Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonava

Numero di risultati: 17 in 1 pagine

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Passa l'amore. Novelle

241468
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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E nell'attesa di questo infallibile segno di santità, che però la baronessa si augurava di vedere quanto più tardi possibile, ella abbandonava ciecamente al canonico la direzione della sua coscienza e di quella delle due figlie, e lo aiutava in qualche opera buona, con elemosine che erano proprio atti di eroismo da parte di lei; giacchè le strettezze diventavano ogni giorno maggiori in famiglia; le spese della lite assorbivano ogni risorsa; e i figli, chi per un conto, chi per un altro, si rivolgevano alla baronessa per ottenere il po' di danaro che loro occorreva. - Mi smungono da tutte le parti! - ella si lamentava col confessore. Il canonico Rametta, quantunque fosse pallido e magro anche un po' per le penitenze e le macerazioni a cui si sottometteva, dei santi aveva specialmente la testardaggine che li fa perseverare in quel che loro sembra una buona e giusta cosa. Convintosi che le intenzioni del marchese di Camutello erano ottime e che i fatti gli davano ragione (nessuno poteva attestarlo meglio di lui, confessore della baronessa, la quale spesso spesso, non avendo peccati suoi da confessare, gli versava nell'orecchio quelli del marito, e al povero barone, non si poteva addebitare altro torto all'infuori di pensare giorno e notte alla lite; convintosi dunque che le parole del marchese: "Se mi proponessero un accomodamento alla buona, fossero sincere, e che questo accomodamento poteva evitare alla famiglia del barone e a lui l'estrema rovina, il canonico Rametta, dopo averne accennato qualcosa velatamente, visto che alla baronessa e ai suoi figli mancava il coraggio di opporsi alla volontà del barone, avea creduto opportuno mutar tono, e parlare non più in nome proprio, ma in nome di quel Dio di cui durante la confessione egli era, secondo la sua espressione, indegno, sì, ma vero ministro. - Tocca a voi, signora baronessa; ve l'ordina Dio per mio mezzo! La baronessa, che a quattr'occhi con lui, da penitente a confessore, si era espressa talvolta un po' arditamente, udite queste tremende parole, diventò piccina piccina sul seggiolone di noce dov'era seduta accanto al canonico. La voce le si arrestò in gola, le lacrime le sgorgarono dagli occhi e potè a stento balbettare: - A me? Tocca a me? Ma vostra paternità sa benissimo.... - So che questo è il vostro dovere di moglie e di madre di famiglia; so che voi non dovete accapparrarvi l'inferno per tutta t'eternità, disobbedendo al comando di Dio, che v'ha fatto baronessa e madre forse unicamente per salvare dall'estremo disastro questa famiglia. Altro non devo sapere. Pensateci bene, e pregate Dio e la Madonna, perchè vi diano forza e coraggio! E finita la confessione, egli prese a ragionare dello stesso argomento in presenza delle signorine. Mariangela approvò sùbito. La sua faccia squallida, dove gli occhi parevano assonnati in una specie di nausea del mondo e delle sue vanità, si animò tutt'a un tratto, si colorò, e le pupille le lampeggiarono, quando disse con profonda amarezza: - Non vuole che io più entri nella sua camera neppure per rifargli il letto! Rosaria, la sorella minore, bruna, dal viso duro, dalle labbra carnose, stata un pezzo ad ascoltare, si era alzata con uno scatto da sedere: - Dove vai? - le domandò la baronessa. - Vo' a chiamare i fratelli; debbono essere d'accordo anche loro.

Pagina 103

Cosima

243898
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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Pagina 158

Documenti umani

244667
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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Giurava di aver fede in me, lui, e mentiva; e quand'era il tempo di provarla, questa fede, mi abbandonava vilmente; vilmente, lo ripeto ancora, non mi stancherei di ripeterlo!... Dunque, il martirio che io sopportavo, i rimorsi di ogni natura che mi laceravano il cuore in tutti i sensi, la posizione di una donna che è sull'orlo della colpa, i mille pericoli cui andavo incontro, tutto questo era dunque nulla? Per chi mi aveva presa egli dunque?... "Ah, io mi lamento a torto! È forse provvidenziale che sia finita così! Egli mi avrebbe forse abbandonata dopo avermi avuta, come una cosa inutile ormai!... Mi ha lasciata prima; anche questa è una specie di lealtà di cui bisogna tenergli conto! "Non è men vero per ciò, amica mia, che sono delle nature predilette dalla sventura. Ed io sono del numero. Amami tu, per tutti gli altri, lascia che io versi nel tuo seno la piena del dolore; vieni, vieni presto, vieni a soccorrermi." La signora Auriti ebbe un piccolo sorriso di trionfo dinanzi al Darsi che restava un poco interdetto. - Vede se io avevo ragione? Sente come suona diversa l'altra campana? Mi parli dell'intesa, della compenetrazione delle anime, adesso!... - Ebbene! - esclamò il Darsi, che non si voleva arrendere. - Ciò prova che vi sono nella vita delle situazioni complesse, che ammettono per ciò stesso diverse soluzioni, tutte fino ad un certo punto legittime. Ma se queste persone giudicavano così diversamente della loro condotta di fronte al sentimento che li dominava, ella converrà meco che, almeno in questo sentimento, essi si accordavano del tutto, gettati com'erano per esso in preda al più disperato dolore... - Oh, non lo creda! - interruppe la signora Auriti, con un nuovo sorriso. - Non lo creda completamente. Certo, la scossa dovette esser sensibile; ma io penso che la previsione, in ciascuno di essi, del dolore dell'altro, dovesse essere più forte che non la personale sensazione dolorosa. - Come può dirlo? - Sa che cosa fece la mia amica, il giorno stesso in cui apprese la rottura? Andò a pranzo in casa di lady Dalty, dalla quale aveva già ricevuto un invito, dopo aver fatto un'accurata toletta. Per confessione stessa di lei - badi, io non metto una parola di mio - fattasi allo specchio, la sua meraviglia fu grande nel rivedersi la stessa, anzi più bella; il sangue affluito alla testa aveva acceso il suo volto, fatto come di bragia, coi grandi occhi sfavillanti. Quei preparativi di festa, i profumi dell'Ixora e della veloutine, le infusero quasi un benessere; a poco a poco una strana reazione si operò in lei; ebbe l'agio di trovare che il suo abito mauve, guernito di trine écrues e di jais, le stava a pennello... - Oh! - Aspetti ad esclamare. Per le vie, ella scambiava graziosi saluti e sorrisi, si sentiva ammirata da tutta quella folla; le pareva quasi che con quell'ammirazione le si rendesse giustizia... Esclami, amico mio; esclami pure; in quel momento ella pensava certo - questa è l'induzione mia, non me l'ha detto lei - alla disperazione dell'uomo, allo sconforto mortale a cui doveva essere in preda; e trovava giusto che egli soffrisse per lei e che lei si distraesse così... Egoismo, e del più puro! L'uomo invece... - L'uomo?... - Telegrafava ad un amico, per avere del danaro; il soggiorno di Parigi, anche quando ci si va per raccogliere un'eredità (suo fratello maggiore era stato colpito da paralisi, egli non fece che affrettare le sue dimissioni) non è una misura di economia. Da Milano a Torino fece il viaggio coi Marnengo; la signora conserva un gradevole ricordo dell'amabilità del capitano. Intanto che egli sfoggiava la sua più squisita galanteria, pensava probabilmente all'ambascia della donna, al rimorso che doveva divorarla, come la più giusta delle punizioni. Se gli avessero detto che in quell'ora precisa ella era a pranzo da lady Dalty, si sarebbe pentito di aver avuta tanta fretta!... - È disperante! - disse il Darsi, che vedeva l'inutilità dei suoi tentativi e cercava di lanciare un gran colpo. - Ella dunque crede che tutto sia finzione? Se io le provassi... - Mio Dio, vuol dire che non ho saputo ancora spiegarmi. Io dico che tutto è relativo, che tutto può esser vero e falso al tempo stesso, secondo il punto di vista. Lei, per esempio, è qui, nel mio salotto, a sostenere il disinteresse, l'altruismo, il sacrifizio. Questo, non è vero? è un concetto... - Del quale io non domando che darle la prova! - Allora, consideri un poco: non potrebbe anche essere un calcolo?

