Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonata

Numero di risultati: 27 in 1 pagine

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Come devo comportarmi?

172942
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Nella piccola allieva, l'istitutrice trova spesso una creatura fino allora quasi abbandonata a sè stessa dalla fatale indulgenza, che viene da amore eccessivo e cieco; sragionato amore che butta la creatura debole in braccio delle proprie passioni. Qualche volta alla piccina è mancata la mamma; guida amorosa e intelligente, che riesce poco a poco, gradatamente, a reprimere o rafforzare, secondo i casi, a svegliare il sentimento con piccoli sacrifici, a educare la volontà. Educare la volontà ! qui sta il difficile per una povera istitutrice che abbia per allieva una creatura che è un piccolo impasto di passioncelle, le quali si sbizzarriscono pazzamente senza il freno di un po' di forza di volontà. Cosa farò, istitutrice per far capire alla piccola allieva, che lasciarsi andare flosciamente in balìa del primo nemico che le si affaccia, è viltà? Tenterà di farle comprendere che le passioncelle dominanti sono per la sua educazione, per il suo bene, altrettanti nemici; che, fin che la volubilità, la collera, la prepotenza, la pigrizia, le staranno d'intorno e la piegheranno a loro voglia, da padroni, da tiranni, lei, che si crede libera di agire a suo talento, non è e non, sarà mai altro che una povera piccola schiava, obbligata a sacrificare sempre la parte migliore di sè stessa. In fatti, come potrebbe soddisfare al desiderio buono, di essere sommessa e obbediente, se la prepotenza la trascina a sè con il suo potere ?... Come potrà procurarsi il diletto sano e santo di un poco d'occupazione, se non sa affrontare la violenza della pigrizia ?... Come riuscirà, a non cambiare d'umore e di simpatia parecchie volte al giorno, a non dare il triste spettacolo delle sfuriate volgari e offensive, se non può resistere alla volubilità, alla collera ?... Mi pare che l'istitutrice dovrebbe tentare di far comprendere alla sua allieva queste verità; e di fargliele comprendere per mezzo di racconti, di favolette ed apologhi, che tutto è buono quando si tratta di raggiungere uno scopo giusto. E quando la piccina fosse persuasa dell'esistenza di nemici morali, che la danneggiano in ogni maniera, l'istitutrice cerchi di farle comprendere, come in sè stessa ella potrebbe trovare la forza magica capace di lottare e vincere i nemici per quanto potenti. Quella forza dell'anima, che guida e decide ogni azione; la volontà; una sovrana, che dal suo primo nascere conviene educare alla rettitudine, perchè possa reggere e governare con giustizia. L'istitutrice interessi la piccola allieva al suo stesso stato morale, facendole analizzare le cause che la spingono a mostrarsi irascibile, strana, e sopra tutto a sentirsi malcontenta. La abitui, accarezzando un poco il suo amor proprio, scuotendo il suo sentimento, a vincersi nei momenti difficili e cattivi; a fare che la riflessione la stacchi dagli scatti abituali e dia tempo alla sua volontà di vedere e frenare. E se la piccola allieva, potrà comprendere qualche lieve vittoria riportata su sè stessa, e gustarne il piacere, direi quasi un sentimento di orgoglio legittimo, l'istitutrice avrà la soddisfazione di trovarsi e sentirsi su la buona via. Ho voluto dare questo piccolo esempio di educazione morale, per far intendere a chi volesse o dovesse dedicarsi alla carriera dell'istitutrice, che è per essa obbligo santo e sacro, quello di studiare l'animo delle sue allieve, di scoprirne le passioni e di aiutarle e dominarle, a dirigerle al bene.

Pagina 409

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179063
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Bastava che Enrichetto richiamasse alla mente quel brutto dì per tosto divenir serio, serio, abbandonare la compagnia, e ritirarsi cupo a meditare; tutta quella scena gli veniva innanzi: la mamma coi capelli scarmigliati, abbandonata sur una seggiola in un angolo oscuro della camera, a forti singulti piangeva; il padre muto, cogli occhi rossi, colla fronte cupa andava e veniva a presti passi per la stanza; il fratello e le sorelle sopra scranne qua e là guardando la mamma a grosse lagrime singhiozzavano: le campane della vicina parrocchia suonavano a distesa; orfanelli, frati, preti processionalmente si sentivano per la via e su per le scale cantare il miserere; ed egli, sbalordito, fuor di sé, s’era accostato alla porta, e vedendo trasportare fuori una cassa coperta di nero: nonna, nonna, si pose a gridare, e dietro le rapidamente nonna, nonna, seguitava a chiamarla dal pianerottolo, mentre giù per gli svolto delle scale spariva la processione. Ma la nonna non rispose, né più la vide ritornare se non ne’ sogni!

Pagina 17

Le belle maniere

180225
Francesca Fiorentina 3 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Ma non vi sembrerà più, quando vi dirò che la poveretta era vedova da un pezzo, che aveva perduto il figlio nella guerra d'Africa e, poco dopo, un nipotino, un amore di bimbo, e che, abbandonata anche dalla nuora, era rimasta sola con quel gatto spelacchiato? Questo gatto spelacchiato era stato il gioco preferito del nipotino, e poi le era rimasto fedele più della moglie stessa di suo figlio; se lei gli dava qualcosa o gli parlava, faceva la fusa per ringraziarla, e, quando lei si metteva seduta sul terrazzino tutta triste e immersa nel ricordo di quel bimbo morto, le s'appallottolava ai piedi, e la guardava con occhi quasi consapevoli. Ora non le restava più nulla al mondo, e nessun filo la legava alla vita. Era già così gonfio il suo cuore, che questo nuovo dolore più non vi potesse entrare senza spezzarlo? Non potrei giurare:la poveretta s'ammalò, e, dopo qualche settimana, morì. In séguito, non solo non risi più, ma neppure mi stupii vedendo un vecchio, un deforme, un abbandonato rannicchiarsi nella compagnia d'una bestia come in un asilo sicuro, dimostrare alla semplice creatura, con mille cure che a prima vista parrebbero ridicole, la riconoscenza per la sua fedeltà, per la sua lealtà, per la sua piena fiducia, per queste virtù che solo può apprezzare, sia pure in una bestia, chi ha conosciuto l'ingiustizia, l'inganno, l'abbandono di esseri umani. Non dovete dunque, figliole mie, schernire la vecchia che ripone il suo ultimo conforto in un gatto, lo sciancato che ha l'amico più fedele in un cane:come non schernireste chi, avendo mozzata una gamba, adopera le grucce, o, essendo muto, si serve de'gesti per farsi capire. Riprovate, invece, in cuor vostro, chi tratta le bestie meglio che i cristiani, e a questi rifiuta villanamente ciò che a quelle dà in abbondanza. Ricordate?

Pagina 253

Voi non siete, fortunatamente, nel caso del povero deforme o della vecchia abbandonata, voi non mancate di conforti, che largamente vi sono offerti dalla letizia della vostra giovinezza, dall'affetto dei genitori, della famiglia, delle amiche. . . abbondanti finchè la gioia è con voi; nè, a dirvela schietta, mi garberebbe sorprendervi col cagnolino addormentato in grembo o col gatto sonnecchiante su'vostri quaderni. Ma, senza esagerazioni sentimentali, dovete voler bene a queste creature inferiori, pensando che anch'esse fan parte della grande opera divina, che anch'esse vengono come noi dalla vita e come noi sono soggette al dolore e alla morte. San Francesco, il grande e umile santo della vera carità cristiana, amava le bestie, e le chiamava sorelle; e Gesù Cristo, entrando in Gerusalemme, non sdegnò di cavalcare la più disprezzata e maltrattata delle bestie, l'asinello. Non sopportate che altri, in presenza vostra, sia inutilmente crudele con gli animali; e, se vedete un vostro fratellino che, per semplice gioco, inchioda un maggiolino, strappa l'ali a una farfalla, disturba un nido di rondini, tira la coda a un gatto, squarcia una rana, spiuma una gallina viva, strazia l'agonia d'un rospo, rimproveratelo severamente, perchè il suo atto è barbarico, è inumano. Ma. . . e le zanzare, le mosche, le piattole, i tarli, i ragni? Ammazzatene quanti più potete, fate pur loro una caccia spietata, da buone massaie, poichè il vostro fine giustifica pienamente i mezzi; e, d'altra parte, è più che lecito sacrificare gli esseri inferiori al vantaggio de' superiori, nello stesso modo ch'è riprovevole far soffrire, sia pure una mosca, inutilmente, e addirittura crudele è gioire di tali sofferenze.

Pagina 255

Quanti a una languida signorina strimpellante il pianoforte o abbandonata sul divano con un romanzo fra le mani o ascoltante con compiacenza un suo vago dolorino di stomaco, sempre preoccupata del"come far passare il tempo", quanti a tale signorina preferiscono una ragazza alla buona che riduce la casa uno specchio, che sa dire quale vernice meglio s'adatti a' pavimenti, che non si trova in impaccio davanti a una macchia d'inchiostro, che sa ripiegare una giacca da uomo, che, colta alla sprovvista, sa spiattellarti il prezzo di tutti i generi alimentari più comuni e che, nell'assenza della domestica - se pure è abituata ad averla, - sa tirarsi su le maniche e cavarsela col mestolo e col pennacchio! Le figliole della regina Vittoria d'Inghilterra, chiamate poi a reggere paesi, furono sorprese più volte da illustri personaggi con le mani imbrattate d'uovo e di farina. Nausicaa ha dunque avuto delle seguaci tra le famiglie reali. E voi. . . ? Lasciatemi credere che non manchino fra noi italiani di queste ideali creature, che sono fate benefiche nella piccola reggia abbellita dalle loro mani animate, e diffondono attorno grazia e sorriso, salute e benedizione.

