Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonate

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Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179186
Costantino Rodella 3 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Non abbandonate la tavola mai senza una conveniente ragione e dimandate il permesso quando lo dovete fare. Fino il pranzo aspettate ad alzarvi che n’abbia fatto cenno il capo della tavola. 21. è pur lodevole costume di chiedere a’commensali se han pranzato bene. Questi consigli non eran mai dimenticati da Enrichetto e più scrupolosamente poi eran praticati quando v’erano forestieri a pranzo, oppure quando andava egli a pranzo in casa altrui.

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Famiglie cariche di ragazzi viventi sulle braccia del padre o della madre; infermi senza modo di sussistenza; donne abbandonate senza pane da' mariti giuocatori e scioperati! eran lacrime in tutte quelle case! Ma la Bettina s'adoperava per renderle meno amare; teneva d'occhio i ragazzi di questa, che andava a opera tutta la giornata; portava un po' di brodo a quella, una minestra a quest'altra, e per tutto una parola di conforto; pareva l'angelo tutelare di quelle soffitte. Quando, poveretta, cadde essa malata! Era sola, nessuno poteva badare a lei, nessuno accenderle un po' di fuoco; onde voleva farsi portare all'ospedale. Ma i vicini: o che! Noi non siam buoni da nulla noi? O sì che vogliamo veder questa, lasciarci portar via di qui il nostro buon genio! Che volete andar a confondervi in un ospizio? là in mezzo a tutti quei letti siete di nessuno! E tutta quella buona gente si divise le cure e non le si lasciò mancar nulla. Era cosa che consolava l'animo veder quella donna, che non aveva più nessuno al mondo, fatta oggetto di tante premure! Enrichetto, chè egli era il medico fatto chiamare, in quella soffitta si sentiva come in un ambiente caldo di amore, e n'era riconfortato. Ogni volta che volgeva qualche parola di lode alle assistenti, si sentiva rispondere: o che, la Bettina faceva ben più per noi; se non fosse di lei tanti e tanti non potrebbero più tirar innanzi; la si pensi che ella era capace di passare le intere notti a' nostri letti; e i suoi guadagni dove se ne andavano? Essa avrebbe potuto far la signora, e ora non ha manco un soldo; tutto consumato in queste soffitte a nostro vantaggio. Proprio sotto la stanza di Bettina, come se Dio avesse voluto mettere a riscontro il buono e il cattivo cuore, cadde malato, quasi nello stesso tempo, un uomo, conosciuto col nomignolo di Raffa. Posto sotto la cura de' poveri, Enrichetto l'andò a visitare. Che differenza dalla ordinata, pulita e tiepida cameretta della Bettina! Una stanzaccia senza mobili, da una tavola sdruscita in fuori e un lettuccio di legno tarlato; le pareti nude e sgretolate, senza fuoco acceso e senza legna per accenderlo; si sentiva un ambiente freddo, uggioso, opprimente. Il medico s' accostò al letto, e sur un guanciale sudicio e mal disposto vide una testa calva, del color dell'avorio ingiallito dal tempo, due occhietti grigiognoli, spenti, sprofondati in occhiaie cave del color del piombo; i zigomi sporgenti davano una conformità alla faccia come se l'avarizia vi avesse impresso su il suo ritratto; e veramente del color del rame ne era la pelle tirata sugli ossi, che si potevan contare. Nessuno intorno al letto, la portinaia che l'aveva accompagnato era subito scomparsa; onde Enrichetto, mosso a pietà, veniva interrogando l'infermo, il quale con voce fioca e stenta esclamava: brutta cosa la miseria; tutti s'allontanano! Il medico lo confortò, e visto che il male non era prodotto che da mancamento di cibo e da prostrazione di forze, gli fece coraggio e cercò di aiutarlo come meglio sapeva. Andò di sopra e si volse ad una di quelle donne che vide tanto caritatevole verso la Bettina, e la pregò a voler anche dar un'occhiata a quell'infelice di Raffa. — A chi, rispose quella con sdegno mal represso, a quel brutto mostro d'usuraio, che, ricco sfondato, lascia morir di fame i suoi parenti, nè farebbe limosina d'un soldo se fosse per morire? A queste parole restò meravigliato Enrichetto, e più ancora quando venne a sapere come quel miserabile dal nulla, a forza di usure e di ruberie, fosse venuto ad ammassare un ricchissimo capitale. — E con tanti