Il marito dell'amica

245192
Neera 4 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
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Sofia invece si abbandonava intera, avvolgendo l'amica nel fascino delle sue espansioni, nelle attrattive pericolose di quel suo temperamento da sirena, debole, ineguale, tutto a scatti improvvisi e ardori fugaci. Il suo affetto per Maria saliva un crescendo appassionato. Poichè vizio e virtù, amore ed oblio le si presentava sotto l'unico lato di una emozione da provare, ella si attaccava a Maria colla stessa foga irreflessiva colla quale l'avrebbe rinnegata, se Bandini fosse stato il più forte. Ora, tentando le voluttà del rimorso, Sofia ne ricavava tutto ciò che poteva ricavarne di effetti nuovi, di sensazioni pungenti. Sussultava ad ogni rumore, aveva dei brividi, dei sospiri interrotti. Rileggeva in quei giorni la Parisina, l'Edmengarda, Portia, tutte le storie truci di donne adultere - le leggeva raggomitolata sul divanuccio basso del gabinetto verde mare, coi trasparenti abbassati sulle cortine rosa delle finestre, immersa in un languore pizzicante, pieno di visioni. Il suo piacere maggiore era quello di immaginarsi che fosse veramente caduta; inventava il luogo, il come e il quando. Alfredo le avrebbe detto così e così - ella avrebbe risposto così e così. Chiudeva gli occhi e sentiva nel collo l'alito caldo di Bandini. Si immergeva in quel voluttuoso corrompimento della fantasia fino ad averne le vertigini, e poi saltava in piedi, colle braccia levate gridando: Sono pura! Sono pura! Un po' davvero, un po' affettata, le venne una febbricciuola, accompagnata da dolori reumatici, che la obbligarono a letto; dove Sofia si adagiò rassegnata, circondandosi di una nube di trine, di fiocchi color perla e color cielo appuntati su cuffiette trasparenti; in mezzo a lunghi accappatoi profumati d'ireos, a pezzuole cifrate, e a boccette di aceto aromatico. Il ritratto del suo bambino chiuso in una bella cornice di metallo niellato, con una viola nell'angolo, le stava davanti appeso alla parete. Formava dei progetti seri. Una volta guarita suo figlio tornava a casa; ella stessa se ne sarebbe occupata, sorvegliando i suoi giuochi, l'istruzione e l'igiene; lo avrebbe condotto a fare delle lunghe passeggiate, gli avrebbe insegnato presto che la vita non è altro che un martirio. Se Maria, seduta ai piedi del letto, accennava qualche volta ad un prossimo ritorno in America, ella balzava fuori, avvinghiandosele al collo, supplicandola di non rapirle l'amicizia, il più gran conforto che aveva dopo suo figlio. E Maria restava; presa alle attrattive dell'affetto, della carità; attaccandosi ogni giorno più a quella donna, che avrebbe potuto odiare e che invece amava con un sentimento bizzarro misto di compassione e di abnegazione. Una sera, Sofia dormiva; Maria erasi indugiata più a lungo del solito presso il letto, assorta nelle malinconiche riflessioni che scaturivano a lei da ogni oggetto e dai confronti che le riusciva impossibile il non fare - che faceva anche con una gioia amara, l'unica che le fosse ora concessa. Ella non rifuggiva dai tristi pensieri del suo amore, perchè erano sempre pensieri d'amore, pensieri di Emanuele; e preferiva soffrire con lui odiarlo anche, anzichè liberarsene, dimenticando. Il pendolo si era fermato; Maria non sapeva che ora fosse, ma si alzò sbigottita udendo risuonare nella stanza attigua il passo di Emanuele. Fino a quel giorno ella era riuscita ad evitare un incontro che non credeva pericoloso, ma che trovava della sua dignità l'eludere. Fu dunque con un movimento rapido che aperse l'uscio, decisa di attraversare il salotto senza fermarsi, rispondendo brevemente al saluto del professore. - Maria... - egli disse ponendosele davanti mentre stava per uscire dall'altra parte - Maria, perché fuggite? Era turbato, pallido. Il lume che teneva in mano gli rischiarava tutto il volto, dolcissimo in mezzo alla barba bionda. Maria non trovò una sola parola. - Ve ne prego... Era sempre la sua voce temperata, cristallina; senza effetti di chiaroscuro, vibrante naturale sotto l'impulso del cuore. - È tardi... - Ve ne prego, una sola parola... - Che cosa? Ella ebbe il coraggio di guardarlo, seria, colla fronte alta, mentre il cuore le martellava. Ed egli pure la guardò con tenerezza somma. - Maria, non negatemi il favore di potermi giustificare. - Giustificare? E di che? La durezza dell'accento di lei parve colpirlo; soggiunse con maggior dolcezza ancora, quasi umilmente: - So di avere dei torti agli occhi vostri, ma credetelo, sono torti apparenti, che espio come torti reali. - Non vi ho chiesto delle confessioni. - Permettetemi almeno una discolpa. - A qual pro? Il passato è sepolto. - Siete spietata; non volete neppure conservare una memoria scevra di rancore? - Non ho rancore. - Sì... lo vedo, voi mi credete un vile mentre non sono che un disgraziato. - Vi ingannate; ho di voi la stessa opinione che ebbi sempre... ma lasciamo questi discorsi, a che giovano? Si scostò, facendo un passo verso l'uscio.. Egli la prese per le mani, guardandola supplichevolmente, con una scintilla negli sguardi.. Aveva deposto il lume su di una scansia alta; si trovavano nella penombra dell'uscio aperto, come una volta, quando ella lo aspettava sulla scaletta solitaria e che egli se la stringeva pazzamente al petto. - Ma infine che volete? - mormorò Maria con voce che non era più ferma. Emanuele non rispose subito; solo all'atto che ella fece per sciogliere le mani, una parola gli uscì strozzata dalla gola e la disse a bassa voce, tremando, come un fanciullo che teme di essere battuto. - Vi amo. Maria non gridò, ma ebbe la stessa sensazione come se il fulmine le fosse passato davanti agli occhi; un freddo di paura e di ribrezzo la prese alla nuca, poi una vampa ardente le innondò il volto. Sedette. Egli al vederla così immobile, rigida, che non accennava nè a rispondergli, nè a fuggire, gli si inginocchiò davanti, timido, con le lagrime in fondo agli occhi: - Ascoltatemi, Maria, ascoltatemi per pietà. Sapete che ho passata la vita sui libri, non conosco le frasi galanti che sono come la scherma dell'amore. Altri al mio posto vi parlerebbe con maggior riflessione; io non so neppure quel che mi dica... Comprendo vagamente che dovrei tacere, ma non mi è possibile. Soffro da otto giorni come un dannato. Abbassò la testa sul lembo dell'abito di lei. Maria lo lasciò fare; sembrava pietrificata; cogli occhi sbarrati guardava davanti a sè, come una sonnambula che vede mondi ignoti agli altri mortali. Egli continuò sempre con quella voce che pareva un lamento, dolce, infantile, con una nota scorata di uomo che non spera nulla: Dovrei... no, non recito una parte. Amica mia, ch'io abbia ragione o torto non dico che la verità: è la mia scusa. Piansi tanto dell'abbandono, al quale mi costrinse allora la povertà della mia carriera, che solo oggi comprendo come si possa piangere di più. Tuttavia il tempo aveva cicatrizzata la mia ferita; ve lo confesso... non sono sincero? Mi ritenevo guarito, speravo di avervi dimenticata... il vostro matrimonio vi aveva contribuito moltissimo... ero troppo fiero, troppo onesto per pensare di approfittarne giammai... mi credete nevvero? Disilluso sull'amore e scettico, accettai più tardi un matrimonio di convenienza, fui punito nella perdita delle mie ultime illusioni... Ora vi ho riveduta, e nell'istante che i miei occhi si fissarono nei vostri, tutti questi anni di oblio scomparvero. Io vi ritrovo nel mio cuore così viva come se non foste uscita mai. Ebbene, non mi rispondete? Le labbra di Maria si contrassero a un sorriso strano, spasmodico. Egli le si avvicinò più ancora, senza che ella opponesse nessuna resistenza. - Non avete pietà di me?... Maria si scosse finemente, retrocedendo la sedia: - Pietà, di voi? Di voi? Si arrestò un momento, mettendosi la mano sugli occhi, quasi a persuadersi che non sognava. -E siete voi, Emanuele, che mi chiedete pietà? Voi a cui io la chiesi invano, orfana, abbandonata, struggendomi nel vostro amore? Ma non vi ho io amato fino al delirio, non vi ho dato i più begli anni della mia giovinezza, non ero pronta per voi a qualunque lotta? Voi solo mi respingeste. Che volete adesso? Che posso fare per voi?... Andatevene. L'ira, lo sdegno, il disprezzo fremevano nella sua voce. Emanuele avvilito mormorò: - Non mi perdonate ancora! Ella fece un gesto vivace. No, non mi avete perdonato. Ma che debbo offrirvi per placare la vostra collera? Eccomi disarmato nelle vostre mani; fate di me quello che volete... Colpitemi e sarete vendicata. - Quello che è stato è stato - disse Maria levandosi in piedi - dimentichiamo entrambi. - Null'altro? - Io vi perdono. Poi trascinata da una tenera pietà, soggiunse: - Da lungo tempo vi ho perdonato. Nelle giornate solitarie, in paese straniero, la mente ricorreva volontieri ai dolci sogni del passato. Rifacevo la vostra vita... Quando mancano tutte le gioie si tenta qualche volta la gioia crudele di rimuovere il ferro nella ferita. Io volli immaginarmi la vostra gioventù, atrofizzata da uno scetticismo precoce, rifugiarsi tutta nella idealità dei libri. Con uno sforzo del pensiero vi seguii attraverso i dedali complicati ed aridi dei vostri studi prediletti; a forza di conversare coi morti vi lasciaste sfuggire dalle dita le fila che vi univano ai viventi... eravate vecchio a trent'anni. E quando a voi si confidò il cuore ardente di una fanciulla, trasaliste di quel legger brivido dell'insetto che un bambino trapassa collo spillo, ma la ferita non fece sangue. Voi non sapeste amare. - È vero. Sono un triste scettico che non conobbe della vita altro che il lato cattivo, che non trovò in una felice serenità della mente la fede, che non seppe trarre dall'amore le sue forze maggiori: costanza e sacrificio. Ma questo disgraziato destinato a fare intorno a sé degli infelici, è egli stesso il più infelice di tutti. Se sapeste quante volte invidiai i caratteri caldi e appassionati che attirano le simpatie e che proiettano intorno tanti raggi da illuminare tutto ciò che li circonda! I poeti, gli artisti, i soldati, i martiri, tutti quelli che sorridono, che piangono, che amano, che combattono, essi sono i beniamini della natura. Noi, siamo i reietti. Ma vi è ancora peggio; quando uno dei nostri intorpidito dal lungo sonno, si sveglia, quando dopo tanti anni di tenebre e di negazione scorge improvvisamente la luce e la verità, se vuole rialzarsi, se cerca anch'egli una croce o una bandiera, allora non gli si crede. È un castigo meritato, direte, ma è molto crudele. Un leggero incarnato gli era salito alle guancie; la fiamma che prima gli brillava nelle pupille si era velata di una profonda mestizia. L'orgoglio solo gli impediva di piangere. - Se questa crudeltà esiste, essa non sta in me, ma nella forza di avvenimenti che non posso cambiare. Gli tese la mano, risoluta e calma, padrona della situazione. Egli non osò trattenerla. - Sia. Ma non troverete voi una parola di dolcezza per colui che fu il vostro primo amore? Nel cuore di Maria si combatteva una fiera battaglia; distolse gli occhi da lui: - Dite l'unico. E lo lasciò solo, nella penombra della stanza che la candela illuminava appena.