Pagina 73

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180322
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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E solo se si è capaci di inchinarsi con leggerezza e disinvoltura, guardando negli occhi la signora, e alzarne lievemente la mano senza appoggiarvi le labbra; la mano poi non va abbandonata a mezz'aria, ma accompagnata dolcemente nello sciogliere il saluto. Molto contemporaneo, invece, è l'uso di salutarsi con un bacio. Copiato dal mondo dello spettacolo, fintamente caloroso e affettuoso, in realtà è un gesto distratto e automatico, tanto che di solito è un air kissing, cioè un «baciare l'aria» accanto alle guance. Personalmente, preferisco baciare solo le persone cui voglio bene, o che voglio autorizzare a sperare in una vera intimità. Ma che fare quando ci baciano? Accettiamo i baci senza attribuirvi importanza, senza crederci, senza scandalizzarci, e senza pulirci immediatamente gli aloni di rossetto stampati sulle guance. Quanto ai «baciatori di bambini», ricordo che una volta sui bavaglini si scriveva «Non baciatemi»: comportiamoci come se la scritta ci fosse tuttora.

Pagina 22

L'angelo in famiglia

182991
Albini Crosta Maddalena 3 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Quella famiglia quasi priva da un onere, continua a vieppiù prosperare, i figli si fanno essi pure un ridente ed agiatissimo stato... ma un giorno di morte repentina muore il capo di casa... un altro dì uno di quegli individui che incorniciati dal credito e dal buon nome pajono lanciati dal demonio nella società per sfasciarla, per annichilarla, quell'individuo fa morire di dolore una figlia, getta quasi nella miseria gli altri due; uno di questi ripristina la propria fortuna, ma a spese della pace e forse dell'onestà: l'altro maledice la madre, la quale se ne rimane così isolata nel mondo, abbandonata, infelice! Il mondo se degna di uno sguardo quelle membra staccate che formavano già un corpo solo, o non le cura o le disprezza; ma chi conosce quella storia oscura, non può a meno di ritornar con amarezza al pensiero una voce fioca ma concitata; una cuffia bianca ed un crine canuto su cui sdegnava posarsi la mano filiale... Buon Dio! perdona, perdona a tutti i loro errori; perdona a quel figlio forse più debole e sventurato che colpevole, perdona le sue colpe. Da quella famiglia dove tu sei sbandito, dove è sbandita fino l'immagine tua, leva i flagelli; ritorna tu colla tua presenza, porta la tua fede, la tua speranza, la tua carità, e quando tu avrai fatto ritorno in quella casa, tornerà il sereno, tornerà la calma, cesseranno le ire, cresceranno i figliuoletti nella tua legge, ed al fuoco delle passioni subentrerà il fuoco dell'amor tuo verace! Ma più frequenti, molto più frequenti io amo credere i casi in cui, non una prosperità fittizia, ma una prosperità vera, è il premio da Dio accordato a coloro i quali devoti al comandamento onorerai il padre e la madre tua venerano i cadenti genitori, o gli avi che la Provvidenza ha loro conservato per moltissimi anni. E se tu hai la grande ventura di avere ancora i tuoi nonni, ricordati di venerarne la canizie, perchè quella canizie riflette qualche cosa della maestà stessa dell'Onnipotente, perchè a quella canizie vanno attaccate le benedizioni del Signore. Te beata, se nel sentiero spinoso della vita avrai il conforto di non aver conturbato i vecchi anni degli avi tuoi! Te beata se, vecchia tu pure un giorno, potrai ricordare con compiacenza e con commozione che un dì sulla tua testa s'è posata una mano tremola e scarna, che una voce conosciuta presso a spegnersi per sempre, ha fatto un ultimo sforzo per benedirti... Oh! quella benedizione Iddio l'ha confermata, la conferma ogni giorno in cielo, e sarà feconda d'ogni bene al tuo corpo e all'anima tua!

Pagina 354

Io ti ho vista cogli occhi umidi, io ti ho sentita abbandonata e stretta al mio seno sfogare in esso la piena del tuo, dirmi che è pesante il tuo giogo, umiliante, difficile: io ti ho baciata in fronte, ti ho stretta la mano, ti ho susurrato all'orecchio: Coraggio, coraggio, e ti ho additato il cielo; ma ora ho meditato sul tuo dolore, sulla tua condizione, e mi pare di poterti dire qualche parola di più, di poterti dare perfino qualche consiglio. Lascia alla cognata od alla madre sua il maneggio della casa; la sposa ha il diritto ove non vi sia la suocera, di essere la padrona; tu hai quello più prezioso di essere premiata da Dio dei tuoi sacrificj; ma per ottenere il tuo premio, sei tenuta a rinunciare coraggiosamente adesso a quanto va unito allo stato conjugale al quale tu hai eroicamente rinunciato. Talvolta vedi camminare le cose a rovescio? Ove non t'inganni od esageri, il che pur avviene sovente, fa di volgerle a meglio se le son cose di qualche rilievo, e lascia andar l'acqua per la sua china se si tratta di cose indifferenti o senza importanza, ovvero di cose che direttamente non ti appartengono. Se nella cognata, nelle cognate, o negli altri di casa avverti qualche grave mancanza o difetto o peccato, colla penetrazione e colla dolcezza d'un angelo, non mai coll'asprezza e col comando, correggi e consiglia; ma guardati bene dal parlare mai collo sposo o colla sposa delle colpe del compagno, tranne il caso che il tuo Confessore tel comandi. Lo vedo, il tuo stato visto coll'occhio materiale è tutt'altro che invidiabile; ma se tu lo circonderai di annegazione, di amore, di operosità, non anderà molto e ti sarà resa giustizia, se non apertamente, almeno nel cuore dei parenti e degli amici. Ho sentito dire più fiate: se non fosse lei, poveretta, mia cognata o mia zia, che pensa a tutto, che ha occhio e cuore ad ogni cosa, io sarei disperata; essa è un angelo, Iddio l'ha conservata a benedizione della mia casa e dei miei figli. - Coraggio, amica, se per colpa tua o altrui, o per colpa delle circostanze, od in causa della generosità e tenerezza dell'animo tuo, ti trovi di aver passato il meriggio senza aver provveduto a crearti una famiglia, un avvenire, fa di essere angelo nella famiglia che ti alberga, angelo di pace e di conforto. Se tu invece hai rinunciato a crearti una famiglia in casa tua, od a trovarne una nel chiostro, per solo amore di serbar puro il tuo giglio in mezzo alle lotte del secolo, per combatterne gli errori a forza di virtù e di buon esempio, io m'inchino a te dinanzi e ti addito il cielo dove ti è serbato un premio ineffabile. Ma sulla terra anche gli angeli non sono creduti o sono contristati; a te pure potrà toccare in parte l'amarezza: ma Iddio, se tu operi per Lui solo, volgerà quell'amarezza in gaudio inenarrabile, e facendo brillare sul tuo seno il giglio della verginità, ti porrà in capo le rose dell'amor santo, di un amore che sarà coronato e premiato in eterno, e ti compenserà largamente dei dolori patiti.

Pagina 578

A questo proposito mi fece molta impressione il leggere che Sant'Agostino, quando tuttor manicheo dubitando della sua religione ne cercava una vera, diceva a sè stesso: Se vi ha una religione vera, e ci dev' essere, essa deve avere un codice infallibile ed un maestro infallibile, poichè egli pensava giustamente al solo lume della ragione che Dio non poteva averla abbandonata agli uomini senza prima fornirla dei mezzi indispensabili affinchè fosse conservata ed insegnata nella sua verità, nella sua integrità e nella sua purezza naturale. Ora noi abbiamo il codice ed è il Vangelo; noi abbiamo il Maestro infallibile ed è la Romana Chiesa con a capo il Pontefice, la quale ci spiega il Vangelo e ci rende facile l'adempimento dei comandamenti di Dio, additandoci pratiche speciali per seguirli. Il Signore ci ordina la santificazione delle feste, il cibarci delle Carni del Verbo umanato, sacramentato, e ad ogni passo del suo Santo Vangelo ci va ripetendo penitenza, penitenza; la Santa Madre Chiesa con cuore veramente materno, per toglierci ed alleggerirci la grave responsabilità del precetto divino, ce ne prescrive la pratica con amorevole indulgenza, imponendoci la Messa festiva, la Comunione Pasquale, l'astinenza di alcuni cibi in alcuni giorni, e il digiuno nella quaresima e nelle vigilie delle maggiori solennità. Un tale, pranzando un venerdì ad un albergo, era fatto oggetto dello scherno di alcuni giovinastri, perchè si cibava di vivande da magro; ad un tratto egli ordina una costoletta, poi gettandola al suo cane, che accovacciato gli stava ai piedi, gli disse: To', mangia, la tua religione non te lo proibisce. Quei giovinastri, piccati, ma mortificati, si morsero le labbra e uscirono. Non ribelliamoci no alla Santa Chiesa, ma obbediamola fedelmente sempre sempre; che se per ragioni di salute o per circostanze specialissime ci è impedito l'adempimento materiale di quanto essa ci comanda, noi ne avremo adempito lo spirito, se umilmente e con cuor di figli le chiederemo di esserne dispensati. Ricordati bene, mia cara amica, di non farti giudice o mormoratrîce dei trasgressori delle leggi ecclesiastiche; bensì, ove ti sia dato, fa di ammonirli piacevolmente, facendo loro sentire l'obbligo che tutti stringe di osservarle; ma più specialmente quand'anche tu fossi fatta soggetto di biasimo o di derisione, segui coraggiosamente la tua via, e quell'Altissimo che tien conto fino dei capelli del tuo capo, terrà conto della tua costanza, e te l'ascriverà a merito ed a merito grande. Vi hanno alcune circostanze in cui il tuo Confessore non solo ti permetterà, ma ti ordinerà fors'anche di mangiar grasso e di astenerti dal digiuno, per sollevare la tua coscienza da ogni turbamento; ma io credo che anche in proposito tu sii obbligata ad accennargli tutte le circostanze, come sarebbe quella del mostrarsi pubblicamente o ad un caffè, o ad un pranzo diplomatico o no, ma tale che il tuo esempio possa riuscire di scandalo o di appiglio ai tristi per appoggiare o giustificare la trasgressione delle leggi della Chiesa. Se tu non fossi figlia di famiglia, io ti direi recisamente di affatto astenerti da quei convegni dove apertamente si viola il precetto della Chiesa e quindi di Dio; ma siccome può darsi il caso in cui tu sii obbligata a prendervi parte, solo in questo caso vi ti puoi recare, previo sempre il permesso ed il consiglio del tuo Confessore. Che se per avventura ti trovassi in villa od in luogo in cui non hai l'ordinario tuo direttore, potrai attenerti a quei consigli che egli ti avrà forniti in altra simigliante occasione, o potrai dirigerti ad un Confessore del luogo. Vi hanno delle anime tanto deboli e meschine, le quali non sanno adattarsi a dire le loro colpe al Sacerdote del villaggio, o perchè se lo vedono frequente in casa, o perchè ne conoscono i particolari difetti, o per qualunque altro perchè, inconcludentissimo quando si pensi che colui che esse vedono in casa, o pieno di difetti, od anche grandemente colpevole, è l'uomo, mentre colui, al quale si confessano non è più l'uomo, ma il Sacerdote, vale a dire il rappresentante di Dio. Tu sei obbligata a contentarti ed a prendere quello che ti viene offerto da quelli di casa, tanto nel vestire, che nel mangiare, ed in tutto: cioè... cioè, tu veramente saresti obbligata ad obbedire i tuoi genitori quando il loro comando non implichi trasgressione al comando della Santa Chiesa; però in questo caso la Santa Chiesa, svisceratamente amorosa ed indulgente, ti dirà anche dispensata da questo; ma tu però farai bene a rivolgerti umilmente a Lei. Ma se tu sarai prudente, discreta, amabile, ti sarà facile ottenere dai tuoi di casa i mezzi per l'osservanza dei precetti; questi certo diverranno scala a grandissimi meriti, ed i meriti a loro volta diverranno scala a grandissimo premio... in Paradiso.

