Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PREDONI DEL SAHARA

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Salgari, Emilio 3 occorrenze

"La coraggiosa donna s'avanzò quindi nel deserto raggiungendo felicemente l'oasi di Gharbi, ma colà si vide subito abbandonata, con un pretesto qualunque, da quel capo, e affidata alla protezione di un marabutto chiamato Hang-Amed. "Poco tempo dopo essa veniva raggiunta da otto Tuareg che dicevano di aver ricevuto l'ordine di scortarla. "La Tinnè che non dubitava d'un tradimento, accettò la scorta e riprese la marcia con ventisette arabi ed altrettanti cammelli, forza imponente che avrebbe dovuto tenere in freno i predoni, se tutti quegli uomini fossero stati fedeli. "Al terzo accampamento dopo Murzuk, i Tuareg della scorta, quantunque avessero ricevuto ricchi regali, cominciarono a mostrarsi esigenti e ad assumere un contegno minaccioso. Si erano messi d'accordo col tunisino per spogliarla. "Resi arditi dalla complicità di quel miserabile, chiesero alla viaggiatrice cinquanta talleri ed un burnus nuovo, minacciando in caso contrario di abbandonarla nel deserto. È così, El-Haggar?" "Sì, signore," rispose il moro. "Il tunisino, anima vile e perversa, era d'accordo con loro." "La Tinnè, donna energica e risoluta, rifiutò recisamente, promettendo però di fare loro altri regali quando la carovana fosse giunta salva a Scenukhen. Tuttavia, temendo qualche brutta sorpresa da parte di quei ladroni, fece rimettere al loro capo un presente di valore. "Il giorno seguente i cammellieri, che si erano pure accordati coi Tuareg, cominciarono a dare segni d'insubordinazione, rifiutandosi dapprima di partire, poi sventrando alcuni otri. "La Tinnè sospettò qualche cosa, perché si è saputo che aveva divisato di tornare a Murgest, ma l'infame tunisino fu così abile nel rassicurarla, da indurla a riprendere la marcia verso il sud. "Il lo agosto erano già giunti nella valle dell'Aberdisciuk, lontani dalle oasi abitate. "La Tinnè aveva dato ordine dopo una notte tranquilla di levare le tende e di caricare i cammelli. Doveva essere l'ultimo ordine che dava; la sua morte era stata ormai decisa dai Tuareg e dal tunisino. "Già stavano per rimettersi in marcia, quando una viva questione insorse fra due cammellieri, pel carico dei bagagli. "Uno dei due marinai olandesi volle interporsi per rappacificarli. Un Tuareg si slanciò allora contro il disgraziato colla lancia alzata, gridandogli "Che hai tu per immischiarti in una questione sorta fra mussulmani?" "Aveva appena pronunciato quelle parole che il povero olandese cadeva al suolo trafitto. "Il suo compagno, Ary Jacobs, che si trovava già a cavallo, si slanciò verso l'assassino tentando di afferrare il fucile che aveva appeso alla sella, ma prima che avesse potuto armarlo cadde a sua volta, sotto un colpo di scimitarra e uno di lancia. "Alle grida delle donne e degli schiavi liberati, la signora Tinnè uscì dalla tenda, chiedendo che cosa succedesse. "I Tuareg ed i cammellieri si erano già precipitati sulle casse e le saccheggiavano, credendo che fossero piene d'oro come aveva dato loro ad intendere il tunisino, mentre i servi fuggivano vigliaccamente in tutte le direzioni. "La signora Tinnè comprese subito che la sua ultima ora era suonata, tuttavia cercò di calmare quei miserabili e d'imporsi colla propria energia. "Un arabo, certo Hman, della tribù dei Bu Sef, le passò dietro e le vibrò coll'jatagan un colpo sulla nuca facendola cadere al suolo svenuta e sanguinante. "Poche ore dopo la sfortunata signora spirava senza soccorso alcuno, mentre le sue ricchezze passavano nelle mani dei cammellieri e dei Tuareg. È così, El- Haggar?" "Sì, signore," rispose il moro. "E tu non l'hai difesa?" chiese Esther, con indignazione. "Ti credevo più coraggioso, El-Haggar." "Io ero stato abbattuto da un colpo di lancia, la cui punta mi aveva trapassato la spalla," disse il moro. "Quando tornai in me, dopo molte ore, la signora Tinnè era già morta." "Ed è rimasto impunito quell'assassinio infame?" chiese Ben. "Furono arrestati i servi, ai