Pagina 110

Ma se alti erano i pensieri di quell'amore, finchè Maria vi si abbandonava nelle solitarie ebbrezze della sua stanza, nella pratica giornaliera incontrava urti violenti che la atterrivano. Frenarsi sempre, eludere gli sguardi, misurare i gesti, trovarsi di nascosto, e di nascosto scambiare con due o tre parole i tormenti delle intiere giornate, questa era la sua vita e la vita di Emanuele. Era giunta senza avvedersene, per un pendio fatale, ad uno di quei volgari intrighi che aveva tanto disprezzati. Invano ella ripeteva a sè stessa che dopo dieci anni di lotta e di resistenza, un amore come il suo acquista il diritto di affrancarsi. Non era meno vero che, un amore come il suo, doveva scendere alle menzogne degli amori delle altre; la Guidobelli, la Bonamore, Ninna Menni. Che valore aveva dunque la nobiltà del principio, quando il fine doveva essere eguale? Questi erano i rimproveri della voce ignota che parlava in lei; ma la passione parlava più forte e Maria invece di evitare le occasioni si accontentava di nasconderle. L'improvviso odio per Sofia, che alla bontà innata del suo cuore doveva ripugnare come la massima delle ingratitudini, Maria lo impugnava per farsi uno scudo. Forse che Sofia amava suo marito? Era degna di possederne l'affetto? Colla stessa leggerezza che aveva accolto Bandini, non stava adesso per cedere alle insistenze del dottore? A questo pensiero Maria si soffermava, sentendosi mancare il respiro, sotto l'oppressione di un desiderio mostruoso. A farlo apposta, Sofia le prodigava più tenere che mai le sue carezze, con una dolcezza umile, cercando qualche volta di prenderla per sorpresa, con una grazia infantilmente biricchina. Alla mattina, mezzo svestita, entrava in camera di Maria e le buttava al collo le braccia nude, lasciandole sulla pelle l'odore di verbena de' suoi lavacri; sedeva famigliarmente sul letto, trattenendo le sottane che le cadevano, col busto slacciato, nel suo abbandono impudico di donna grassa, assonnata ancora, cogli occhi un po' rossi. Talvolta prendeva un pettine di Maria per lisciarsi i capelli o si provava un corpetto di lei, davanti allo specchio, e dappertutto lasciava una traccia del suo profumo molle e sensuale. Quando era uscita, Maria apriva la finestra; si lavava la faccia, il collo, le mani, nauseata e irritata, con un morso di gelosia nel cuore. All'asciolvere era un altro supplizio. Sofia si divertiva a punzecchiare suo marito, chiamandolo freddo e insensibile, convalidando l'argomento con allusioni scabrose, mettendo arbitra l'amica. Una volta Sofia era in vena di civetteria; prese dal piatto una ciliegia e scherzando, ridendo, colle sue moine vezzose volle per forza che Emanuele la mettesse in bocca e, siccome resisteva, si levò di scatto e andò a sedersi sul bracciuolo della poltrona dove egli stava seduto, continuando l'assalto. Tutti i giorni vi erano scene di questo genere, insopportabili, grottesche. Emanuele sembrava impazzirne. Non potevano quasi mai trovarsi soli. Emanuele, timido, non osava chiedere a Maria cosa alcuna che potesse comprometterla. Nei rari momenti di libertà egli le diceva una parola sola: Mi ami? come se non potesse crederlo - e la guardava, aspettando. Una sera, abbracciandola stretta nel vano di una porta, le mormorò colla voce di un moribondo che implora un sorso d'acqua: Vieni... Non disse dove, non disse quando. Vieni, era l'anelito del suo cuore che soffriva, spoglio di ogni riflessione e di ogni calcolo. Vieni, parola sublime, senza senso, uscita dalle labbra di un uomo schiettamente innamorato. Scettico per temperamento e per teoria, Emanuele in pratica non conosceva la vita; da tale contrasto risultava l'ingenuità delle sue manifestazioni in una passione che provava per la prima volta. Questo era che commoveva tanto Maria. Essa aveva cercato invano per lunghi anni di portare i tesori del suo amore a quel cuore malato, ed ora, quando meno lo aspettava il cuore malato si metteva a battere, sorgeva, viveva, ed erano le sue lagrime che avevano compito il miracolo; era dal suo tenero affetto che germogliava tardivo l'affetto di lui; così Maria sentiva questo legame duplicato da una tenerezza quasi materna, fatta d'orgoglio e di pietà. Lei sola poteva farlo felice; lei sola ne aveva il diritto per tutte le lagrime e per tutti i dolori che le era costato quell'uomo. Dalle confidenze di Sofia, sapeva che Emanuele non dormiva più con sua moglie. Si era fatto portare un letto da campagna nel suo studio, col pretesto di veglie prolungate; infatti, fino a notte tarda, si scorgeva il lume attraverso le imposte socchiuse. Quando il silenzio era profondo, Maria appoggiata al davanzale della sua finestra, teneva fissi gli occhi su quel lume. Un rettangolo di giardino divideva le due finestre esternamente; all'interno vi stava di mezzo tutto l'appartamento. Dopo che egli le aveva detto vieni, sembrava a Maria che quel lume la chiamasse, con una dolce e tacita insistenza, invitandola col suo bagliore tranquillo. Altra volta, quando Emanuele chiedeva il primo bacio, ella non aveva esitato; ma portava allora una grande arme con sè, la propria innocenza. Ora la situazione era affatto cambiata; Maria sapeva ciò che Emanuele voleva. Nell'aria buia della notte, nessun rumore veniva a interrompere l'aspra battaglia ch'ella combatteva da sola, al davanzale della sua finestra; ma nel breve orizzonte dove sembrava alitare il respiro della città addormentata, una visione di fantasmi sfilava sorridendo con aria di scherno. Erano donne graziose, facili fanciulle, spose senza scrupoli; tutte la guardavano compassionevolmente attonite e meravigliate della sua solitaria follia - ed essa guardava loro, riconoscendo volti noti, amiche colle quali si era trovata nelle conversazioni, in casa, in chiesa; signore educate che parlavano di morale a proposito di tutto - e passavano, pudicamente ravvolte nelle cortine dell'alcova matrimoniale, nel bianco velo sparso di fior d'aranci, seguite dalla turba degli amanti discreti e prudenti. In un momento di chiaroveggenza quasi magnetica, Maria scorgeva i misteri di tutte quelle finestre chiuse; i mille misteri risolvertisi in uno solo, antico come il mondo, eterno come la giovinezza; il mistero delle città e delle selve, dell'uomo e della natura, il solo perchè dell'universo. - E dal fondo delle viscere le sorgeva una violenta protesta contro i rigidi principii che inceppavano il suo amore. Eccomi - mormorava colle braccia tese nell'oscurità, coll'occhio fisso sul punto luminoso - sono donna e ti amo; vengo a te. - Sì, sì, vengo - continuava a dire a bassa voce movendo appena le labbra - aspettami Emanuele, mio amore, mia gioia, dolor mio. Si mosse, come una sonnambula, a passi brevi o tremanti, sentendosi paralizzata dalle anche in giù, e tutto il corpo diaccio. Si fermò un minuto davanti allo specchio, un solo minuto. Era pallidissima, cogli occhi grandi, cinti di violetto; strinse le labbra, commossa; a Emanuele piacevano i suoi occhi così. Aveva un paio di stivaletti che scricchiolavano; li levò e si pose le pianelle. Nell'aprire l'uscio, una corrente d'aria le spense il lume. Dovette brancicare al buio, urtandosi contro i mobili, debole così da reggersi appena. Quand'ebbe riaccesa la candela, sulla soglia dell'uscio, esitò. Aveva nel petto un rodìo, come se due mostri ignoti si contendessero a colpi di zanna il suo cuore. Uscì finalmente, attraversando in punta di piedi il gabinetto dalla tappezzeria verde-mare, attiguo alla stanza di Sofia. Sul divanuccio c'era l'abito che Sofia aveva spogliato quella sera, lungo, disteso, colle maniche ancora gonfie e il corpetto che sembrava tiepido nella lieve evaporazione delle carni contenute. Maria, nel passare, lo smosse e l'abito cadde bruscamente per terra, con un fruscìo secco, come di risata sardonica. Al gabinetto seguiva il salotto, tutto ingombro di poltrone, di tavoli e di ninnoli eleganti, con due specchi altissimi, posti di fronte, che riflettevano simultaneamente la figura spettrale di Maria. Ella ne ebbe quasi paura e abbassò gli occhi, rifuggendo dal guardarsi, con un aumento di tremore nelle gambe e quel diaccio per tutto il corpo che le dava l'impressione di sentirsi irrigidire. Due camere ancora la separavano dallo studio di Emanuele; in una di queste, molto ampia, nuda, con un guardarobe altissimo, ella c'era stata appena una volta. Non ricordava bene se l'uscio era a destra od a manca; alzava il lume, per vedere meglio, quando un respiro robusto di persona dormente la inchiodò nel mezzo della stanza, sbigottita. La bambinaia dormiva su un lettuccio, dietro un paravento, colle coltre di filugello giallo tirata sugli occhi, o accanto a lei, la culla di Guido biancheggiava, nello sfondo latteo delle trine, sospese e drappeggiate intorno. Maria pose una mano davanti alla fiamma e guardò, al di sopra della luce smorzata, trattenendo il fiato. La faccia del piccino, tutta rosea nella cornice ricamata della cuffietta, riposava in attitudine di una pace profonda, colle palpebre serrate che gettavano un'ombra sulle guancie; in fondo al piumino di seta celeste usciva uno de' suoi pieducci, nudo, e fra questi due estremi il piccolo corpo ravvolto nelle coperte si alzava e si abbassava con un movimento regolare, di una placidezza beata e sana. Dall'altra parte, l'uscio spalancato scopriva l'incerto nereggiamento di un corritoio, attraversato da una striscia sottilissima di luce che sfuggiva da una fessura dell'uscio di Emanuele. Maria era come impietrita, con un senso di soffocazione penoso e opprimente che le serrava la gola. Volse gli sguardi, lenti, dalla culla all'uscio, sempre colla mano alzata contro la candela, ascoltando. Sentì le forze che le venivano meno; e quel ghiaccio rigido delle membra fondersi sotto una fiamma invadente, che partita dalle guancie, dopo esser salita ratta alla fronte discendeva, stendendosi per tutto il corpo, frustandola colla reazione di una vergogna improvvisa. Non posso - mormorò, quasi per giustificarsi, con un terrore angoscioso - non posso! E ripeteva, senza saperlo, le parole che Emanuele stesso aveva dette a lei, una volta. Rifece la via percorsa, senza voltarsi indietro, con ondeggiamenti da ubbriaca.

