Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonata

Numero di risultati: 122 in 3 pagine

  • Pagina 1 di 3

Fisiologia del piacere

170500
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Se l'egoismo più brutale risponde al sacrificio più generoso coll'indifferenza e coll'abbandono; se la madre, dopo aver dedicato la propria vita a' suoi figli, dopo aver in essi riposta ogni sua speranza e tutto il proprio avvenire, si vede un giorno abbandonata e sola, sospira sull'imperfezione del cuore umano, ma non maledice. Essa, seguendo sempre con l'occhio intento dell'affetto i propri figli nel turbine del mondo, li ama sempre, pronta ad accorrere ad essi appena la sventura li faccia bisognosi di soccorso o di pietà. Il cuore di una madre è il capitale unico del sentimento che mai non fallisce, e sul quale si può sempre contare con sicurezza. La madre soltanto arriva a sacrificare in un punto le offese dell'amor proprio, le imperiose esigenze dei sentimenti più nobili, le speranze deluse, e soccorre e consola senza amarezze e senza rimproveri il figlio colpevole o disgraziato. La madre attorniata da numerosa famiglia gode spesso, nel medesimo tempo, di tutte le gioie della maternità. Mentre trepida porta nel grembo un'altra vita, tien forse sulle ginocchia un bambino appena divezzato, e girando lo sguardo affettuoso verso un tavolino attorno al quale i figli grandicelli stanno studiando e le fanciulle lavorano, pensa al figlio lontano che nella giovinezza più fervente compie il suo dovere verso la patria.

Pagina 176

Come devo comportarmi?

172942
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Nella piccola allieva, l'istitutrice trova spesso una creatura fino allora quasi abbandonata a sè stessa dalla fatale indulgenza, che viene da amore eccessivo e cieco; sragionato amore che butta la creatura debole in braccio delle proprie passioni. Qualche volta alla piccina è mancata la mamma; guida amorosa e intelligente, che riesce poco a poco, gradatamente, a reprimere o rafforzare, secondo i casi, a svegliare il sentimento con piccoli sacrifici, a educare la volontà. Educare la volontà ! qui sta il difficile per una povera istitutrice che abbia per allieva una creatura che è un piccolo impasto di passioncelle, le quali si sbizzarriscono pazzamente senza il freno di un po' di forza di volontà. Cosa farò, istitutrice per far capire alla piccola allieva, che lasciarsi andare flosciamente in balìa del primo nemico che le si affaccia, è viltà? Tenterà di farle comprendere che le passioncelle dominanti sono per la sua educazione, per il suo bene, altrettanti nemici; che, fin che la volubilità, la collera, la prepotenza, la pigrizia, le staranno d'intorno e la piegheranno a loro voglia, da padroni, da tiranni, lei, che si crede libera di agire a suo talento, non è e non, sarà mai altro che una povera piccola schiava, obbligata a sacrificare sempre la parte migliore di sè stessa. In fatti, come potrebbe soddisfare al desiderio buono, di essere sommessa e obbediente, se la prepotenza la trascina a sè con il suo potere ?... Come potrà procurarsi il diletto sano e santo di un poco d'occupazione, se non sa affrontare la violenza della pigrizia ?... Come riuscirà, a non cambiare d'umore e di simpatia parecchie volte al giorno, a non dare il triste spettacolo delle sfuriate volgari e offensive, se non può resistere alla volubilità, alla collera ?... Mi pare che l'istitutrice dovrebbe tentare di far comprendere alla sua allieva queste verità; e di fargliele comprendere per mezzo di racconti, di favolette ed apologhi, che tutto è buono quando si tratta di raggiungere uno scopo giusto. E quando la piccina fosse persuasa dell'esistenza di nemici morali, che la danneggiano in ogni maniera, l'istitutrice cerchi di farle comprendere, come in sè stessa ella potrebbe trovare la forza magica capace di lottare e vincere i nemici per quanto potenti. Quella forza dell'anima, che guida e decide ogni azione; la volontà; una sovrana, che dal suo primo nascere conviene educare alla rettitudine, perchè possa reggere e governare con giustizia. L'istitutrice interessi la piccola allieva al suo stesso stato morale, facendole analizzare le cause che la spingono a mostrarsi irascibile, strana, e sopra tutto a sentirsi malcontenta. La abitui, accarezzando un poco il suo amor proprio, scuotendo il suo sentimento, a vincersi nei momenti difficili e cattivi; a fare che la riflessione la stacchi dagli scatti abituali e dia tempo alla sua volontà di vedere e frenare. E se la piccola allieva, potrà comprendere qualche lieve vittoria riportata su sè stessa, e gustarne il piacere, direi quasi un sentimento di orgoglio legittimo, l'istitutrice avrà la soddisfazione di trovarsi e sentirsi su la buona via. Ho voluto dare questo piccolo esempio di educazione morale, per far intendere a chi volesse o dovesse dedicarsi alla carriera dell'istitutrice, che è per essa obbligo santo e sacro, quello di studiare l'animo delle sue allieve, di scoprirne le passioni e di aiutarle e dominarle, a dirigerle al bene.

Pagina 409

Il successo nella vita. Galateo moderno.

176503
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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In seguito però, questa usanza degenerò al punto che le chiassate di questi gitanti cominciavano a turbare la quiete della campagna e così man mano questa abitudine venne abbandonata ed oggigiorno i « Giovani Esploratori » si limitano a fare dei cori. Quantunque sia giusto e comprensibile che i giovani sfoghino nella libera natura la loro esuberanza, ciò dovrebbe avvenire sempre in modo da non turbare la quiete e la ricreazione di altri gitanti. Molte volte infatti il chiasso, gli urli ed il baccano dei giovani guastano completamente le gite dei cittadini desiderosi di riposo. Colui che si comporta troppo sguaiatamente durante le gite domenicali, può essere giustamente sospettato di poca serietà. Lo stesso riguardo che dobbiamo usare verso i nostri simili alle esposizioni, ai teatri, ai concerti e nelle chiese, è da osservarsi anche nella campagna, che è il più sublime tempio di Dio. Gli individui che non osservano queste regole rischiano di essere radiati dai circoli turistici che evitano gli elementi troppo turbolenti. Anche l'estremo opposto è antipatico. Coloro che dinnanzi ad ogni bella veduta, albero o roccia esclamano: « Oh, che bello, oh, che incantevole! » non fanno altro che diminuire l'effetto delle bellezze naturali che possono essere ammirate soltanto in rispettoso silenzio. I veri sentimenti non si manifestano in un'ondata di vuote parole. Anche il paesaggio stesso esige riguardi da parte del turista, il quale deve evitare di lasciar sparsi per i prati i residui dei pasti: bucce di frutta, scatole e carta. Simili cose bisogna seppellirle o bruciarle o gettarle in un luogo adatto. Non deturpate gli alberi dei boschi con incisioni di monogrammi o di altri segni o diciture. Rispettate il bosco e la natura! E' indelicato gettar via i fiori raccolti. In generale non si deve raccogliere ogni pianta che piace, si può ammirarla anche nel seno della Natura senza portarsela a casa, contribuendo così alla devastazione. Si eviti di rompere rami d'alberi, specialmente se fruttiferi. Bisogna rispettare le colture. Un agricoltore molto giustamente pose sul confine del suo podere una tabella ammonitrice con la seguente iscrizione: « L'ingresso al prato è permesso soltanto ai buoi, alle pecore ed ai maiali». Le panche ed i muri dei rifugi non sono dei registri di stranieri ed ognuno che li deturpa incidendovi il proprio nome si estende un attestato di povertà di spirito.

Pagina 179

Però, è giuocata quando viene abbandonata dalla mano sopra una casella contigua. Il giuocatore, però, può muovere e spostare una pedina o una dama, senza essere obbligato a giuocarla, qualora prevenga l'avversario con la parola « provo », o altro avvertimento analogo. 9. Quando una pedina o una dama può mangiare più di un pezzo, deve passare successivamente per le caselle vuote e solo dopo finito di mangiare, il giuocatore ha diritto di raccogliere i pezzi vinti. 10. Una pedina mangiata, e non raccolta nel tempo debito, resta nel giuoco. 11. La partita è nulla quando i giuocatori rimangono: uno con una dama e una pedina chiusa; l'altro con una dama. 12. Chi abbandona la partita, prima che sia finita, la perde. Ma vince la partita il giuocatore che ha mangiato tutte le pedine e le dame nemiche, o che ha chiuso l'avversario.

Pagina 370

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179063
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Bastava che Enrichetto richiamasse alla mente quel brutto dì per tosto divenir serio, serio, abbandonare la compagnia, e ritirarsi cupo a meditare; tutta quella scena gli veniva innanzi: la mamma coi capelli scarmigliati, abbandonata sur una seggiola in un angolo oscuro della camera, a forti singulti piangeva; il padre muto, cogli occhi rossi, colla fronte cupa andava e veniva a presti passi per la stanza; il fratello e le sorelle sopra scranne qua e là guardando la mamma a grosse lagrime singhiozzavano: le campane della vicina parrocchia suonavano a distesa; orfanelli, frati, preti processionalmente si sentivano per la via e su per le scale cantare il miserere; ed egli, sbalordito, fuor di sé, s’era accostato alla porta, e vedendo trasportare fuori una cassa coperta di nero: nonna, nonna, si pose a gridare, e dietro le rapidamente nonna, nonna, seguitava a chiamarla dal pianerottolo, mentre giù per gli svolto delle scale spariva la processione. Ma la nonna non rispose, né più la vide ritornare se non ne’ sogni!

Pagina 17

Le belle maniere

180225
Francesca Fiorentina 3 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Ma non vi sembrerà più, quando vi dirò che la poveretta era vedova da un pezzo, che aveva perduto il figlio nella guerra d'Africa e, poco dopo, un nipotino, un amore di bimbo, e che, abbandonata anche dalla nuora, era rimasta sola con quel gatto spelacchiato? Questo gatto spelacchiato era stato il gioco preferito del nipotino, e poi le era rimasto fedele più della moglie stessa di suo figlio; se lei gli dava qualcosa o gli parlava, faceva la fusa per ringraziarla, e, quando lei si metteva seduta sul terrazzino tutta triste e immersa nel ricordo di quel bimbo morto, le s'appallottolava ai piedi, e la guardava con occhi quasi consapevoli. Ora non le restava più nulla al mondo, e nessun filo la legava alla vita. Era già così gonfio il suo cuore, che questo nuovo dolore più non vi potesse entrare senza spezzarlo? Non potrei giurare:la poveretta s'ammalò, e, dopo qualche settimana, morì. In séguito, non solo non risi più, ma neppure mi stupii vedendo un vecchio, un deforme, un abbandonato rannicchiarsi nella compagnia d'una bestia come in un asilo sicuro, dimostrare alla semplice creatura, con mille cure che a prima vista parrebbero ridicole, la riconoscenza per la sua fedeltà, per la sua lealtà, per la sua piena fiducia, per queste virtù che solo può apprezzare, sia pure in una bestia, chi ha conosciuto l'ingiustizia, l'inganno, l'abbandono di esseri umani. Non dovete dunque, figliole mie, schernire la vecchia che ripone il suo ultimo conforto in un gatto, lo sciancato che ha l'amico più fedele in un cane:come non schernireste chi, avendo mozzata una gamba, adopera le grucce, o, essendo muto, si serve de'gesti per farsi capire. Riprovate, invece, in cuor vostro, chi tratta le bestie meglio che i cristiani, e a questi rifiuta villanamente ciò che a quelle dà in abbondanza. Ricordate?

Pagina 253

Voi non siete, fortunatamente, nel caso del povero deforme o della vecchia abbandonata, voi non mancate di conforti, che largamente vi sono offerti dalla letizia della vostra giovinezza, dall'affetto dei genitori, della famiglia, delle amiche. . . abbondanti finchè la gioia è con voi; nè, a dirvela schietta, mi garberebbe sorprendervi col cagnolino addormentato in grembo o col gatto sonnecchiante su'vostri quaderni. Ma, senza esagerazioni sentimentali, dovete voler bene a queste creature inferiori, pensando che anch'esse fan parte della grande opera divina, che anch'esse vengono come noi dalla vita e come noi sono soggette al dolore e alla morte. San Francesco, il grande e umile santo della vera carità cristiana, amava le bestie, e le chiamava sorelle; e Gesù Cristo, entrando in Gerusalemme, non sdegnò di cavalcare la più disprezzata e maltrattata delle bestie, l'asinello. Non sopportate che altri, in presenza vostra, sia inutilmente crudele con gli animali; e, se vedete un vostro fratellino che, per semplice gioco, inchioda un maggiolino, strappa l'ali a una farfalla, disturba un nido di rondini, tira la coda a un gatto, squarcia una rana, spiuma una gallina viva, strazia l'agonia d'un rospo, rimproveratelo severamente, perchè il suo atto è barbarico, è inumano. Ma. . . e le zanzare, le mosche, le piattole, i tarli, i ragni? Ammazzatene quanti più potete, fate pur loro una caccia spietata, da buone massaie, poichè il vostro fine giustifica pienamente i mezzi; e, d'altra parte, è più che lecito sacrificare gli esseri inferiori al vantaggio de' superiori, nello stesso modo ch'è riprovevole far soffrire, sia pure una mosca, inutilmente, e addirittura crudele è gioire di tali sofferenze.