Pagina 709

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189182
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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E' un uso che va rispettato e che non si spiega, come il dire signorina a tutte le impiegate, dattilografe e telefoniste, anche se hanno già dato dei figli alla Patria, all'Infanzia Abbandonata e al capoufficio. Precisò: - Mi sono sposata ieri. - Con chi? - Con un signore che ho conosciuto venti giorni fa. - In così breve tempo? E quali virtù ha quest'uomo invidiabile, che vi ha fulminate istantaneamente? - Ci siamo conosciuti a un pranzo. Era spiritosissimo. E' il fuoco di fila del suo spirito, che mi ha soggiogato. Ve lo farò conoscere. Volete? Risposi di sì. Io sapevo che mi sarei imbarcato il giorno dopo per Buenos Aires e che mi sarei difeso mettendo l'oceano fra me e quell'insopportabile personaggio che è un uomo di spirito.

Pagina 321

La prima forma è stata abbandonata anche dai commessi viaggiatori in budella secche. In ogni lettera ripetete il vostro indirizzo per non costringere il destinatario a fare, bestemmiando, delle ricerche. Usate carta bianca; sono da scartarsi senz'altro il viola e il crème, questi colori delle camicie delle serve. Evitate le buste foderate di carta velina. Non scrivete mai con lapis a pallina, immondo strumento che sputacchia un'anilina viscida, depositando una scrittura impersonale e impiegatizia. Se scrivete per la prima volta, o per la centesima, fate che il vostro nome risulti chiaro. Raccomandazione generica: che sia chiara la firma. Che gli N non sembrino U e che gli M non manchino di una gamba. Una I senza puntino e una T senza taglio non sono segni dell'alfabeto; sono segni di cattiva educazione.

Pagina 326

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190523
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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In questo caso vi conviene imparare a memoria la famosa excusatio che John Belushi recita nel film Blues Brothers davanti alla fidanzata dopo averla abbandonata all'altare. «Ero... rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia!»

Pagina 28

La gente per bene

191881
Marchesa Colombi 1 occorrenze
  • 2007
  • Interlinea
  • Novara
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Una moglie che viene abbandonata a se stessa è come un gioiello che si lascia sopra una tavola d'anticamera, coll'uscio aperto. Non importa che venga rubato, o si giudica talmente privo di valore, da non poter attirare nessun ladro. E qualche volta il bisogno di affermare il proprio valore al marito, che non lo riconosce, induce la moglie a lasciar venire il ladro. Quando una signora va ad un ballo il marito deve accompagnarla; e se non può farlo, deve persuaderla a rinunciarvi anche lei. Soltanto nel caso in cui vi fossero delle figliole grandi, per non privarle di quel divertimento tanto caro alla loro età, se anche il capo di casa e nell' impossibilità di accompagnarle, potrà permettere alla moglie d'andarvi colle signorine, purchè vi sia un fratello maggiore, o un parente a cui affidarle. Se una signora ha una serata per ricevere il marito dovrà trovarsi in casa almeno una mezz'ora, tanto da mostrare che gradisce la presenza degli ospiti in casa sua, e non si considera estraneo alle conoscenze della sua signora. Giungendo in campagna dove la moglie passa l'estate, o tornando da un viaggio, chiunque siano le persone che si trovano al suo arrivo la prima a salutare sarà sempre la moglie, poi i figli. Uno che credesse di mostrarsi cortese salutando prima i forastieri, mostrerebbe che la sua cortesia è superficiale e non ha radice nel sentimento. E si farebbe torto, perchè, credano signori lettori, per quanto queste possano sembrare semplici formalità o leggerezze, la vera cortesia è strettamente legata ai sentimenti di umanità. Non c'e atto cortese che non s' inspiri ad un buon sentimento. Non c'è scortesia che non ferisca qualche cuore. Un amico che ci trascuri, che non ci visiti, che non ci scriva a tempo, che ci manchi di un riguardo, non possiamo considerarlo un uomo superiore che non si curi di quegli atti gentili perchè li crede pure formalità, e si riservi a dimostrare la sua amicizia nelle grandi circostanze. Le grandi circostanze, il caso di buttarsi nell'acqua o nel fuoco per salvarci, o di scendere in campo chiuso a spezzare delle lancie in nostro favore non accadono mai; quasi tutti si traversa la vita senza trovarsi nel caso di mettere un uomo a quella prova eroica. Ma si può apprezzarne ogni giorno la sua gentilezza d'animo, nelle piccole cortesie, e si può soffrire ogni giorno della sua rozzezza nelle scortesie che non sono mai piccole. E non serve la scusa pretenziosa ed assurda alla quale alcuni si aggrappano: - Sono un originale ! Saranno originali, si, ma brutti originali ed è da desiderare che non abbiano copie. Del resto, quegli originali là non saranno quelli di certo che mi avranno fatto l'onore di arrivare fino a questa pagina 230 del mio libro; ed è per questo appunto che ho intitolato il capitolo: Parole al vento. Quanto agli altri, agli uomini gentili di animo e di modi, se l'hanno letto, e se vi hanno trovato qualche cosuccia di buono, raccomandino il mio lavoro alle loro mamme, alle loro spose, alle loro figliole; ed io, che apprezzo ed ambisco l'approvazione delle graziose lettrici, ne sarò riconoscente

Pagina 222

Saper vivere. Norme di buona creanza

193412
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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Se voi siete sola, solissima in un villaggio, in un'isola abbandonata (e non si è mai assolutamente soli, anche in un deserto e anche in un'isola, esempio Robinson Crusoè), allora potrete anche fare una intera coltre al filet, potrete ricamare un intero mobile di un salotto, a punto antico, potrete, persino, fare degli arazzi di alto liccio; ma, se appena siete in tre, in quattro, in cinque, sarà una gran cosa, se metterete cinquanta punti nel vostro ricamo, se potrete fare due quadrettidi filet, se potrete dare una sola stella di colori argentei alla vostra bizzarra tappezzeria, che imita l'antico. Non lo sperate, i vostri lavori domestici ritorneranno in ottobre, quasi intatti, alla città. Eppure, dovete portarli con voi! Vi sono momenti, vi sono ore, in cui un lavoro fra le mani, sotto gli occhi, è di una necessità assoluta: esso è una scusa, un pretesto, un diversivo, un derivativo; esso è una salvezza, per esso gli occhi possono abbassarsi o alzarsi come vogliono, le mani sono occupate, la persona sembra scomparsa: esso calma i nervi, regola la voce, mette delle pause sapienti nella conversazione. Una donna che ricama, è venti volte più padrona di se stessa, accanto a un uomo, che una donna, la quale non fascia nulla: una donna, che fa l'uncinetto, è molto più la padrona di suo marito, che non una donna disoccupata... Io non approfondisco il soggetto, perché voi già lo avete tutto inteso, care lettrici: il lavoro è, dunque, un'arma di difesa e di offesa, in villeggiatura. E chi di voi vorrebbe andare alla guerra, senza corazza e senza spada?

Pagina 128

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193663
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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Spesso accade ancora che la fanciulla, abbandonata dall'amica di ieri, si rode di dispetto, e per vendetta fa delle accuse, e quindi la maldicenza e le recriminazioni, che disseccano le purissime vene dell'affetto. Onde quella concordia, che Marina notò sul principio in tutte le allieve, s'accorse che era solo di apparenza, solo alla superficie; ma sotto vi erano le piccole società, le fazioni, le passioncelle, i risentimenti, i dispettuzzi, le malignità. Cresciuta più negli anni e indagato meglio il cuore umano, trovò che quello che si scambia generalmente per affetto e amicizia, non è che amor proprio, o meglio amor di sè, egoismo bello e buono, e non amore degli altri; il che deve essere ben distinto. L'amore vero è l'antagonista dell'egoismo e dell'amor proprio; l'amore non dimanda nulla per sè, ma tutto per altrui; quando s' ama davvero, la nostra vita passa fuori di noi e si riversa sopra un' altra persona; laddove l'amor proprio rivolge tutto a sè, non pensa che a sè, cerca persone per parlar di sè, per narrare i suoi piaceri, per farsi compassionare nelle sventure, e invidiare nelle prosperità; e quindi siam sempre 1ì col nostro: io qui, io là; ma io ho fatto, io ho detto, che reca sazietà nell'amichevole conversare. L'amor proprio nasce da una sensibilità vivissima, che genera due inclinazioni troppo diverse, quali sono, di amare e il desìo di provar emozioni; le quali due disposizioni sono nella donna in grado eminente, perché come è facile a commuoversi e a maravigliarsi, altrettanto sente necessità di amare; e qui sta bene ricordare il nobile detto di Madama di Stael: che l'amore per l'uomo è un episodio, e per la donna è la storia di tutta la vita. Se non che il più delle volte piuttosto che amore è desiderio di piacere e di essere amata, che la domina; ed ecco qui l'amor proprio, che di nuovo fa capolino, il quale facilmente si scambia per una virtù; la vanità esagera le nostre facoltà, e presto ci persuadiamo di essere necessari; e quindi non crediamo mai d'essere stimati ed amati, quanto meritiamo, di qui quella sazietà dell'amica, quando non ha più nulla da comunicarci per farci maravigliare e commuovere, e quel cercare altre amicizie, altre emozioni, alimento che sempre manca, e sempre si cerca (1). La signora Bianca, che tanto bene sapeva distinguere l'egoismo attraverso agli affetti, aveva fin dai teneri anni cercato di sviluppare in Marina quegli amori, che non hanno ritorno, che vanno fuori di noi, che non portano compenso; come la cura de' fiori, degli uccelli; la protezione degli infelici. E forse anche questo contribuì a rendere Marina amorevole e generosa, ricca di affetto, senza cercar mai ricompensa; se non era la ricompensa più sublime, che sta nell'approvazione della coscienza, la ricompensa che Dio infonde nel cuore ben nato quando fa del bene. (1)V.M me NECKER DE SAUSSAURE, L’èducation progressive.

