Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'altrui mestiere

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Levi, Primo 1 occorrenze

Nel gran respiro e nel gran riso di Pantagruele è racchiuso il sogno del secolo, quello di una umanità operosa e feconda, che volge le spalle alle tenebre e cammina risoluta verso un avvenire di prosperità pacifica, verso l' età dell' oro descritta dai latini, non passata né lontanamente futura, ma a portata di mano, purché i potenti della terra non abbandonino le vie della ragione, e si conservino forti contro i nemici esterni ed interni. Questa non è speranza idilliaca, è robusta certezza. Basta che lo vogliate, ed il mondo sarà vostro: bastano l' educazione, la giustizia, la scienza, l' arte, le leggi, l' esempio degli antichi. Dio esiste, ma nei cieli l' uomo è libero, non predestinato, è "faber sui", e deve e può dominare la terra, dono divino. Perciò il mondo è bello, è pieno di gioia, non domani ma oggi: poiché ad ognuno sono dischiuse le gioie illustri della virtù e della conoscenza, ed anche le gioie corpulente, dono divino anch' esse, delle tavole vertiginosamente imbandite, delle bevute "teologali", della venere instancabile. Amare gli uomini vuol dire amarli quali sono, corpo ed anima, "tripes et boyaux". L' unico personaggio del libro che abbia dimensioni umane, e non sconfini mai nel simbolo e nell' allegoria, Panurgo, è uno straordinario eroe a rovescio, un condensato di umanità inquieta e curiosa, in cui, assai più che in Pantagruele, Rabelais sembra adombrare se stesso, la propria complessità di uomo moderno, le proprie contraddizioni non risolte, ma gaiamente accettate. Panurgo, ciurmadore, pirata, "clerc", volta a volta uccellatore e zimbello, pieno di coraggio "salvo che nei pericoli", affamato, squattrinato e dissoluto, che entra in scena chiedendo pane in tutte le lingue viventi ed estinte, siamo noi, è l' Uomo. Non è esemplare, non è la "perfection", ma è l' umanità, viva in quanto cerca, pecca, gode e conosce. Come si concilia questa dottrina intemperante, pagana, terrena, col messaggio evangelico, mai negato né dimenticato dal pastore d' anime Rabelais? Non si concilia affatto: anche questo è proprio della condizione umana, di essere sospesi fra il fango e il cielo, fra il nulla e l' infinito. La vita stessa di Rabelais, per quanto se ne sa, è un intrico di contraddizioni, un turbine di attività apparentemente incompatibili fra loro e con l' immagine dell' autore che tradizionalmente si ricostruisce dai suoi scritti. Monaco francescano, poi (a quarant' anni) studente in medicina e medico all' ospedale di Lione, editore di libri scientifici e di almanacchi popolari, studioso di giurisprudenza, di greco, d' arabo e d' ebraico, viaggiatore instancabile, astrologo, botanico, archeologo, amico di Erasmo, precursore di Vesalio nello studio dell' anatomia sul cadavere umano; scrittore fra i più liberi, è simultaneamente curato di Meudon, e gode per tutta la sua vita della fama di uomo pio ed intemerato; tuttavia lascia di se stesso (deliberatamente, si direbbe) il ritratto di un sileno, se non di un satiro. Siamo lontani, siamo all' opposto della sapienza stoica del giusto mezzo. L' insegnamento rabelaisiano è estremistico, è la virtù dell' eccesso: non solo Gargantua e Pantagruele sono giganti, ma gigante è il libro, per mole e per tendenza; gigantesche e favolose sono le imprese, le baldorie, le diatribe, le violenze alla mitologia e alla storia, gli elenchi verbali. Gigantesca sovra ogni altra cosa è la capacità di gioia di Rabelais e delle sue creature. Questa smisurata e lussureggiante epica della carne soddisfatta raggiunge inaspettatamente il cielo per un' altra via poiché l' uomo che sente gioia è come quello che sente amore, è buono, è grato al suo Creatore per averlo creato, e perciò sarà salvato. Del resto, la carnalità descritta dal dottissimo Rabelais è così ingenua e nativa da disarmare ogni intelligente censore: è sana e innocente e irresistibile come lo sono le forze della natura. Perché Rabelais ci è vicino? Non ci assomiglia certo, anzi, è ricco delle virtù che mancano all' uomo d' oggi, triste, vincolato ed affaticato. Ci è vicino come un modello, per il suo spirito allegramente curioso, per il suo scetticismo bonario, per la sua fede nel domani e nell' uomo; ed ancora per il suo modo di scrivere, così alieno da tipi e regole. Forse si può far risalire a lui, e alla sua abbazia di Telema, quella maniera oggi trionfante attraverso a Sterne e Joyce di "scrivere come ti pare", senza codici né precetti, seguendo il filo della fantasia così come si snoda per spontanea esigenza, diversa e sorprendente ad ogni svolta come una processione di carnevale. Ci è vicino, principalmente, perché in questo smisurato pittore di gioie terrene si percepisce la consapevolezza permanente, ferma, maturata attraverso molte esperienze, che la vita non è tutta qui. In tutta la sua opera sarebbe difficile trovare una sola pagina melanconica, eppure Rabelais conosce la miseria umana; la t ace perché, buon medico anche quando scrive, non l' accetta, la vuole guarire

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