denari, continuava la donna, cada il mondo, non spende un soldo; vive di radiche d'erbe e pan muffito. Aveva preso con sè una nipotina perchè gli governasse la casa, ma perché mangiava troppo, subito la rimandò. Non vuol veder nessuno intorno a sè, sospettoso, malfidente se v'e n'è uno. La Bettina quanto aveva era nostro, seguitava essa, ci aiutava, ci vuol un bene a tutti.... è giusto che non la dimentichiamo nemmeno lei, ma quello lì non che aiutarci,ci avrebbe spogliato di questi pochi cenci che abbiamo attorno! È malato, nessuno l'accudisce? Dio è giusto, viva nel deserto che s' è fatto intorno a sè. Che ne seguì? Bettina dopo poco fu pienamente ristabilita in salute; Raffa, a cui nulla potevano giovare le prescrizioni del medico, perchè per non spendere non n'eseguiva alcuna, poco appresso morì. Nessuno lo pianse, nessuno ebbe una parola di compassione per lui. I denari, gli osservava Enrichetto per spingerlo a servirsene, non sono beni, ma solo rappresentanti de' beni, sono non il fine, ma il mezzo e lo stromento per soddisfare a' nostri bisogni; ma era un dir a sordo. I nipoti colla più schietta allegria, ne fecero i funerali, e l'oro con tanti stenti accumulato, in breve sfumò. È il caso di riferire il detto del Vangelo: male parta male dilabuntur; che si può tradurre nel volgare proverbio:La farina del diavolo va tutta in crusca, od anche in quest'altro: Quel che vien di ruffa raffa, se ne va di buffa in baffa.

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Voi dite che gli altri pagan di più e fan lavorar meno; bene, abbandonate questa fabbrica, e andate là. Questo è mezzo legale: e quando il vostro padrone vedrà disertare la sua manifattorìa, penserà meglio a' casi suoi. — Ma il nostro principale, saltò su il primo, ha fatto i milioni col nostro lavoro; è una solenne ingiustizia lui in feste, e noi mancar fin di polenta. — Ebbene, di ripicco Enrichetto, seguite pure nello sciopero, che pro ne avrete? Il vostro principale cercherà altri operai, e ce n'è a iosa, e voi resterete sul lastrico con un palmo di naso, e colle vostre grida in gola, e dopo una settimana andrete di nuovo a domandare per carità, che vi si accetti a qualsiasi condizione. E poi, quanto tempo è che lavorate a tali patti? Siete sempre stati contenti, e ora..... Sapete perchè v'inalberate? Perchè qualcheduno, cui torna a conto che si facciano scandali, vi venne a sobillare; e voi siete ciechi stromenti di non so qual ambizione. Ragioniamo qui alla grossa fra noi, col semplice buon senso. Ora voi avete disertata la fabbrica, e continuerete così una settimana. Voi siete ben lungi dal calcolare i danni che portate a voi e all'industria nazionale. Le macchine non vanno più, il lavoro non si finisce,il fabbricante compera tanto di meno di seta, di lana e via; le materie prime perdono un tanto di valore, e il povero contadino, il bracciante s'affatica invano. Oltreciò l' opera mancata fa sì che il consumatore si volga altrove e anche a fabbricanti stranieri, e quindi minore ricchezza e minore prosperità nella nazione. — Ma intanto, interruppero gli operai, mettiamo in impaccio il fabbricante, e avrà somma grazia di far buon viso alle nostre domande. — Adagio, miei cari. E se il vostro fabbricante, stizzito dalle vostre pretese, si appagasse della già fatta fortuna, e chiudesse la sua fabbrica, e vendesse le macchine?.... Ma facciamo che questo non accada, il vostro principale però sapete che è ricco, che ha scorte; può dunque aspettare. Ma voi, voi non avete scorte, perdete una settimana, son nove lire di meno, che entrano nella vostra case, mentre dovete pur mangiare e quindi consumare senza produzione; anzi stando in ozio e in isciopero, consumate ancora di più, le taverne se ne consolano. Ora mettiamo pure che il vostro principale faccia ragione alle vostre domande, e paghi dieci centesimi in più le vostre giornate, sapete quanti giorni dovete lavorare per compensare il perduto? Tre mesi, capite? Dunque conchiudiamo, invece di dar retta alle subornazioni, che vi han posti sulla mala via, dovevate venir a questo partito: eleggere tre o quattro fra i vostri compagni, quelli che hanno una certa autorità per condotta e per intelligenza, mandarli al padrone ad esporre le vostre ragioni con dignità e con calma. I padroni, se sono prudenti, e vedono una domanda equa, la prenderanno