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E anche dopo che ebbe abbandonata la scuola, quelle ore concesse alla lettura, non eran romanzi che pigliasse in mano, ma libri di storia. Il padre le aveva fatto dono di tutta la collezione storica di Duruy, che a poco a poco lesse tutta non solo, ma ne fece anche de' compendi. Che diversità dalla cugina Erminia, essa pure si deliziava nella lettura, anzi passava tutto il dì a divorare libri, la madre la credeva una letterata coi fiocchi! Figuratevi; aveva letto tutti i romanzi, che da vent'anni in qua diluviano in Italia dalla Francia e dall'Inghilterra! Ma trovatasi un dì con Marina, e ragionando amichevolmente, questa aveva un buon senso, una sicurezza sui costumi de' popoli, una ricchezza di cognizioni, che l'Erminia n'era maravigliata; ed è allora che s'accorse d'aver sciupato il tempo; perché spremendo la sua mente per vedere che c'era rimasto di tutta quella falange di libri divorati, nulla ne veniva fuori. E così appunto è della lettura di romanzi, i quali svaporano in un impotente sentimento, e in isterili aspirazioni, che si sfogano in alcune lagrimette, e nulla più; quando non corrompono il senso morale.

Pagina 45

Nuovo galateo. Tomo II

194656
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Allorchè Didone s' incontra negli Elisi con Enea, da cui era stata sì ingiustamente e sì barbaramente abbandonata, s'arresta ella per argomentare con lui e convincerlo ? Enea cerca di riacquistare il di lei animo, ella gli volge spregevolmente le spalle senza dir verbo. Badate bene che nei caso pratico l'orgoglio potrà ingannarvi ed indurvi a supporre palpabilmente false le altrui idee, o palpabilmente vere le vostre. La noia o l' approvazione che vedrete sul volto degli astanti, vi servirà di norma per troncare la discussione o continuarla. 4.° Non rispondere alle ingiurie che nel calor della disputa sfuggono di bocca all'avversario. Batti, ma ascolta, diceva Temistocle ad Euribiade, il quale alzava il bastone per provar la sua tesi. Questa fermezza d'animo in un uomo che era tutt'altro che vile, ci dice che si devono lasciar cadere GIOJA. Nuovo Galateo. Tom. Il. 9 a terra le ingiurie come nè dette nè sentite, e difendere le proprie con tutto il sangue freddo della ragione. Infatti da un lato nel calore della disputa fuggon di bocca parole che si ritrattano, appena cessato; dall'altro l'altrui caduta non giustificherebbe la nostra. In questi casi una risposta urbana che dimostri serenità d'animo, fa più impressione che non un torrente di villanie. Perché mi dite voi delle ingiurie in luogo di ragioni? Avreste voi preso le mie ragioni per ingiurie? diceva l'amabile Fénélon all'impetuoso Bossuet. Il padre Bouhours, assalito da M.r Menage con una batteria d'ingiurie, ne raccolse un centinaio delle più villane, quindi vi scrisse sotto queste poche parole: E forza convenire che questo sig. Menage é un uomo molto pulito.

Pagina 139

Le buone usanze

195397
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Abbandonata dal compagno indegno, madre di una bimba, senza mezzi nè risorse, lontana da ogni persona cara o conosciuta - attraversa l'America da San Francisco a New-York guadagnando in ogni tappa col suo lavoro quanto le poteva occorrere per giungere fino alla città vicina. Riusciva finalmente a imbarcarsi, e scesa all'Havre, quando già pregustava la gioia di ritornare alla sua casa e alla sua città, le moriva improvvisamente la bimba, unico scopo di ogni sua lotta e d'ogni suo sforzo, e nella casa avita non ritornava che una larva di quella bella e fiorente giovinezza che era andata incontro alla vita cantando e che la sventura aveva squassata fino alle radici, devastando ogni fiore d'illusione e sgualcendo ogni fede. Ci volle tutta la forza istintiva dell'animo di Mantèa, e l'aiuto premuroso d'una madre tenerissima e di due sorelle angeliche, perchè l'Espatriata ritrovasse ancora l'energia di riprendere il fardello della vita e ritornasse fidente alle sue lotte. Fu il lavoro il grande amico, il magico confortatore di Mantèa. Cresciuta giovanetta in un ambiente giornalistico e letterario, ella aveva giovanissima pubblicato un suo volume curioso d'osservazioni e di ricordi: Memorie di collegio. - Al libro e al giornale Mantèa ritornava dopo il suo calvario di dolore con rinnovate energie, e trasferitasi a Roma colla famiglia, accettava la collaborazione in alcuni fra i più importanti giornali politici in cui firmava articoli di vita mondana, di mode, di attualità femminili.,, Mantèa possedeva il dono prezioso di farsi leggere volontieri, tra le sue lettrici portò sempre la nota giusta, il consiglio amichevole, l'indicazione appropriata. E tali Sono appunto i pregi di questo libro che le era caro. Oltre queste Buone Usanze e al romanzo autobiografico Espatriata, lascia un altro libro di consigli pratici: Gli sposi, scritto in collaborazione col dottor Francesco Stura, e un curioso volumetto di Consigli pratici alle donne di servizio. Da tutti i suoi scritti traspare una grande bontà: un attivo desiderio di bene, che invece d'inaridirsi, s'e temprato alle prove del dolore. Milano, aprile 1912.

Galateo morale

197404
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Allorché è possibile supporre che la luce superiore illuminatrice della nuova verità allo spirito del convertito sia quella del Dio marengo, oggidì camuffato nella carta sucida della Banca Nazionale, allora gli aderenti di quella parte che voi avete improvvisamente abbandonata hanno diritto di chiamare la vostra un'apostasia. Queste miracolose conversioni disinteressate non si credono punto dalla esperienza degli uomini e delle cose; e quando anche avvengano, chi ne è il soggetto deve avere almeno un pudore - quello di scomparire dalla pubblica scena».

