - No, me ne sono dimenticato - le rispose il padre, per celiare. - No, non è vero! Tu non ti scordi di me! - gridò la piccina con accento di sicurezza. Il babbo rideva, ripetendo: - Birichina, Io sai, eh? - È lì dentro a quello scatolone, babbo? - ripigliava la Marietta, messa in curiosità. - Non ti voglio dir nulla. Ora, a casa, vedrai. La carrozza di casa de' Rivani aspettava davanti alla stazione. I signori e la bambina vi salirono in fretta, e vi salì anche la pupattola dentro la scatola, occupando

Pagina 5

Manon

234129
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1922
  • Edizioni Alpes
  • Milano
  • teatro - commedia
  • UNICT
  • ws
  • Scarica XML

Abbassa il tono! E ascoltami!

Pagina 136

Il romanzo della bambola

245553
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

. - Creda, anzi, che non è affatto cara - rispose subito il commesso - perché, osservi bene, è tutta di pelle di guanto carnicina; muove le gambe, le braccia, la vita, come si vuole; gira la testa, alza e abbassa gli occhi; ha i capelli veri, non di seta, sa? Chiama Mamma! tirando questo spago, vede? E dice anche T'amo!, tirando quest'altro. Poi non ha soltanto questo vestito; ha un ricco guardaroba; adesso glie lo mostro. Vede? Un abito da corse, di seta scozzese, col cappello grande guarnito di penne di struzzo; una veste da casa di crespo della China color limone e frange...; un abito da visita di velluto marrone ricamato d'oro, col cappello pure di velluto e penne di struzzo... - Va bene, va bene - l'interruppe il compratore - questo lo vedrà e lo ammirerà la mia bambina. Ma il commesso riprese: - Quanto al corredo di biancheria, è tutto di tela batista finissima, guarnito di pizzo vero!...vero, creda... - Lo credo, lo credo. - Sta in un baulino coperto di velluto, ch'è anch'esso un mobilino elegante... Vede, dunque, signore, che non è caro, tutto insieme... Il signor de' Rivani sorrise di nuovo, e pagò. Quando si trattava di far piacere alla sua Marietta, nulla gli pareva un sacrifizio. - Eccomi venduta! - pensò tra sè la bambola, mentre la involgevano delicatamente nella carta velina e la mettevano dentro una grande scatola di cartone piena di ovatta, come in un letto morbido e sicuro. E durante il viaggio da Milano a Roma, ch'ella fece sempre accanto al signor de' Rivani, stette come in un dormiveglia curioso, in cui alle memorie del passato s'univan le fantasticherie dell'avvenire. A dir vero, le memorie di codesta bambola non erano molte nè fino allora interessanti. Non avrebbe saputo precisare da quanti giorni o da quante settimane era nata: ma doveva essere al mondo da poco tempo, perchè tutto in lei era d'una modernità estrema. Si ricordava vagamente un grande laboratorio con tante donne che tagliavano, cucivano; cucivano, tagliavano... Il corpicino di lei, coperto, come aveva detto il mercante, d'una sottile pelle rosata, con le sue molle per giunture e un meccanismo nella pancia che le faceva dire due parole, a uso pappagallo, s'era completato con una testolina d'una leggiadria rara, abbellita da due larghi occhi azzurri di vetro. E quando ella ebbe su le spalle quella testolina dalla folta capigliatura bionda come il grano, sentì di aver acquistata un'anima; un'anima piccola, sì, molto soffocata tra la segatura che le riempiva il corpo, e impotente a manifestarsi in un movimento spontaneo, nella più leggiera vibrazione de' muscoletti di acciaio, ma, in fine, un'anima che aveva sensazioni piacevoli e dolorose, sentimenti d'affetto e d'avversione; qualche cosa tra l'anima de' fanciulli e quella delle povere bestie, che nè anch'esse possono parlare. A mano a mano che l'avevano vestita e fatta bella, la pupattola avea capito di poter fare un giorno o l'altro buona figura nel mondo; intorno a lei, nell'accomodarle addosso stoffe di seta e trine, c'era chi aveva detto: - È una principessina! - Allora, se lo confessava, le era venuta un po' d'ambizione; e l'ambizione era cresciuta