Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219880
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Quando il malato fu fuori di pericolo, egli rimase in uno stato singolare d'atonía per ore e ore, con le pupille vitree fisse dinanzi a sè nel vuoto, con le braccia abbandonate lungo il corpo su le coltri, mentre le mani magre e ceree a tratto a tratto gli si contraevano con brevi moti convulsi. In queste ore egli prendeva macchinalmente qualunque cosa gli si mettesse in bocca; in altre, invece, era lui che, con un fil di voce rauca e malinconica, chiedeva da mangiare, sempre da mangiare. — È allupato! — esclamava la grossa padrona di casa strabuzzando gli occhi. E allora suor Istituta, sorridendo, doveva frenare con parole ragionevoli l'appetito del suo convalescente, il quale stizzivasi come un bimbo delle privazioni che gli venivan consigliate; ma finiva quasi sempre col sorridere, anche lui, d'un sorriso smorto. - Sono molto cattivo, eh, lo dica lei! — chiedeva egli alla monaca, qualche rara volta che aveva forza e volontà di far quattro chiacchiere. La cornetta candida s'agitava negando indulgentemente: ci vuol pazienza, si sa; bisogna offrire a nostro Signore ogni patimento, farlo per mortificazione... e allora si sopporta tutto volentieri... In piedi, accanto al capezzale, ella pronunziava queste frasi d'umiltà e di rassegnazione un po' rapidamente, a mezza voce, come ripetendo a se stessa una giaculatoria, che fosse il ritornello obbligato della sua esistenza. Soltanto una volta scoppiò in una risatina infantile, quando il tenente, in tono corrucciato e confidenziale, le disse: — Ma che lei pretenda di schiaffarmi in paradiso per forza, è troppo! — A mano a mano che la convalescenza progrediva, il giovane mostravasi più nervoso e irascibile; a segno che in certi, momenti trattava quasi con egual severità il suo soldato e l'infermiera. In vece, certe sere, quando aveva molto dormito in giornata, di quel sonno riparatore delle forze ch'è tanto necessario a chi esce da una grave e penosa malattia, egli si sedeva su 'l letto, con una pila di cuscini dietro le spalle, e raccontava lentamente qualche episodio marinaresco occorsi a lui o a qualche suo compagno, evocando genti e paesi lontani dall'aspetto singolare e dagli usi mal noti. E allora quelle immagini che prima, durante il suo delirio, egli, inconscio, aveva come fatte balenare vertiginosamente dinanzi alla impressionabile, inesperta, spaventata fantasia della suora, a poco a poco si delineavano nitide e si fissavano nella mente di lei, ormai avida di novità, formate, colorite e chi sa quanto abbellite dalla poesia del descrittore. Giammai, un accenno, nè meno il più vago, usciva dalle labbra di lui intorno alla donna così appassionatamente chiamata e bramata nella crisi del male. A suor Istituta, che sedeva, immota, accanto al suo letto, egli non parlava d'idoli orrendi; ma ora soleva descrivere un lume di luna sotto l'equatore, somigliante a un meriggio mitemente roseo, nella cui luce diafana disegnavasi qualche pagoda dalle molteplici cupole che proiettavan lievi ombre azzurrognole, e da quella pagoda, vaporosa come un sogno, emanava un profumo soprannaturale; una quiete solenne e dolcissima era intorno. Dalle porte aperte del chimerico tempio si scorgevano ardere, sospese alla volta, tutta trafori, lampade d'oro massiccio in forma d'uccelli e di pesci; in fondo s'ergevano schiere d'idoli circondati di simboli ignoti, a' cui piedi era sparsa una folta fiorita di gelsomini e di tuberose senza stelo... O ricordava un'isoletta sotto un'ampia cupola di palmizi dal tronco sottile, come scolpito a bassorilievo. Là giù, le fronde a mazzi cresputi s'alzano come pennacchi o si piegano ondulando con languido ritmo alla brezza marina. E', sotto quelle piante, come un crepuscolo verde: singolare contrasto, per chi guarda l'isola dal mare, con la luce d'oro che colora in alto l'esterno del padiglione vegetale, e con la zona sterminata delle acque che la fasciano tutta d'un azzurro di turchese. Una sera, minacciava un temporale. L'aria, di calda ma elastica, s'era fatta pesante e afosa; Contessa Lara. 3 sbuffi di libeccio, come