Pagina 350

Galateo della borghesia

201987
Emilia Nevers 3 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Se si mette la signora Sofia, cui non piace che giocar al tarocco, con la società dei giovani che voglion far gite e ballare, sarà abbandonata: non si può riunir il deputato T. radicale col consigliere G. ultra moderato, guai! La baronessa E. è carissima, ma vuol brillare troppo: a metterla con le signore un po' modeste, queste restano nell'ombra..... In una parola, per disporre le cose con vero successo, bisogna essere esperti nella scienza sociale, sapere tutte le fasi e conoscere tutti i tipi della commedia umana... Chi lo crederebbe? La mente di Macchiavelli e Talleyrand non è di troppo. C'è poi la scelta delle camere: convien dare la più allegra a chi esce poco, la più fresca a chi teme il caldo, la più appartata a chi teme il chiasso, e così via. Bisogna regolare gli arrivi, indicare le ore propizie, preparare i mezzi di trasporto, ritardare d'una mezz'oretta od anticipare l'ora del desinare per quelli che giungono... In casa poi ci vuole un' ampia provvista di carte, domino, scacchiere, giuochi d'ogni specie, e libri, e giornali... Il modo poi di trattare gli ospiti varia: per chi non è in confidenza od è timido ci vuole molta sollecitudine: chi ama il vivere tranquillo, non va spinto a passeggiate che possano stancarlo: chi ama la propria libertà, la lettura o lo studio, va esortato a riguardarsi come a casa propria. Infine la qualità più essenziale per la padrona di casa è il buon umore. Non intendo con ciò una perpetua ripetizione dell'éclat de rire, ma una serenità costante, l'arte di celare le proprie preoccupazioni, d'esser sempre ugualmente cortese con tutti, in modo che nessuno degli ospiti possa credersi trascurato od importuno. Alla propria servitù la padrona di casa incuterà rispetto per gli ospiti e pazienza colle persone di servizio che questi potessero recar seco; ella stessa non farà mai osservazioni a chi non è al suo stipendio. Prometterà poi una gratificazione per evitare che la cupidigia spingesse la sua servitù a trattar peggio quelli da cui attendono meno. Non incoraggierà mai pettegolezzi ascoltandoli con orecchio compiacente. La castellana ha dovere di mostrarsi affabile anche verso le persone del paesello vicino, da cui la sua villa dipende: le autorità, sindaco, consiglieri, curato, medico, ecc., ecc. Con le signore deve guardarsi dalla freddezza o dal motteggio. Forse le buone matrone che non parlano che dei lattanti e dei bachi da seta e della vendemmia, l'annoieranno un pochino, lei, abituata all'elettrica corrente d'idee dei grandi centri, ma porti con pazienza quel po' di noia e si persuaderà che anche in provincia c'è molto senno, molt' arguzia e molta coltura. La castellana ha poi un altro e ben utile còmpito: i poveri, ora suoi coloni, altre volte suoi vassalli. Come vorrei persuadere le nostre belle ed ottime dame ad imitare le inglesi che fanno scuola ai bimbi, e di sera, agli uomini, che tengono delle conferenze di morale, che premiano chi non trasmoda nel bere, che insomma agli svaghi della campagna associano anche la filantropia! La castellana non mandi limosine dai servi - le dia ella stessa e dia poco danaro, ma invece vino, brodo, biancheria, e sovratutto buone ed utili parole. Non isfugga dall'accostare quei miseri: si persuada che sotto i loro cenci battono spesso cuori generosi... che sono uomini e sentono, amano, soffrono come noi. Se avrà estirpato un pregiudizio, illuminato un cervello guasto dall'ignoranza, potrà dire, come Tito, di non aver perduto la propria giornata! Ecco i doveri della castellana. La villa, se molto ampia, imporrà quasi gli stessi obblighi. Se piccina, non comporterà tanti ospiti; ma il modo di ricevere quei pochi sarà uguale. Se d'affitto e divisa con altri, imporrà maggiori doveri; oltre agli ospiti vi saranno i vicini. Per mantenersi in buoni termini con questi, conviene guardarsi del pari dall'esagerata prevenenza e dalla eccessiva freddezza; nei primi giorni osservarsi reciprocamente per vedere se si potrà simpatizzare; poi avviare le relazioni con qualche saluto, qualche scambio di parole; passare poi alle passeggiate in comune, alle visite; ma non mai volersi mettere in intimità prima di conoscere, almeno un pochino, con chi s'ha da fare, in ispecie (parrà che dica un paradosso, ma lo spiegherò poi), in ispecie se è gente della vostra stessa città. E perchè? Pel buon motivo che se le persone con cui avete avuto il torto di far relazione alla leggera e che scoprite poco stimabili abitano Parigi o New-York non avrete ulteriori impicci: se invece sono del vostro paese potranno risentirsi se non continuate l'amicizia e procurarvi dei dispiaceri. Per vivere in pace tra vicini non si deve mostrarsi esigenti nè puntigliosi, non associarsi ai reclami ed agli alterchi della servitù. Se v'hanno differenze tra i bimbi, mettere la cosa in tacere, invitare i proprii alla tolleranza, rimproverarli se hanno torto: mai permettersi di correggere quelli degli estranei o far scenate ai genitori per lo sgarbo di un ragazzo. Chi ha carrozza o battello l'offrirà per turno ai vicini, se li conosce tutti: così, se riceve, deve invitare tutti o nessuno. Badisi però che se fra quattro famiglie se ne conosce una sola fin dapprima, è lecito non mettersi in relazione che con quella sola, senza punto contravvenire al galateo, come è lecito vivere soli affatto. D'altro lato va cansata l'eccessiva e subitanea famigliarità, l'entrare ad ogni momento in casa altrui, girando dalla cucina alla camera da letto, con la frase che irrita tanto i nervi di chi desidera un po' di libertà: - Oh! son di casa, io... Non importa. Posso entrare, eh?... - E magari la povera villeggiante si assetta in quella la parrucca! Tempo fa una mia amica, che mi aveva descritto con entusiasmo la bellezza del villino da lei preso a pigione, mi scriveva se nel luogo dov'ero io si troverebbe qualche quartierino per lei. Sorpresa della richiesta e temendola indisposta, mi recai a vederla. - Che è, Gina? sclamai giungendo. Vuoi andartene? C'è qualche epidemia in paese? - Eh! no, rispose Gina, una donnetta di mezza età, calma, metodica come una tedesca. - L'aria non ti si confà? - Anzi! - La casa non ti piace più? - È un gioiello, lo vedi. - Ma, allora, mi ci perdo. È un'invasione notturna di topi? - No. - Di scarabei? - Men che meno. - Oppure... non so che inventare!... oppure ci si sente. Vi sono delle fantasime? - Altro che fantasime! sciamò ella con tuono doloroso. Non fosse che questo... - Spiegati... Ella si pose vivamente un dito sul labbro. L'uscio si aprì: apparve una donnina scarna, gialla, con uno di quei nasi lunghissimi che paiono il distintivo dei curiosi. - Oh, cara vicina, sciamò la donnetta.....Hai delle visite? Scusa!...Ed io che son qua in veste da camera... Allora scappo (e prese una seggiola)... rimarrò un momentino solo, via! la signora è tua sorella? No? Una parente? No? Un'amica, allora, come me? Badi, non più di me! Sono gelosa, io! Ha fatto bene a venire. Era troppo sola, la povera Gina. Per me ci vengo spesso; ma non posso farle compagnia quanto vorrei... A proposito, hai dei funghi oggi, Gina! Me ne darai? lo non ne ho trovati. Cedimene la metà, per mio marito che ne va matto... Per tre quarti d'ora andò avanti così, come una sveglia. Quando essa uscì, Gina mi si voltò: - Hai veduto? Hai udito? Ti meravigli ora ch'io voglia fuggire?... Colei non mi lascia nè lavorare, nè dormire, ne leggere, nè far la mia corrispondenza: è una persecuzione... è una tortura... - E Gina aveva ragione. Ma prima di continuare nell'elenco delle norme per la villeggiatura, chiuderò il capitolo degli ospiti, accennando ai loro doveri. I più importanti sono: l'occuparsi molto di chi ci ospita e l'arrecargli il meno disturbo che sia possibile. L'ospite non farà mai osservazione sulle camere che occupa, sul letto, sul servizio, sulla qualità dei cibi; non mostrerà noia nè malumore, si terrà a disposizione dell' amico per passeggiare e suonare; se i padroni di casa sono attempati o di malferma salute, starà con loro: sarebbe assai scortese che li lasciasse soli, associandosi ad altre brigate. Se amano ritirarsi presto, non uscirà di sera e non si tratterrà fuori troppo tardi. Se è una signorina vedrà di rendersi utile, sia col disporre i fiori dei vasi, sia coll'assistere le padroncine di casa quando lavorano o fanno preparativi per ricever altri ospiti. Se canta o suona si farà udire, senza difficoltà, e ciò per compiacere chi l'ha invitata. Non chiederà mai all'amica con cui si trova delle cose disadatte, sì da metter questa in un dilemma fra le leggi della convenienza e quelle dell'ospitalità. L'ospite nel partire darà sempre una gratificazione alle persone di servizio: appena giunto a casa propria scriverà una lettera di ringraziamento a chi l'ha ospitato. Per l'occasione d'un onomastico o d'un anniversario (non prima, perchè non paia un pagamento) offrirà qualche bel dono, e, se una ragazza, qualche bel lavoro alla persona presso cui ha villeggiato. In campagna, oltre agli ospiti, si hanno i visitatori quelli, cioè, che vengono per una giornata o due. Allorchè vi giungono codesti visitatori, prima cura dev' esser l'offrir loro dei rinfreschi, vermouth, limonata, caffè, ecc. Poi si chiederà loro se hanno fatto colezione o desinato,e s'inviteranno a mangiare senza profondersi in parole per deplorare che non s'ha nulla di buono. Una villa non è un albergo e d'altronde l'aria fina e l'appetito danno ragione a Dante e fan parer savorosi, se non le ghiande, almeno il salame, il burro, il cacio. Però una dispensa in campagna va sempre fornita del necessario per accogliere gli amici ed improvvisar qualche desinare. Ci vogliono scatole di sardine, tonno, salumi, prosciutti, pic-nics, amaretti, vermouth, vini di diverse qualità, sciroppi e conserve; finalmente farina, latte, mandorle, uva secca, uova, tutto ciò che può servire per fare un budino, un'omelette, ecc. Ed è qui, signorine, che sta bene posseder l'arte di impastare con dieci dita affusolate (che conoscono le delicatezze di Chopin ed il segreto dei merletti antichi) un bel pasticcio, una torta dorata, che saranno cose utilissime per far figurare il modesto pranzo campagnolo. Chi vive in città ed ha davanti alla porta il salumaio ed il pasticciere, non si rende conto della necessità di tener la casa ben provvista e rischia così di fair pessima figura coi visitatori. Mi è toccato una volta patir la fame, ma alla lettera, nella casa di certi buoni villeggianti, i quali,non avendo provviste e non sapendo lì per lì valersi del poco che avevano per dare una refezione presentabile, preferirono far il nesci. Però non è cortese nè discreto piombar senz'avviso, per tutto il giorno, da una famiglia che è in campagna. O si previene, o si regola le cose in modo da ripartir prima del desinare. Rimaner fino a quell'ora sarebbe una sconvenienza, perchè porrebbe l'ospite nel dilemma di patir la fame o di dovervi invitare senz'esservi preparato. Lo ripeto, per la colazione è un altro affare. È di prammatica mostrar i proprii fondi, casa e giardino a chi viene a visitarvi: i padroni di casa però debbono sceglier l'ora opportuna, non costringere gente stanca ad errare in mezzo ai campi per lungo tempo ed a scendere e salir molte scale. I visitatori poi hanno un solo obbligo; ammirare e lodare. Lo facciano senza tema. L'amore della proprietà è radicato nel cuore umano ed accieca come tutti gli amori. Per le ville e pei figliuoli s'accetta qualunque elogio con gratitudine. Siccome può accadere che i visitatori desiderino o debbano pernottare, conviene aver sempre una o due camere da letto preparate. Saranno provvedute del necessario letto, canterano, tavola da notte, tavolino da scrivere, scansia, e non solo di ciò che si reputa necessario per sè, ma anche di quel che è necessario ad altri, cioè siccome certuni si copron molto o dormono con la testa molto alta, si metterà in camera una coltre un po' pesante ed uno o due cuscini di ricambio: zolfanelli, acqua con accanto dello zuccaro, alcuni giornali e libri, un lumino da notte. Se l'ospite fosse vecchio o malaticcio, un fornellino a spirito con l'occorrente per prepararsi una bibita calda non farebbe male. Spesso, per non dar disturbo alle persone di casa, certuni si adattano a soffrir di male di stomaco od altro, senza avvertire. Si manderà poi la cameriera od il servo a ritirare i vestiti e le scarpe dei visitatori, e si domanderà a che ora desiderano essere svegliati, se prendano il caffè od il caffè e latte in letto, se hanno bisogno di assistenza per vestirsi, ecc. Nessuno può credere quanta parte abbiano quelle minuzie nella vita e come sia grato ad un ospite il ritrovare un pochino delle comodità di casa sua presso coloro che lo accolgono. Conosco una buona ragazza che è zitellona oggi per aver trascurato quelle piccole formalità, quelle attenzioni che sono come il profumo della garbatezza. Era una signorina colta, buona, ma per disgrazia la sua mamma non conosceva punto il governo della casa nè vi badava: sonnecchiava, leggiucchiava e mangiucchiava tutto il giorno, mentre la figlia dipingeva o faceva di bei ricami. Si propone alla signorina un bravo giovine, ricco, bello, di cui s'innamora subito. Le cose si combinano senza difficoltà... non manca che la sanzione dei genitori del giovinotto: una vecchia coppia modello, Filemone e Bauci. Le signore che chiameremo Giulia e Maria, essendo in villa, lo sposo offre di venir a passare colà alcuni giorni coi suoi, perchè le due famiglie possano conoscersi bene. Si accetta con giubilo, si aspettano gli ospiti con ansia, la mamma sdraiata in un seggiolone a pianger tarde lagrime su Paolo e Virginia, la sposa a miniar due bianche tortore avvinte da un laccio di rose. Verso le dieci, ora a cui si è calcolato che gli ospiti giungeranno alla stazione, le signore si scuotono, scendono in giardino ad aspettarli. Ma sì!vengon le dieci, le dieci e mezzo, le undici; hanno bel appuntare gli sguardi, tender l'orecchio, nessun rumore di ruote, nessun polverìo sulla strada. Grand'inquietudine. Che non vengano? E perchè? La signorina impallidisce, la mamma sospira. Ma ecco spuntare in quella, a piedi - sotto il solleone - una brigatella lamentevole: un omettino secco, in maniche di camicia, con un fazzoletto in capo, un donnone tanto rosso da suggerire serii timori d'apoplessia, un giovinotto polveroso, imbronciato... - Dio buono! A piedi! grida la signorina. - A piedi! ripete la madre. Come? perchè? - Sicuro, a piedi, sclama l'ometto (che era il babbo dello sposo). A piedi! tre miglia sotto la sferza del sole, in agosto! Cosa da morire.Ma non c'erano carrozze. - Ah!certo! dice la madre della sposa. Bisogna comandarle, sa... - O dove le avevo a comandare? in piazza della Scala? replica il babbo, un bravo ambrosiano che chiama pane il pane. Bisognava comandarle qui! Era giusto: era vero... e le signore restarono impacciate. Si profusero in scuse e condussero gli ospiti... in camera? No: li conducevano dritto ad ammirare la villa: ma il babbo, senza complimenti, parlò di colazione. Ah! sì... la colazione! Ci avrà pensato la cuoca! La cuoca invero ci aveva pensato: così il servo: ma la tavola era apparecchiata senza ordine, senza cura, senza fiori: ma la colazione non aveva nulla di accurato. Le colazioni richiedono un antipasto preparato con cert'eleganza: sardine, acciughe o gamberi in conserva, burro, fichi o cocomeri, secondo la stagione: pesci se si è vicini a qualche lago: frutta, vini di diverse qualità, dolci, piattini leggeri, ma ben ammanniti. Invece c'era una profusione di vitello tiglioso (tutto vitello), di salumi rancidi, di cacio asciutto: il pane era raffermo: il vino,preso dall'oste del villaggio, era pessimo. I genitori si sogguardarono. Il desinare fu il fac-simile della colezione. La giornata scorse lenta ed uggiosa: le signore non sapendo che dire nè come trattenere gli ospiti. Alle otto il padre dello sposo parlò d'andar a letto. - Ah! i letti! sicuro! esclamarono le due signore. Convien prepararli. Maria ci avrà pensato? No: Maria non ci aveva pensato: ignorava che gli ospiti pernottassero. Immusonita, andò a metter sossopra le guardarobe semi-vuote, perchè gran parte della biancheria restava per mesi nel cesto della roba da accomodare. Ci volle un'oretta prima che i forestieri potessero salire in stanza. Finalmente la cameriera venne a dire che era pronto e, scortati gli ospiti fino alla loro camera, se la battè, senza domandar altro. I due vecchierelli, rimasti soli, si diedero a esaminare quella camera con sospetto giustificato. Non c'erano zolfanelli; l'acqua era tepida; non c'era che un cuscino per ogni letto, viceversa un coltrone buono Ciò che insegna la mamma. - 9. pel gennaio, nessun libro, nessuna traccia di lumino, e la madre dello sposo ci era avvezza. Le lenzuola..... Dio giusto!... erano umide, anzi bagnate... C'era da pigliar un malanno. I poveretti fecero gran lavori per sostituire plaids e scialli al coltrone, s'affidarono al destino e dopo una notte bianca, benedicono i primi raggi del precoce sole d'estate. Verso le sei cominciarono a tender l'orecchio, sperando che qualcuno si moverebbe, che capiterebbe il caffè.- Aspetta un'ora, aspetta due, eran le otto e mezza e non s'udiva ancora nessuno degli abitanti della villa a dar segno di vita. Si decisero ad aprire una finestra, poi la porta. I loro vestiti, le scarpe, erano sulla seggiola dove li avevano provvidamente preparati; ma ancor sudici, polverosi. Si rassegnarono ad infilarli tali e quali, e andarono alla scoperta. Tutto buio, silenzioso. Cucina senza fuoco, servitù e padroni addormentati: il padre picchiò all'uscio del figlio e svegliatolo: - Da' retta, disse con flemma. Ti rammenti una novella francese detta l' homme qui fait le ménage, in cui ad un povero diavolaccio che vuol far da sè il bucato, il burro e la minestra ne capitano d'ogni colore? Se ti senti la vocazione di faire le ménage, sposa codesta signorina: noi si torna all'ombra del duomo ed in casa tua per ospiti non ci si capiterà! E partirono con un pretesto, ed il matrimonio andò in fumo, e la signorina sospira ancora oggi davanti alle due tortorelle avvinte da un laccio di rose. Ho già detto che in villa i rapporti si stabiliscono più facilmente. Così è lecito ai vicini appiccare discorso se s'incontrano: così inquilini della stessa villa ponno entrare in relazioni senza l'intervento di terzo o lo scambio di biglietti di visita. È lecito del pari, per chi ha ospiti, condurli seco alla sera dalle persone dove sono soliti di radunarsi ed alle gite che si fanno insieme, e ciò senza preavviso e presentandoli al momento. Perfino chi si recasse a pranzo da amici ed avesse ospiti potrebbe condurli seco. Le signorine non escono sole in villa: ma ponno permettersi un breve tratto di strada da una casa all'altra, ed una visitina senza chaperon alle amiche. Per le gite invece ci vorrebbe sempre almeno un babbo od una signora maritata.