quali i Tuareg avevano dato alcuni cammelli perché tornassero a Murzuk, ma gli altri scorrazzano ancora il deserto," disse il marchese. "Anzi il dottor Bary incontrò più tardi l'uccisore della Tinnè nell'oasi di Ghat e lo udì ancora vantarsi di quel delitto." "E il tunisino?" chiese Esther. "Di quel miserabile, che osò perfino spogliare la Tinnè mentre era ancora agonizzante, non si seppe più nuova." "Che canaglie!" esclamò Ben. "Ah! Non è il solo delitto rimasto impunito," disse il marchese. "Anche l'assassinio dei signori Dournaux Duperrè e di Joubert non è stato vendicato." "Chi erano costoro?" chiesero Ben ed Esther. "Due coraggiosi francesi che si erano proposti di esplorare il Sahara al sud dell'Algeria e che furono vigliaccamente assassinati dai Tuareg. "Avevano già visitato felicemente parecchie oasi del Sahara, Dournaux studiando e Joubert negoziando, perché era un abile trafficante, quando ebbero la malaugurata idea di prendersi una guida tuarik, certo Macer-Ben-Tahar, un traditore forse peggiore del tunisino della signora Tinnè. "Si erano già molto inoltrati nel deserto, quando s'accorsero che quella guida cercava d'ingannarli e che per meglio riuscire nei suoi disegni cercava di allontanare la loro seconda guida. Amed-Ben-Herma, la quale invece aveva dato prove di fedeltà non dubbia. "Decisero quindi di sbarazzarsene e giunti a Ghedames la denunciarono al cumacan. Fu un'imprudenza di certo ed il magistrato, che conosceva l'animo vendicativo dei Tuareg, non mancò di avvertirli del pericolo. "Macer aveva infatti giurato di vendicarsi dei suoi ex padroni e non mancò alla promessa. "I signori Dournaux e Joubert si erano allontanati da Ghedames di alcune giornate, quando si videro raggiungere da sei tuarik che parevano affamati e miserabilissimi. "Avendo chiesto ai due francesi ospitalità con pianti e lamenti, furono ricevuti nel campo e provvisti di cibi. Erano sei assassini mandati dal vendicativo Macer. Di notte, mentre i due francesi dormivano, quei miserabili invasero la tenda e li trucidarono barbaramente a colpi di pugnale." "E nemmeno quei disgraziati furono vendicati?" "I loro assassini scomparvero nell'immensità del deserto e più nessuno si occupò di loro." "Abbiamo fatto bene a dare loro quella severa lezione," disse Rocco. "Se avessi saputo, ciò prima, invece che sui cammelli avrei sparato contro gli uomini. Forse quei bricconi avevano preso parte all'assassinio dei signori Dournaux e Joubert e fors'anche a quello della missione Flatters e ... " Rocco si era bruscamente interrotto. I suoi sguardi si erano incontrati a caso con quelli del sahariano, ed era rimasto stupito dal lampo terribile che balenava negli occhi di costui. "Che cosa avete, El-Melah?" chiese. "Perché mi guardate così?" Tutti si erano voltati verso il sahariano e rimasero colpiti dall'espressione cupa del suo volto. "È nulla," disse El-Melah, ricomponendosi. "Udendo questi racconti sanguinosi, ho avuto un'impressione sinistra." "Comprendo," disse il marchese. "Avete assistito troppo di recente a una simile strage." "È vero, signore," disse il sahariano. "Vado a riposare, se me lo permettete." S'alzò quasi a fatica e uscì dalla tenda con passo malfermo. "Flatters!" mormorò coi denti stretti, gettando all'intorno uno sguardo smarrito. "Che non lo sappiano mai, almeno fino a Tombuctu." Alle tre del mattino, dopo un riposo di sei ore, il marchese faceva suonare la sveglia, desiderando giungere ai pozzi di Marabuti prima che il sole, che fra poco doveva mostrarsi, tornasse a scomparire. Durante la notte nessun allarme era stato dato dagli uomini di guardia. Alle quattro la carovana, dopo una leggera colazione, si rimetteva in cammino scendendo una immensa pianura che, in tempi certo antichissimi, doveva essere stata il fondo d'un vasto serbatoio d'acqua salata, a giudicare dalle masse di sale che si vedevano sparse fra le sabbie. Il marchese e Ben si erano ricollocati alla retroguardia e Rocco come sempre all'avanguardia a fianco di El-Haggar. Le vicinanze dell'oasi di Marabuti s'indovinavano facilmente pel numero considerevole