Pagina 176

Si abbandonava sul davanzale della finestra, coll'occhio perduto nel vuoto orizzonte, anelando dietro i passi di lui; invidiava il selciato sul quale egli posava il piede, l'aria che gli agitava i capelli, le persone che lo vedevano, gli oggetti che egli toccava, i libri che lo interessavano; il paesaggio, il muro, l'insetto, il granello di polvere sul quale cadeva lo sguardo di lui dolce e freddo. Una smania terribile la struggeva nelle lunghe sere d'inverno, pensando ai tiepidi salotti che lo avrebbero accolto, tra i sorrisi di donne eleganti e felici; e nei languidi pomeriggi estivi, immaginandolo al rezzo dei giardini, nella penombra delle verande, in quella società, in quel mondo da cui essa era bandita. Nè la fantasia si chetava su queste imagini; ma, incalzando, la turbava fino nell'intimo delle viscere coi misteri dell'ignoto. Di fronte ai problemi scientifici, la sua anima mirabilmente temprata, non aveva perduto i suoi veli, e la vergine si arrestava sul limite del passo vietato. Pure ne sentiva gli acri struggimenti, e certe sere, quando il giovane rientrava, calmo, sereno, un po' pallido, ella avrebbe voluto avventarglisi contro per strappargli il segreto della vita. In quelle sere ella intuiva più che mai l'umiliazione del suo amore incompiuto. Forse egli leggeva tutto ciò negli occhi di Maria, bellissimi; forse la lotta era incominciata in lui prima ancora che nella fanciulla. Chi parlò? Nessuno. Si compresero. Allora egli le scrisse: «Vi sono dei momenti nella vita in cui si «maledice la ragione che frena i moti più «soavi del cuore; vi sono dei momenti in cui «si invoca come grazia celeste la più leggera «spensieratezza che ci tolga la memoria del «passato e le previsioni dell' avvenire per lasciarci «godere interamente le dolcezze del «presente. Amica mia, io sarei felice, se potessi «tutto abbandonarmi ai moti del mio «cuore, assecondarlo in tutto, e tutta in «voi versare la piena dell' affetto che lo innonda.» «Non facciamoci illusioni, la nostra amicizia «ha cambiato natura; io sento che voi «non siete più per me un'amica come tutte «le altre, sento che mi soggiogate e mi inebbriate... «Ah! Maria, ma posso assecondare in «me e forse eccitare in voi una passione che «non so dove debba finire, che so anzi finirà «col logorarci a vicenda in aspirazioni vane «e in vuoti desideri? Pare una crudeltà, pare «un'empietà spogliare questi poveri giorni «che chiamiamo vita, di quella poesia e di «quelle gioie di cui qualche rara volta li circonda «il cuore; ma l'uomo di carattere è «costretto a queste crudeli privazioni. Io non «posso, io non debbo amarvi. » Maria pianse molto e poi rispose a questa lettera con una sola parola: «Vi amo.» Tutti i giorni l'ampia capacità di un vecchio vaso di terraglia, posato sul caminetto, nascondeva una lettera. Quelle di Emanuele erano contegnose e studiate, quelle di Maria irrompenti con tutto il fuoco della passione. Ella avrebbe voluto scuotere, elettrizzare il giovane stoico, che sembrava aver preso per divisa: «Poco m'allegro e poco m'addoloro.» Ma egli resisteva con una tenacità tranquilla che infiammava maggiormente la fanciulla, dandole un desiderio affannoso di sacrificarsi, di trasfondere in lui i suoi santi entusiasmi e la sua fede inalterata. Crescendo l'amore le cresceva pure la gelosia e quel vago terrore del mondo che non conosceva. Le ore che Emanuele passava fuori di casa erano per Maria altrettante ore di supplizio, accresciute dalla solitudine e dal doversi frenare sempre, soffocando ogni palpito, ligia alla sua parte tranquilla e rassegnata di infermiera, ma coi sensi in tempesta e l'animo ansioso, inappagato. Questa passione senza speranza aveva delle strane voluttà. Dopo una lettera seria, asciutta, nella quale era stata considerata con calma la necessità di troncare l'inutile corrispondenza, essi si incontravano nel salotto e passando dietro la poltrona dell'infermo le loro mani si scambiavano una stretta eloquente; poi i loro sguardi non si abbandonavano più. Al domani egli le scriveva: «No, non sapete quanto mi siete cara e «dilettissima sopra tutte le donne, quante lagrime «secrete, quante interne e terribili battaglie «mi costi questo nostro amore. Io non «mi riconosco più. Abbandono gli studi che «mi furono tanto graditi, i miei classici mi «vengono a noia; ch'io vegli o ch'io dorma «non penso che a voi.» Felice di avergli strappato uno slancio di vero amore, Maria trovava la forza di ragionare a sua volta; ed era lei che parlava di doveri, di pura e di semplice amicizia. In queste alternative egli fu leggermente indisposto; aveva delle fatiche straordinarie di professione, delle noie, delle seccature infinite; il suo scetticismo tornava a galla; imprecava alla vita. E Maria a consolarlo con tutte le tenerezze della donna innamorata. Ma quell'amore non bastava ad Emanuele perchè egli non credeva all'amore. I suoi sogni giovanili si erano dileguati davanti a un convincimento, sempre crescente, che l'amore non è altro che illusione. Tolta la necessità materiale di unirsi ad una donna, il giovane scettico non vedeva, non sentiva altro. L'affetto appassionato di Maria se, qualche volta, riusciva a scuoterlo e a commuoverlo, gli lasciava però sempre lo sgomento di una grande aberrazione. Nei momenti più dolci, quando la fanciulla gli dava l'anima negli sguardi e sembrava implorarne la pietà, presso a cedere, una voce inesorabile gli mormorava all'orecchio: Anche questo non è altro che illusione. - E, si rifaceva freddo, non volendo essere trascinato in quel tumulto di palpiti e di desideri, non volendo soffrire, non volendo amare - amando tuttavia, debolmente, per impulso di lei e per la viltà del cuore che si faceva, a sua insaputa, alleato dei sensi. Una volta, la lettera che Maria trovò in fondo al vecchio vaso terminava con queste parole, che la gettarono in un turbamento indicibile: «un vostro bacio sarebbe il miracolo che muta l'inferno in paradiso.» Nelle sue lunghe ore solitarie, Maria doveva averlo