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La ceralacca e le ostie essendo bandite, la carta a fiori ed emblemi (rose che si aprono, cuori trapassati da freccie) essendo abbandonata ai coscritti od agli scolaretti, la busta ingommata tenendo lo campo, diventa assai più facile scrivere e piegare le lettere in modo conveniente. Infatti, con un foglio di cartoncino bianco e sodo ed una larga busta si può scrivere a chiunque. Noterò soltanto alcune gradazioni. Per le lettere a superiori od uguali, si prenda carta di formato mezzano con cifra, busta adatta, cioè tale che basti piegare il foglio in due; per gli intimi o parenti, si firma il nome solo, per gli altri, nome e cognome. Scrivendo ad un uomo, una signora metterà iniziale e cognome. Per inferiori si scelga il biglietto di visita dove il nome serve di firma e si scrive in terza persona, o, meglio del viglietto, dei cartoncini quadrati appositi. Per esempio: « MARIA FORTINI » prega la signora Merli di terminare la frangia commessale, » avendo urgenza di servirsene ». Per bigliettini da spedirsi in città, inviti ed altro, si prende carta di piccolo formato. Non si deve mai impiegare dei mezzi fogli o dei fogli sgualciti e macchiati, nè mandar lettere senza busta: se si spedissero simili fogli ai proprii superiori sarebbe un mancar di rispetto, agli uguali un mancar di cortesia, ai congiunti un mancar di riguardo, agli inferiori un mancar di delicatezza. Vedo ancora la fisionomia d'un certo ottimo babbo campagnuolo che aveva fatto educare la figlia in un collegio: un dì, madamigella, che era in città, scrive al babbo, e lui, alla posta, dice: - Eh! vedrete che letterina! Mia figlia ha una scrittura! Ed uno stile! Apre la busta: c'era dentro un foglio sgualcito, macchiato, di carta comune, con due sgorbi, degni d'una lavandaia. Figuratevi come il pover'uomo rimase! Certo, quella signorina, per scrivere alle amiche, si valeva di carta profumata e faceva dei modelli di calligrafia: ma pel vecchio babbo, non metteva conto! Ebbene, per essere veramente persone ammodo, bisogna sempre ed in ogni cosa mostrarsi accurato e cortese; non bisogna mai dar vacanza all'urbanità ed alla nitidezza: non bisogna mai dire: non mette conto! È fuori d'uso ormai porre l'intestazione in cima e cominciare la lettera affatto al piede della carta, per modo che nella prima pagina non vi sieno che due o tre righe. Per le lettere famigliari si mette l'intestazione quasi in cima della pagina, poi la data e si comincia a poca distanza; per le lettere di cerimonia ai superiori si mette il nome e titolo incirca a metà pagina, si comincia nell' ultimo terzo, lasciando molto margine a sinistra; si mette la data dopo la firma. (Ai superiori non si scrivono che lettere, non bigliettini). Nelle lettere commerciali la data si mette in iscritto in quella riga stampata, dove sta il nome della città dello scrivente. In mezzo si pone una prima intestazione che reca il nome, cognome e paese della persona che scrive o la ditta. Sotto una seconda intestazione molto semplice. Per esempio: REVELLI E C° - Via Orso, 1, Milano Milano, 3 luglio 1882. Signori Marini e C° RAVENNA. Egregi Signori, ........ Per le petizioni o suppliche si prende della carta di grandissimo formato, con molto margine, e si scrive da una parte sola del foglio. Queste lettere, come in generale quelle ai superiori, convien meglio suggellarle. Si suol deridere quelli che scrivono sulle buste la parola urgente: ma un'autrice francese assicura, con giustezza, che se questa raccomandazione è certamente superflua per la posta, può essere utile e per la servitù che imposta e pel destinatario, che così verrà spinto a leggere e rispondere con maggior sollecitudine. Sulla busta non si metta scialo di epiteti, e soprattutto si formuli chiaramente l'indirizzo lasciando le spiegazioni fantaisistes, come: la casa delle colonne, la casa accanto al Duomo, la prima casa a destra, ed altre ingenuità, inutili per la posta, non servendo che il nome della via ed il numero della casa. In generale per uomini e per signora attempata il titolo d'egregio, per signora giovane o signorina quello di gentilissima, sono sufficienti: chiarissimo, colendissimo, spettabile, illustre.... non sono epiteti necessari, nemmeno scrivendo a delle cime: scrivendo a qualche onesto commerciante o babbo sono ridicoli. Ai ministri si dà dell'Eccellenza. Per lo più nelle lettere si tien la norma seguente: Francobollo Egregia Signora Luisa Geronimi via Palermo, n°5 UDINE (Friuli) I Francesi però consigliano un altro sistema. La scelta è libera: noterò solo che non si deve ripetere il titolo di « signora ». È un uso antiquato. Quindi se dicessi: egregia signora - signora Luisa Geronimi, non andrebbe bene. Ma ecco il modello francese: Francobollo ITALIA Signora Luigia Geronimi via Palermo, n° 6 UDINE (Friuli) Quando si danno lettere da affrancare alla servitù, è buona norma scrivervi su la parola affrancata. Quando si dà ad un amico qualche lettera di raccomandazione si consegna aperta. Per le formole di conclusione si adopera il dev.mo pei non intimi, l'aff.moper gli intimi. Per gli inferiori, basta il nome dopo i saluti. Una signora mette dopo il proprio nome il cognome del marito, da ultimo il proprio casato da ragazza. Non s'usa firmare il titolo: è accennato dalla corona o dallo stemma, che molti nobili usano sulla propria carta da lettera. In Francia le dame firmano - non il nome, nè il titolo - ma il casato patrizio: se è la duchessa Rose de Mauprat nata Dovenal, metterebbe Mauprat-Dovenal. È anche di voga ora in campagna mettere sulla carta un piccolo disegno rappresentante il palazzo o la villa che si abita; però è una moda un po' vanitosa. Una vedova firmerà a scelta il nome del marito od il proprio o tutti e due, ma in fila e senza la parola di vedova. Per esempio: Luisa Geromini - Marti e non: Luisa Marti vedova Geromini, il che non è elegante. La prima condizione d'una lettera è di essere scritta con chiarezza, sì da non affaticare la vista e stancare la pazienza di chi la riceve e di non dar luogo ad equivoci: le cancellature vanno evitate. Per chiudere si può metter a scelta: Coi sensi della più alta stima - con stima - con affetto - col massimo rispetto - mi dico, mi rassegno, ecc., ecc., badando alla maggiore o minore opportunità della scelta. In francese (credo far cosa grata accennando ad alcune forme di questa lingua), in francese si dice cher monsieur nell' intimità, e monsieur soltanto ai superiori; chère madame, chère mademoiselle, o solo madame e mademoiselle (mai: chère dame,chère demoiselle). Salutando si dice nell'intimità: Tout à vous, mille amitiés, votre affectionnée - ai superiori: Veuillez agréer l'expression de mon profond respect, de mon dévouement -agli uguali: De mes sentiments les plus distingués, affectueux - a persona altolocata: De mon estime, de ma considération distinguée - in commercio: Agréez mes salutations distinguées o empressées - agli inferiori: Je vous salue, o agréez mes salutations. Questa la parte teorica. Riguardo all'opportunità morale: Si scrive ai proprii parenti ed amici pel capo d'anno o pel loro onomastico. Per congratulazione o condoglianza,venendo a sapere di qualche loro gioia o dolore. Per accompagnare un dono o ringraziare. Per annunziare nascite, matrimoni o decessi. Agli ospiti, appena s'è tornati a casa, per ringraziarli. Le persone molto cortesi, lasciando una città od un luogo di bagni, scrivono ad una persona del loro circolo, perché questa trasmetta a tutti i loro saluti. Una signorina non scriverà mai ad un uomo giovine. Lo stile rientra nella mia competenza, inquantochè dev' essere adatto alla persona a cui si scrive ed all'occasione. La lettera commerciale sarà di stile chiaro e conciso. La lettera di congratulazione o ringraziamento, breve, ma animata da schietta cordialità. La lettera di domanda a superiori, breve, semplice, seria. La lettera agli intimi, lunga finchè si vuole, scherzosa, variata. La lettera a bimbi, un pochino didattica con una certa spruzzatura di faceto, come quelle graziosissime di Giusti ai nipoti. La lettera di capo d'anno o d'onomastico dovrebb'essere..... nuova! Ma qui credo che sarà difficile seguire il mio parere e trovare una formola diversa, una frase inedita per dire: « Domani comincierà un anno nuovo e vi auguro di passarlo nella felicità ». E non potendo far cosa nuova - consiglio di far cosa schietta e semplice: sarà il meglio. La semplicità costituisce il vero e solo merito d'una lettera. Intendiamoci: la semplicità dello stile, non della lettera. Limitarsi a dire: Ho ricevuto la cara vostra, da cui vedo che state bene e sto bene anch'io, o giù di lì - è povertà di fantasia o pigrizia, non semplicità. La lettera dev'essere spontanea, chiara, palpitante di vita; essa surroga la parola, e deve quindi più che può imitare lo stile parlato; più vi si sente lo slancio d'un cuore verso l'altro, d'una mente verso l'altra, la verità, la naturalezza, più piace. Perciò in genere, le donne vive, impressionabili, sensibili al bello, sanno scrivere delle lettere stupende, anche senza essere letterate e talvolta perfino senza conoscere la grammatica: citerò in prova della prima asserzione, le francesi, la Sévigné, - ed in prova della seconda la tragica Rachel, la quale, con un'ortografia delle più fantastiche, dettava delle lettere di cui la grazia e l'eloquenza erano impareggiabili. Trovo anzi che nelle lettere - le quali rappresentano affatto la persona - ogni studio di rettorica, ogni ricercatezza, nuoce, e invece di dar piacere, di far sorridere o di commuovere, fa sclamare a chi la riceve: Oh! quanto deve aver sudato l'amico a mettere insieme tutta questa roba! La brutta copia quindi non giova punto allo stile epistolario; convien abituarsi a farne senza; compor la lettera a memoria e poi buttarla giù, senza badare a qualche neo, a, qualche ripetizione. Che sia di stile schietto e spigliato, ecco quanto preme. Finalmente, per ultima norma,noterò che non si deve mai scrivere sotto l'influenza dell'ira. Se è cosa inurbana, illecita, uno sfogo a parole, figurarsi che cosa è uno sfogo in iscritto! La parola sfuma: verba volant, come dicevano gli antichi; lo scritto invece se ne sta sempre lì, immutabile, anche quando l'ira è svanita, anche quando si sarebbe disposti a cancellarlo con le lagrime. Ciò che si scrive acquista appunto dalla sua durata una forza speciale; l'offeso può aiutare la propria memoria col rileggerlo e così, la freccia che il tempo avrebbe smussato, conserva la sua malefica virtù, ed impedisce il perdono od il ravvicinamento. È anche doveroso custodire con riguardo la propria corrispondenza; se si ricevono lettere un po' imprudenti od appunto scritte in ore di eccezionale impressionabilità, distruggerle. Mai lasciarle di qua e di là, a portata della servitù o degli indiscreti. Non par vero quanti guai hanno prodotto le vecchie lettere! C'è una fatalità nella smania di custodirle. Credo che non si sbaglierebbe aggiungendo al noto assioma: cherchez la femme! quello di: cherchez la lettre! poichè in fondo a gran parte dei guazzabugli di questo mondo sta un cencio di carta con due sgorbi. È quindi una norma di prudenza e civiltà sopprimere o chiudere la propria corrispondenza. Aprire le lettere altrui, o leggerle se si trovano, è la massima indelicatezza. Non è lecito che ai genitori in rarissimi casi. In qualunque altro, anche - anzi - fra marito e moglie è biasimevolissimo; denota bassa curiosità, intenzioni maligne o sospetti offensivi.