d'animali che si vedevano correre in mezzo alle dune. Di quando in quando, ma a grande distanza, e quindi fuori di portata dai fucili, si vedevano fuggire bande di struzzi e di grosse ottarde. Talora invece erano truppe di sciacalli dalla gualdrappa, specie di cani selvaggi colla testa da volpe, gli orecchi grandissimi, gli occhi grossi, le code lunghissime, ed il pelame rossastro, fitto e morbido, che diventava giallognolo sotto il ventre, col dorso coperto da una specie di gualdrappa nera a strisce bianche, del più curioso effetto. Al pari dei caracal questi sciacalli non sono pericolosi per gli uomini, tuttavia non mancano d'audacia e osano entrare perfino nei duar onde mangiare ai poveri montoni la grossa coda, un boccone squisito e molto apprezzato dai sahariani. Anche qualche iena striata di quando in quando si mostrava sulla cima delle dune, facendo udire il suo riso sgangherato; ma all'appressarsi della carovana subito s'allontanava al galoppo. A mezzodì El-Haggar, che si era spinto innanzi alcune centinaia di metri, segnalò una linea di palme, la quale spiccava vivamente sul purissimo orizzonte. "L'oasi!" gridò, con voce giuliva. "Presto! là avremo acqua fresca e selvaggina!" Anche i cammelli avevano fiutato la vicinanza dell'acqua. Quantunque stanchissimi, affrettarono il passo, mentre i mehari non si trattenevano che a grande stento. "Ben," disse il marchese, "precediamo la carovana. Sono impaziente di godermi un pò d'ombra e di bere una buona tazza d'acqua." "Sono con voi, marchese," rispose l'ebreo. Spronarono i cavalli, lanciandoli a corsa sfrenata. Le palme ingrandivano a vista d'occhio, spiegandosi in forma d'un vasto semicerchio. L'effetto che produceva quel verde in mezzo alle aride ed infuocate sabbie del deserto era così strano, che il marchese stentava a credere d'aver dinanzi a sé delle vere piante e dubitava che si trattasse invece d'uno dei soliti giuochi del miraggio. "Si direbbe che quell'oasi sia un'isola perduta sull'oceano," disse a Ben. "Ed è anche popolata, marchese," rispose l'ebreo, rattenendo violentemente il cavallo. "Vedo dei cammelli, in mezzo a quelle piante." "Che appartengano a qualche carovana proveniente dalle regioni meridionali?" "O che siano i nostri Tuareg? Possono averci preceduti e senza difficoltà, avendo tutti dei buoni mehari." "Se sono essi daremo battaglia e questa volta non saranno gli animali che cadranno." Ben non si era ingannato. Parecchi cammelli e mehari, montati da uomini vestiti di ampi caic bianchi e coi volti quasi interamente nascosti da pezzuole legate dietro la nuca, si erano schierati dinanzi ai gruppi di datteri e di palme che formavano l'oasi. Non dovevano essere quelli che li avevano inseguiti, perché erano tre volte più numerosi e per la maggior parte armati di lance. Anche gli uomini della carovana si erano accorti della presenza di quegli stranieri. Rocco ed El-Haggar accorrevano in aiuto del marchese e di Ben, l'uno col mehari e l'altro montato sull'asino. Dieci Tuareg, preceduti da un uomo di alta statura che portava un turbante verde, un capo di certo, s'avanzavano tenendo le lance in pugno. Quando giunsero a cento passi dal marchese, l'uomo dal turbante. verde lo salutò con un "Salam-alek" molto cortese. Poi, assumendo improvvisamente un'aria spavalda, gridò: "I pozzi sono occupati da noi e per ora ci appartengono: che cosa volete quindi voi, figli del sultano del Marocco?" "Noi siamo assetati, desideriamo bere," rispose El-Haggar. "L'acqua del deserto appartiene a tutti ed i pozzi sono stati costruiti dai nostri padri." "I vostri padri li hanno abbandonati ai Tuareg e noi li abbiamo occupati. Volete bere? Sia, ma l'acqua la dovrete pagare." "Che cosa chiedi?" "Le vostre armi e la metà dei vostri cammelli." "Ladro!" gridò il marchese, che non poteva più frenarsi. "Ecco la mia risposta!" Con un rapido gesto aveva alzato il fucile, mirando il capo. Già il colpo stava per partire quando El-Melah, che era giunto guidando il cammello di Esther, si precipitò innanzi, gridando: "Amr-el-Bekr, non mi conosci più? Pace! Pace!"