Pagina 255

Quanti a una languida signorina strimpellante il pianoforte o abbandonata sul divano con un romanzo fra le mani o ascoltante con compiacenza un suo vago dolorino di stomaco, sempre preoccupata del"come far passare il tempo", quanti a tale signorina preferiscono una ragazza alla buona che riduce la casa uno specchio, che sa dire quale vernice meglio s'adatti a' pavimenti, che non si trova in impaccio davanti a una macchia d'inchiostro, che sa ripiegare una giacca da uomo, che, colta alla sprovvista, sa spiattellarti il prezzo di tutti i generi alimentari più comuni e che, nell'assenza della domestica - se pure è abituata ad averla, - sa tirarsi su le maniche e cavarsela col mestolo e col pennacchio! Le figliole della regina Vittoria d'Inghilterra, chiamate poi a reggere paesi, furono sorprese più volte da illustri personaggi con le mani imbrattate d'uovo e di farina. Nausicaa ha dunque avuto delle seguaci tra le famiglie reali. E voi. . . ? Lasciatemi credere che non manchino fra noi italiani di queste ideali creature, che sono fate benefiche nella piccola reggia abbellita dalle loro mani animate, e diffondono attorno grazia e sorriso, salute e benedizione.

Pagina 73

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180322
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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E solo se si è capaci di inchinarsi con leggerezza e disinvoltura, guardando negli occhi la signora, e alzarne lievemente la mano senza appoggiarvi le labbra; la mano poi non va abbandonata a mezz'aria, ma accompagnata dolcemente nello sciogliere il saluto. Molto contemporaneo, invece, è l'uso di salutarsi con un bacio. Copiato dal mondo dello spettacolo, fintamente caloroso e affettuoso, in realtà è un gesto distratto e automatico, tanto che di solito è un air kissing, cioè un «baciare l'aria» accanto alle guance. Personalmente, preferisco baciare solo le persone cui voglio bene, o che voglio autorizzare a sperare in una vera intimità. Ma che fare quando ci baciano? Accettiamo i baci senza attribuirvi importanza, senza crederci, senza scandalizzarci, e senza pulirci immediatamente gli aloni di rossetto stampati sulle guance. Quanto ai «baciatori di bambini», ricordo che una volta sui bavaglini si scriveva «Non baciatemi»: comportiamoci come se la scritta ci fosse tuttora.

Pagina 22

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189182
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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E' un uso che va rispettato e che non si spiega, come il dire signorina a tutte le impiegate, dattilografe e telefoniste, anche se hanno già dato dei figli alla Patria, all'Infanzia Abbandonata e al capoufficio. Precisò: - Mi sono sposata ieri. - Con chi? - Con un signore che ho conosciuto venti giorni fa. - In così breve tempo? E quali virtù ha quest'uomo invidiabile, che vi ha fulminate istantaneamente? - Ci siamo conosciuti a un pranzo. Era spiritosissimo. E' il fuoco di fila del suo spirito, che mi ha soggiogato. Ve lo farò conoscere. Volete? Risposi di sì. Io sapevo che mi sarei imbarcato il giorno dopo per Buenos Aires e che mi sarei difeso mettendo l'oceano fra me e quell'insopportabile personaggio che è un uomo di spirito.

Pagina 321

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190523
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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In questo caso vi conviene imparare a memoria la famosa excusatio che John Belushi recita nel film Blues Brothers davanti alla fidanzata dopo averla abbandonata all'altare. «Ero... rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia!»

Pagina 28

Saper vivere. Norme di buona creanza

193412
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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Se voi siete sola, solissima in un villaggio, in un'isola abbandonata (e non si è mai assolutamente soli, anche in un deserto e anche in un'isola, esempio Robinson Crusoè), allora potrete anche fare una intera coltre al filet, potrete ricamare un intero mobile di un salotto, a punto antico, potrete, persino, fare degli arazzi di alto liccio; ma, se appena siete in tre, in quattro, in cinque, sarà una gran cosa, se metterete cinquanta punti nel vostro ricamo, se potrete fare due quadrettidi filet, se potrete dare una sola stella di colori argentei alla vostra bizzarra tappezzeria, che imita l'antico. Non lo sperate, i vostri lavori domestici ritorneranno in ottobre, quasi intatti, alla città. Eppure, dovete portarli con voi! Vi sono momenti, vi sono ore, in cui un lavoro fra le mani, sotto gli occhi, è di una necessità assoluta: esso è una scusa, un pretesto, un diversivo, un derivativo; esso è una salvezza, per esso gli occhi possono abbassarsi o alzarsi come vogliono, le mani sono occupate, la persona sembra scomparsa: esso calma i nervi, regola la voce, mette delle pause sapienti nella conversazione. Una donna che ricama, è venti volte più padrona di se stessa, accanto a un uomo, che una donna, la quale non fascia nulla: una donna, che fa l'uncinetto, è molto più la padrona di suo marito, che non una donna disoccupata... Io non approfondisco il soggetto, perché voi già lo avete tutto inteso, care lettrici: il lavoro è, dunque, un'arma di difesa e di offesa, in villeggiatura. E chi di voi vorrebbe andare alla guerra, senza corazza e senza spada?

Pagina 128

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193663
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Spesso accade ancora che la fanciulla, abbandonata dall'amica di ieri, si rode di dispetto, e per vendetta fa delle accuse, e quindi la maldicenza e le recriminazioni, che disseccano le purissime vene dell'affetto. Onde quella concordia, che Marina notò sul principio in tutte le allieve, s'accorse che era solo di apparenza, solo alla superficie; ma sotto vi erano le piccole società, le fazioni, le passioncelle, i risentimenti, i dispettuzzi, le malignità. Cresciuta più negli anni e indagato meglio il cuore umano, trovò che quello che si scambia generalmente per affetto e amicizia, non è che amor proprio, o meglio amor di sè, egoismo bello e buono, e non amore degli altri; il che deve essere ben distinto. L'amore vero è l'antagonista dell'egoismo e dell'amor proprio; l'amore non dimanda nulla per sè, ma tutto per altrui; quando s' ama davvero, la nostra vita passa fuori di noi e si riversa sopra un' altra persona; laddove l'amor proprio rivolge tutto a sè, non pensa che a sè, cerca persone per parlar di sè, per narrare i suoi piaceri, per farsi compassionare nelle sventure, e invidiare nelle prosperità; e quindi siam sempre 1ì col nostro: io qui, io là; ma io ho fatto, io ho detto, che reca sazietà nell'amichevole conversare. L'amor proprio nasce da una sensibilità vivissima, che genera due inclinazioni troppo diverse, quali sono, di amare e il desìo di provar emozioni; le quali due disposizioni sono nella donna in grado eminente, perché come è facile a commuoversi e a maravigliarsi, altrettanto sente necessità di amare; e qui sta bene ricordare il nobile detto di Madama di Stael: che l'amore per l'uomo è un episodio, e per la donna è la storia di tutta la vita. Se non che il più delle volte piuttosto che amore è desiderio di piacere e di essere amata, che la domina; ed ecco qui l'amor proprio, che di nuovo fa capolino, il quale facilmente si scambia per una virtù; la vanità esagera le nostre facoltà, e presto ci persuadiamo di essere necessari; e quindi non crediamo mai d'essere stimati ed amati, quanto meritiamo, di qui quella sazietà dell'amica, quando non ha più nulla da comunicarci per farci maravigliare e commuovere, e quel cercare altre amicizie, altre emozioni, alimento che sempre manca, e sempre si cerca (1). La signora Bianca, che tanto bene sapeva distinguere l'egoismo attraverso agli affetti, aveva fin dai teneri anni cercato di sviluppare in Marina quegli amori, che non hanno ritorno, che vanno fuori di noi, che non portano compenso; come la cura de' fiori, degli uccelli; la protezione degli infelici. E forse anche questo contribuì a rendere Marina amorevole e generosa, ricca di affetto, senza cercar mai ricompensa; se non era la ricompensa più sublime, che sta nell'approvazione della coscienza, la ricompensa che Dio infonde nel cuore ben nato quando fa del bene. (1)V.M me NECKER DE SAUSSAURE, L’èducation progressive.

Pagina 34

E anche dopo che ebbe abbandonata la scuola, quelle ore concesse alla lettura, non eran romanzi che pigliasse in mano, ma libri di storia. Il padre le aveva fatto dono di tutta la collezione storica di Duruy, che a poco a poco lesse tutta non solo, ma ne fece anche de' compendi. Che diversità dalla cugina Erminia, essa pure si deliziava nella lettura, anzi passava tutto il dì a divorare libri, la madre la credeva una letterata coi fiocchi! Figuratevi; aveva letto tutti i romanzi, che da vent'anni in qua diluviano in Italia dalla Francia e dall'Inghilterra! Ma trovatasi un dì con Marina, e ragionando amichevolmente, questa aveva un buon senso, una sicurezza sui costumi de' popoli, una ricchezza di cognizioni, che l'Erminia n'era maravigliata; ed è allora che s'accorse d'aver sciupato il tempo; perché spremendo la sua mente per vedere che c'era rimasto di tutta quella falange di libri divorati, nulla ne veniva fuori. E così appunto è della lettura di romanzi, i quali svaporano in un impotente sentimento, e in isterili aspirazioni, che si sfogano in alcune lagrimette, e nulla più; quando non corrompono il senso morale.

Pagina 45

Nuovo galateo. Tomo II

194656
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Allorchè Didone s' incontra negli Elisi con Enea, da cui era stata sì ingiustamente e sì barbaramente abbandonata, s'arresta ella per argomentare con lui e convincerlo ? Enea cerca di riacquistare il di lei animo, ella gli volge spregevolmente le spalle senza dir verbo. Badate bene che nei caso pratico l'orgoglio potrà ingannarvi ed indurvi a supporre palpabilmente false le altrui idee, o palpabilmente vere le vostre. La noia o l' approvazione che vedrete sul volto degli astanti, vi servirà di norma per troncare la discussione o continuarla. 4.° Non rispondere alle ingiurie che nel calor della disputa sfuggono di bocca all'avversario. Batti, ma ascolta, diceva Temistocle ad Euribiade, il quale alzava il bastone per provar la sua tesi. Questa fermezza d'animo in un uomo che era tutt'altro che vile, ci dice che si devono lasciar cadere GIOJA. Nuovo Galateo. Tom. Il. 9 a terra le ingiurie come nè dette nè sentite, e difendere le proprie con tutto il sangue freddo della ragione. Infatti da un lato nel calore della disputa fuggon di bocca parole che si ritrattano, appena cessato; dall'altro l'altrui caduta non giustificherebbe la nostra. In questi casi una risposta urbana che dimostri serenità d'animo, fa più impressione che non un torrente di villanie. Perché mi dite voi delle ingiurie in luogo di ragioni? Avreste voi preso le mie ragioni per ingiurie? diceva l'amabile Fénélon all'impetuoso Bossuet. Il padre Bouhours, assalito da M.r Menage con una batteria d'ingiurie, ne raccolse un centinaio delle più villane, quindi vi scrisse sotto queste poche parole: E forza convenire che questo sig. Menage é un uomo molto pulito.

Pagina 139

Le buone usanze

195397
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Abbandonata dal compagno indegno, madre di una bimba, senza mezzi nè risorse, lontana da ogni persona cara o conosciuta - attraversa l'America da San Francisco a New-York guadagnando in ogni tappa col suo lavoro quanto le poteva occorrere per giungere fino alla città vicina. Riusciva finalmente a imbarcarsi, e scesa all'Havre, quando già pregustava la gioia di ritornare alla sua casa e alla sua città, le moriva improvvisamente la bimba, unico scopo di ogni sua lotta e d'ogni suo sforzo, e nella casa avita non ritornava che una larva di quella bella e fiorente giovinezza che era andata incontro alla vita cantando e che la sventura aveva squassata fino alle radici, devastando ogni fiore d'illusione e sgualcendo ogni fede. Ci volle tutta la forza istintiva dell'animo di Mantèa, e l'aiuto premuroso d'una madre tenerissima e di due sorelle angeliche, perchè l'Espatriata ritrovasse ancora l'energia di riprendere il fardello della vita e ritornasse fidente alle sue lotte. Fu il lavoro il grande amico, il magico confortatore di Mantèa. Cresciuta giovanetta in un ambiente giornalistico e letterario, ella aveva giovanissima pubblicato un suo volume curioso d'osservazioni e di ricordi: Memorie di collegio. - Al libro e al giornale Mantèa ritornava dopo il suo calvario di dolore con rinnovate energie, e trasferitasi a Roma colla famiglia, accettava la collaborazione in alcuni fra i più importanti giornali politici in cui firmava articoli di vita mondana, di mode, di attualità femminili.,, Mantèa possedeva il dono prezioso di farsi leggere volontieri, tra le sue lettrici portò sempre la nota giusta, il consiglio amichevole, l'indicazione appropriata. E tali Sono appunto i pregi di questo libro che le era caro. Oltre queste Buone Usanze e al romanzo autobiografico Espatriata, lascia un altro libro di consigli pratici: Gli sposi, scritto in collaborazione col dottor Francesco Stura, e un curioso volumetto di Consigli pratici alle donne di servizio. Da tutti i suoi scritti traspare una grande bontà: un attivo desiderio di bene, che invece d'inaridirsi, s'e temprato alle prove del dolore. Milano, aprile 1912.

Galateo morale

197404
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Allorché è possibile supporre che la luce superiore illuminatrice della nuova verità allo spirito del convertito sia quella del Dio marengo, oggidì camuffato nella carta sucida della Banca Nazionale, allora gli aderenti di quella parte che voi avete improvvisamente abbandonata hanno diritto di chiamare la vostra un'apostasia. Queste miracolose conversioni disinteressate non si credono punto dalla esperienza degli uomini e delle cose; e quando anche avvengano, chi ne è il soggetto deve avere almeno un pudore - quello di scomparire dalla pubblica scena».

Pagina 350

Eva Regina

204459
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 3 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
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Verrà una giovinetta graziosa, fresca, pura, ed egli la coglierà come un fiore, e lei che non ha potuto dargli la verginità del suo corpo come gli ha dato le primizie della passione, lei sarà disdegnata, abbandonata, riguardata con disgusto, con disprezzo...

