Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandoneranno

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Ricette di Petronilla

330914
Moretti Foggia Della Rovere, Amalia 1 occorrenze

Mentre, cucinandosi e aprendo del tutto le loro valve, le cozze abbandoneranno a poco a poco tutta la rimanente loro salatissima acqua, tostate nel burro alcune fette di pane; e allorché, sollevando il coperchio, vedrete tutte le cozze ben fumanti e ben aperte, togliete la pentola dal fuoco, giacche la zuppa è ormai pronta a venire... liquidata.

Pagina 054

Doveri dell'uomo

678119
Mazzini, Giuseppe 1 occorrenze

IL RE DEL MARE

682250
Salgari, Emilio 2 occorrenze

. - I tuoi uomini disarmeranno subito e ti abbandoneranno. - Va bene: aspetterò che gettino a voi i loro fucili, - rispose Yanez col suo sorrisetto ironico. Non era trascorso un quarto d'ora da che i due parlamentari avevano fatto ritorno per la seconda volta all'accampamento, quando Yanez e Tremal-Naik, che non avevano abbandonato il terrazzo, curiosi di godersi quel miracolo, videro due drappelli di dayaki, formati d'una quindicina d'uomini ciascuno, tutti disarmati, accostarsi al kampong portando delle grandi ceste colme di pietre, per la maggior parte piatte, che dovevano aver raccolte di certo nel letto di qualche ruscello. Si fermarono a cinquanta passi dal terrazzo e si misero a disporle in modo da formare una specie di aia, larga una mezza dozzina di metri e lunga il doppio. - Preparano il letto del braciere, - disse Yanez a Tremal-Naik che lo interrogava. Ripartiti i due drappelli, se ne avanzarono due altri carichi di legname resinoso che accumularono sulle pietre e che poi accesero lasciandolo avvampare per un paio d'ore. Yanez, Tremal-Naik e tutta la guarnigione, eccettuate le sentinelle, avevano assistito pazientemente a quei preparativi, tenendosi al riparo degli alberi i cui rami fronzuti proiettavano una fresca ombra sulle terrazze costruite sulla cinta per permettere ai difensori di far fuoco più comodamente. I dayaki, che da quanto si poteva capire, ci tenevano a mostrare all'uomo bianco, - essere superiore per loro, - i miracoli del pellegrino, a poco a poco si erano radunati intorno al falò, senza che i difensori del kampong si fossero presi la briga di protestare, essendosi avanzati tutti inermi. - Ecco un divertimento che non godremo mai più, - aveva detto Yanez, - e che non produrrà alcun effetto, almeno sui miei Tigrotti. - E nemmeno sui miei malesi e giavanesi, - aveva aggiunto Tremal-Naik. - Già non credono in Allah come questi fanatici imbecilli. Chi può essere stato a far conoscere a questi selvaggi la religione maomettana? - Gli arabi antichi, mio caro, - rispose il portoghese. - Non sai tu che quegli intrepidi navigatori conoscevano e percorrevano queste regioni, quando gli europei non sapevano nemmeno che esistessero in questa parte del globo le grandi isole malesi? Tu non conosci certo Tolomeo che visse 166 anni dopo la nascita di Gesù Cristo, il dio dei cristiani. Ti posso però dire che fino da quell'epoca gli arabi conoscevano perfettamente i malesi, la Chersoneso Aurea ove si poneva il monte Ofir, che altro non sarebbe che Sumatra; Glabadiva che è l'attuale Giava; i Satiri che sono Battias, gli antropofagi. Eh! Guarda il pellegrino che si avanza! Quel birbone si lascerà bruciare le piante dei piedi per dare ad intendere ai suoi fanatici che è un semi-dio, un essere superiore, un vero discendente del gran Profeta? Io ammiro la sua forza d'animo. - Ed io vorrei ucciderlo con un buon colpo, - rispose Tremal-Naik. - Non commettiamo un simile assassinio, amico mio. Dobbiamo essere gli ultimi a rispondere alle provocazioni. Siamo persone civili, noi. Un urlo immenso li avvertì che il pellegrino stava per lasciare l'accampamento onde mostrare all'uomo bianco ed ai suoi guerrieri la sua invulnerabilità e la sua potenza di essere superiore. Darma, la gentile e graziosa anglo-indiana, aveva raggiunto suo padre e Yanez. Anche i Tigrotti di Mompracem si