provato il desiderio di un bacio, del primo bacio d'amore, che non sapeva, ma supponeva differente da tutti; mille volte questo desiderio doveva esserle salito dalle labbra allo sguardo; e nei colloqui della sera, sotto la blanda luce della lucernetta, un'attrazione invincibile doveva trascinarla verso la bocca di Emanuele, il disegno della quale, puro e gentile, spiccava con un fresco incarnato sulla barba bionda. È certo che non esitò. La stessa sera, quando Emanuele venne a congedarsi, ella gli fece un piccolo cenno, puntando l'indice nella direzione di una scaletta che egli doveva salire per recarsi in camera: poi si salutarono, freddi in volto, comprimendo i battiti del cuore. Trascorsero alcuni minuti durante i quali Maria tendeva l'orecchio al suono smorzato dei passi che si allontanavano; e intanto accomodava i guanciali sulla poltrona del padre, con un tremito nelle gambe, colle mani fatte di ghiaccio. Ascoltò ancora - nessun rumore. Egli era là. La scaletta si rizzava, ripida, parcamente illuminata nei gradini inferiori; buia in alto. Maria attese un richiamo, cercando cogli occhi nella semi oscurità, sperando di vederlo subito. Nulla. Guardò allora angosciosamente in alto dove i gradini si perdevano nelle tenebre fitte, Non un cenno, non un bisbiglio; ma nel silenzio di quell'ombra c'era una vertigine che l'attirava. Fece ancora qualche passo, smarrita, finchè un respiro affannoso le venne incontro e due braccia possenti la presero attraverso le reni. Il corpo di Maria si piegò come un giunco, abbandonandosi, provando l'impressione di una ferita acutissima. Sotto la dolcezza dell'amante ella sentiva fremere, repressa, una brutalità ignota. Eppure mentre tremava in quella violenta rivelazione, mentre un senso nuovo, quasi doloroso, si destava in lei dal bacio di Emanuele, una tenerezza struggitrice, un bisogno di darsi, di sacrificarsi le faceva mormorare: «ti amo, ti amo!» Al che egli non rispondeva altro che stringendola maggiormente, con un rantolo nelle fauci. Ed ora, coricata su quel letto straniero, cogli occhi aperti nella oscurità di una camera ignota, Maria rivedeva quella scaletta, risentiva quel primo bacio al quale molti altri erano seguiti di poi senza cancellarne la profonda impressione. Sostò per poco, ondeggiando col pensiero in un periodo di deliziosi incanti, durante il quale i giorni volavano in una continua ricerca di furberie e di astuzie per stringersi in un amplesso rapido, per ripetersi che si amavano. Nelle lettere, Emanuele diceva ancora che bisognava combattere una passione insensata, le chiedeva scusa per aver turbato co' suoi ardori la casta tranquillità di lei; le prometteva di frenarsi, di soffrire, di non chiederle più nulla. Un solo istante però distruggeva tutte queste saggie teorie. Così nel cuore di Maria ardeva sempre la fede, alimentata dai giovanili entusiasmi e dall'immenso amore. Ad onta delle sue letture, ella, dotata di molto idealismo, era rimasta ignorante sulle verità materiali dell'esistenza; come un cieco che abbia studiato a perfezione il meccanismo della vista, ma che non vede. Istintivamente sentiva che nell'amore di Emanuele per lei c'era qualche cosa che non poteva capire, differente dalle sensazioni sue proprie; ma che cosa fosse preciso non cercava. Non era curiosa, non era maliziosa. Quando la bocca di Emanuele così piccola, così gentile, le dava nel buio quei baci virili che la sorprendevano e la turbavano, ella rimaneva per poco sotto l'assillo di una curiosità indeterminata, che svaniva poi nei tranquilli colloqui intorno alla lucerna, allora che il giovane professore, calmo, colla sua voce monotona, rispondeva alle controversie del padre; e l'impressione violenta svaniva per lasciar posto a una idealità piena di dolcezza. Maria non pensava neppure che vi potesse essere un pericolo per lei in quell'amore. Era cresciuta con un principio di morale, non bigottamente ristretta, ma di una conclusione rigida e inflessibile. A' suoi occhi, l'abbandono completo di una donna, quando non fosse reso legittimo, metteva capo a una vergogna incancellabile. Certe parole grosse, brutte, ch'ella aveva udite per caso, le sembravano applicabili a tutte le donne che cedono; e nei momenti di maggior debolezza, il ricordo di quelle parole le faceva salire alla fronte una fiamma di vergogna. L'uomo ha un altro, diverso e vasto campo in cui esercitare la virtù; egli ha le virtù cittadine, politiche, patriottiche e guerriere; ha l'onestà della carica che occupa e dei commerci che intraprende. La donna non ha che questa povera, modesta virtù del resistere, che cresce nell'ombra, spoglia di gloria, quasi sempre inapprezzata. Non importa; Maria aveva fede in essa; sperava che Emanuele avrebbe superati gli ostacoli che li dividevano e si sarebbero alfine sposati. Si voltò dolorosamente nel letto; la successione delle idee che le presentava in quadri spiccati le scene principali nella sua vita, l'aveva condotta ad una scena ch'ella non poteva ricordare senza sentirsi dare un tuffo nel sangue. Sempre la tetra casa, l'abbandono, la miseria e suo padre morto - questa la cornice. Nel mezzo, lei, disperata, folle, abbracciata come un naufrago ai ginocchi di Emanuele... A questo punto, con tutte e due le mani, prese il guanciale e se lo pose sul volto, premendo, non trovandosi abbastanza nascosta nelle tenebre, desiderando nascondersi a sè stessa in un bisogno di annientamento; ma anche soffocata dal guanciale vedeva gli occhi di Emanuele senza lagrime intanto che la sua voce misurata le diceva: Non posso farti mia. E l'amava, sì, l'amava; ma non aveva la fede che ispira, non aveva il coraggio che spinge alla lotta, non si sentiva la forza di darle la sola prova d'amore che un uomo possa dare ad una donna onesta: soffrire con lei, lavorare per lei... E dopo tanti anni, lì, in quella camera che apparteneva a lui, su quel guanciale dove egli aveva forse appoggiata la testa sognando di un'altra, i singhiozzi della povera donna scoppiarono alti, irrefrenati.