Pagina 249

Ecco gli asili d'infanzia e i patronati scolastici : una legione di bimbi da proteggere, al cui sano sviluppo organico e spirituale vigilare con previdenza materna, visitandoli, tenendo conto dei più bisognosi e negletti : ecco le provvide istituzioni dell'Infanzia abbandonata, delle Case di deposito e di soccorso per i piccoli derelitti che hanno conosciuto il dolore e la malvagità umana prima ancora di sapere che cosa è la vita : ecco i Ricreatorî festivi per le fanciulle operaie da ingentilire, da ritemprare alle prove della vita, da mantenere nella retta via dell'onestà e del lavoro: le scuole domenicali e le biblioteche per illuminare le loro menti e fornire loro sane e profittevoli letture. Ecco tutte le opere di previdenza sociale, le unioni di beneficenza intese a dar lavoro ai disoccupati : le case di redenzione il cui nobile programma sta tutto nel loro titolo : il patronato dei minorenni condannati col beneficio della legge del perdono e rimasti nelle loro famiglie : le Amiche della giovinetta, opera internazionale che si prefigge di occuparsi delle fanciulle straniere che arrivano in cerca di lavoro; la Cassa d'assistenza per la maternità, bellissima istituzione che vuol garantire la madre e il neonato nei periodi critici della gestazione e del parto ; l'Aiuto materno, che si assume la sorveglianza dell' allattamento, e distribuisce latte sterilizzato e indumenti per i piccini ; le Cucine popolari ; le Amiche dei poveri che dànno lavoro a domicilio equamente retribuito ; le Società per il patronato dei ciechi, che mettono in opera ogni mezzo suggerito dalla scienza e dalla pietà per alleviare la massima fra le sventure ; l'Ufficio indicazioni ed assistenza, il quale si occupa di stendere suppliche, ottenere certificati, elargire consigli ed aiuto, delle visite a domicilio dei poveri ed anche di piccoli prestiti a cui l' indigente può ricorrere sottraendosi alla rapacità degli usurai. A tutti è nota oramai la Cooperativa delle industrie femminili, che oltre rilasciare all' operaia il guadagno netto, si è fatta scuola d' arte e di buon gusto; e una felice innovazione già tentata con buon esito in qualche città è quella delle Cucine per i malati poveri, intesa a fornire a poco prezzo cibi sostanziosi leggeri e igienici per le convalescenze, prima che il malato torni al lavoro e al suo regime frugale. Vi è pure il Comitato contro la tubercolosi, per diffondere fra il popolo nozioni utili d'igiene e di previdenza, visitare gli infermi, distribuire gli alimenti, mandare a cure climatiche i deboli, distribuire sussidî, rendere infine sempre più efficace la lotta contro questo flagello terribile. E con questa avanguardia di soccorso si apre la beneficenza degli ospedali, le cui candide corsie silenziose sono per certe anime percosse dal dolore un salutare rifugio morale. Ecco le Scuole di infermeria e della Croce rossa ; ecco gli Ospizi di maternità, gli Ambulatorî per le malattie infantili ; le Case di convalescenza poste in luoghi ridenti e salubri : gli Ospizi marini dove tanti poveri bambini deboli trovano le forze e la vita. E forse in questa lunga enumerazione ho ancora dimenticato qualche opera provvida, ad ogni modo ne avrò sempre accennato abbastanza per dimostrare che non mancano occasioni di fare il bene secondo qualunque intendimento o tendenza ; di giovare al prossimo nobilmente ed efficacemente; di proporre alla propria attività e al proprio cuore un còmpito utile ed alto.

Pagina 681

Una giovinetta tradita dal fidanzato ascoltò gli sfoghi d' una moglie abbandonata e si sentì quasi inclinata a ringraziare Dio che le aveva risparmiato uno strazio più grande. Una madre di famiglia sgomenta e addolorata di dover abbandonare una casa dove abitava da molti anni e nella quale erano nati tutti i suoi bambini, non osò più lamentarsi dopo le tragiche vicende di Reggio Calabria e di Messina : e infine una signora di mia conoscenza costretta da rovesci di fortuna a guadagnarsi il pane in casa altrui, dopo aver conosciuto una disgraziata che non ha nemmeno la salute e non riesce a provvedere a sè e al suo figliuolo, disse: « Ho potuto constatare che al mondo vi è sempre chi sta peggio di noi. » « Possiamo salvarci da molti guai semplicemente col guardarci attorno — scrive la Pezzé Pascolato — con l' osservare quel che accade agli altri e col dire : Così potrebbe accadere anche a noi. » Prendere le sventure che toccano agli altri come proficui avvertimenti ; riguardare quasi come un privilegio l' immunità da danni maggiori ; quando si è all'ombra non osservare invidiando quelli che stanno al sole, ma meditare su quelli che sono al buio : ecco il vero rimedio nelle traversie della vita.

Pagina 691

Giovanna la nonna del corsaro nero

204948
Metz, Vittorio 2 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
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Possibile che la nave sia abbandonata?" Fece rientrare il cannocchiale in se stesso con un colpo secco e lo ricollocò nella sua borsa, mormorando: "Una nave deserta alla deriva... E se ce ne impadronissimo?" "Mi sia consentito il dire" obiettò Battista "che questa mancanza di uomini sulla nave mi insospettisce... Potrebbe trattarsi di un tranello. Aspettiamo la notte e abbordiamo la nave di sorpresa... Così vedremo se effettivamente non c'è nessuno."

"Mi sia consentito il dire che potrebbe essere stata condotta fin qui da un regolare equipaggio e abbandonata a causa di qualche epidemia" opinò il maggiordomo Battista. "E così ci sarebbe pure il pericolo di prendersi qualche malanno" disse Nicolino. "No, no, io me ne vado..." E avvicinatosi alla murata alzò una gamba per scavalcarla. Giovanna lo avvertì severamente: "Sentite, Nicolino, se volete andarvene siete padrone, ma ve ne andrete da solo... Ho trovato questa nave abbandonata e non ho nessuna intenzione di rinunciare a questa fortuna!" "E la chiamate fortuna?" rimbeccò Nicolino. "Una nave tutta nera con le vele rosse e un equipaggio di bacilli e di microbi!" "Vi ho detto che siete padrone di fare quello che volete" disse Giovanna. Si avvicinò al quadrato e aprì delle porte guardando dentro. "Qui vi sono delle cabine" disse. "Io e Jolanda andiamo a riposare... Voi due sistematevi come meglio credete... Buonanotte." "Buonanotte" disse Jolanda. Giovanna e la nipote entrarono ognuna in due cabine diverse. Nicolino si mise a brontolare. "Eh, buonanotte... Sai che buona notte possiamo passare su una nave che sembra fatta per andare all'inferno! Per di più qui c'è un puzzo di... come di tomba..." "Allora, resti?" gli domandò Battista. "E dove vuoi che vada?" "A terra..." "Eh, caro mio, purtroppo sono troppo a terra per andare a terra..." "E allora andiamo a cercarci un posticino dove poterci stendere..." "Purché non ci restiamo, stesi... E per sempre..." brontolò Nicolino. I due si allontanarono verso l'altro ponte della nave. Una leggera nebbiolina cominciò a formarsi in un punto del tavolato, prese forma, divenne un uomo che indossava un abito del cinquecento, lacero e consunto. Soffiò in un fischietto che gli pendeva dal collo attaccato ad una catenina d'argento, ma dal fischietto non uscì alcun suono. Come non fecero alcun rumore i marinai che indossavano abiti della medesima epoca del primo e che cominciarono a muoversi silenziosamente tirando gomene, sbrogliando vele e facendo girare il verricello per levare l'ancora. Poi l'uomo che si era messo al timone parlò. "Timoniere fantasma!" disse con forte accento fiammingo che rivelava in lui l'olandese o qualcuno che per lo meno era stato olandese. Una cupa voce scaturì dal nulla. "Comandate, capitano..." "Prendete voi il timone" disse l'Olandese. "Io vado a divertirmi un po' con questa gente." "Non avete paura?" domandò la voce del timoniere. "Perché?" "È viva!" rispose la voce del timoniere fantasma con un leggero tremito. "L'Olandese Volante fa paura, non ha paura" disse lo spettro. E si allontanò scivolando senza toccarlo sul tavolato del vascello fantasma.

Pagina 173

Una famiglia di topi

205097
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
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Ma la canestra fu abbandonata dai sorci giovani quando smisero di pigliar latte. La buona contessa, che voleva tutti felici intorno a sè, uomini e animali, soleva ripetere che le bestie o si tengono bene, o non si tengono. Quell' obbligarle poi a stare in una gabbia o in una paniera le avrebbe fatto l' effetto d' aver imprigionato crudelmente dei poveri esseri, che per loro natura abbisognano d' aria e di libertà. Stabilì, dunque, che que' topini potessero girare per la casa a loro agio, purchè, se avessero fatto qualche guaio, fossero puniti con una tiratina d' orecchi: erano anch' essi bambini, nella loro specie, e i bambini, si sa, vanno educati: altrimenti farebbero un monte di male a sè medesimi e agli altri. Cosicchè i figliuoli di Ragù e della Caciotta, contenti come pasque, presero a scorazzare per tutto; ma segnatamente per due stanze che a loro dovevano sembrar delle piazze immense: il salotto da lavoro della contessa e lo studio de' ragazzi, ch' erano attigui, e nè anche divisi da un uscio, ma solo da una tenda orientale. Fu allora, che il diverso carattere dei cinque sorcetti ebbe modo di svilupparsi e manifestarsi. Dodò, uno de' maschi dal cappuccio nero e tutto il resto del corpo affatto bianco, scelse subito per suo domicilio una scansìa nella grande biblioteca della contessa Sernici. - È un topo di biblioteca! - osservò ridendo la signora; e spiegò a' suoi ragazzi che si sogliono chiamare topi di biblioteca quegli uomini studiosi i quali passano la vita fra i libri. Soggiunse poi, rivolta all' animaluccio: - Bada bene, Dodò, di non farmi dei guasti! Se hai voglia di rosicchiare, ti metto qui de' giornali vecchi; ma rispetta i libri, sai, bada bene! Dodò ascoltava, attento, battendo i dentini dalla gioia d'esser lasciato in quel luogo. Ci eran le file di libri assai belli e ben rilegati in marrocchino, in bulgaro,

Pagina 52

Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205361
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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La terra, abbandonata a sè stessa, inselvatichisce e si copre di erbe cattive; coltivata malamente, rende poco; lavorata bene, frutta assai, e si trasforma in giardino. Press'a poco come avviene dei ragazzi che, trascurandoli, s'empiono di vizi; educandoli, crescono virtuosi, e diventano utili a sè ed agli altri. 4. La terra obbedisce a chi sa comandarla; ma non tutti, anzi pochissimi sanno. Comanda alla terra e ne ottiene prodotti eccellenti chi ha imparato a coltivarla bene. Anche tu l'apprenderai, se leggi con attenzione questo libro, e poi metti in pratica i consigli che ti dà. DOMANDE: 1. Qual è la più utile delle arti? 2. Che cosa ci dà la terra? - Chi fa fruttare la terra? 3. La terra, abbandonata a sè, che cosa produce? - Come rende se ben coltivata? 4. Che cosa si richiede per comandar bene alla terra?