erano radunati sul terrazzo, appoggiando le carabine ai parapetti, temendo qualche sorpresa da parte di quei selvaggi nei quali non avevano nessuna fiducia. Il pellegrino si avanzava verso la via formata dalle pietre, rese ardenti da due ore di fuoco continuo. Aveva sul capo il suo turbante verde ed il viso nascosto da un piccolo drappo di seta d'egual colore. Il corpo invece era avvolto in una specie di camicia assai attillata, di nanchino giallo, che gli scendeva fino alle ginocchia ed i suoi piedi erano nudi. - O che quell'uomo è un gran ciurmadore o è una vera salamandra, - disse Yanez. - Forse che i fakiri dell'India non passeggiano sui tizzoni ardenti invece che sulle pietre arroventate? - disse Tremal-Naik. - Non ricordi della festa di Darma Ragia, dove tu hai conosciuto l'adorabile Surama, la nipote del rajah di Gualpara? - Per Giove! Se me ne ricordo, - rispose Yanez. - Anche in quella festa i fanatici correvano sulle brace. - Ma uscivano da quell'inferno zoppi, mentre questo demonio di pellegrino promette di passeggiare su quelle pietre scaldate a bianco senza alcun malanno. - Lo vedremo, Yanez, a meno che non sia un gran fakiro. - Apri gli occhi, Darma, - disse Yanez, vedendo la fanciulla curvarsi sul parapetto. - Non mi fido di quei bricconi. - Che cosa temete, signor Yanez? - Eh! Un colpo di carabina si fa presto a spararlo. - Non hanno alcuna arma, - rispose Darma. - Sì, visibile. Avanti, signor discendente di Maometto, mostrateci il vostro miracolo. Il misterioso avversario di Tremal-Naik era giunto dinanzi all'aia lastricata di pietre che doveva proiettare un calore assolutamente intollerabile. Stette un momento raccolto in se stesso, colle mani alzate e gli sguardi fissi verso occidente, ossia in direzione del lontanissimo sepolcro del Profeta, agitò per qualche po' le labbra come se recitasse una preghiera, poi si slanciò risolutamente sulle pietre, gridando per tre volte, con voce rimbombante: - Allah! Allah! Allah! Quindi con passo sicuro, insensibile all'ardente calore che saliva dalle pietre, coi piedi e le gambe nude, s'avanzò sull'aia, a passi lenti, senza che gli sfuggisse un moto che tradisse qualche dolore. I dayaki, stupiti, ammaliati da una simile prova, lo guardavano con profonda ammirazione, alzando le braccia. Quell'uomo per loro doveva essere assolutamente un semi-dio, un vero discendente del grande Profeta. Il pellegrino compiuta la traversata si fermò un momento, poi ritornò sui suoi passi, sempre calmo, sempre impassibile, come se passeggiasse su un prato anzichè su delle pietre che potevano cuocere benissimo del pane. - Costui deve essere un figlio di compare Belzebù! - esclamò Yanez, che non poteva fare a meno di ammirare lo stoicismo di quell'uomo. - Come può resistere a quel calore? Eppure i suoi piedi sono nudi e qui non vi può essere alcun trucco. - Quell'uomo deve essere insensibile come una vera salamandra, - rispose Tremal- Naik. Il pellegrino, compiuta la seconda prova, volse il viso mascherato dal drappo verso Yanez, guardandolo per qualche istante, poi si allontanò a lenti passi, dirigendosi verso la sua tettoia, mentre i dayaki, in preda ad una vera esaltazione, urlavano a squarciagola: - Allah! Allah! Allah! Qualche minuto dopo, mentre i guerrieri raggiungevano i loro accampamenti, precipitandosi verso il pellegrino, il parlamentario, accompagnato dal suo tamburino, si presentava per la terza volta sotto la terrazza. - Che cosa vuoi ancora, uomo noioso? - gli chiese Yanez. - Vengo a chiederti se dopo una simile prova data dal discendente del gran Profeta tu ti sei deciso ad arrenderti, - disse il guerriero. - Ah! È vero, dovevo darti una risposta, - disse Yanez. - Dirai dunque al figlio o nipote o pronipote di Maometto, che io lo ringrazio dell'interessante spettacolo che si è degnato di offrire a noi, poveri miscredenti. Poi levandosi, con un gesto superbo, un magnifico anello che portava in un dito, lo gettò al parlamentario stupito, aggiungendo: - E questa è la sua ricompensa! ...