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Sofia, volubile, si abbandonava adesso colle sue smanie solite ai trasporti dell'amor materno; e, sincera sempre, null'altro sentiva in quel momento che una ineffabile tenerezza. - Oh! se morisse davvero... Io non sono molto pia, no, credo poco... Non so precisamente quello che credo: ma allora mi rivolsi al Dio delle madri. Egli deve esistere, e gli chiesi a qualunque costo la vita del mio bambino. Piangeva. - Egli te l'ha concessa - disse Maria. - Sì. - E - le prese la mano con dolcezza somma, guardandola negli occhi, - non ti chiese a sua volta il patto? - No davvero - mormorò Sofia, sorridendo attraverso le lacrime. - Eppure, nell'istante che fra te e Dio si dibatteva la vita di tuo figlio, dimmi, non saresti stata disposta a concedere qualunque cosa? - Oh! senza dubbio. - Tu dunque sentivi che questa creaturina appena nata esercitava su di te un potere che supera tutti gli altri? Presso quella culla hai dimenticata la società, il mondo... se quella marea montante, se quel fango di cui parlavi poco fa, fosse salito a macchiare la coltre del tuo bambino, a coprirlo, a soffocarlo non ti saresti slanciata in suo aiuto? - Maria!... - Non avresti voluto, per lui, essere pura d'ogni colpa, monda perfin d'ogni sospetto? Erano, entrambe, immensamente commosse. Maria col volto presso il volto dell'amica, mormorava accentuando appena: - Non avresti voluto annientare ogni pensiero che non fosse nobile e santo? Distruggere qualunque traccia di debolezza? Fuggire le tentazioni, che ti rapiscono a lui?... Si guardavano negli occhi, dritto, fino in fondo, come due pantere in lotta. Sofia sentiva la propria debolezza e cedeva, vinta, spossata dalle emozioni. In quel mentre entrò la cameriera: - Il signor Bandini manda a prendere il portafogli che ha dimenticato qui. Sofia, senza muoversi, tese la mano; prese il portafogli, lo aperse e stracciò il primo foglietto - non abbastanza rapidamente che Maria non potesse leggervi un sì, scritto a grossi caratteri tremanti, con matita rossa; poi lo rese. Appena la cameriera fu uscita, le due amiche caddero nelle braccia l'una dell'altra; Sofia in preda a una convulsione di nervi, singhiozzando sulla spalla di Maria.

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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245529
Grazia Deledda 3 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Il pensiero di riprenderla non mi abbandonava un momento. Un giorno andai a vederla. Entrai senza picchiare, avanzandomi fino all'uscio della stanza che ben conoscevo. E dapprima mi parve di sognare, o di aver sognato, perchè nulla era mutato in quella stanza: la moglie del mio creditore lavorava seduta accanto al braciere, la sua fisionomia era la solita, e solo si alterò al vedermi, ma di un turbamento che mi parve più di sdegno che di affetto. Subito però si dominò, mi accennò di avanzare. AI rumore del miei passi l'uscio della cucina si socchiuse e subito intravidi la balia con una grande scodella in mano: mi guardò con l'avidità con cui mangiava: avidità di sapere perchè ero lì. La padrona la chiamò, le disse di farmi vedere la bambina, poi si volse a me accennandomi di seguire la balia: si entrò nel salotto attiguo, e la prima cosa che distinsi, nella penombra, fu la porta-finestra difesa da una semplice persiana che dava sulla strada. Tante volte passando di fuori avevo veduto quella persiana socchiusa e l'interno del salotto, col solito arredamento paesano: tavola rotonda in mezzo con un mazzo di fiori finti, uno specchio pur esso ornato di fiori a smalto, divano e sedili ricoperti di goffi merletti. Adesso c'era anche una grande culla di vimini: la balia sollevò un lembo della stoffa che la copriva, e non ostante la penombra e sebbene guardassi rigido dall'alto senza troppo avvicinarmi nè chinarmi vidi distintamente il piccolo viso, non più grande di una grande rosa, ma già vivo, balzante verso di me da una profondità che era quella dell'anima mia stessa. Gli occhi erano aperti, placidi, nuotanti come in un velo di piacere, le labbra strette succhiavano l'aria. Subito mi preoccupai perchè la balia la ricoprì tutta: non poteva soffocarsi, così? E rientrando di là vidi che la donna continuava a lavorare la sua maglia, in fretta, come per riacquistare il minuto perduto. Ma perchè aveva voluto la bambina se era per continuare la sua vita inerte? Io invece mi sentivo tutto sconvolto solo per averne intraveduto il viso. Accennai ad andarmene. Volevo portarmi via intatta quell'impressione indefinibile che non era di gioia, nè di dolore perchè trascendeva l'una e l'altro; ma la donna mi guardò rapida col suo sguardo glauco, supplicandomi di restare. E io restai: anche perchè la balia mi osservava; e i suoi occhi così lucidi che non lasciavano distinguerne il colore, mi ricordavano quelli di una biscia che avevo veduto una volta fra l'erba.

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Può anche piangere, se vuole: il suo grido adesso può confondersi con le altre voci della notte, col mormorio degli alberi, con tutti i lamenti e i canti che salgono dalla profondità della mia anima; ma a dire il vero la bambina non si agitava nè piangeva; era tutta dura dentro la fascia, con le manine in dentro, tutta tiepida e un po' umida come un fiore notturno, nell'involucro della coperta; e abbandonava la testina in avanti, profondamente addormentata. Le passai timidamente un dito sul visetto, sulle palpebre chiuse, sulla bocca dalla quale colava il latte: poi la ricoprii e ripresi a camminare. Ed ecco di nuovo sentii, dentro di me, l'eco di un passo che mi seguiva: ma questa volta mi volsi, per togliermi più che altro dall'incertezza. E realmente vidi una forma avanzarsi nell'ombra. Non c'era che aspettarla e assicurarsi che non cercava me; il guaio fu che, nonostante l'oscurità, mi parve di ravvisare il vecchio Tobia: e quasi d'istinto ripresi a correre, ma invece di andar dritto credetti bene di allontanarmi trasversalmente per fargli perdere le mie traccie. Andavo alla cieca: davanti a me però vedevo uno sfondo meno scuro, grigiastro, e credetti fosse il mare; quindi dopo un certo tratto ripresi a correre nella direzione di prima. Mi ero abituato al buio e distinguevo le strisce dei sentieri, i cespugli, le macchie: all'ombra nera di una di queste tornai a fermarmi. Ero di nuovo solo, con la mia creatura; il cuore mi batteva, e mi pareva fosse il suo, agitato per la corsa e il vano spavento. Ma non sono pazzo? - mi domandavo. - Perchè corro così, senza neppure essere certo di essere inseguito? E se davvero lo sono, e se è il vecchio che m'insegue, che può farmi? Neppure Dio, può ormai togliermi la mia bambina dalle braccia. Piuttosto cominciai a impensierirmi per l'immobilità, per l'abbandono di lei: ma che poteva fare, lei povera creatura, povero uccellino nudo appena nato e tolto dal nido? Se piangeva non la sentivo; agitarsi non poteva. La scoprii di nuovo; non la distinguevo bene, nell'ombra, ma tornai a palparla; era tiepida, col visetto molle tutto bagnato di latte, con gli occhi chiusi. Aveva un sonno ben profondo! L'aggiustai meglio, cercando di metterla in quella posizione che le donne usano dare ai bambini quando li allattano, e le lasciai il viso scoperto. Faceva quasi caldo, o almeno mi sembrava così per il calore che io stesso sentivo: potevo lasciarla respirare: avevo paura di soffocarla: una paura strana che m'era venuta ad un tratto, che saliva da un angolo oscuro del mio essere e m'inseguiva come poco prima la forma minacciosa balzata dall'ombra della pineta. Ma perchè questa paura, incalzante, insistente, se la bambina era tranquilla, e scoperta, adesso? Vado, vado, non penso più neppure all'uomo che m'insegue; non penso che ad arrivare in fondo alla pineta, nella casa del guardiano; di trovare la balia e farle dare il latte alla bambina. D'improvviso mi sentivo di nuovo calmo, sicuro di me; mi pentivo e mi vergognavo d'essere fuggito; e anche di aver rubato la bimba, quando con la forza e il mio diritto avrei potuto prendermela un giorno e portarla dove volevo. Ma adesso il fatto è fatto; non pensiamoci più; pensiamo piuttosto a orientarci meglio, ad arrivare alla metà. Piuttosto.... Ecco una nuova paura mi assale, mentre volgo addirittura le spalle a quello sfondo grigio che mi accompagna di fianco, e cerco di andare verso il fiume. Luci vaghe, lontane, appaiono tra il fitto degli alberi; sono forse i riflessi dei lumi delle casette della collina; la strada che seguo è dunque buona. Piuttosto.... Sì, pensavo che la bambina, una volta abbandonata da me a quella gente sconosciuta, potesse venir di nuovo rubata, o tolta loro con inganno dai miei creditori. No, no, dicevo a me stesso, io veglierò; starò in giro intorno alla casetta, o farò venire la donna in casa. La zia acconsentirà: la zia ha denari, adesso ne sono convinto. E tutto mi sembrava facile, nella fantasia; ma in fondo sentivo bene che tutto era un sogno: sogno anche la calma e la fiducia che credevo di avere: in fondo un'angoscia mortale mi premeva, mi spingeva, e sempre quella paura strana, insistente, che la bambina fosse morta. Ah, ecco, l'orribile verità l'ho detta.