Angiola Maria

207314
Carcano, Giulio 6 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Povera mamma, perchè l'ho abbandonata?... Essa crede ancora ch'io sia innocente, essa che mi diceva tante volte: - T' ho messo il nome di Angiola, perchè sii sempre il mio angelo; te ne ricordal... - E lui?... Se avesse a pensare ch' io sia venuta qui, qui in casa sua, con le sue sorelle, perchè gli voglia bene! Povera me! che abisso!... Come è avvenuta una cosa si trista?... Me l'aveva pur detto mio fratello, che in questa famiglia non credono come noi, e che per ciò appunto dovessi esser tanto più buona e pia.... E ora? sento il cuore dirmi che son real... No, no, non è possibile! È un sogno che fo, è la mia fantasia ammalata; tremo, e parrai quasi d'avere i brividi della febbre. » E mentre con voce fioca diceva queste parole, s'era abbandonata sur una seggiola, accanto del suo letto, e lasciava cader sul seno la testa. Ma pensava ancora. - Fuggirò di qui, pensava: domani, subito, abbandonerò questa casa! Ma come mai lo potrò fare?... Oh Signore! è forse un castigo.... pure, che colpa è stata la mia per meritarlo? Ah toglietemi voi da questa angustial... Io sono infelice sì! ma è poi vero, ch'io faccia tanto male a volergli bene? Perchè venire così spesso, lassù, in casa nostra? perchè anche mio fratello l'aveva caro? perchè mi parve cosi degno d' essere amato da tutti, così onesto e cortese?... Egli pure voleva tanto bene a mia madre! il suo cuore è così buono! E come si compiaceva di sedere all'ombra della vite, sui nostri scanni di paglia, di parlar con noi, di raccontarci tante cose! Ma io non gli ho detto mai nemmeno una parola, che potesse fargli credere.... No, no... Se non ardisco neanche guardarlo, quand' è presso di me! Oh dov' egli venisse ad averne il più piccolo sospetto, crede ohe ne morirei di vergogn!... Qui, tornata a sollevarsi, appoggiando il viso su le palme, e i gomiti sulle ginocchia, gemeva in silenzio. I suoi bei capegli, agitandosi com' ella faceva nel suo dolore, s'erano snodati, e le si sparsero giù sulle spalle e sul grembo, a somiglianza d'un nero velo. Intanto continuava a martoriarsi ne' suoi terrori: - Gran Dio! cosa sarà di me?... Quand' anche cercassi di tornare a casa mia, la mamma non vorrà più vedermi; e anch' io sento che non avrei più coraggio d'andare a gettarmi nelle sue braccia. E le damigelle, che m' han dimostrata tanta affezione, che per tanto tempo mi tennero quasi come sorella?.... Ah no se non le avessi conosciute, non sarei a quest' ora ridotta a piangere così!... E lui, e suo padre, quell'uomo cosi severo, che non dice mai una buona parola, nemmeno a' suoi figliuoli?... Io credo, che, se avesse a saperlo, m'ucciderebbe forse con una di quelle sue occhiate. Oh misera ch' io sono! vedo che questa passione sarà la mia morte!... - Così ella, che fin allora aveva indirizzata tutta la sua mente ad un candido affetto, e che altro più non sapeva desiderare nè cercare, adesso ne rifuggiva con terrore; e per la prima volta Che s'accorgeva di amare, gustava tutto l'assenzio che si mesce all' amore. L' idea della sua pace perduta, il dubbio e la vergogna, la memoria de' suoi cari, il dolore della sua povera sorte, i pensieri di Dio e della sua fede innocente, e, insieme a questi affanni, anche la sola nascosta speranza che nudriva, di poter pure essere amata, tutto le pesava sul cuore debole, stanco; e una folla di nuove e tremende immagini le accerchiava la mente smarrita. Si sentiva venir meno a poco a poco; i suoi pensieri si mischiavano, si confondevano più rapidi, agitati, cocenti; poi le pareva si facessero cupi, gravi, un peso insopportabile, così che perdette la conoscenza, e abbandonò la testa su gli scomposti cuscini del letto. La sua fronte appoggiavasi grave e lenta sul braccio manco, e la faccia appariva d' una bianchezza spenta, ai par delle lenzuola su cui posava. Nella dolorosa inquietezza di quell'oppressura, la semplice e linda vesticciuola che le stringeva la persona s'era slacciata allo sparato del collaretto, e sul candore del suo collo e d'una spalla seminuda spiccava la nera striscia d'un nastrino, da cui pendeva una crocetta d'argento, dono fattole fin da' suoi sette anni, dalla nonna. Arnoldo aveva abbandonata, innanzi mezzanotte, la splendida festa; e per le vie Mute, solitarie della città, ritornava a casa, co' pensieri torbidi e malcontenti. L'allegria del ballo, la pompa della bellezza, e lo sfoggio dell'onore e dei tesori più non potevano scuotere da quell'anima giovine e malata l' inerzia che la spossava, nè domarne la noia innanzi tempo sentita; la noia, questa dura fatica d' una vita che non è feconda. Arnoldo, nel rientrare in casa, passò lungo il corritelo su cui s' apriva la camera di Maria, ne vide l' uscio socchiuso: n'usciva una striscia di quel bagliore morente he tremola nell'ombra, quasi augurio sinistro. Egli passò oltre, ma il suono d'un gemito profondo, affannoso, lo fece sostare, l' agghiacciò d' improvviso. Tese l'orecchio, stette ondeggiando fra due pensieri, un brivido ignoto lo prese; poi aperse cautamente l' uscio, ed entrò nella cameretta. Maria posava come prima, sulla seggiola, abbandonato il capo sul letto, e il viso coperto di pallore; aveva le braccia raccolte sul seno, e le mani congiunte insieme, in atto di preghiera. Arnoldo, appena fattosi innanzi, sentì darsi una stretta al cuore, tanto lo sbigottì l'aspetto della fanciulla, immota e giacente come persona morta. S' avvicinò tremando; ma il leggiero sospirare, a cui si schiudevano le labbra di Maria, l' assicurò ch' essa era immersa in languido sonno. Egli prese la lucerna, e velandone appena il raggio con una mano, perchè il chiarore non ferisse gli occhi della sopita, stette attento e senza moto a contemplarla. Non aveva veduto mai creatura più bella. Una vampa improvvisa gli offuscò la mente, gli corse per le vene; ed aveva un riso amaro su le labbra, e una luce fosca negli occhi ; il suo cuore batteva forte.... Ma non era un palpito di gioia, era fremito d' ebbrezza: in quell'istante, un pensiero d'inferno gli attraversò, come un fulmine, la mente. - No! no! disse: credo che se osassi toccarle un dito, la maledizione del cielo cadrebbe sul mio capo! Ah! perchè mai è tanta la magia della bellezza nel dolore? No, io non devo restar qui! O santa memoria di mia madre, aiutami!... Bisogna ch'io fuggal... Ma come lasciarla così? Ella non riposa, ma soffre e addolora. Oh Maria, tu hai mutato il mio cuore tu mi facesti credere alla virtù, risorgere nella speranza, amare la vita! Il mondo, gli amici ridono di me... che importa? è perchè non hanno altre armi contro il cuore che l'ironia e il disprezzo! Ma tu, Maria, tu mi benedirai!... Ella mi ama, sì!... e forse avrebbe la forza di morire, prima di confessarlo. - Queste parole sommesse, agitate del giovine, e l' ardente suo sospiro risvegliarono d'improvviso la fanciulla. Ella aperse gli occhi, vide Arnoldo; e vederlo, e dare un grido, e balzare in piedi precipitosa per fuggir dalla camera, fu tutt' uno. Ma il giovine le si pose dinanzi, la trattenne, e ritirandosi d'un passo: « Ah! restate, Maria » disse, « restate, e perdonatemi! Io passava di qui, intesi un lamento, entrai, pensando che aveste bisogno di soccorso: v' amo troppo, e non dovete aver timore di me! » « Per amor del cielo, tacete! Io non so nulla, lasciatemi, lasciatemi partire!... » « No, ascoltate, Maria!... voi m' avete ridonata la vita; per voi ho ancora gustato qualche felicità, quando la credeva impossibile! Voi, senza saperlo, avete fatto puro il mio cuore; e qui ritrovai tanti anni perduti!... » « Oh Dio! Dio! lasciatemi andare!... non vedete il male che mi fanno le vostre parole?... » E la fanciulla gli s' inginocchiava innanzi, giungendo le mani, supplichevole e affannata. « Maria! » rispos' egli , chinandosi verso di lei, in atto di sollevarla: « ascoltami. Maria, te ne scongiuro, o dimmi almeno che mi perdoni! » « Io non ho nulla con voi! Cosa m' avete fatto?... Io voglio ritornare al mio paese, voglio mia madre! Ah! non avessi abbandonata, non sarei adesso una povera infelice! » « Sì? dunque è vero, dunque è vero che m'ami?... Ora lo so, il tuo segreto è mio. Maria! Maria, amami! non cerco che il tuo amore innocente!... » Maria non rispose che con un gemito. S'alzò, fece qualche passo, tentò ancora di fuggire; ma l'impeto di tanti e contrarli affetti, che in una volta avevano oppresso il suo cuore, le tolse ogni lena; e sarebbe caduta sul terreno, se Arnoldo non l'avesse sostenuta. Egli la contemplava ancora; accorgendosi ch'essa andava mancando e respirava a pena, si riscosse, sentì nell'animo un ignoto terrore.... Non sapeva che fare, e chiamò alcuno che venisse a soccorrere in svenuta: nessuno comparve. Allora chinò il suo viso su quello della fanciulla, e la baciò, con un bacio timido, furtivo, quasi sperando di richiamarla così alla vita.... Ma il tocco di quelle labbra fredde e semiaperte gli destò in cuore il ribrezzo, lo sgomento di chi commette un delitto. Allora chiamò di nuovo; e, accorsa una fantesca, confidò la fanciulla alle sue cure, e uscì in silenzio. Dopo quel giorno, Maria fu sempre pallida e taciturna. Ella aveva perduto il suo sorriso e il suo bel colore, come l' ultima rosa dell'autunno.

Pagina 145

La buona Caterina amava tanto la figliuola, che non ebbe pure il pensiero di farle il più piccolo rimprovero, perchè si fosse, abbandonata a un' innocente sì, ma incauta inclinazione. In vece la compativa, e procurava, con certe sue ragioni, di consolar quella fede e quell' ingenua aspettativa, ch' erano quasi la vita della sua Maria. Così la conoscenza di questo segreto, se non valse a scemare, parve almeno far più leggiero, col disviarlo, il dolore delle due disgraziate: poichè è un' arcana pietà del cielo che nutre il conforto della fiducia ne' momenti più gravi dell' affanno, e rivolge a consolazione d'un cuore travagliato quelle stesse memorie che a un cuore libero sarebbero troppo molesto peso. E così forse il Signore le preparava a poco a poco a una ben più tremenda, inaspettata disavventura. In quella sera medesima, la madre e la figlia sentivano nell'anima una confidenza, cara quasi al pari della certezza; e quantunque fosse riuscito vano il poco che avevano potuto tentare a fine di rivedere il loro Carlo, o di sapere almeno qualche cosa di lui, che solo aveva in sè raccolte tutte le loro speranze, tutti i loro timori, pure non avevano creduto mai come allora a' buoni presentimenti. Maria, seduta accanto del tavolino, stava leggendo una pagina d'un suo libricciòlo alla madre e alla vedova Giuditta; le quali, composte a divota attenzione, pendevano dalle labbra di lei; quel libro era l' ultimo ricordo donatole dal fratello, era l' aureo volumetto dell' Imitazione di Cristo. Essa leggeva, e l' incerto raggio del lume che ardevale vicino, sembrava quasi circondare la sua candida fronte di quell' aureola, che si suol vedere dipinta intorno alle teste de' santi. » Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia paura. » Abbi fede in me, e nella mia misericordia ti fida. » Quando tu pensi d'essermi più lontano, allora è spesse tolte ch' io ti son più vicino. » Quando tu credi quasi perduta ogni cosa, allora le più volte tu hai in mano maggior materia di merito. » Non è tutto gittato, perchè alcuna cosa ti sia avvenuta sinistramente. » Non dêi tu giudicar delle cose secondo il presente tuo sentimento; nè per alcuna disavventura, onde che ella ti avvenga, scorarti tanto perdutamente, nè in modo riceverla, come se ogni speranza ti fosse tolta di dovertene rilevare mai più. » Non volerti credere derelitto del tutto, se per alcun tempo io ti mandi alcuna tribolazione, oppure io ti ritolga la bramata consolazione; essendo che per tal via si va al regno de cieli.... » Quello che ti ho dato, il mi posso ritogliere, e rendertelo quando mi piaccia. » Quando alcuna cosa ti do, ella è mia; quando me la riprendo, non prendo del tuo; poichè mio è ogni bene e ogni dono perfetto. » Se io ti lascio venire gravezza alcuna o avversità, non isdegnartene, nè cader di animo; io posso rilevartene prestamente, e cambiarti in gaudio ogni noia. » Ma non pertanto io son giusto, e da commendare altamente, quando io fo questo con te!... » La fanciulla leggeva queste schiette e sublimi parole con tanta verità e dolcezza, che parvero alle due donne un consiglio venuto dal cielo. « Mamma! » disse allora Maria, « il libretto che vedete è un dono che m' ha fatto, da poco tempo, il nostro Carlo! E queste parole mi sembrare quasi le sue.... mi ricordo che fu lui che me le fece leggere un giorno, quando venne lassù a visitarci, dopo la morte di nostro padre. E ogni volta che ne rileggo solo una pagina, non so come, mi sento più coraggiosa, più in pace.... Oh! è buono, è un' anima santa, il nostro Carlo, e il Signore avrà pietà di lui e di noi! Caterina abbracciò sua figlia con tenerezza, poi si staccò da lei, per andare a coricarsi. La fanciulla, rimasta sola, riaperse a caso il libro, e le cadde sott' occhio un foglietto, di mano del fratello, e forse dimenticato là entro: eran gli ultimi versi ch' egli aveva scritti. IL CALICE DEL DOLORE.

Pagina 209

Non aveva più nè fratello, nè madre, povera Maria abbandonata!