uscenti da una fornace, frusciavano con violenza tra le fronde agitate del giardino, sconquassavano e ingolfavansi dalla finestra nella stanza, gonfiando le cortine come vele, sparpagliando su'l pavimento i fogli che s'ammucchiavan su la tavola, sbattendo gli usci tra sibili e mugolii lugubri e frementi. Il tenente era stato molta parte del giorno taciturno, cupo, accigliato, quasi che l'avesse perseguitato un'idea fissa. Aveva mangiato meno del solito, dichiarando mal fatta ogni cosa preparata per lui; e finì col bestemmiare come un ossesso, perchè nel versarsi ei medesimo da bere, s'era rovesciato un po' di vino su 'l lenzuolo. Suor Istituta andava e veniva per la camera, servendolo senza far motto, con gli occhi più persistentemente chini al suolo, con le labbra serrate, come una bimba che si fa forza per trattenere il pianto. Il soldato, svelto e ubbidiente, correva, sempre scalzo, dove uno sguardo o un cenno della monaca gl'indicavano. Gli animi, come l'aria, eran gonfi di qualcosa, che aveva bisogno di sfogo. Finalmente, quando la sera fu scesa, il temporale estivo scoppiò in tutta la sua rumorosa violenza. Lampi e tuoni si succedevano senza interruzione, illuminando le cose d'una luce fulva e sinistra, e facendo oscillar cupamente la stanza del malato, come egli aveva tante volte sentita oscillare la sua cabina di bordo. Si sarebbe detto che tutta la pioggia, la quale da tre mesi non cadeva, si fosse rovesciata a torrenti straripanti su'l piccolo giardino, i cui rami si torcevano, gemevano, schiantavano. Il vento ululava peggio d'una belva. La suora, tremante, con la sua corona stretta in una mano, cercava, con l'altra, di riparar la fiammella del lume, che ondeggiava, lingueggiando, nella continua minaccia d'estinguersi; da che il malato, per un suo capriccio fisico, aveva assolutamente voluto che la finestra restasse spalancata. - Respiro! Respiro! Adesso respiro! - esclamava mettendo un lungo respiro di suprema soddisfazione — Bisognava dunque che l'inferno si scatenasse così, perch'io stessi meglio! — In quel medesimo momento, una raffica più forte dell'altre portò dentro un'ondata di pioggia che s'abbattè su 'l pavimento: il lume si spense, e mugghiò un tuono che parve una cannonata sparata lì accosto... Con un piccolo grido e un involontario balzo a dietro, suor Istituta, colta di terrore, erasi buttata presso il letto dell'infermo. Questi diede in una di quelle risate spontanee, giovanili e sane, che certo non lo rallegravano da un pezzo, e la sua mano cercò la manina gelata e tremula della monaca. - Che c'è? Ha paura? — esclamò egli in tono canzonatorio; e soggiunse continuando a ridere: — Ha paura che il diavolo si presenti da vero? - Ella ebbe un brivido per tutto il corpo; un brivido che le corse giù fino alla punta delle dita affusolate, che l'ufficiale teneva strette. - Paura... no; ma è un tempo... un tempo orribile! - - Un tempo che mi fa tanto bene! - disse lui - Non è contenta lei ch'io mi senta meglio? - Al bagliore d'un lampo, egli vide un sorriso beato su le labbra pallide della sua infermiera. Allora insistè: - Dica, non è contenta? - - Non desidero altro... altro al mondo! — confessò ella con un fil di voce dolcissima. Il malato la guardava fisso, come attratto verso di lei da un fascino nuovo e singolare. Perchè mai era così bianca, quasi spettrale? Perchè tremava ella tanto, per modo che, appoggiata al letto, gl'imprimeva un lieve, rapidissimo moto? — Mi vuol dunque bene, lei?... — La suora mise un altro piccolo grido, come quando lo scoppio della tempesta l'aveva spaurita, ma più soffocato e come interno; si fece al tempo stesso un segno di croce, svincolando la sua mano dalla mano virile che la premeva, e corse a riaccender la candela e a chiudere le invetriate. Quando il lume, ch'ora sembrava giallo, rischiarò la camera, il volto di suor Istituta parve roseo: ella sorrideva; era tornata serena; non tremava più; s'era vinta. — Non doveva esser pallida; era l'effetto dei baleni; e tremava soltanto perchè aveva paura dei tuoni — fece tra se il tenente, con un senso d'ironia dispettosa. Chiese da bere; poi serrò gli occhi, forse per dormire, forse per pensare.