. - Non temere, Sandokan e Tremal-Naik non ci abbandoneranno. Ecco lo scoglio! Non verremo frantumati fra le rocce? sir Moreland, non lasciatevi spingere. Il capitano non rispose. Guardava verso l'enorme scoglio, la cui vetta era coperta di nubi tempestose e sui cui fianchi strisciavano le folgori. D'improvviso mandò un grido di gioia. - La ... la ... calma ... l'olio! - esclamò. - Brahma ci protegge! Era impazzito l'anglo-indiano? No, sir Moreland aveva ben veduto. Le onde, dinanzi a loro, si spianavano, come per opera magica, dissolvendosi di colpo. Durante l'imbarco del carbone, Sandokan aveva fatto spargere intorno alla nave alcuni barili d'olio onde ottenere un po' di calma e permettere alle scialuppe cariche di abbordarlo. Quello strato oleoso, trascinato forse da qualche corrente, si era accumulato dinanzi al terribile scoglio, formando una zona brillante, lunga parecchi chilometri e larga alcune gomene. Si conoscono già le miracolose proprietà che hanno le materie grasse di calmare le onde. Non avendo il vento alcuna presa su di esse, e non essendo penetrabili nè all'aria, nè all'acqua, dove esse vengono sparse, i marosi si dissolvono e tutt'al più formano delle lunghe ondate senza frangersi, affatto innocue. Qualche barile, e anche meno, basta sovente a ottenere una specie di calma attorno alle navi, avendo l'olio la proprietà di espandersi a grandi distanze. Quello sparso dall'equipaggio del Re del Mare, in quelle quattordici o quindici ore, era stato tanto da far regnare una certa tranquillità fra le tre isole. - Sì, l'olio, - aveva risposto Yanez. - Un'altra onda e noi giungeremo nella zona tranquilla. Il nuovo cavallone sopraggiungeva mungendo e urlando. Era alto almeno quindici metri, tutto creste spumeggianti e lungo parecchie miglia. Afferrò i tre naufraghi, li scosse sulle sue cime, poi li scaraventò innanzi, ma appena toccata la zona oleosa perdette improvvisamente il suo impeto e scivolò sotto lo strato, trasformandosi come per incanto in un'ondata lunga, priva d'ogni violenza. - Siamo salvi! - gridò il portoghese. - sir Moreland, uno sforzo ancora e giungeremo sull'isolotto. L'anglo-indiano lo guardò senza aprire bocca. Era pallidissimo e un rauco respiro gli usciva dalle labbra contratte. Forse la ferita, appena rimarginata, si era riaperta in causa degli incessanti sforzi e della prolungata immersione e la sua energia si esauriva rapidamente. - Sir, - disse Darma, la quale se n'era accorta. - Voi state male. - È nulla ... la ferita ... - rispose il capitano con voce rotta. - Bah! Resisterò ... presso ... di voi ... miss ... La terra è ... lì ... Le onde che si seguivano, li spingevano dolcemente verso lo scoglio, la cui massa imponente giganteggiava a meno di una gomena. Se l'oceano era tranquillo o quasi in quel luogo, sui margini dello strato oleoso, infuriava sempre tremendamente. Onde mostruose si seguivano con scrosci orrendi, mentre sopra di loro il vento ruggiva tremendamente, gareggiando coi tuoni che rombavano fra le nubi. I naufraghi, ormai quasi al sicuro dai furori della burrasca, s'inoltravano sempre fra lo strato oleoso, aprendosi il passo fra enormi cumuli di alghe. Le onde le avevano strappate in gran numero, spingendole poscia verso la scogliera ed accumulandole intorno alle sue ripide spiagge. - Sbrighiamoci, sir Moreland, - disse Yanez, il quale nuotava con vigore, rimorchiando i due gavitelli. - Queste acque sature d'olio ridurranno le nostre vesti in pessime condizioni. Altro che i balenieri e i cacciatori di foche! - Sì, affrettiamoci, - rispose Darma. - sir Moreland è stremato. - Non lo nego, - rispose l'anglo-indiano, il quale si reggeva con immense fatiche. - Un altro meno robusto e meno energico di voi, a quest'ora sarebbe colato a picco, - disse Yanez. - Ah! Sento delle alghe sotto i miei piedi! Lasciamoci portare dall'onda. La fortuna li aveva spinti verso la spiaggia dove avevano cacciato gli uccelli marini. Pochi gruppi di erbe marine, di quelle chiamate dagli isolani beccalunga, si vedevano spuntare fra le fessure delle rupi; più sopra invece nulla, solamente la nuda roccia di colore nerastro, come se dei torrenti di pece fossero calati dalle altissime cime dello scoglio. Spinti da un'ultima ondata, i tre naufraghi furono deposti, quasi dolcemente, sul greto. Era tempo perchè sir Moreland stava per abbandonarsi. Yanez aiutò Darma a superare la spiaggia, poi l'anglo-indiano che era incapace di reggersi. - I salvagente! - balbettò sir Moreland. - Ah, sì! E vero, - rispose Yanez. - Sono troppo preziosi per perderli. Ridiscese la spiaggia e li tirò a secco, assicurandoli alla punta di una roccia. - Come vi sentite, sir Moreland? - chiese premurosamente Darma. - Un po' debole miss, ma tutto passerà. La ferita fortunatamente non è riaperta. - Cerchiamo qualche riparo, - disse Yanez. - Il Re del Mare, coll'uragano che ingrossa al largo, non potrà tornare molto presto - Che corra qualche pericolo, signor Yanez? - Non credo, Darma. Resisterà meravigliosamente anche a questa seconda prova. Fortunatamente ha completato a tempo le sue provviste di combustibile. - Sicchè saremo costretti a passare la notte qui, - disse Darma. - Nessuno verrà a disturbarci: non vi saranno delle pantere nere su questa roccia. Rifugiamoci sotto questa sporgenza e aspettiamo l'alba. Il portoghese prese una bracciata d'alghe e si diresse verso una rupe, la cui cima si sporgeva molto innanzi formando un riparo abbastanza sufficiente per tenere al coperto i tre naufraghi. Sir Moreland e Darma l'avevano seguìto, portando altre alghe per formarsi un giaciglio.