Pagina 213

Era là, in ginocchio, con la persona abbandonata mollemente, come stanca; e lasciando cadere sul grembo le mani intrecciate, rivolgeva al cielo la faccia, nello stesso soavissimo atto in che il Bartolini scolpì la sua divina statua della Fiducia in Dio. Affissandosi alla lontana dimora de' cieli, le pareva che l'anima di sua madre la vedesse di lassù, e ancora la benedicesse; e in fondo del cuore, mista alla dolcezza di quel sacro dovere, le si risvegliava una segreta fidanza, una virtù tranquilla, la certezza che il Signore non l' avrebbe abbandonata mai. Il solo pensiero a lei grave, in quell'ora dolorosa, era di non sapere in qual altro canto di terra avessero portato a riposare per sempre lo sventurato suo fra- tello, di non potere almeno spargere qualche lagrima là, dove forse nessuno mai avrebbe detto un requiem. Così, benchè sola nel mondo, la povera fanciulla ritrovava ancora la pace nel sentimento religioso dell'innocenza, e nella memoria de' pochi che l'amarono! Così, il ricordarsi di un primo affetto, che sull'alba della vita fu per lei amaro disinganno, non la turbava più; non era più che un' idea di tranquilla rassegnazione, forse un sospiro di timida speranza! Anche il pensiero, che spesso l'assaliva, d'esser predestinata a morir giovine, non aveva più spavento per lei; era anzi come la mesta aspettazione di chi non vede l' ora che sia adempita una promessa. Aveva assaggiata appena l'amarezza d'altri contrasti e d'altre angustie, in quel breve tempo passato dopo la misera morte del fratello e della madre; e già nessun legame più l'univa alla terra. Angiola Maria, dopo perduta la madre, era rimasa, per qualche settimana ancora, presso la signora Giuditta, la vedova del maggiordomo: colà vivendo abbandonata, ma paga almeno di potere a tutti nascondere i travagli del suo cuore. Ma quando, a poco a poco, il dolore si fece più quieto, e la mente tornò a' pensieri della vita e dell' avvenire, allora conobbe come anche troppo a lungo la vedova si fosse preso carico di lei, e com' ella, giovine e fresca tutt'ora, doveva oramai cercarsi altrove di che vivere con la fatica delle mani. Sulle prime aveva deliberato di tornarsene al paese, dove confidava di poter ancora compiere onestamente i suoi pochi giorni. Ma poi, non ebbe cuore di abbandonar così presto i luoghi dove suo fratello e sua madre erano morti, e dov'ella stessa aveva amato e sofferto. Una mattina dunque, colse il buon punto che la vedova amica, donna, come sapete, piena di buona volontà per il prossimo, doveva andarsene non so dove, per certa raccomandazione; e arrossendo con vezzosa modestia: « Ho a pregarla anch' io d' una cosa, signora Giuditta, ho a dirle.... » « Cosa volete? dite pur su col cuore in mano, la mia figliuola!... » Così la vedova, dopo la morte di Caterina, era solita di nominar l'orfanella, come una pietà segreta le suggeriva. « Ecco qui, » diceva Maria, « lei ha fatto anche troppo per me; ma io vedo di non essere al mondo altro che un peso a quelli che m'han voluto bene.... sì, di quanto disturbo di quant' angustia le siamo state causa noi, la mia povera mamma, e io massimamente! così potessi fare anch' io qualcosa per lei!... Ma, pur troppo, non potrò che tenermi nel cuore il bene che ho ricevuto, e pregare il Signore, che a lei ne renda altrettanto.... » « Non istate a dir così, poverina, chè avete sofferto anche troppo; e io non son riuscita a far niente per voi.... » « Lo può far adesso, signora Giuditta: da un pezzo ci penso, e capisco ch' è una vergogna per me.... Buona come sono a trovarmi da per me quel poco che mi basti a vivere, non devo restar qui, come fin adesso, d' incomodo a lei e di bene a nessuno.... È ben vero che, fuori di lei, non ho chi pensi a me, non ho più a cui pensare: ma, tant' e tanto, ho risoluto d' allogarmi in qualche maniera, di mettermi a qualche servizio. Dica anche lei, se non è vero che così fo bene?... » « Sì, la mia figliuola! voi sì avete un cuore, che dirlo è poco; ma vi cruciate a torto, e dovete stare con me. » « No, no: ci sto da troppo tempo, le ripeto; e non bisogna, no, che si vada innanzi così; n' avrei sempre rimorso in cuore.... » « Ma cosa pensate dunque di fare? » « Le dirò: prima volevo quasi tornarmene al mio paese; lassù, forse, potrei ancora trovar qualcheduno che si ricordasse di me; ma poi, venuta al punto di dir addio per sempre a questo luogo, dove avrei dovuto lasciare tutto quanto mi rimane di caro, la poca terra dove riposano i miei, m'è mancata la forza; chè quasi mi pareva di perdere per la seconda volta la mamma. Oh mi compatisca, signora Giuditta! in verità, c' è de' momenti che non so nemmen io perché sia ancor qui! Ho pochi anni, è vero.... ma, adesso, che avrei a fare a questo mondo?... » « Vi compatisco sì, ma certe cose non bisogna poi prenderle tanto sul serio, perchè staremmo freschi! Già lo so che avete la testina un po' guasta.... è stata una gran benedetta signora quella nostra padrona! e coll' avervi tenuta con sè, ne' vostri primi anni, e fatto imparar a leggere e scrivere di buon' ora.... Vedete, certe idee che avete voi, io non le ho mai avute, nè anche in sogno. » « Ma lei è buona, e non m'abbandonerà! Per carità dunque, lei che ha conoscenza di tante brave persone, mi raccomandi a qualcuna; mi trovino un posto qualunque, un luogo, un servizio, tanto che mi dia come campare, finché il Signore mi lascia qui; cerco poco, e purché, coi le ho detto, non abbia a darle altri fastidi, m'accontento. « Lo farò, Maria, se volete, lo farò: oh vivesse anco la buon' anima di mio marito! quello era un uomo di proposito; ha servito sempre delle eccellenze.... ah! ma saran quasi vent' anni ch' è morto!... » « Signora Giuditta, una buona carola soltanto, a qualche pia dama, a qualche signora.... può valer molto; e la terrò come un nuovo benefizio. » « Bene, sì parlerò, vi Prometto, lasciate pensare a me.... Andrò questa mattina stessa dal signor canonico***, un bravo, un sant' uomo, che conosce tutti gli ottimi signori di Milano.... Ma non crediate mai che sia per non volervi più in casa mia!... » « Perchè, dopo tutto il bene che m' ha fatto, mi vuoi dare questa mortificazione? No, no, l'assicuro, signora Giuditta, quel che le ho detto è proprio il desiderio del mio cuore! « « Dunque sarà come volete, e quando prometto io.... » E fattole una carezza, se ne andò. Benché la Giuditta fosse una donnicciuola sincera, e avesse, per dir vero, fatto qualche bene alla nostra fanciulla e a sua madre, nelle passate loro strettezze, pure non intendeva di prendersi sopra di sè il peso della giovine; la quale, secondo lei, aveva di mani e braccia come tutte l'altre, nè era che un po' ammalata di testa. E siccom'essa era sempre stata avvezza a quel monotono andare dì vita, a quel piccolo inerte egoismo d'una vecchia governante pensionata, così quel gran guaio sopravvenuto al povero vicecurato le era parso un gran malanno, un garbuglio, un finimondo. « Far del bene al prossimo, sì - pensava la Giuditta - quando per l' altrui bene non ci vada il nostro, la dute dell'anima, come andrebbe qui; perchè la cosa è ria, brusca.... e se la Caterina era una buona donna, e se la Maria è una tosa d'oro, c'è però di mezzo questa storia, scura scura del prete, che non ho mai potuto capire, e di cui non mi pento d'aver taciuto, secondo mi diceva quella cima d'uomo del signor Giosuè. » Ella dunque non lasciò fuggir l' occasione: la stessa mattina, non appena la fanciulla le ebbe spiegato il suo cuore, trottò diritto alla casa del signor canonico; e, trovato modo di parlargli, narrò la disgrazia dell' orfana, e lo scongiurò, con una litania di lamenti, che la pigliasse sotto la sua protezione. Egli le promise di far qualche cosa, e durò gran fatica a rinviarla, chè più non la finiva di piagnucolare. Passati alcuni dì, la vedova ritornava alla porta del signor canonico; non era in casa, ma essa, con la pazienza di chi vuoi ottenere a qual si sia costo, l'aspettò due lunghe ore. Alla fine il canonico comparve, e veduta che l'ebbe farsegli vicino e, attaccarsegli alla zimarra: « Siete una benedetta donna, » le disse ; « ve l' avevo pur detto d' aspet- tare, ciò v' avrei .fatta avvertire io stesso! Ma via, poichè la vi preme tanto, dite a questa vostra giovine che si presenti, domani, verso mezzodì, alla signora marchesa****, alla quale ho già parlato di lei; vedrò d'esserci anch' io, faremo di trovarle un destino. Domani.... a mezzodì preciso.... avete inteso? » « Oh quanta carità, signor canonico! lei fa da vero un'opera santa! » E si chinò per baciargli la mano, ch'egli, per modestia, nascose nelle pieghe della zimarra. « Sì, sì: andate, la mia donna, e ringraziate Dio che ci sieno ancora al mondo persone caritatevoli. » E passò innanzi. Non è a dire quanto lieta ne tornasse a casa la vecchia Giuditta, con siffatta novella; lieta, perciò nel riuscirle di metter, via, com' essa diceva, una giovine onesta, le era pur concesso alfine di racconciarsi nella sua pace casalinga, salvando l' opinione della pietà. Appena pose il piede sul suo limitare, non potè trattenersi Ball' abbracciar la giovinetta, dicendole: « Lo sapevo ben io, che il signor canonico, quel brav' uomo, norrpromette per niente! non ve l' ho detto che avrebbe subito trovato dove allogarvi ?... bene , è cosa fatta: domattina vi presenteremo alla marchesa ****, ch' è una gran signora, una dama che ce n' è poche come lei, una di quelle sul far della povera padrona, delle quali, pur troppo, s' è di questi dì perduta la stampa; mettetevi nelle sue mani, e al resto non ci pensate; è il caso vostro, e ne sono contenta per voi.... » « O signora Giuditta, quanto le devo! queste sue pa- role mi danno la vita; io ne la ringrazierò e benedirò sempre, » E Maria passò tutta la giornata nel rassettare il suo miglior vestito, apparecchiata da quel momento a mettersi per la via che la volontà del Signore le destinasse. Il giorno seguente, al primo toccar del mezzodì, le due donne si trovavano alla casa della marchesa: poichè la Giuditta s' era messa in capo di volere ella stessa presentarla a questa dama. Entrarono in uno di que' vecchi palazzi, che portano un nome storico, e de' quali pochi avanzano nella nostra città; uno di que' palazzi, che, in mezzo alle nostre moderne case dalla fronte gretta e linda, dalle molte finestre e da' leggeri terrazzini, mostrano ancora la pesante e soda struttura di un secolo e mezzo fa, il gran frontone della porta, i muri vestiti di sasso nericcio, i radi e ampii finestroni con le fosche invetriate e gli enormi davanzali. Appunto così appare talvolta, in mezzo a gaia gioventù, uno di que' zazzeroni sessagenarii che non si sono ancora emancipati dalla coda, dalla polvere di Cipri, e dalle grosse fibbie d'argento alle scarpe, nè dai due tondi orologi di Bordier, con le catenelle d'acciaio a pendaglio, sotto la giubba larga e quadrata. Per uno scalone, che pareva il vestibolo d' una chiesa, salirono all' appartamento della dama. Un vecchio servitore, infagottato in una livrea orlata di passamano turchino, ri- cevette le due donne nella vasta anticamera; e le fece di là passare nell' attigua galleria lunga e buia, dove stettero ad aspettare il buon momento di presentarsi alla signora marchesa. E passata mezz' ora, che a loro parve eterna,

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Erane il viso bianco e smunto; solo a' contorni degli occhi infossati e delle labbra sottili appariva dipinto d' un rossor livido, cupo e morente nel pallidissimo colore della fronte e delle gote; ma chiusi gli occhi, le braccia al lungo del fianco cadenti, irrigidite; e tutta la bella persona immota, raggruppata, per così dire, In sè medesima, e co' ruvidi panni raccolti d'intorno, che s' informavano dalle dilicate membra, stava nella grave, abbandonata positura d'un cadavere. Presso a lei, curvo sopra uno de' bracciuoli della sea gioia, era il giovine inglese, muto e smorto esso pure, quasi come la svenuta; e le sue pupìlle senza moto non si staccavano mai dalla faccia di Maria; la quale posava con la testa arrovesciata all'indietro, come se l'anima di lei avesse già abbandonata la sua verginale dimora. Nè altra cosa rivelava la vita nella strana immobilità del giovine, fuorchè il leggero mover delle labbra, quasi pronunziassero parole senza suono, e tremassero commosse dall' incerto e sublime sorriso che fu dato solamente a quel dolore, che non perdè ancora tutta la speranza. Con le faccie lunghe, curiose, guardandosi di sottecchi a ogni momento, uno in atto d'interrogare come la sarebbe ita, e l'altro di rispondere che non lo sapeva, se ne stavano il signor curato e il deputato politico, dietro il seggiolone, presso d' un tavolino; sul quale vedevasi lo scacchiere abbandonato, con le pedine sparsevi sopra: e da certe occhiate che i due vi lasciavano cadere di quando in quando, s' indovinava il rammarico della partita intralasciata. In mezzo ad essi allungava il collo, come il solitario cappone dalla stia, l' agente comunale, quotidiano testimonio e giudice delle sette disfide de' due campioni a dama. Colui che dall' altra parte gesticolando con gran foga parlava sottovoce al dottore, era quel vecchio galantuomo del signor Gaspero; e nel ragionare, spiegazzava la gazzetta che ancor teneva fra le mani, l' ultima capitata al paese quel giorno stesso. E qui, torna bene che conosciate la prudenza del curato; il quale, dopo il brusco esempio di quel disgraziato don Carlo, aveva smesso non poco del