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E quell'impressione di aver sentita la voce di Dio nella mia voce stessa non mi abbandonava. E avevo paura di ritentar la prova. Ma tutto adesso parlava: sentivo il rumore dei miei passi, il fruscio delle foglie, e un suono lontano che dapprima mi sembrò fosse dentro di me: il mormorio del mare. Poi d'un tratto mi fermai, pronunziando parole vaghe, confuse, come quelle dei bambini che cominciano a parlare. La gioia era tale che vinceva il dolore. Per alcuni momenti dimenticai di aver la bambina morta fra le braccia. Eppure ripresi a camminare: e andavo o credevo di andare ancora verso le colline, verso il fiume, in cerca della casa della balia! Ecco di nuovo infatti l'orizzonte schiarirsi: il cielo si faceva azzurro, le chiome dei pini vi si disegnavano nere come nuvole basse che pur lasciavano trasparire un chiarore sempre più vivo: finchè d'un tratto la pineta cessò con una sola fila di pini che pareva si fossero fermati lì protesi a salutare un essere invisibile che passava nella strada bianca illuminata. Quella strada, quel chiarore, mi fecero paura e nello stesso tempo mi richiamarono alla realtà. Qualcuno poteva vedermi e fermarmi: d'altronde che cosa cercavo da quella parte? Case non se ne vedevano se non in lontananza fra le vigne: e anche avessi trovato quella che cercavo a che mi serviva? Rientrai nella pineta: il chiarore della luna si faceva sempre più vivo, illuminava i sentieri, i cespugli, illuminava, a tratti, quando io ci capitavo sotto, l'involto bianco che tenevo con me! E mi gelava tutto, come fosse un getto di ghiaccio, mi penetrava fino al cuore e smorzava, la mia gioia. Non tentavo neppur più di parlare: il suono della mia voce accresceva la mia paura. Tuttavia speravo ancora di essermi ingannato; forse la bimba era viva ancora, forse si poteva ancora salvare. Bisognava portarla dal dottore: ed ecco mi dirigo ancora alla casa del dottore: adesso mi orientavo bene, nella pineta, capivo flnalmente dov'era il mare, dove il paese, dove il fiume. Vado di nuovo verso il mare: lo sfondo grigio s'è fatto azzurro; sotto la luna piena sempre più alta e chiara, tutto il paesaggio si colorisce di azzurro e di argento, tutto diventa fresco, lieve, irreale. Ed anch'io nonostante la stanchezza, l'angoscia, il terrore, ho l'impressione di essere diventato lieve, di camminare rapido, senza sfiorare la terra. Mi sembrava che l'aria attraversasse il mio corpo come la tela d'una vela e mi spingesse. Ma dove, dove andavo? In casa del dottore no, non volevo più andare: e non più per paura, ma perchè sentivo ch'era inutile andarci, che la bimba era morta e nessuna forza umana, neppure quella del mio dolore, poteva rianimarla. Eppure andavo: dove? non sapevo: arrivato al confine della pineta tornavo indietro. Credo di aver fatto in tutti i sensi, quella notte, tutti i sentieri della pineta; e ancora mi pare adesso ogni notte nell'addormentarmi di essere là e di vagare, col mio carico, col desiderio e la paura di deporlo e di uscire libero da quel labirinto, come si vaga nei sentieri della vita, col carico delle nostre passioni e con un desiderio di liberazione....

Pagina 213

Il romanzo della bambola

245582
Contessa Lara 2 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
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Pagina 27

Il sole, ch'entrava pallido pallido, a fare il suo giro obliquo - il giro invernale - per la stanza, si fermava un momento, passando sul corpo della pupattola, coricato come l'avevan lasciato lì con mano distratta; animava, d'un tratto, i capelli biondi, i vivi colori del vestito, poi abbandonava nell'ombra quel dolore a cui nessuno badava: un dolore, è vero, senza espressione, ma non per questo meno angoscioso e sincero. Dai discorsi uditi in casa, un po' qua un po' là, la bambola aveva capito molte cose e le andava rimescolando nel suo povero capo vuoto. Oh, se si potesse sapere tutti i pensieri contenuti in una testa che sembra insensibile, si commetterebbero, certo, meno leggerezze e meno crudeltà. Il Moro era il rivale temuto e odiato dalla Giulia. Ella aveva inteso decantare tutte le virtù del cavallino: sapeva di quale colore aveva il manto e quanto era acuta la sua intelligenza; sapeva perfino, oh dolore! di quella piccola stella bianca su la fronte, dove la Marietta lo baciava più spesso e più volentieri. E pensare che a lei non aveva mai dato un bacio, la Marietta! Che cosa erano i baci, in conclusione? Un'espressione dell'amore, se alla bambina i genitori ne davano tanti, da mattina a sera, e se lei, cattiva, ne dava tanti al Moro! La gelosia che rodeva la Giulia non la fece nè dimagrire nè impallidire, s'intende; ella sentiva, però, dentro di sè, qualcosa che le andava consumando il cuore, l'anima, chi sa? e la sensazione era delle più penose. Dov'erano i tempi in cui la Marietta le diceva, pigliandola in braccio: - Vieni, bella mia! Adesso usciamo insieme, sai! Ti porto in legno, e tutti credono che tu sia viva come me!

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La ballerina (in due volumi) Volume Secondo