in esame, è del loro interesse accondiscendervi. In questo modo voi senza perdere tempo, senza fare uno scandalo, senza dare cattivi esempi a' vostri figli venivate nel vostro intento. — Ma se il padrone avesse fatto orecchie da mercante? Obbiettarono gli altri. — Allora pazienza, riprese Enrichetto; ciascheduno di voi doveva aspettare il suo bello, continuare a lavorar in pace, e nello stesso tempo cercare dove le paghe fosser maggiori, e appena venuto il colpo piantarlo lì. — Lei, signor dottore, parla bene; ma intanto le par giusto che noi ci leviam la pelle dalle mani per ingrassare il nostro padrone? Perchè sono i nostri sudori che fan crescer le casse del principale; senza di noi non potrebbe far nulla; e noi siam nella miseria, fino agli occhi,e lui va in carrozza. Bella giustizia! le son cose che urtano il senso comune. Al diavolo lui e tutti i fabbricanti del mondo. — Acquietatevi, voi vi lasciate ingannare dalle apparenze. Ma se non vi fossero i fabbricanti, se non vi fossero i ricchi, chi farebbe lavorare i poveri, chi li pagherebbe? — Oh, è qui che lo vogliamo, risposero con aria di trionfo gli operai, se non ci fossero ricchi, non ci sarebbero più poveri; tutto quel danaro, tutte quelle proprietà che hanno usurpato a danno degli altri si distribuirebbero ugualmente fra tutti; chè tutti in fin de' fini siamo uguali. E da quand'in qua due o tre dovranno essere felici e tutti gli altri diseredati? Abbiamo sentito ripetere da quei che sanno, che il guadagno, che i padroni fanno sul nostro lavoro, a buona giustizia dovrebbe essere spartito fra noi operai... — Già, i padroni dovrebbero star paghi di procurare a voi lavoro senza punto di lucro per sè; loro deve bastar la gloria! — Ma lei non bada che se si spartissero le ricchezze non vi sarebbero più padroni. — E allora come fondar laboratorii, come comprar macchine senza capitale?... — Il capitale è il nostro lavoro. — Sentite qui: voi, da quel che intendo, vi siete lasciati imbeccherare da qualche cervello balzano, che ha studiato il diritto commerciale e le dottrine sociali alla carlona per confondere le teste che non han studiato. Ora, sapete voi che cos'è il capitale? È il risparmio sul guadagno del proprio lavoro, e non il lavoro, come voi dite. Ora ascoltatemi bene, il vostro padrone, ad esempio, come venne ricco? Trent'anni fa, me lo disse egli stesso più volte, era semplice operaio, come voi adesso; ma lavorando con buona volontà e non sciupando il danaro, come tanti che conosco io, nelle taverne a ubbriacarsi, fece qualche risparmio, e in questo modo incominciò a raccozzare un po' di capitale, che investì nella fabbrica. Appresso il padrone suo, per premiare e l'intelligenza e lo zelo suo nell' adempiere al proprio dovere, lo fece direttore della fabbrica. Quando poi quegli volle ritirarsi dall'industria, il vostro principale aveva già tanto di capitale, che acquistò egli la fabbrica. Dunque vedete, che se ora egli è ricco è una ricchezza procacciata col santo sudore, della sua fronte. E adesso voi vorreste senza fatica di sorta andar a dividere con lui i suoi risparmi? Ditemi se la è giustizia! — Lei ha ragione, risposero un po' confusi i due lavoranti; ma chi nasce ricco senza punto aver faticato? — Costui, interruppe Enrichetto, eredita il risparmio de' guadagni del lavoro di suo padre e de' suoi maggiori. — E questa cosa par giusta a lei? Passi che uno goda i suoi guadagni, ma chi non ebbe altro merito che di nascere, pare... — Ah, ora siete proprio fuor di cervello, scappò fuori con impazienza il dottore. E per chi lavora il padre se non per la famiglia, per lasciar un po' d'agiatezza a' suoi figliuoli? Voi avete figli tutt'e due; e se ora col lavoro poteste far risparmio d'una trentina di mille lire, vorreste voi risparmiarle per i figliuoli degli altri? I figli nostri sono una continuazione di noi, sono noi, sangue nostro. I due operai si guardarono in faccia e si dissero: pare che il dottore dica bene. Ma poi stati lì ancora un poco pensosi, scossero finalmente il capo e proruppero: ora che lo sciopero è incominciato si debbe tirar innanzi. E fuggirono di lì senza dar tempo ad Enrichetto, che stava per offrirsi conciliatore tra gli scioperanti e il padrone; onde non potè che stringersi nelle spalle e profferir tra i denti:

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