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In una stanza solitaria, abbandonata del palazzo, lord Leslie nascondeva sè, stesso e la sua cupa tristezza allo sguardo di tutti. Nessuno v'aveva mai messo piede, fuori delle sue figliuole e d' un antico famigliare, favorito del padrone, come lo sono più o manco que' vecchi che contano i lor quarant' anni buoni di servigio in una casa. La stanza non guardava al lago, ma al fianco della montagna, e solo la rischiaravano verso sera i pallidi riflessi del sole cadente. Un letto di foggia antica, e chiuso da verdi cortine di seta, era collocato nell' alcova che s'apriva nel fondo: allato, un gran seggiolone a bracciuoli coperto di velluto damascato, una tavola con le gambe a rabeschi, e sopravi una guantiera con tazze di cristallo e vaselli d'argento. Pendevano dalle pareti antichi ritratti di famiglia, quell'ultime memorie de' nostri vecchi, che oramai non hanno altro rifugio che i cameroni e gli anditi buj delle ville deserte, se pur non albergano capovolti, in mucchio, su le soffitte o ne' soppalchi delle nostre case, o non sono dagli stessi figli e nipoti, come succede, mandati all' incanto su pe' muricciuoli. - Un armadio di legno nero intarsiato, uno scrittoio ingombro di carte e libri alla rinfusa, e poche seggiole rivestite di coperture di scia verde, compivano la suppellettile di quella trista dimora. Già da venti lunghi giorni il lord era là, inchiodato nel suo letto dall'improvviso malore che l'aveva colto; era là, con la sola compagnia de' suoi foschi pensieri e delle sue speranze antiche, richiamate con un accoramento febbrile, assaporate quasi, per crucciarsi l' animo con la loro memoria. Le sue figliuole, que' due angioli che il Signore gli aveva mandato, perchè fossero la sua più fedele consolazione nella vuota esistenza, pareva gli venissero in uggia anch' esse. Quand' erano a fianco del suo letto, sedute insieme nell' ampio seggiolone, con le leggiadre lor teste abbandonate su gli stessi origlieri che lo sorreggevano, quando venivano a confortarlo con quelle parole che a' figli nessuno insegna, e ch'essi soli sanno trovar così bene, egli non sentiva l' armonia delle care voci, che dovevano versare sul suo cuore ferito il balsamo dell'amore. Assorto ne' pensieri che lo facevan dispettoso d'ogni altra cosa, voltavasi bruscamente dall'altro lato, se una d'esse lo chiamava teneramente col nome di padre; poi le congedava con mal piglio , dicendo di volere star solo e di non aver bisogno delle lor fanciullesche carezze. Piangevano silenziosamente le buone giovinette al suo duro parlare, e se n' andavano mute e lente; ma, uscite appena, compativano tra loro al povero padre, chè il male l'avesse fatto inquieto e aspro; e si confortavano a vicenda ad aver pazienza, chè forse, con l'amorose loro sollecitudini, avrebbero medicato il suo dolore, e vinta la sua ostinata tristezza. E si fermavano nella vicina stanza, origliando a ogni più lieve rumore; riscosse, appena che uno sfogo improvviso di tosse turbasse il caro ammalato, accorrevano di nuovo al suo fianco; e lo pregavano, col pianto sugli occhi, che per amor loro bevesse alcuna delle pozioni che gli apprestavano a temperare quella sua angoscia convulsiva. Ma non gli svelarono mai che un medico le avesse ordinate; sarebbe stato un dirgli di spezzarne le bocce contro la parete: bensì, con pietoso inganno, l'assicuravano sempre ch'eran semplici calmanti da esse loro apparecchiati. Ma le innocenti non sapevano come la principal cagione di quel male fosse l' ira dell'egoismo ingannato che lo rodeva, fosse l'estrema rovina delle sue lunghe fatiche, l'ultimo crollo d'un edilizio a cui per tutta la vita aveva lavorato, l'edifizio della sua grandezza! Le novelle venutegli d' Inghilterra per lettere e per gazzette, e confermate pur troppo presto, avevano rivelato a lord Leslie come tutto il suo credito, un tempo così potente, fosse perduto; le sue mene politiche cagionare la caduta della sua stessa fazione; e le nuove elezioni della sua contea, ultima speranza a lui rimasta, esser cadute sopra individui della parte opposta, e, fra questi, sul più conosciuto suo nemico politico. Di più, gli toccò perfino di leggere ne' giornali rapportata la, sua rottura col figlio, travolta, esagerata, come si suole; commentata a suo discredito , quasi fosse stata una domestica tirannide. Tutto ciò, e anche meno sarebbe certo bastato, fini a suscitare nella sua logora salute un subitaneo rovescio; la malattia, che da gran tempo covava, si spiegò violenta; senza l'amore e la paziente attenzione di quelle soavi creature d'Elisa e Vittorina, lord Leslie avrebbe forse dovuto soggiacere a tale ultima offesa dell'orgoglio vulnerato. Non era il mattino, ed Elisa, a passo cauto, leggiero, entrava nella camera del padre ammalato; il suo cuore batteva di speranza e di segreto timore. Ella rimosse con mano tremante la verde cortina dell'alcova, si sollevò lieve su la persona, e guardò. - Suo padre pareva dormire d'un sonno tranquillo; perchè il respirar di lui non era più sì affannoso, e la calva sua fronte, che ombravano due ciocche di grigi capegli, era pallida e serena. La buona figlia sentì allargarsi il cuore, levò al cielo gli occhi, domandò una benedizione all'anima di sua madre, affinchè le desse forza di compiere il generoso proposito, per cui quel giorno ell' era venuta, così di buon' ora, nella stanza paterna. Poi lenta avanzando, s' adagiò cheta cheta nella seggiola, accanto al capezzale di suo padre; e abbandonata a' pensieri ond' era pieno il suo animo verginale, si perdette ne' sogni dell'avvenire, in quell'estasi che un' intemerata speranza dipinge come d' un' iride di felicità. Intanto, senza ch'ella se ne fosse accorta, il padre s'era desto; e il primo oggetto che gli appariva, era l'amorosa fanciulla sedutagli accanto, era quella sembianza angelica e pura, che la faceva parere cosa non mortale. Il vecchio, senza pur muoversi, la guardava, nè ancora ella s'era riscossa; la guardava, mai non l' aveva creduta così bella. - Povero padre ! quel pensiero d'innocente orgoglio nasceva nel suo cuore forse per la prima volta! Continuava a contemplarla; sentiva un piacere mite, segreto, che non aveva provato mai. Allora trasse una mano fuor delle coltri, e strinse con dolce forza il braccio che la figlia pianamente aveva poggiato su la sponda del letto. Elisa a un tratto si risentì, le parve che il padre leggesse ne' suoi pensieri, che quello sguardo la penetrasse sino al fondo del cuore.... I suoi sogni eran così belli! Arrossendo per subitanea tema, si chinò verso di lui, e disse: « O mio padre! io era venuta a spiare il momento che vi sareste svegliato, e intanto i miei pensieri m'avevano rapita lontano lontano, ch'io quasi vi dimenticava, mio caro povero padre! » « Buona Elisa! tu mi vuoi bene, lo so! tu mi sei cara, adesso più che mai! » rispondeva l'ammalato con tale accento di mitezza insolita, che la figlia non credette quasi a sè stessa. « E potrei non amarvi? Ma ditemi, prima, che avete passato una notte quieta, che state meglio d' jeri.... » « Si, sì! Sto bene, bene da vero. » « Corro dunque a dirlo a Vittorina, che aspetta qui fuori questa buona novella. Pure, siete assai pallido, e la vostra mano arde e trema... » « Non importa, sto bene! perchè, sappi, il mio male è qui, qui dentro!... » E con la destra si premeva il cuore. « O padre mio! che pena mi danno le vostre parole! No, non dite così; dite che noi possiam consolarvi, poichè nostra è una parte del vostro dolore! Fatevi cuore, siate giusto con voi medesimo! E se troppo vi pesa, come, dite voi, la cattiveria degli uomini, oh copriteli di disprezzo, d' obblio! E guardate a noi, pensate alle vostre due figlie, e anche al vostro.... sì, al povero.... » Ma s' arrestò d' improvviso, e chinò gli occhi a terra, sbigottita da uno sguardo terribile di suo padre. « Finite! Che cosa volevate dire? » chiese il lord, con tuono severo, ma fatto più dolce in viso. « Oh nulla! » Elisa rispondeva: « non so , io parlava come il cuore mi suggeriva.... mi compatite? » « No! voi lo sapete pure, che non si deve pronunziar quel nome dinanzi a me: bisogna dimenticarlo! » « Dimenticarlo?... non lo potrei. È mio fratello! » « Egli non è più mio figlio, e non lo vedrò mai più! Ho cancellato dalla memoria anche il suo nome. » « Dio! s' io fossi quell' infelice, ne sarei morta! » « Tu, buona fanciulla, non m'avresti fatto il male ch'egli mi fece! « Ma se ora ne piangesse, se non parlasse che di voi, se non avesse in cuore altra speranza che del vostro perdono, che di vedervi ancora una volta? » « Egli? come t' inganni! Tu non conosci gli uomini non sai come certi cuori son fatti! V' ha de' figli che calpesterebbero il cadavere del padre, se fosse messo a traverso della loro via!» « Ah non parlate così! Egli.... era buono; e forse, se il vostro sdegno.... » « Eh non sai tu, che quell' uomo ha rovesciata la mia più lieta fortuna, l' opera di tutta la mia vita? Egli è, che ha gettato nel fango il nome di suo padre, egli che mi lima i giorni, che mi precipita prima del tempo nella fossa! » - E il lord s' era levato su la persona: il suo volto ardeva di tutto l'antico sdegno: ma, indi a poco, raccolse le coltri, e s'abbandonò, come oppresso, sugli origlieri, dicendo con voce mutata: - « Via, non parliam più di lui! non affrettiamo con impeto inutile quell' ora che non tarderà a venire! Povera Elisa! tu sola mi resti, tu che intendi che cosa sia il segreto dolore di tuo padre. Tua sorella è troppo giovinetta, è ingenua, spensierata; essa vede le rughe della mia fronte, non la ferita del mio cuore. » « O padre, se lo sapeste, non io sola, ma tutti piangiamo per voi.... Oh! ricordatevi che l'ultimo voto di nostra madre fu la felicità e la pace di noi tutti.... e che invece!... perchè, anche lui...« « Lui! sempre lui? Lo sa forse ch' io sono qui, presso a morire, in terra straniera, e per sua colpa? Io giuro che se lo sa, ne ride! « « Gran Dio!... » proruppe la figlia, e si coperse con le mani il volto già bagnato di lagrime. « No, non è vero!... oh se vi dicessi!... » « Ma voi, che sapete di colui?... dov' è? dite.... dite! rispondete a vostro padre.» « È qui!... » balbettò allora, con voce timida e sommessa

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Quell'estate al castello

213792
Solinas Donghi, Beatrice 1 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Ippolita non era del tutto abbandonata. Io potevo e dovevo fare qualcosa per impedire questa marcia ingiustizia che le facevano: alla faccia degli zii conti e del loro contorno di complici e carcerieri! Era un pensiero molto coraggioso, cosí coraggioso che mi mise paura. Quando mi trovai di nuovo sola con la mia amica mi era quasi passata la voglia di dirglielo. Tanto parlò lei, subito: - Te lo ricordi cosa dicevamo, prima che suonasse il gong? - Ma sí. Parlavamo della busta crema. Insomma della lettera che tua madre ha scritto a tua zia. E a proposito, perché lo avrà fatto? Se dici che ce l'ha antipatica... - Le avrà domandato dove sono finite le sue lettere, no? Da quel che le scrivo io deve averlo capito per forza che non mi sono arrivate. - Scrollò forte la testa, come se le avessi fatto perdere il filo. - Cosa c'entra questo, adesso! Sta' a sentire: quando ha suonato il gong io dicevo che se avessi saputo che la mamma era abbastanza vicina - a Parigi, mica piú in America - sarei andata

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Tutti per una

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Lavatelli, Anna 1 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
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Sua madre l'ha abbandonata, sì o no? Dunque... - Fortunata, invece. Perché il tuo Argo l'ha portata da noi e noi possiamo prenderci cura di lei. Noi possiamo anche amarla. Ti sembra una cosa da poco? - Noi? Qui? Ma cosa dici... È impossibile! - Impossibile! Impossibile... Non ti pare che dovremmo almeno almeno provarci, prima di dirlo? - Sarà difficile. E anche rischioso. - Lo so. E allora? La lasciamo qui? Avvisiamo la Maria Spia? La portiamo dritta dritta in un orfanotrofio? È questo che vuoi, professore? - No, certo che no. Tuttavia... secondo me... Virgilio Zambelli si dibatteva tra i due partiti, senza potersi risolvere. Si rivolse ad Argo, come per chiedergli sostegno, e ne ricevette in cambio uno sguardo di deluso scontento.

Quartiere Corridoni

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Ballario Pina 1 occorrenze
  • 1941
  • La libreria dello Stato
  • Roma
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E così l'osteria è stata abbandonata. Giulietta leggeva male. Aveva sempre gli occhietti rossi, affaticati. La sua mamma lavora da sarta: ha tanto da fare e ai figli bada poco. La maestra ha consigliato la mamma di Giulietta di condurla dall'oculista. Ora la bimba porta gli occhiali, legge bene e non ha più gli occhi rossi. La maestra è una seconda mamma, la scuola una seconda famiglia.