I PREDONI DEL SAHARA

682455
Salgari, Emilio 1 occorrenze

"Essi non ci abbandoneranno, ne sono certo." "Che cosa potranno fare contro i kissuri del sultano?" chiese Ben, con voce triste. "Sì, mia sorella tenterà di venire in nostro aiuto, cercherà anche di corrompere gli alti funzionari del sultano, i carcerieri, fors'anche il vizir perché il denaro non le manca, ma io dubito che possa riuscire. È una infedele, al pari di noi, e facendosi conoscere correrebbe forse maggiori pericoli." "Eppure io non dispero, Ben," disse il marchese. "Il mio cuore mi dice che sta lavorando per la nostra liberazione." "Prima di lasciarmi scannare farò un massacro dei kissuri," disse il bollente sardo. "Vi decapiteranno egualmente," osservò Ben. "Diavolo! Così non può andare." "Ebbene, cambia la nostra sorte, mio bravo Rocco," rispose il signor di Sartena. "Sì, padrone." "Provati." "Strapperò le sbarre di ferro per ora. Sono grosse e ci serviranno a rompere le costole dei kissuri." "Saranno dure da levare." "Anche le mie braccia sono solide." L'isolano s'accostò alla feritoia, s'aggrappò ad una sbarra e si provò a scuoterla. "Non si muove," disse, per nulla scoraggiato. "Torciamola." Tese le braccia, strinse le dita e sviluppò tutta la sua forza immensa, inarcando le poderose reni e puntando le ginocchia contro la parete. I muscoli si gonfiarono come se volessero far scoppiare la pelle delle braccia, mentre le vene del collo e delle tempie s'ingrossavano prodigiosamente. La sbarra resisteva, ma anche l'ercole non cedeva e raddoppiava gli sforzi. Ad un tratto, con gran stupore del marchese e di Ben, il ferro si piegò, poi uscì bruscamente dall'alveolo. "Eccolo!" esclamò Rocco, trionfante. "Mille leoni!" esclamò il marchese. "Ma tu hai una forza da gareggiare con un gorilla!" "Gigantesca!" "All'altra," disse il sardo, tergendosi il sudore che gli bagnava la fronte. Essendo i margini della feritoia ormai sconnessi, la seconda sbarra fu strappata con meno fatica e assieme ad essa cadde anche una parte dell'intonaco, allargando in tal modo il foro. Il sardo cacciò la testa attraverso l'apertura, ma subito si ritrasse. "Vi è qualche sentinella?" chiese il marchese. "Sì, vi è un kissuro che veglia sotto la feritoia," rispose il sardo. "Siamo alti dal suolo?" "No, appena tre metri." "Dove guarda questa finestra?" "In un giardino." "Ben," disse il marchese, "se fuggissimo?" "E la sentinella?" "M'incarico io di abbatterla," disse Rocco. "Allarghiamo il passaggio," disse il marchese. "Con queste due sbarre possiamo spostare una lastra, è vero, Rocco?" "Ci riuciremo, signore," rispose il sardo, il quale ormai non dubitava più della riuscita del suo piano. "E potremo poi uscire dal giardino?" chiese Ben. "Vi saranno delle muraglie da superare." "Le scaleremo," rispose Rocco. "Diavolo d'un uomo," mormorò l'ebreo. "Trova tutto facile, ma sa anche operare." Stavano per mettersi al lavoro, quando il marchese si arrestò, dicendo: "E se ci sorprendono? Ben, mettetevi presso la porta e se qualcuno s'avvicina, avvertiteci. Noi due basteremo a smuovere la lastra." Essendo le due sbarre un po' appuntite, riuscirono a sgretolare parte