Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188778
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
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Nelle vecchie famiglie cattoliche, quando una bambina petulante - imitando la madre, la zia e la nonna si abbandonava a un fastidioso chiacchierìo, un adulto le ordinava di chiudere la bocca, e di fare un fioretto alla Madonna. Ma i tre sistemi si indirizzavano a tre categorie diverse di persone, a tre mentalità distinte: il fanciullo greco aspirante alla filosofia e alla matematica, il benedettino e il carmelitano aspiranti a Dio, e finalmente la bimba, aspirante al matrimonio, fanno un impiego differente del dono della parola. La donna di altri tempi, vuota di idee, l'essere dai capelli lunghi e dalle idee corte, della quale sopravvivono oggi troppi esemplari, parla per il bisogno fisiologico di far funzionare gli organi fonetici, per il bisogno di emettere sotto forma di rumori l'acido carbonico della respirazione. La povertà delle sue idee ha per derivativo la parola, come gli uomini falliti in amore trovano un derivativo nelle gioie della mensa. I tea rooms sono pieni di signore che vi si dànno convegno per parlare durante ore e ore di niente. Se tendiamo l'orecchio, sentiamo ricorrere all'infinito i soliti e inconsumabili argomenti: «la gonna e la scollatura», «la jupe» e «le décolleté», «la pollera» e «el escote». Con questi discorsi la donna si inquadra nella mediocrità, tepidarium adatto alla proliferazione di tutta la flora della stupidità, sulla quale trionferà poi la putredine delle frasi insulse, dei luoghi comuni sfilacciati, dei tratti di spirito arrugginiti. Il giorno che vorrà elevarsi per il cambiamento che le auguro delle sue condizioni, si sentirà irreparabilmente catalogata nella paccottiglia umana, senza possibilità di migliorare di categoria. Il suo cervello si sarà plasmato nella miseria intellettuale, che è la miseria dalla quale non c'è speculazione in borsa o alta protezione che ci faccia uscire. A queste signore consiglio una buona cura di silenzio pitagorico. Per realizzarlo non c'è altro sistema che la lettura e lo studio. Le due ore passate al caffé con le amiche starnazzanti per richiamare l'attenzione dell'universo sul loro cappello nuovo e riempirsi di pasticcini che compromettono la linea, possono essere utilmente impiegate nello studio di una lingua straniera, e della propria lingua, il che è altrettanto utile e urgente, e nel formarsi una cultura generale. Lo studio conferisce alla bellezza. Presentatemi dieci donne di differente cultura, e io, senza sapere chi sono, senza che aprano la bocca, mi sento di indicarvi quella che ha letto diecimila libri, quella che ha una laurea, quella che conosce quattro idiomi, quella che ha l'abitudine alla cattedra - e le altre... Le altre, quelle che ostentano per i libri l'orrore che un ecclesiastico manifesta per le donne impudiche. Se le donne sapessero quale magico «institut de beauté» è lo studio, abbandonerebbero le creme e disdirebbero l'appuntamento col massaggiatore. Non c'è «rimmel» non c'è «khol», non c'è atropina che valga l'esercizio intellettuale, nell'illuminare gli occhi e dilatare le pupille. La donna ignorante che crede di farsi bella per mezzo dei sortilegi della cosmesi è come un calvo che versi tutte le sue speranze nella parrucca. Ai concorsi di bellezza internazionali assistiamo a una sfilata di graziosi mammiferi che sognano l'olimpo della televisione e l'empireo del cine. Riusciranno solamente quelle, generalmente le meno belle, che hanno negli occhi la luce dell'intelligenza. Mentre la cura di perfezionamento mentale si svolge, il mio consiglio è di parlare il meno possibile. Se è vero che la parola è stata conferita all'uomo per contraffare il proprio pensiero, il silenzio è stato offerto alla donna per darle il modo di farsi credere più intelligente di quello che è. Il silenzio le impedirà di impossessarsi avidamente delle idee e delle opinioni grossolane che ode per la prima volta, ornandola al tempo stesso di un'indicibile austerità. Il non dire ciò che tutti dicono è la vera aristocrazia mentale. Esempio: mentre ella guida l'automobile, un altro automobilista le attraversa la strada e la costringe a frenare. L'uomo comune, o la donna senza stile, lancerà fra i denti un'ingiuria o chiamerà a testimoni il Cielo e la persona che siede accanto, sulla scelleratezza e l'irresponsabilità di certi automobilisti. La donna di classe non si scompone, e rimette in marcia la conversazione interrotta e il motore. Il silenzio le impedirà di ripetere le frasi che tutti dicono: « Non ci sono malattie, ci sono malati; l'uomo ha l'età delle sue arterie; «l'apprenti sorcier» che non sapeva arrestare la magìa che aveva scatenato... ». Imparino ad apprezzare il prestigio del silenzio, dell'allusione lontana, della frase in sospeso, assai più efficace di quella completa e totale che cade come una sentenza o una martellata. Nel nostro pensiero la parte più importante è cio che gli altri indovinano. Sentite l'eleganza di una frase lasciata in sospeso: un vecchio ammiraglio diceva: - Ai miei tempi le navi erano di legno e gli uomini d'acciaio. Oggi le navi sono d'acciaio... E basta.

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Ordinò un'altra birra e degli altri salami di Vienna con crauti, e sentii che il suo cuore fino allora diffidente ora si abbandonava a me. Io avevo parlato finalmente il suo idioma! Si persuase che avevo anch'io la tessera del mediocre buonsenso, il baccellierato del luogo comune, la capacità di dire «cose da pazzi, roba da chiodi, gente dell'altro mondo, spiegato l'arcano, bevi Rosmunda, l'eccezione conferma la regola, grazie non fumo». Che ero cioè un essere come tutti gli altri - e come lui.

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