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Mitchell, Margaret

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Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
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Sentendosi sgomenta e abbandonata, ella avrebbe voluto, se le fosse stato possibile, spezzare quella barriera; ma trovò che egli conservava la distanza, come se non avesse voluto scambiare con lei altre parole che non fossero quelle superficiali. Ora che la sua collera andava diminuendo, ella desiderava dirgli che lo riteneva innocente della morte della bimba. Provava il bisogno di piangere fra le sue braccia e di affermargli che anche lei era stata orgogliosa dell'abilità di amazzone della figliola, anche lei era stata indulgente alle sue insistenze. Avrebbe voluto umiliarsi, e riconoscere che gli aveva lanciata quell'accusa dal fondo della propria disperazione, nella speranza di alleviare il proprio dolore. Ma non trovava mai il momento opportuno. Egli la guardava con occhio cosí indifferente che non le dava la possibilità di parlare. E le scuse rimandate diventano sempre piú difficili e finalmente impossibili. Egli era raramente in casa. Le poche volte che cenavano insieme, Rhett era generalmente ubriaco. La sua ubriachezza non era piú quella di una volta, che lo rendeva gentile, ma mordente, e gli faceva dire cose divertenti e maliziose, che la costringevano a ridere suo malgrado. Ora era un'ubriachezza cupa e silenziosa. A volte lo sentiva rientrare a cavallo all'alba nel cortile posteriore, e battere alla porta dell'abitazione dei servi, affinché Pork lo aiutasse a salire le scale e lo mettesse a letto. Metterlo a letto! Rhett che aveva sempre fatto ubriacare gli altri senza scomporsi e poi li aveva aiutati a coricarsi! Mentre una volta era sempre impeccabile, adesso era spesso sciatto e in disordine; ci voleva tutta l'energia scandalizzata di Pork per fargli, cambiare la camicia prima di andare a cena. Aveva fatto gli occhi infiammati del bevitore di whisky e la linea della sua mascella si andava deformando per il grasso malsano che la invadeva. Il suo corpo agile e muscoloso cominciava a diventare molle e rilassato. Spesso non tornava affatto a casa, o mandava un biglietto per avvertire che avrebbe passato la notte fuori. Certamente rimaneva a smaltire la sbornia in qualche camera sopra uno spaccio di bevande alcooliche; ma Rossella immaginava sempre che egli fosse in casa di Bella Watling. Una volta le era capitato di vedere Bella in una bottega; una donna grossolana e appassita, che aveva perduto gran parte della sua bellezza; ma malgrado il belletto e l'abito appariscente il suo aspetto era gentile e l'espressione quasi materna. Invece di abbassare gli occhi o di guardarla con aria di sfida come facevano le altre donne allegre quando si trovavano dinanzi alle signore, Bella aveva ricambiato il suo sguardo, fissandola con un'espressione quasi compassionevole che aveva fatto salire le fiamme al volto di Rossella. Ma ora non poteva accusarlo; non poteva adirarsi, chiedergli fedeltà né svergognarlo, come non poteva scusarsi di averlo incolpato della morte di Diletta. Si sentiva oppressa da un'apatia stupefatta, da un'infelicità che non riusciva a comprendere, un'infelicità piú profonda di qualunque cosa ella avesse mai conosciuto. Era abbandonata come non era mai stata. E aveva paura di non potersi piú rivolgere a nessuno, eccettuato a Melania. Perfino Mammy, il suo principale appoggio, era tornata a Tara. Tornata per rimanervi. Non aveva dato spiegazioni della sua partenza. I suoi occhi stanchi avevano guardato con tristezza Rossella, quando le aveva chiesto i danari per il biglietto ferroviario. Alle lagrime, alle suppliche di Rossella che le chiedeva di rimanere, Mammy aveva solo risposto: «Mi pare di sentire miss Elena che dire: "Mammy, vieni a casa; tuo compito essere finito". Cosí io andare a casa». Rhett che aveva udito il discorso, le diede il denaro e le accarezzò un braccio. - Hai ragione, Mammy, miss Elena ha ragione. Il tuo compito qui è finito. Vai a casa. Se hai bisogno di qualche cosa fammelo sapere. - E poiché Rossella prorompeva in nuove insistenze: - Taci, sciocca! Lasciala andare! Come vuoi che qualcuno rimanga volentieri in questa casa.... adesso? Nei suoi occhi era una luce cosí strana e cosí viva, che Rossella indietreggiò sgomenta. - Dottor Meade, credete che possa... che abbia perso il cervello? - interrogò piú tardi, trascinata a consultare il dottore dalla propria inquietudine. - No, - disse il medico; - ma beve come un otre e se non la smette si ammazzerà. Voleva molto bene alla bimba, Rossella; e scommetto che beve per dimenticarla. Quello che vi consiglio è di dargli un altro bambino piú presto che potrete. - Ah! - esclamò Rossella amaramente, nell'uscire dallo studio. Era piú facile a dirsi che a farsi. Sarebbe ben contenta di avere un altro bambino, molti altri bambini, se in tal modo avesse potuto togliere quell'espressione dagli occhi di Rhett e riempire gli spazi dolorosi del proprio cuore. Un bimbo che avesse la bruna bellezza di Rhett, e un'altra piccina. Sí, un'altra piccina, bella, gaia, vivace, piena di risa, non come quella scioccona di Ella! Perché Dio non aveva preso Ella, se doveva toglierle uno dei suoi figli? Ella non le dava alcun conforto ora che Diletta era scomparsa. Ma sembrava che Rhett non desiderasse un'altra creatura. Almeno, non veniva mai nella sua camera, quantunque la porta non fosse mai chiusa, ma anzi socchiusa in maniera invitante. Pareva che non vi tenesse. Che non tenesse a nulla, se non al whisky e a quella donna sciupata coi capelli rossi. Era diventato amaro, mentre prima era piacevolmente beffardo; brutale, mentre le sue frecciate erano una volta temperate dalla celia. Dopo la morte di Diletta, molte signore del vicinato che erano state attratte dalle maniere graziose che aveva con la sua piccina, desiderarono mostrargli la loro simpatia. Lo fermavano per istrada per dirgli delle parole gentili o gli rivolgevano un saluto dai loro porticati o dai cortili. Ma ora che Diletta era scomparsa, anche le sue buone maniere scomparvero. Egli rispondeva brevemente e con asprezza ai saluti e alle condoglianze piú affettuose. Ma, cosa strana, le signore non si offesero. Comprendevano o credevano di comprendere. Quando lo vedevano passare al tramonto, tanto ubriaco che a stento si reggeva in sella, scansando quelli che volevano salutarlo, dicevano: - Povero diavolo! - e raddoppiavano i loro sforzi per essere buone e gentili. Provavano molta pena per lui che nel suo crepacuore non trovava a casa altro conforto che Rossella. Tutti sapevano quanto ella fosse fredda e senza cuore; ed erano inorriditi dell'apparente facilità con cui si era rimessa dal colpo provato per la morte della figliuola, non accorgendosi o non volendosi accorgere dello sforzo che si nascondeva dietro a quella tranquillità. Rhett aveva tutte le simpatie della città; cosa di cui non gli importava nulla. Rossella aveva le antipatie generali e, per una volta, avrebbe accolto ben volentieri la cordialità dei vecchi amici. Invece nessuno andava da lei, eccetto zia Pitty, Melania e Ashley. Solo i nuovi amici vennero, nelle loro magnifiche carrozze, ansiosi di mostrarle la loro solidarietà, di distrarla con pettegolezzi sul conto di altri amici di cui non le importava nulla. Tutti quei «nuovi venuti», tutti quegli estranei! Non la conoscevano. Non la conoscerebbero mai. Non sapevano che cos'era stata la sua vita prima di raggiungere quella salda posizione nella bella casa di Via dell'Albero di Pesco. Ed essi non le parlavano di quella che era stata la loro vita prima di avere i ricchi broccati e gli eleganti equipaggi. Ignoravano le sue lotte, le sue privazioni, tutto ciò che dava valore oggi alla grande casa, ai vestiti lussuosi, all'argenteria, ai ricevimenti. Non sapevano. Gente venuta chi sa da dove, che viveva alla superficie delle cose, che non aveva in comune con lei ricordi di guerra, di fame, di lotte, che non aveva radici che sprofondavano nella stessa terra rossa. Nella sua solitudine, le sarebbe piaciuto passare i pomeriggi con Maribella o con Fanny, con la signora Elsing o la signora Whiting e perfino con la temibile e bellicosa signora Merriwether. O con la signora Bonnell o... con qualsiasi delle vecchie amiche e vicine. Perché esse sapevano. Avevano conosciuto la guerra, il terrore, l'incendio, avevano visto morire persone care prima del tempo; erano state affamate e stracciate, avevano vissuto col lupo dietro alla porta. E avevano ricostruito la loro fortuna dalle rovine. Sarebbe un conforto sedere con Maribella, ricordando che anche questa aveva perduto un bimbo, morto nella pazza fuga dinanzi all'esercito di Sherman. Sarebbe un sollievo la presenza di Fanny, poiché entrambe avevano perduto il marito nei tremendi giorni della legge marziale. Sarebbe una triste gioia ridere con la signora Elsing, ricordando il viso della vecchia signora mentre spingeva a pazza corsa il suo cavallo il giorno in cui Atlanta era caduta, mentre il bottino di viveri presi al commissariato veniva disseminato per istrada. E sarebbe piacevole discorrere con la signora Merriwether, ormai sicura per la produzione della sua panetteria; piacevole dire: - Vi ricordate come andavano male le cose subito dopo la resa? Vi ricordate quando non sapevamo come avremmo fatto per procurarci un paio di scarpe? E guardate adesso come stiamo! Sí, sarebbe piacevole. Ora comprendeva perché, quando due ex-confederati si incontravano, parlavano della guerra con sollievo, con orgoglio, con nostalgia. Erano stati giorni che avevano messo alla prova i loro cuori; ma essi li avevano superati. Erano veterani. Anche lei era una veterana, ma non aveva camerati coi quali rievocare le vecchie battaglie. Oh, essere nuovamente con la propria gente, con la gente che era passata attraverso le stesse vicende e di cui conosceva i patimenti... eppure sapeva quanta parte di se stesso ciascuno vi aveva lasciato! Ma tutti costoro, non sapeva come, si erano allontanati. Capiva che era colpa sua. Non se ne era mai curata finora... ora che Diletta era morta ed essa era sola e spaurita; e vedeva dall'altra parte della sua lucente tavola da pranzo un estraneo bruno e ubriaco che dileguava dinanzi ai suoi occhi.

Pagina 1000

I mariti

224122
Torelli, Achille 2 occorrenze
  • 1926
  • Francesco Giannini e Figli
  • Napoli
  • teatro - commedia
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- E intanto ecco la Duchessina sola, abbandonata, col Barone che la insidia... Il suo decoro, se non il suo onore, è compromesso... Il Duca non può muoversi...

Pagina 41

Abbandonata, offesa nel suo amor proprio, straziata nel suo affetto di madre, disprezzata e disprezzante, intendi tu! per lei non c'era più società, doveri, rispetti: una disgraziata, insomma, che aveva tutto dimenticato, persino d'avere una figlia!

Pagina 50

Ti ho sposato per allegria

225848
Ginzburg, Natalia 1 occorrenze
  • 2010
  • Giulio Einaudi editore
  • Torino
  • teatro - commedia
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ero sola, senza soldi, senza lavoro, ero piena di debiti, avevo anche abortito, ero stata abbandonata, e non ti facevo pietà?

Pagina 35

Manon

234375
Adami, Giuseppe 3 occorrenze
  • 1922
  • Edizioni Alpes
  • Milano
  • teatro - commedia
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Voi supponete che il mio amante m'avrebbe abbandonata - egli che mi conosce - ad un pericolo, se, prima, non gli avessi tessuto questo inganno?

Pagina 158

Quando s'apre il velario MANON è abbandonata su un rustico sedile a sdraio, stancamente, gli occhi socchiusi. LAURETTA e SUSANNA sono presso di lei, in silenzio. Accovacciata sul limite del muricciolo è GERMANA, le labbra contratte, lo sguardo teso verso il tramonto. MANON reca sul suo viso i segni del lungo patimento. Pallida, affossati i grandi occhi luminosi, la sua espressione è tutta di calma rassegnata e di bontà.

Pagina 195

Dio, ti ringrazio... non muoio abbandonata... e muoio giovine!... Des Grieux... nei tuoi occhi... rimarrà la mia immagine bella!...

Pagina 213

Come le foglie

239889
Giacosa, Giuseppe 2 occorrenze
  • 1921
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • teatro - commedia
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Mi sento così abbandonata! Così disarmata!

Pagina 103

Si capisce che la casa sta per essere abbandonata. A destra due porte: la prima mette nella camera di Giovanni, la seconda in quella di Tommy. A sinistra, alla seconda quinta, la porta comune. Alla prima quinta porta che mette nella camera di Giulia. La sala da pranzo ha una sola porta in un angolo, a destra dello spettatore.

Pagina 9

Documenti umani

244201
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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Dal posto dove se ne stava abbandonata, la baronessa lo attirava a sè; ma tutte le volte uno sforzo formidabile su sè stesso poteva soltanto deciderlo ad avvicinarsi a lei. Quando egli le si avvicinava, i fantasmi si frapponevano, glie la disputavano, lo afferravano con la loro gelida mano, facevano morire il suo bacio, scioglievano le sue braccia allacciate intorno alla vita di lei. E come più cresceva lo strazio dell'uomo dinanzi alla propria impotenza contro quella persecuzione, più lamentosa si faceva la voce della donna: - Andrea, tu non mi ami più!

