Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandono

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Sulle categorie e la dialettica

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Rosmini, Antonio 1 occorrenze

Senso

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Boito, Camillo 2 occorrenze

Continuò lesto, come se le parole gli bruciassero le labbra: - Prego il signor Capocomune di accettare in mia memoria questo fucile da caccia; prego il reverendo signor curato di distribuire ai poveri del paese un poco di danaro, a giudizio suo, in compenso di questi mobili, di tutti questi oggetti, che sono mia proprietà e che abbandono alla canonica -. L'ecclesiastico, grave e contegnoso, dopo avere ben guardato in ogni angolo della stanza, assentì col capo. La voce di Don Giuseppe ripigliò fioca, strozzata dal dolore: - Mi faccia poi una grazia, reverendo: ai miei ... scusi, ai suoi buoni parrocchiani rechi l'ultimo addio del povero pastore senza gregge. Li ho tanto amati, e devo partire, dopo dieci anni, senza salutarli con una sola parola d'affetto, e nell'andarmene sento l'anima straziata ed il corpo disfatto, e mi restano pochi giorni di vita, ma in questi pochi giorni pregherò per essi come il padre prega per i suoi cari figliuoli -. Le lagrime spuntarono negli occhi di quel disgraziato. Dalla via che conduce tosto fuori del paese, il prete, in compagnia di Menico, s'avviò rapido giù per la china; ma, dopo un centinaio di passi, si fermò come avesse scordato una cosa di suprema importanza. Stette un poco a pensare, poi, dandosi coraggio, tornò indietro e bussò alla canonica. Quando il nuovo curato se lo vide ancora davanti, non poté trattenere un moto di dispetto; e Don Giuseppe, confuso, pauroso, bisbigliò: - Perdoni, reverendo; un minuto solo; abbia pietà del misero prete, ch'ella non vedrà mai più. Il suo cuore sia generoso, senta, non s'adiri, mi faccia un dono, il più gran dono ch'io possa ricevere in questo mondo -. L'altro aveva negli occhi l'impazienza, lo sprezzo, l'avarizia, ma sulle labbra il suo perpetuo sorriso. Don Giuseppe continuò, sempre dalla porta, timidamente, umilmente, al modo di uno che implori l'elemosina: - Nella camera v'è un Cristo in croce, il solo conforto mio, e lo ho pregato sempre, e sempre mi ha aiutato, e sempre mi ha salvato dalle tentazioni della carne. Senza quel Cristo non potrei più vivere, né morire. Reverendo, abbia compassione di me, mi regali quel Cristo. Il nuovo curato si avvicinò all'inginocchiatoio e guardò la figura: l'intaglio era grossolano, la dipintura goffa, con il rosso grumoso del sangue, che sprizzava dalla fronte incoronata di spine e sgorgava dalle ampie ferite del costato; e le membra da cadavere si contorcevano tutte; e la lunga e magra e livida faccia metteva disgusto e terrore. Il degno sacerdote staccò dalla parete il Cristo e lo porse a Don Giuseppe, dicendo: - L'immagine del Figliuolo di Dio mi piace più benigna e più bella. La religione non dev'essere uno spauracchio da bimbi e da perversi; e le anime dolci, come la mia, anelano la dolcezza. Prenda e vada con Dio. Menico aspettava fuori del villaggio, tenendo in mano il fardello, e insistette per portare anche il Cristo, ma Don Giuseppe non volle. Le aveva involto in uno straccio di tela verde, ma lo teneva sotto l'ascella cautamente, come fosse stato di vetro; era in fatti di legno tanto tarlato e di pezzi così male incollati insieme che certo, cadendo in terra, non sarebbe rimasto intiero. Padrone e servo si guardavano sovente, senza pronunciare una sillaba. Cominciava a imbrunire e la strada era deserta. Il prete sentiva una spossatezza simile a quella che segue le grandi febbri, e aveva la fronte bagnata di sudore; si mise a sedere sopra un sasso, quasi in terra, nascondendo la faccia nelle palme delle scarne mani e posando i gomiti sulle ginocchia; pianse; poi, rialzando la testa e guardando Menico, disse: - Eppure, Menico, io non sono colpevole. Non ho fatto, ch'io sappia, niente di male. Ho resistito al demonio; l'ho vinto. Ho amato i miei parrocchiani.- E tornò a nascondere il volto ed a piangere. Menico si fece coraggio, e chiese finalmente quel che voleva domandare da un pezzo: - Signor padrone, dove intende di andare? - Fino a Cogo, per questa sera. - Ma poi? - Non lo so. - E allora? - Mi affido alla Provvidenza. - La Provvidenza, va bene; ma, scusi, signor padrone, ha danari in tasca? - No. - Già non ne poteva avere. Li consegnava tutti a me, che facevo le spese. Ma se non me ne ricordavo io ... - e porse al padrone un vecchio portamonete, soggiungendo: - Vi sono cento lire. - Cento lire, in che modo? Io non posso averti consegnato tanto. - Sì, signor padrone. - Dimmi la verità. - Ebbene, c'è dentro qualche cosa de' miei risparmi. - Tutti, rispondi il vero. E vuoi restare senza nulla? - Ho bisogno di poco. - Sei un cuor d'oro; ma non voglio. Accetterò venti lire. - Sessanta per lo meno. - No, venti. - Eccone venti sole, - e Menico diceva una bugia. Ne aveva lasciate sessanta. - Ora va, Menico; è vicina la notte; pare che voglia far temporale; dammi il fardello e torna al villaggio. Il vecchietto non voleva a nessun patto; intendeva scendere almeno sino a Cogo e passarvi la notte: il dì seguente il cielo avrebbe provvisto. Ma in realtà Menico, già stracco motto, camminava zoppicando e inciampando in tutti i sassi della via, sicché per forza si dovette fermare. Allora il prete, dando un bacio sulla fronte al vecchio che piangeva, gli disse addio. Nemmeno il cane da caccia, il quale aveva seguito il suo padrone saltellandogli intorno, voleva tornare indietro; e Don Giuseppe, mentre lo accarezzava, esaminò nella propria coscienza se gli fosse lecito d'ora in poi ricevere un qualche conforto dal gaio affetto della bestia fedele, ma concluse dentro di sé vergognandosi del desiderio profano e mormorando: - Per me la terra non deve più avere nessuna consolazione -. Il cane, legato ad una funicella e tirato da Menico, si contentò di rifare con la coda fra le gambe il cammino alle calcagna del vecchio, il quale andava a passi di lumaca; e la bestia, inquieta, insospettita, mandava degli ululati lunghi, strazianti, che si diffondevano come voci di triste presagio nel silenzio delle montagne. Quando il prete non poté più vederlo, Menico si sdraiò sull'erba, brontolando: - Gliel'ho fatta. Egli crede che io ritorni al villaggio; invece mi riposo un'oretta, e poi scendo a Cogo a raggiungerlo, e sarà bravo chi mi potrà staccare da lui -. Di tratto in tratto ripeteva: - O che caso, o che brutto caso!

IL FIASCO DEL MAESTRO Chieco (Racconti musicali)

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Fogazzaro, Antonio 2 occorrenze

IN RISAIA

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Marchesa Colombi 1 occorrenze

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