dell'intonaco, una specie di calce rossiccia di poca resistenza, quindi si provarono a smuovere la lastra di destra che formava uno degli angoli della feritoia. Dopo quattro o cinque colpi la pietra si spostò, quindi cadde fra le braccia del sardo. Dietro non vi era che del fango disseccato mescolato a pochi mattoni cotti al sole. "Che cosa dite, padrone?" chiese Rocco, giulivo. "Che fra un'ora noi saremo liberi," rispose il marchese. "Questi mattoni non offriranno alcuna resistenza." "Che cattive costruzioni, signor marchese." "Gli abitanti di Tombuctu non conoscono la calce. Tutte le loro case sono fatte con mattoni male seccati e con argilla." "Assaliamo la parete, signore." "Adagio, Rocco. La sentinella può accorgersi del nostro lavoro." "Faremo poco rumore." Si rimisero al lavoro, sgretolando l'intonaco e levando i mattoni che mettevano a nudo. La feritoia a poco a poco si allargava, nondimeno ci vollero non meno di quattro ore prima che fosse ottenuto uno spazio sufficiente per lasciar passare i loro corpi. Quand'ebbero finito, la notte era calata da qualche ora. "È il momento di andarsene," disse Rocco. "Puoi passare?" chiese il marchese. "Tu sei il più grosso di tutti." "Passerò, signore." "Guarda se il kissuro ha lasciato il posto." Rocco si alzò sulle punte dei piedi e sporse con precauzione la testa. "È sempre lì sotto e mi pare che si sia addormentato," disse. "Non si muove più!" "È bene armato?" "Ha una lancia e delle pistole alla cintura. Oh!" "Cos'hai?" "Invece di accopparlo con un colpo di sbarra lo afferro pel collo e lo metto al nostro posto." "Saresti capace di fare una simile prodezza?" "Guardate!" Il sardo passò il corpo attraverso la feritoia, allungò la destra, afferrò la sentinella per la gola stringendo forte onde impedire di mandare qualsiasi grido, poi lo alzò come un bamboccio e lo fece passare per lo squarcio, deponendolo ai piedi del marchese e di Ben. "Mille leoni!" esclamò il signor di Sartena. "Che braccio!" Il kissuro, rapito così di volo, non aveva nemmeno cercato di opporre resistenza. D'altronde Rocco non aveva allargato la mano. "Un bavaglio," disse l'ercole. "Presto o lo strangolo." Il marchese strappò un pezzo del suo caic, fece una fascia e aiutato da Ben l'annodò attraverso la bocca del disgraziato guerriero. "Ora le gambe e le mani," disse Rocco. "È fatto," rispose il marchese, il quale si era levato la lunga fascia di lana che gli stringeva i fianchi. Il kissuro, mezzo strangolato, era rotolato al suolo, guardando i tre prigionieri con due occhi strabuzzati. "Bada che se tu cerchi di liberarti noi torneremo qui e ti accopperemo," gli disse il marchese, con voce minacciosa. "Mi hai compreso?" Gli levò le due pistole che aveva alla cintura, due armi ad acciarino, lunghissime, col calcio intarsiato in argento, e ne diede una a Ben. "Andiamo," disse. Rocco, munito d'una sbarra, arma ben più pericolosa d'una lancia per quell'ercole, passò attraverso la feritoia e si lasciò cadere nel giardino. "Vedi nessuno?" chiese il signor di Sartena. "Passate," rispose il sardo. Un momento dopo i tre prigionieri si trovavano riuniti sotto la feritoia.

Cerca

Modifica ricerca