quando ella fu posta quasi al centro della vetrina sfolgorante di luce, dove era rimasta esposta quattro o cinque sere davanti al pubblico estasiato della sua personcina. Guardava gli altri fantocci con superiorità. Non erano, certo, le contadine brianzuole quelle che potevano rivaleggiare con lei! Una marchesa del settecento appariva gentile nel suo gonnellino drappeggiato a fiorami e nastri rosei; una suora della carità era un modello d'esattezza, quanto al costume; ma la monaca, povera, s' intende, come tutte le monache, non aveva corredo; la marchesa aveva un lettino, non altro; Io scimiotto... Oh, lo scimiotto era un giocattolo per un maschio: come il cane barbone, come la carovana dei Beduini e tanti, tanti altri giocattoli. Dunque, lei era lì in mezzo una principessina; questo era vero; e non si curava di certe occhiate un po' canzonatorie che le dava il vecchietto dall'oriolo, scrollando il capo bianco davanti alla superba creaturina. Erano venute, in que' giorni, parecchie signore con delle bambine vogliolose a domandar di lei, ma nessuna se l'era portata via; a causa del suo prezzo, enorme per una pupattola. Chi, dunque, poteva essere il signore che l'aveva comprata? Pareva buono, e doveva esser più ricco di molti altri; sopra tutto si vedeva ch'egli adorava la sua figliuoletta, se per lei non badava a far certe spese. E la bambina, come l'avrebbe trattata? Purché non le avesse fatto troppo male! Le tornava in mente, a questo proposito, che nel nativo laborotorio, mentre la stavano vestendo, era stata riportata una bambola comprata due giorni avanti, alla quale la piccola padrona aveva aperto la pancia con le forbici, per vedere che cosa la facesse parlare quando le si tirava lo spago. Aveva tutto il ventre squarciato, la poverina, e versava segatura come gli uomini feriti versano sangue. Non si poteva accomodarla che male, disse una lavorante tra le più brave; e la pupattola era stata messa in un angolo, con le braccia aperte, come una morta... Brr! Uno strano brivido senza scossa apparente raggricciava la bella bambola! Dio mio, se anche a lei fosse toccata una sorte cosi infelice, quali sofferenze non viste, non intese, non indovinate da nessuno avrebbe dovuto sopportare. Chi mai, al mondo, sa quanto patiscono tante cose che ci sembrano insensibili? Cosi ragionava, tra' suoi sogni, la bambola, nell'oscurità della scatola, dove giaceva supina, immobile, in un rumore assordante, mentre il treno correva traversando tanto paese. Ogni volta che si fermavano a una stazione, ella credeva d'esser giunta a Roma; ascoltava, attenta, delle voci confuse... Ma no, no, non era Roma. E il treno ripigliava, rapido, il cammino; e il rumore, simile al brontolio cupo del tuono, ricominciava. Come Dio volle venne la volta in cui udì gridare: - Roma! Romaa!! - e di lì a un momento: - Avanti l'uscitaa! Ah, finalmente, erano giunti! La scatola della bambola venne afferrata da una mano ruvida. Era, certo, d'un facchino. - Fate piano! - esclamò la voce del signore che l'aveva comprata. D'improvviso, sonarono dolci parole interrotte da baci, da domande che s'incrociavano: - Babbo mio! - Ben arrivato! - Ben trovate, care! - Come stai? Hai fatto buon viaggio? - E voi, come state? - Come sono contenta, babbo! - Anch'io, tesoretto mio! - È la bambina alla quale son destinata! - pensava la pupattola. - Dimmi, babbo, m'hai portata una cosa bella, bella? - chiese la Marietta quasi a mezza voce. - No, me ne sono dimenticato - le rispose il padre, per celiare. - No, non è vero! Tu non ti scordi di me! - gridò la piccina con accento di sicurezza. Il babbo rideva, ripetendo: - Birichina, Io sai, eh? - È lì dentro a quello scatolone, babbo? - ripigliava la Marietta, messa in curiosità. - Non ti voglio dir nulla. Ora, a casa, vedrai. La carrozza di casa de' Rivani aspettava davanti alla stazione. I signori e la bambina vi salirono in fretta, e vi salì anche la pupattola dentro la scatola, occupando

Pagina 5