Pagina 28

Mitchell, Margaret

221223
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Rossella sorreggeva teste abbandonate, perché le labbra aride potessero bere, versava secchi d'acqua su corpi impolverati, febbrilmente, nelle ferite aperte per procurare un attimo di sollievo ai disgraziati. Si avvicinava coi secchielli in mano ai conducenti delle ambulanze e chiedeva col cuore in gola: - Che notizie? Che notizie? E da tutti aveva la stessa risposta: - Niente di certo, signora. È troppo presto per poter dire qualche cosa. Giunse la notte soffocante. Non un soffio d'aria; le fiaccole di pino tenute dai negri rendevano l'atmosfera ancora piú calda. La polvere ostruiva le narici di Rossella e inaridiva le sue labbra. Il suo abito di calicò color lavanda, cosí ben stirato e inamidato la mattina, era macchiato di sangue, di sudore e di sudiciume. Ecco ciò che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria. La stanchezza dava alla scena un aspetto irreale, fantomatico. Non poteva esser vero... perché se fosse stato vero, il mondo doveva essere impazzito. Altrimenti, perché ella si troverebbe qui, nel tranquillo prato dinanzi alla casa di zia Pitty, in mezzo a luci oscillanti, a versar acqua sui suoi spasimanti moribondi? Infatti molti dei feriti le avevano fatto la corte e vedendola cercavano di sorridere. Vi erano tanti uomini che vacillavano su quella strada buia e polverosa, uomini che ella conosceva bene e che morivano sotto i suoi occhi, coi volti insanguinati coperti di zanzare, uomini coi quali aveva riso, ballato, per i quali aveva suonato e cantato e che aveva stuzzicato, confortato anche... amato un pochino. Trovò Carey Ashburn fra un mucchio di feriti in un carro da buoi, ancora vivo benché avesse una pallottola da fucile nel capo. Ma non poteva trarlo dal carro senza disturbare altri sei feriti, quindi lo lasciò andare all'ospedale. Piú tardi seppe che era morto prima ancora di esser veduto da un dottore, e che era stato sepolto non si sapeva precisamente dove. Ne erano stati sepolti tanti in quel mese, nelle tombe scavate frettolosamente nel cimitero di Oakland. Melania fu molto addolorata per non aver potuto tagliare una ciocca di capelli di Carey da mandare a sua madre ad Alabama. La notte trascorse; Pitty e Rossella avevano la schiena indolenzita e le ginocchia che si piegavano per la stanchezza, ma continuavano instancabilmente a chiedere: - Che notizie? Che notizie? E dopo lunghe ore ebbero risposta: una risposta spaventosa. - Stiamo indietreggiando. - Ci ritiriamo. - Sono migliaia e migliaia piú di noi. - Gli yankees hanno tagliato la strada alla cavalleria vicino a Decatur. - Bisognava mandar dei rinforzi. - Tutti i nostri saranno fra poco in città. Rossella e Pitty erano attaccate l'una al braccio dell'altra sorreggendosi a vicenda. - Stanno... vengono... gli yankees? - Sí, signora, vengono; ma non c'è d'aver paura. «Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta.» «No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città.» Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente.» «Sí, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...» «Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore?» «Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta.» «Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti?» «Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.» L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluí ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: «Maryland! O mia Maryland!»; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

Pagina 335

Rhett, con le redini abbandonate, taceva: sul suo volto era una strana espressione di tristezza. In quel momento vi fu a pochi passi da loro uno scroscio di travi che crollavano e Rossella vide una lunga e sottile lingua di fiamma levarsi dal tetto del magazzino accanto al quale si erano riparati. Quindi larghi drappi sanguigni rischiararono il cielo; il fumo li investí e Wade e Prissy cominciarono a tossire. - In nome di Dio, Rhett! Siete pazzo? Presto, presto. Rhett non rispose ma percosse crudelmente col ramo d'albero il dorso del cavallo che fece un balzo in avanti. Con tutta la velocità che fu possibile ottenere attraversarono traballando e rimbalzando la via Marietta. Dinanzi a loro, ai due lati della strada corta e stretta, era una doppia cortina di fuoco; una luce accecante li abbagliava, un calore intenso ardeva la loro pelle e un muggito continuo percuoteva le loro orecchie, accompagnato da crolli e scricchiolii. Attraversarono quell'inferno in un minuto che sembrò loro un secolo; e quindi, improvvisamente, si ritrovarono nella semioscurità. Mentre percorreva la strada e poi traballando sulle rotaie della ferrovia, Rhett adoperava la frusta automaticamente. Il suo volto era irrigidito e sembrava assente, quasi egli avesse dimenticato dove si trovava. Aveva le braccia strette al corpo e il mento proteso in avanti, come se fosse immerso in pensieri spiacevoli. Il calore gli faceva gocciolare la fronte e le guance, ma egli non si asciugava. Voltarono in una strada stretta, quindi in un'altra, e poi in altre ancora, finché Rossella perse completamente l'orientamento, mentre sentiva diminuire il ruggito delle fiamme. Rhett continuava a tacere. Soltanto frustava il cavallo con regolarità. Il riflesso sanguigno nel cielo andava