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Le buone maniere

202778
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Ci sono le Casse di previdenza per la vecchiaia, per l'infanzia abbandonata, per la maternità, pei caduti, pei rigenerati; le Società di temperanza, i baliatici, il patronato scolastico, quello dei liberati dal carcere; ci sono le Società cooperative; quelle di Mutuo Soccorso; i dormitori pubblici, la mutua sussistenza, i dispensari medici, gli ospedali, i conservatorii, gli asili infantili, e una miriade infine di istituzioni benefiche e morali, in cui le donne sono chiamate a prestare il loro concorso morale e materiale fin dove le loro forze lo permettono. Un bell'esempio di carità a' suoi tempi fu dato dalla Marchesa di Barolo a Torino, che dopo aver consolato gli ultimi giorni di Silvio Pellico, consacrò le sue ricchezze e la sua stessa persona al sollievo degli infelici e alla riabilitazione dei colpevoli, con istituzioni che sono in gran parte ancora moderne, per quanto ispirate da convinzioni di esclusività troppo assolute. Quello che colle sue immense ricchezze potè fare questa nipote del gran Colbert, che fu chiamata una santa moderna; quello che potè compiere col suo genio, colla sua virtù, colla sua dottrina, colla sua annegazione, col sagrificio della sua gloria e della sua fortuna, Maria Gaetana Agnesi, oggi possono compierlo lo sforzo e il contributo di tutti, mediante questi Comitati a cui nei piccoli e nei grandi centri le donne debbono dedicarsi, senza trascurare le occupazioni e le discipline domestiche. È il massimo degli errori quello di credere e di pensare che non si possa accudire all'uno e all'altro di questi doveri. Non è anzi che sapendo ottemperare al primo dei doveri che è quello della famiglia, che si può portare nel seno dei Comitati di provvedimento, di prevenzione e di beneficenza, lo spirito alacre e fecondo per un lavoro utile e proficuo a vantaggio di tutti. Ricordarsi sempre che la Beecher-Stowe, e sarà utile ripeterlo ad ogni momento, pensò e scrisse il suo libro per cui la croce potè brillare sul petto dei poveri negri redenti, facendo sola la cucina di casa. Il compito più oneroso, quanto a fatiche materiali per le adunanze, per le compilazioni dei verbali, per la verifica dei conti, delle bullette, e infine per quanto riguarda gli uffici di segretari e di amanuensi, è riservato alle giovinette, le quali senza petulanza, senz'albagia, con discrezione e modestia possono partecipare alle discussioni, anche se avessero carattere morale assai delicato, salvo sempre la verecondia e la fede, come diceva Epitteto; poichè ormai le giovinette hanno la mente aperta a sentire e a comprendere molte cose, che soltanto una trentina di anni fa si ignoravano completamente. Anche questo è un portato dei tempi. Ogni cosa sotto il sole ha il suo tempo, dice un saggio sublime; si può preferire più un tempo che un altro, ma bisogna rassegnarsi al proprio. Solo è a desiderarsi che le costumanze non ammolliscano i costumi e resti incolume il sentimento dell'austerità nazionale.