Pagina 40

Abbandonata sul divano, con la faccia nascosta fra i cuscini, la baronessa reprimeva un'esclamazione di dolore straziante. - È orribile!... È orribile!... Era orribile! L'idea fissa aveva finalmente compita la propria opera devastatrice. Se quel passato e quel presente fossero tutt'uno per lei? Se avesse avuto ragione la gente che la giudicava una donna leggiera, capace soltanto di fugaci capricci, passante dalle braccia dell'uno a quelle dell'altro con la stessa facilità con cui si stringe la mano? Se ella doveva dimenticarlo, come aveva dimenticato quegli altri? Se avesse avuto ragione quell'odioso cavaliere di Sammartino, che ora si dava l'aria di aver rotto con lei?... - No, non ti amo, perché tu sei incapace di amore! No, non ti amo, perché io non voglio il rifiuto - e la voce di Andrea aveva preso un accento di profondo disprezzo - perché io non voglio il rifiuto degli altri! - Ah! Ella gridava dallo spasimo, si torceva le braccia, si mordeva le dita. Accanto alla finestra, gualcendo le tendine con mano nervosa, egli stette un istante a guardarla. Repentinamente, le fu vicino, gridando: - Basta!... basta!... Sono un pazzo!... Non mi dare ascolto!... Non si ascoltano i pazzi!... - No, che non basta!... Scostati!... Tu devi ora ascoltarmi!... Tu devi sapere tutta la mia vita! Tu non devi.... tu non hai il diritto di spezzarmi il cuore!.... E scoppiò in singhiozzi, disperatamente. - Costanza, non piangere! Per pietà, non piangere, se non vuoi veder piangere me! Ti ho detto delle cose cattive? Ma è perchè ti amo, non lo vedi? perché ti amo oggi più di ieri, perchè ti amerò domani più di oggi!.... Andiamo, Costanza, basta!... La tua vita, io non voglio, non posso saperla. Che cosa mi apprenderesti? Che hai sofferto? Ma le tue sofferenze bisogna invece dimenticarle; io ci sono per questo!... - Ah, che male che male mi hai fatto!... - e le sue parole erano rotte dai singhiozzi che ancora la scuotevano tutta. - Perdono! perdono! Io ti credo, io ho fiducia in te! Non si mentisce, con quegli sguardi! Se tu non mi amassi, sarebbe stato impossibile che tu avessi fatto quello che hai fatto per me - È, vero? è vero? - Sì, è vero! Povero amore, prima che t'incontrassi, quali diritti avevo io su di te? Come sono sciocco.... Tu dici che sei vecchia? Ma io sono, veramente, un bambino! Come un raggio di sole dopo la tempesta, un sorriso splendeva negli occhi della baronessa, ancora tutti umidi di lacrime. Che mano disgraziata egli aveva! Avrebbe voluto riscattare a prezzo di sangue le lacrime un tempo da lei versate, e invece glie ne faceva spargere di nuove! A qualunque costo, bisognava farle dimenticare le amare, le tristi parole. Perchè dunque quell'accanimento di tutti contro la disgraziata creatura? Per quel passato!... Se l'idea pertinace di quel passato funesto aveva, a poco a poco, scossa la fiducia di lui, come non sarebbe accaduto altrettanto, e peggio, tra la folla degli indifferenti! Ancora, sempre, lo spettro di quel passato gli amareggiava la vita!... Ora, egli faceva di tutto perchè nessuno di quegli angosciosi pensieri trapelasse dalle proprie parole. Raddoppiava d'affetto, circondava la baronessa di ogni cura e di ogni premura, pareva tornato alla serena felicita dei primi giorni. Ed i suoi sforzi erano compensati dalle mille prove d'amore che ella gli dava tuttodì. Non vi era un'ora della sua vita di cui ella non gli giustificasse l'impiego, e tutta la sua vita era impiegata per lui. Lavorare attorno a dei regalucci che gli erano destinati, studiare la musica che gli piaceva, vestirsi degli abiti che preferiva, passare per i luoghi dove erano stati insieme, ricordargli tutte le date salienti del loro romanzo, scrivergli e leggere e rileggere le lettere di lui: ella non sapeva far altro.

Pagina 45

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245261
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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Sì, pensavo che la bambina, una volta abbandonata da me a quella gente sconosciuta, potesse venir di nuovo rubata, o tolta loro con inganno dai miei creditori. No, no, dicevo a me stesso, io veglierò; starò in giro intorno alla casetta, o farò venire la donna in casa. La zia acconsentirà: la zia ha denari, adesso ne sono convinto. E tutto mi sembrava facile, nella fantasia; ma in fondo sentivo bene che tutto era un sogno: sogno anche la calma e la fiducia che credevo di avere: in fondo un'angoscia mortale mi premeva, mi spingeva, e sempre quella paura strana, insistente, che la bambina fosse morta. Ah, ecco, l'orribile verità l'ho detta.

Pagina 206

Questa volta, però, suo malgrado è costretto a fermarsi, a interessarsi della creatura abbandonata nella strada: lo impressiona la strana riluttanza del cavallo ad andare avanti, e, in fondo, ricorda ch'egli è un uomo celebrato in tutti quei dintorni per la sua scrupolosità di coscienza e per la più rigida osservanza del suo dovere. Eppoi è anche sindaco del paese. Suo dovere, dunque, è adesso, di non passare senza essersi assicurato che il bambino è lì momentaneamente deposto da qualcuno che verrà a riprenderlo. Osservandolo bene gli pare che non sia ancora in eta di parlare, sebbene i suoi occhi abbiano qualche cosa di strano, fissi e coscienti; sembrano quelli di un santo o almeno di un uomo saggio. Antiche superstizioni sfiorano la mente, se non il cuore, del nostro Davide. Egli ricorda di aver letto o sentito raccontare certe leggende nelle quali si afferma che Gesù ama spesso tornare nel mondo a vagabondare sotto spoglia umana per provare il cuore degli uomini. Perchè vi sono cuori abbandonati a sè stessi come terre incolte: basta smuoverli e seminarli perchè diano frutto. Ma Davide pensa che il suo cuore è duro perchè deve essere duro: e se il bambino misterioso è Colui che tutto vede ne sa il perchè: inutile quindi fingere un turbamento che non si sente. Infine, poi, l'uomo veramente frustato dalla sventura non può più amare neppure lo stesso Dio.

Pagina 5

In Toscana e in Sicilia

245737
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Ogni momento chiamava l'ammalata, che il più delle volte non rispondeva, per dimandarle come stava, preso da un grande spavento nel sentirsela abbandonata sulle spalle. Gli pareva che quegli stradoni polverosi, fiancheggiati di olmi, non finissero mai, e come invidiava le allegre brigate di svinatori che incontrava! Finalmente, quando Dio volle, arrivarono a casa della Gegia, che era prima di entrare in paese, e a quella povera vecchia della su' mamma le cascarono le braccia e le si mozzò il fiato, nel vedersi riportar la figliola a quel modo. - Madonna santa, o che è successo? - Presto, presto, mettetela a letto; io vo a chiamare il medico; che almeno si sappia che cos'ha. E il povero giovanotto, stanco, sfinito, andò di corsa, affannato, alla spezieria, in cerca di un medico che, per fortuna, trovò subito. Questi, appena vista l'ammalata, disse, senza tanti preamboli, che aveva, nè più nè meno, di un tifo petecchiale della specie più maligna e che si mettessero pure l'animo in pace, giacche difficilmente l'avrebbe potuta scampare. A Bista gli si fece buio nel sentire quelle parole: dunque era stato inutile che lui l'avesse riportata a casa nel suo letto: sarebbe morta nonostante! Ma almeno non avrebbe avuti rimorsi all'anima. Passava tutto il santo giorno e tutta la notte in quella stanzuccia, seduto, con le mani fra i ginocchi e la testa bassa; si scuoteva solo nel sentire i singhiozzi di quella povera vecchia o il rantolo dell'inferma che ormai non conosceva neppur più: alzava il capo, guardava sbigottito, sbarrando gli occhi, senza avere il coraggio di fare una domanda. La malattia, purtroppo, andava per le lunghe e faceva degli alti e dei bassi, dando ogni tanto qualche speranza, per ritoglierla poco dopo. I magri risparmi della vecchia e di Bista sfumarono in un momento e lui vedeva, desolato, avvicinarsi il tempo di dover andare in Maremma. Se non andava, come avrebbe potuto svernare? I suoi compagni principiavano già a partire e se lui tardava ancora sarebbe rimasto senza lavoro. - Bisogna pure che vi risolviate, gli andava dicendo la mamma della Gegia; tanto, a questa disgraziata, non le potete far nulla; è nelle mani di Dio e state certo, se sarà destinato che vi abbiate da sposare, guarirà. Andiamo, fatevi un cuor risoluto, o che volete? mangiare, o poco o assai, s'ha da mangiare, e a noi poveri se non si lavora, non ci vien nulla giù dal cielo col panierino. Bisognò bene che si determinasse a partire, e fu un vere strazio di dover lasciare quella poveretta che probabilmente non avrebbe più ritrovata. - Almeno fatemi aver notizie, se qualche paesano vien laggiù, disse Bista con le lagrime agli occhi e il fardello infilato nella vanga, nel dividersi dalla vecchia dando, un'ultima occhiata a quel misero letto.

Pagina 13

L'indomani

246208
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Si capiva che tutta quella roba era stata gettata là a casaccio, per disfarsene, abbandonata ai topi, alle tignuole ed alla muffa. I libri erano: due volumi scompagnati di Walter Scott, una grammatica francese e una strenna, di quelle che usavano una volta, rilegate in cartoncino filettato d'oro, con la prefazione alla gentile lettrice e le vignette riparate dalla carta velina. Marta amava queste vecchie strenne; le aveva guardate da piccina, nelle sere invernali, aprendole prima adagio adagio, con precauzione, soffiando sulla carta velina per poterla voltare senza sciuparla e gettando dei piccoli gridi ammirativi ad ogni pagina illustrata. Più tardi vi aveva cercato le forme dell'amore nei sonetti romantici, nelle leggende delle castellane e dei paggi biondi, in certe frasi appassionate ed oscure. Diana di Poitiers le era comparsa innanzi così bella e poetica come Giulietta, come Desdemona, come Margherita. Al solo vedere una strenna le tornavano a memoria i versi che ella aveva imparati più volontieri di tutti gli altri, che l'avevano fatta piangere di tenerezza, quando aveva diciotto anni.

Pagina 115

Saper vivere. Norme di buona creanza

248767
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Se voi siete sola, solissima in un villaggio, in un'isola abbandonata (e non si è mai assolutamente soli, anche in un deserto e anche in un'isola, esempio Robinson Crusoè), allora potrete anche fare una intera coltre al filet, potrete ricamare un intero mobile di un salotto, a punto antico, potrete, persino, fare degli arazzi di alto liccio; ma, se appena siete in tre, in quattro, in cinque, sarà una gran cosa, se metterete cinquanta punti nel vostro ricamo, se potrete fare due quadretti di filet, se potrete dare una sola stella di colori argentei alla vostra bizzarra tapezzeria, che imita l'antico. Non lo sperate, i vostri lavori domestici ritorneranno in ottobre, quasi intatti, alla città. Eppure, dovete portarli con voi! Vi sono momenti, vi sono ore, in cui un lavoro fra le mani, sotto gli occhi, è di una necessità assoluta: esso è una scusa, un pretesto, un diversivo, un derivativo; esso è una salvezza, per esso gli occhi possono abbassarsi o alzarsi come vogliono, le mani sono occupate, la persona sembra distratta: esso calma i nervi, regola la voce, mette delle pause sapienti nella conversazione. Una donna che ricama è venti volte più padrona di sè stessa, accanto a un uomo, che una donna, la quale non faccia nulla: una donna, che fa l'uncinetto, è molto più la padrona di suo marito, che non una donna disoccupata.... Io non approfondisco il soggetto, perchè voi già lo avete tutto inteso, care lettrici: il lavoro è, dunque, un'arma di difesa e di offesa, in villeggiatura. E chi di voi vorrebbe andare alla guerra, senza corazza e senza spada?

Pagina 168

Voci della notte

250806
Neera 1 occorrenze
  • 1893
  • Luigi Pierro Editore
  • Napoli
  • Verismo
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— Commedie — borbottò lo zoppo, col naso ficcato dentro un armadietto dove stavano riposti liquori e vini scelti, preda che la sorella gli aveva abbandonata. Abbandonata tanto più volentieri perchè intanto ella continuava a girare per suo conto, ingrossandosi i fianchi di protuberanze misteriose, cacciandosi ad ogni poco la mano in seno e nelle tasche. La figlioccia, in quella lunga veglia, aveva presunto troppo dalle sue forze. Si sentiva sfinita, rotte le ossa, con un brivido per tutto il corpo; appoggiava ad ogni poco la testa contro il letto, ma il raccapriccio e la tristezza del cadavere ne la facevano allontanare. E tutta questa debolezza fisica accresceva il sentimentalismo del suo dolore che si sfogava in gemiti, in sospiri, in lagrime; in mezzo alle quali sorvolava tuttavia il rimpianto acuto del bene che stava per perdere. Se il padrino non aveva fatto testamento, addio roba! L'aculeo di tale pensiero le accresceva ancora i sospiri, per modo che la camera era tutta piena di lei e del suo dolore. Ma sollevando spesso gli occhi lagrimosi ad un altarino dove il defunto venerava, tra due palme di fiori di carta, una statuetta della Madonna, era attratta suo malgrado dal disegno di una trina antica che circondava i piedi della Madonna - una cosa da nulla, mezzo metro, tanto da cavarne un paio di manichini.... Non era forse vero che, se ella avesse chiesto quel pezzetto di trina all'adorato padrino, egli l'avrebbe concessa? E se invece la prendeva adesso, di moto proprio, non potendo più chiederla a lui, che gran male! Le restava almeno un cencio di ricordo, il solo, se quella gentaccia le negava il resto.... quasi un diritto. Oh! ed essi che cosa facevano girellando per la casa?... la derubavano com'è vero Dio! La derubavano, lì sulla faccia, spudoratamente, da quei villanacci esosi che erano, che si sarebbero proprio meritati un testamento contro! Si alzò, barcollando, e andò a smoccolare la candela. La notte stava per finire. Un chiarore biancastro rompeva le tenebre della finestra, battendo sul rigonfio del letto formato dal cadavere. La vecchia, che si era appisolata sopra una cassa, si alzò pur essa. Di fronte, nel primo raggio dell'alba, le due donne si guardarono. — Se Dio vuole è finita! — disse la vecchia, cercando, sotto il livido della faccia che aveva davanti, i segreti pensieri. L'altra, muta, osservava le dimensioni prese dalla gonna e dal busto della vecchia. Si squadravano, si pesavano a occhiate, si insultavano reciprocamente in un silenzio cupo, concentrato, dove le narici sole fremevano a guisa di segugi in caccia. Te tec, te tec... La testa da satiro dello zoppo apparve in mezzo a loro, trasfigurata dall'emozione. — Ho trovato il testamento! — gridò sollevando in alto un rettangolo bianco. Fu un momento di angoscia indescrivibile. Tre cuori sospesero per un'istante le loro pulsazioni, tre vite si concentrarono in uno sguardo acuto, assorbente, quasi feroce... Un raggio di sole entrava, obliquo, ad illuminare il letto dove il morto riposava, completamente staccato dalle miserie terrene.

Pagina 32