sfumando, e la strada si faceva cosí spaventosamente buia, che Rossella avrebbe voluto udire una parola, magari un insulto, un'ingiuria, purché fosse una parola. Ma egli taceva. - Rhett - mormorò a un certo momento afferrandogli il braccio. - Che cosa avremmo fatto senza di voi? Come sono contenta che non siate nell'esercito! Egli volse il capo e le diede un'occhiata che la fece indietreggiare abbandonando il suo braccio. Non vi era sarcasmo, ora, nei suoi occhi; ma piuttosto un'espressione di collera e anche di stupore. Torse le labbra volgendo nuovamente il capo. Per un pezzo proseguirono in un silenzio interrotto soltanto dai lievi vagiti del bimbo e da qualche gemito di Prissy. Finalmente Rhett voltò il cavallo ad angolo retto e dopo un poco si trovarono su una strada larga e soffice. Le forme incerte delle case diventavano sempre piú rare e ai due lati si stendevano folte boscaglie. - Siamo fuori città, adesso - disse Rhett brevemente tirando le redini; - e sulla strada principale per McDonough. - Presto. Non vi fermate! - Lasciate respirare un momento questa bestia. - Poi volgendosi a lei, le chiese lentamente: - Siete ancora decisa, Rossella, a commettere questa follia? - Quale? - Volete ancora tentare di arrivare a Tara? È un suicidio. Fra voi e Tara vi è la cavalleria di Lee e l'esercito yankee. Dio mio! Avrebbe ora rifiutato di condurla a casa, dopo ciò che ella aveva sopportato in quella tremenda giornata? - Oh, sí, sí! Vi prego, Rhett, sbrighiamoci. Il cavallo non è stanco. - Un momento. Non potete andare a Jonesboro seguendo la linea ferroviaria. Si è combattuto qui tutto il giorno. Conoscete altre strade, carrozzabili o sentieri, che non attraversino Jonesboro? - Oh, sí! - esclamò Rossella sollevata. - Conosco una strada carrozzabile che lascia Jonesboro di fianco e fa il giro di diverse miglia. Papà ed io la percorrevamo a cavallo. Sbuca vicino alla proprietà di Maclntosh ed è soltanto a un miglio da Tara. - Bene! Allora può darsi che riusciate. Il generale Steve Lee è stato da quella parte durante il pomeriggio di oggi per coprire la ritirata. Forse gli yankees non vi sono ancora. Quindi potete arrivate se gli uomini di Lee non vi prendono il cavallo. - lo... posso arrivare? - Sí, voi. - La sua voce era aspra. - Ma Rhett... voi... non ci accompagnate? - No. Vi lascio qui. Ella si guardò attorno con uno sguardo folle; guardò il cielo livido, gli alberi neri che sembravano le pareti di una prigione, le figure spaventate nel carro, e finalmente lui. Era impazzita? O non aveva udito bene? - Ci lasciate? E dove... dove andate? - Cara figliola, vado con l'esercito. Ella sospirò, sollevata e irritata. Perché scherzava in questo momento? Rhett nell'esercito! Dopo tutto quello che aveva sempre detto... - Che gusto spaventarmi cosí! Andiamo! - Non sto scherzando, mia cara. E sono dolente che voi non accettiate con spirito migliore il mio sacrificio. Dov'è il vostro patriottismo, il vostro amore per la Nostra Causa Gloriosa? Ora sarebbe il momento di dirmi che debbo tornare vittorioso o morto. Ma fate presto, perché a me occorre un po' di tempo per farvi un bel discorsetto prima di partire per la guerra. Era la solita voce beffarda. Egli la scherniva e in certo modo, scherniva anche se stesso. Non era possibile che parlasse sul serio. E non era credibile che pensasse di lasciarla su quella strada buia con una donna che poteva essere moribonda, un neonato, una piccola imbecille negra e un bimbo atterrito; non poteva lasciarle il compito di portarli attraverso miglia e miglia di campi di battaglia, in preda a mille pericoli. - Scherzate, Rhett! Gli afferrò il braccio e lagrime di terrore le sgorgarono dagli occhi. Egli sollevò la sua mano e glie la baciò leggermente. - Egoista sino alla fine, non è vero, mia cara? Pensate soltanto alla vostra preziosa salvezza e non alla valorosa Confederazione. Immaginate invece, come saranno rincorate le nostre truppe da questa mia comparsa all' ultima ora! - Nella sua voce era una maliziosa tenerezza. - Oh, Rhett, come potete farmi questo? Perché mi volete abbandonare? - Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi Io sa? - Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto... - Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto. Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - «Non ho potuto amarti, cara, piú di quanto amassi l'onore.» Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: «Mi lascia, mi lascia.» Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentí i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata cosí. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare cosí. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro... Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udí la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paúla! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpí sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai piú! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che... - Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà. Lo udí ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udí parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro. - Non è morta? Respira? - Sí, signore. Respirare. - Allora, è meglio cosí. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

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