247405
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Pagina 66

La sorte

247993
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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E abbandonava il suo strumento in mano di quel diavolino che se lo trascinava dietro come un giocattolo. - Ora gli sciupa ogni cosa! - esclamò la Fanny raggiungendo la bambina. - Ma la lasci stare!.. non importa!.. - insisteva Salvatore, avvicinandosi, sfiorando le mani di lei nella breve contesa. La principessina, sdraiata sopra un sedile di ferro, col mandolino quasi più grande di lei fra le gambe, strappava le corde una dopo l'altra, come se volesse spezzarle. - Mio Dio, che stridori! - diceva la Fanny, portando le mani alle tempie e raggiustando lievemente con le dita le bande dei suoi capelli d'oro. - Che differenza con poco fa! - aggiungeva, rivolgendosi a Salvatore. Egli tentava scusarsi: - Bontà sua!.. io non merito... - No, no; le assicuro che lei suona divinamente. Così potessi avere ancora questa consolazione! - Conosce la musica? - Ora? Più nulla! A casa mia, strimpellavo bene o male sul pianoforte. Ma cosa vuole - aggiungeva, sospirando - quando non s'è più padroni!.. Salvatore non si stancava di contemplarla, pieno di commiserazione. - E si trova da molto tempo con la principessa? - Da quasi due anni, dopo che è morto il babbo! - Il suo paese, se è lecito? - Sono veneziana. Mio padre era capitano nell'armata... La principessina chiamava da lontano: - Fanny!.. - Sul punto di morte mi raccomandò a una famiglia di signori suoi conoscenti, che per tutta protezione mi proposero di prendermi come governante... - Fanny! Fanny! - strillava la bambina. - Dica lei cosa potevo fare, senza un aiuto, sola? Rassegnarmi! - Fanny! - urlava la bambina, disperatamente. Dal salotto la principessa chiamava anche lei, con voce breve: - Fanny! - Ecco quello che mi tocca! - mormorò lei. - Mi permetta, signore... Salvatore restava ancora lì, senza saper dove fosse, con una grande confusione nella testa. Era proprio lei, la Fanny, che gli aveva fatte quelle confidenze? Ed erano dirette. proprio a lui, Salvatore? Tutto questo non era un romanzo?.. Si guardava attorno: il giardino era oramai deserto e silenzioso. I lampioncini rossi pendenti dagli alberi, come tanti poponi, si andavano spegnendo. La rotonda era vuota; dietro le finestre del salone, vivamente illuminate, si vedevano passare delle ombre, al suono affievolito del pianoforte. - Un romanzo! un vero romanzo! - pensava egli continuamente. A un tratto si sentì chiamare. - Salvatore, ohè? - Era il cocchiere - Volete restare all'aria aperta fino a domani? - Vengo subito - rispose, cercando il suo strumento, da un sedile all'altro. - Che avete fatto di bello? - Nulla; si è chiacchierato con la governante della principessa. - La governante? Quale governante? - Ma... la Fanny... la figlia del capitano... Il cocchiere si mise a ridere. - Ci siete cascato anche voi? Che capitano e che governante! La cameriera, volete dire. - Ecco com'erano! - pensava Salvatore - Ecco in mezzo a quale gente era costretta a vivere quella povera creatura! Che sorte le toccava! Egli si sentiva intenerire profondamente, ogni volta che ripensava a tutto quello che aveva dovuto soffrire, lei così buona, lei così degna di miglior sorte. - Ah, se!... Ma poi, rivedendosi nella sua botteguccia, disperava all'idea della distanza che lo separava da lei. - Che!.. Che!.. - Cos'ha mai Salvatore? - si chiedevano Santoro, Lisani e gli altri amici, nel vederlo sempre rabbuiato. - Guai grossi ci sono, dunque? - domandavano ad Agostino, che passava per il suo confidente. - Infine - gli disse questi, dopo che i suoi discorsi avevano avuto tempo di fare effetto - perchè sospirate tutt'il giorno come un mantice? Pensate sempre a Fanny?.. E spiegatevi chiaro, in nome di Dio! Perchè dunque non la sposate? - E lei mi vorrà? Agostino partì a ridere, vedendo la faccia lunga dell'amico. - Dovete sapere che Pulcinella, quand'era innamorato di qualcuna, diceva che mezzo matrimonio era fatto! - E dunque? - Dunque, all'altro mezzo penserò io. Così egli fece portare l'ambasciata, da sua sorella, che era amica di Fanny, e un bel giorno tornò con la risposta. - Insegnatemi il mandolino - cominciò a dire, con una serietà studiata. - Che vi salta in testa, adesso? - Insegnatemi il mandolino, v'ho detto! - Va bene, ve l'insegnerò; ma almeno spiegatemi... - Vi spiego che le avete fatto girar la testa, col vostro pizzicato. - E che ha detto? - Dice di sì, birbante!

Pagina 138

Una peccatrice

249630
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
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Un uomo, seduto accanto a lei su di una seggiola assai bassa, le leggeva qualche cosa di un giornale che teneva fra le mani, e che ella udiva sbadatamente; e si interrompeva di tratto in tratto per prendere una mano di lei, che gliela abbandonava con la stessa languida indifferenza, e che lo ringraziava col suo sorriso seduttore e col suo sguardo che faceva scorrere un'onda di voluttà in quell'uomo, quand'egli si recava alle labbra la sua mano: Allor solamente, la sua leggiadra testolina, coronata da quei ricci magnifici, si volgeva lentamente verso di lui. Qualche volta, con un movimento tutto infantile, quella manina bianca ed affilata si appoggiava alla ringhiera, e sopra vi si appoggiava la fronte; quasi quel bellissimo collo fosse troppo debole per sostenere quella piccola testa. - Con questa donna ci sarebbe da impazzire! - esclamò Pietro reprimendo un fremito, dopo averla divorata a lungo dello sguardo. - Credi che siano marito e moglie? - domandò l'altro. - È il mistero che questa donna sa rendere impenetrabile colle sue mille indefinibili gradazioni di fisonomia, d'espressione, di gesto, che fanno spesso dimenticare la sirena nella vergine, e viceversa. Se lo sono è da poco tempo: a meno che costei non senta ancor ella sì a lungo come deve far sentire a tutti quelli che l'avvicinano. Parecchie volte, forse a caso, l'occhialetto dell'incognita si rivolse verso il banco di pietra sul quale erano seduti i due amici. - Ti guarda! disse Raimondo sorridendo. O guarda i passeri che saltellano fra le frondi. Credi sul serio ch'io ne sia innamorato? - Ne parli tanto!... - Diffida sempre di quegli amori di cui ti si parla a lungo e sì leggermente: è segno certo che si vuol ridere alle tue spalle... Io l'amo come un bel personaggio da dramma o da romanzo, come un bel fiore... come una bella donna prima venuta insomma... che sa recare con grazia il velo sul cappellino e sollevare con disinvoltura lo strascico della veste... e nient'altro... In fede di che, se vuoi, andiamocene; sono le due meno dieci minuti, - aggiunse dopo aver consultato l'orologio. - Sì, è troppo tardi; siamo qui da più di due ore; - rispose il biondo alzandosi. Egli sorprese lo sguardo del suo amico che ancora restava fissato sul verone. - Vuoi venire, o no? - Un momento... restiamo altri dieci minuti e partiremo alle due precise... - Non amo gli inglesi colla loro metodicità regolata sul quadrante di un orologio... Hai detto d'andarcene... - Hai ragione; - rispose Brusio ridendo - partiamo. Due o tre volte, prima di uscire dal giardino, si volse a guardare il verone, sul quale non poteva più vedere che la tenda abbassata. - Bella donna! - ripeteva egli di tempo in tempo, con un entusiasmo che era troppo allegro per non essere affettato, e troppo affettato per non nascondere una preoccupazione: quanto io t'amo!

Pagina 33

Dramm intimi

250014
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Carlo le stringeva la gola sempre più a misura che la donna rallentava le braccia, e si abbandonava, inerte, con la testa arrovesciata sui sassi, gli occhi che mostravano il bianco. Infine la lasciarono ad uno ad uno, lentamente, atterriti. Ella rimaneva immobile stesa supina sul ciglione del sentiero, col viso in su e gli occhi spalancati e bianchi. Il Pigna abbrancò per l'omero Ambrogio che non si era mosso, torvo, senza dire una parola, e Carlino balbettò : — Tutti e tre, veh! Siamo stati tutti e tre!.. O sangue della Madonnal... Era venuto buio. Quanto tempo era trascorso? Attraverso la viottola bianchiccia si vedeva sempre per terra quella cosa nera, immobile. Per fortuna non passava nessuno di là. Dietro la pezza di granoturco c'era un lungo filare di gelsi. Un cane s'era messo ad abbaiare in lontananza. E ai tre amici pareva di sognare quando si udì il fischio del tramvai, che andavano a raggiungere mezz'ora prima, tomo se fosse passato un secolo. Il Pigna disse che bisognava scavare una buca profonda, per nascondere quel ch'era accaduto, e costrinsero Ambrogio per forza a strascinare la morta nel prato, com'erano stati tutti e tre a fare il marrone. Quel cadavere pareva di piombo. Poi nella fossa non c'entrava. Carlino gli recise il capo, col coltelluccio che per caso aveva il Pigna. Poi quand'ebbero calcata la terra pigiandola coi piedi, si sentirono più tranquilli e si avviarono per la stradicciuola. Ambrogio sospettoso teneva d'occhio il Pigna che aveva il coltello in tasca. Morivano dalla sete, ma fecero un lungo giro per evitare un'osteria di campagna che spuntava nell'alba; un gallo che cantava nella mattinata fresca li fece trasalire. Andavano guardinghi e senza dire una parola, ma non volevano lasciarsi, quasi fossero legati insieme. I carabinieri li arrestarono alla spicciolata dopo alcuni giorni; Ambrogio in una casa di mal affare, dove stava da mattina a sera; Carlo vicino a Bergamo, che gli avevano messo gli occhi addosso al vagabondare che faceva, e il Pigna alla fabbrica, là in mezzo al via vai dei lavoranti e al brontolare della macchina; ma al vedere i carabinieri si fece pallido e gli s'imbrogliò subito la lingua. Alle Assise, nel gabbione, volevano mangiarsi con gli occhi l'un l'altro, chè si davano del Giuda. Ma quando ripensavano poi al cellulare com'era stato il guaio, gli pareva d'impazzire, una cosa dopo l'altra, e come si può arrivare ad. avere il sangue nelle mani cominciando dallo scherzare.

Voci della notte

250783
Neera 1 occorrenze
  • 1893
  • Luigi Pierro Editore
  • Napoli
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 12