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Eva Regina

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Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 4 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
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Verrà una giovinetta graziosa, fresca, pura, ed egli la coglierà come un fiore, e lei che non ha potuto dargli la verginità del suo corpo come gli ha dato le primizie della passione, lei sarà disdegnata, abbandonata, riguardata con disgusto, con disprezzo...

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La misero poscia a Napoli in una scuola Evangelica, dove forse attinse quei solidi principi di rettitudine che non l'hanno mai abbandonata tra tutti i pericoli a cui è stata esposta. Esordì a Torre del Greco in una Compagnia Sociale di terz'ordine col ruolo di prima attrice assoluta, e non ancora quattordicenne commoveva il pubblico con Dionisia che rimase poi sempre nel suo repertorio come una delle sue interpretazioni preferite. Narrare la rapida ascesa e i fasti della vita artistica di Tina, è inutile perchè l' Italia tutta la conosce e la vezzeggia come una figliuola prediletta, e nel suo villino all' Ardenza, fuori Livorno, si dànno lieto convegno colleghi ed ammiratori. Nella sua esistenza privata Tina è mamma tenerissima e sposa innamorata e fedele di colui ch'ella scelse tra i suoi compagni d' arte, dimostrando anche in questo la spontaneità semplice della sua indole e della sua anima, che avrebbe potuto cercare la ricchezza, íl nome, la posizione sociale, e non volle che l' armonia e l'amore. Eleonora Duse, la più eminente fra le interpreti nostre contemporanee, non ebbe in dono la bellezza, ma uno spirito vibrante, dominatore sul fisico che imprime dei caratteri dell'anima che assume. Nacque da Alessandro Duse e da Angelica Copelletti di Vicenza, il 3 ottobre 1859. A quattro anni faceva Cosetta nei Miserabili. A Trieste aveva il ruolo d'ingenua. Crebbe nella miseria, la madre le morì all' ospedale dove ella mangiava metà della zuppa che l' ammalata le lasciava. Emerse in Teresa Raquin, e Giacinta Pezzana accese in lei il sacro fuoco dell'arte. Assistendo ad una rappresentazione della Princesse de Bagdad, protagonista Sarah Bernhardt, la Duse ebbe la rivelazione della propria personalità artistica. E si affermò in Dionisia, in Francillon, nella Moglie di Claudio. Il Teatro di Ibsen, di Maeterlinck e del D' Annunzio affinò ancor più l' arte sua, la portò alla perfezione : giacchè la grandezza della Duse è grandezza d'analisi, di riproduzione viva della natura. Il celebre ritrattista tedesco Franz Lemback si divertiva a fissare le diverse impressioni che coglieva a volo in teatro sul volto della Duse ed aveva tappezzato il suo studio di trenta schizzi che personificavano i diversi stati dell'anima umana. A queste due stelle massime fanno corona Irma ed Emma Gramatica che incarnano mirabilmente la personalità della donna moderna, nella sua nervosità la prima, nel suo spirito brillante e un po' scettico, la seconda. Virginia Reiter, audace ed efficacissima; Teresa Franchini, fine ed accurata Edvige Reinach, semplice e soave; Ines Cristina, intelligente coadiutrice del talento del Zacconi ; Alda Borelli di così squisita intellettualità, Teresa Mariani, Dina Galli, e molte e molte altre che sarebbe troppo lungo enumerare. Meno ricca è, nel momento presente, la pleiade delle artiste di canto di prim'ordine. L' Italia, la terra classica delle melodie, si è lasciata vincere dalla concorrenza straniera, e la Francia, la Germania, la Polonia dànno ora le migliori interpreti musicali, per potenza ed estensione di voce, per esattezza di metodo ; risultati che queste straniere debbono, forse più che alle doti naturali, alla diligenza della loro lunga preparazione al palcoscenico che le giovani cantanti italiane vogliono conquistare di slancio, appena uscite dagli Istituti. Pure, la fama della Patti è ancor recente ; e i nomi di Luisa Tetrazzini, di Eugenia Burzio, di Resina Storchio suscitano echi di entusiasmi e di sommo diletto intellettuale : e chi ebbe la fortuna di udire Gemma Bellincioni nella Traviata, la Jacobi nel Lohengrin, la Giovannoni-Zacchi nella Bohème, la Meyer nel Mefistofele, la Merolla nella Manon, la Toresella nei Puritani, la Pantaleoni nella Cavalleria Rusticana non le potrà più dimenticare.

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Ecco gli asili d'infanzia e i patronati scolastici : una legione di bimbi da proteggere, al cui sano sviluppo organico e spirituale vigilare con previdenza materna, visitandoli, tenendo conto dei più bisognosi e negletti : ecco le provvide istituzioni dell'Infanzia abbandonata, delle Case di deposito e di soccorso per i piccoli derelitti che hanno conosciuto il dolore e la malvagità umana prima ancora di sapere che cosa è la vita : ecco i Ricreatorî festivi per le fanciulle operaie da ingentilire, da ritemprare alle prove della vita, da mantenere nella retta via dell'onestà e del lavoro: le scuole domenicali e le biblioteche per illuminare le loro menti e fornire loro sane e profittevoli letture. Ecco tutte le opere di previdenza sociale, le unioni di beneficenza intese a dar lavoro ai disoccupati : le case di redenzione il cui nobile programma sta tutto nel loro titolo : il patronato dei minorenni condannati col beneficio della legge del perdono e rimasti nelle loro famiglie : le Amiche della giovinetta, opera internazionale che si prefigge di occuparsi delle fanciulle straniere che arrivano in cerca di lavoro; la Cassa d'assistenza per la maternità, bellissima istituzione che vuol garantire la madre e il neonato nei periodi critici della gestazione e del parto ; l'Aiuto materno, che si assume la sorveglianza dell' allattamento, e distribuisce latte sterilizzato e indumenti per i piccini ; le Cucine popolari ; le Amiche dei poveri che dànno lavoro a domicilio equamente retribuito ; le Società per il patronato dei ciechi, che mettono in opera ogni mezzo suggerito dalla scienza e dalla pietà per alleviare la massima fra le sventure ; l'Ufficio indicazioni ed assistenza, il quale si occupa di stendere suppliche, ottenere certificati, elargire consigli ed aiuto, delle visite a domicilio dei poveri ed anche di piccoli prestiti a cui l' indigente può ricorrere sottraendosi alla rapacità degli usurai. A tutti è nota oramai la Cooperativa delle industrie femminili, che oltre rilasciare all' operaia il guadagno netto, si è fatta scuola d' arte e di buon gusto; e una felice innovazione già tentata con buon esito in qualche città è quella delle Cucine per i malati poveri, intesa a fornire a poco prezzo cibi sostanziosi leggeri e igienici per le convalescenze, prima che il malato torni al lavoro e al suo regime frugale. Vi è pure il Comitato contro la tubercolosi, per diffondere fra il popolo nozioni utili d'igiene e di previdenza, visitare gli infermi, distribuire gli alimenti, mandare a cure climatiche i deboli, distribuire sussidî, rendere infine sempre più efficace la lotta contro questo flagello terribile. E con questa avanguardia di soccorso si apre la beneficenza degli ospedali, le cui candide corsie silenziose sono per certe anime percosse dal dolore un salutare rifugio morale. Ecco le Scuole di infermeria e della Croce rossa ; ecco gli Ospizi di maternità, gli Ambulatorî per le malattie infantili ; le Case di convalescenza poste in luoghi ridenti e salubri : gli Ospizi marini dove tanti poveri bambini deboli trovano le forze e la vita. E forse in questa lunga enumerazione ho ancora dimenticato qualche opera provvida, ad ogni modo ne avrò sempre accennato abbastanza per dimostrare che non mancano occasioni di fare il bene secondo qualunque intendimento o tendenza ; di giovare al prossimo nobilmente ed efficacemente; di proporre alla propria attività e al proprio cuore un còmpito utile ed alto.

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Una giovinetta tradita dal fidanzato ascoltò gli sfoghi d' una moglie abbandonata e si sentì quasi inclinata a ringraziare Dio che le aveva risparmiato uno strazio più grande. Una madre di famiglia sgomenta e addolorata di dover abbandonare una casa dove abitava da molti anni e nella quale erano nati tutti i suoi bambini, non osò più lamentarsi dopo le tragiche vicende di Reggio Calabria e di Messina : e infine una signora di mia conoscenza costretta da rovesci di fortuna a guadagnarsi il pane in casa altrui, dopo aver conosciuto una disgraziata che non ha nemmeno la salute e non riesce a provvedere a sè e al suo figliuolo, disse: « Ho potuto constatare che al mondo vi è sempre chi sta peggio di noi. » « Possiamo salvarci da molti guai semplicemente col guardarci attorno — scrive la Pezzé Pascolato — con l' osservare quel che accade agli altri e col dire : Così potrebbe accadere anche a noi. » Prendere le sventure che toccano agli altri come proficui avvertimenti ; riguardare quasi come un privilegio l' immunità da danni maggiori ; quando si è all'ombra non osservare invidiando quelli che stanno al sole, ma meditare su quelli che sono al buio : ecco il vero rimedio nelle traversie della vita.

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