Quando, dopo alcuni minuti, si volse, vide Esther stesa sulla fine sabbia della caverna, colla testa abbandonata su un braccio e le palpebre chiuse. Il seno le si alzava affannosamente, come se provasse difficoltà a respirare quell'aria infuocata che pareva priva di ossigeno. "Un pò di riposo le farà bene," disse. Si rimise in osservazione, lottando contro il torpore che lo invadeva con maggior ostinazione; quando ad un tratto chiuse gli occhi. I fragori della tempesta non giungevano che vagamente alle sue orecchie e si sentiva invadere da un torpore delizioso, che lo invitava ad abbandonarsi. Lottò ancora qualche momento, poi, vinto da un estremo languore, si lasciò cadere, mentre le sabbie, spinte dai venti, continuavano ad accumularsi dinanzi al rifugio, minacciando di seppellirlo vivo colla giovane ebrea.

Lo sapevo che non mi avreste abbandonata!" Il signor di Sartena la sollevò come se fosse una piuma, e la mise sul cavallo che conduceva, gridando: "In ritirata!" Le capanne bruciavano dappertutto. Le scintille, cadendo dovunque, facevano scoppiare nuovi incendi. I negri, atterriti, credendo forse di aver di fronte un grosso numero di nemici, erano fuggiti senza tentare la menoma resistenza, disperdendosi per la pianura. I quattro cavalieri passarono a galoppo sfrenato fra le capanne fiammeggianti e scomparvero in direzione della palude, mentre in lontananza si udivano echeggiare urla di spavento e qualche colpo di fucile. "Dove andiamo, signore?" chiese Rocco. "Sarà impossibile attraversare quel pantano." "Ne faremo il giro," rispose il marchese. I cavalli, spaventati dall'incendio che proiettava sulla pianura una luce intensa, correvano come daini, senza bisogno di essere aizzati. Giunsero in pochi minuti sulle rive dei primi stagni e piegarono a sinistra, seguendone le rive, senza che fosse necessario guidarti. Dovevano conoscere la via che forse avevano percorso molte volte per trasportare al villaggio i carichi delle scialuppe. In meno di venti minuti girarono la pianura pantanosa e raggiunsero il margine del bosco. "Cerchiamo di orizzontarci," disse il marchese. "Il fiume sta dinanzi a noi," disse Rocco. "Troveremo subito la scialuppa." Si cacciaron sotto il bosco, seguendo le rive di un ruscelletto, e si trovarono ben presto nella piccola laguna. La scialuppa era ancora là, guardata da El- Haggar e dai due battellieri. "Esther!" disse il marchese, "raggiungete l'imbarcazione. Noi faremo una battuta nel bosco, prima di prendere il largo." Discesero da cavallo, lasciando che gli animali se ne andassero liberamente, non essendo più di alcuna utilità; poi i due isolani e l'ebreo fecero il giro del bacino, sia per procurarsi dei viveri, sia per assicurarsi che non vi fossero altri negri nascosti fra le piante. "Non abbiamo nulla da temere," disse il marchese. "Gli abitanti del villaggio non temeranno più qui di certo, dopo la lezione che abbiamo loro inferta. Fra poco d'altronde noi usciremo sul fiume e ce ne andremo da questi luoghi pericolosi." "Credete che tutto sia finito?" chiese Ben. "Lo spero," rispose il marchese. "Che cosa possiamo temere ancora?" "Uhm! io non sono tranquillo, signore. Conosco l'ostinazione dei negri, e vedrete che ci aspetteranno sul Niger." I tre esploratori fecero il giro del bacino senza aver incontrato alcun negro e tornarono verso la scialuppa portando un enorme grappolo di banane e un'ottarda che Rocco aveva sorpresa in mezzo ad un cespuglio e uccisa col calcio del fucile. "Nessuno?" chiese Esther, appena li vide. "La foresta è disabitata," rispose il marchese. "Credo che potremo divorare la nostra colazione senza venire disturbati." "Ne siete ben certo, signore?" chiese il sospettoso El-Haggar, crollando il capo. "Hai udito forse qualche cosa?" "Qui no, ma verso il fiume in direzione di Koromeh mi è sembrato di udire rullare i noggara." "Quegli abitanti non possono averci veduti." "Però perlustreranno il fiume. I nostri canottieri mi hanno detto che in quella borgata vi sono moltissime scialuppe e anche grosse." "Mi pare che siamo ben nascosti, tuttavia manderemo i battellieri sulla riva," disse il marchese. "Al primo allarme ci getteremo nella foresta. Rocco, prepara la colazione." "L'ottarda è già spennata." Fu acceso il fuoco sotto un sicomoro, onde il fumo non si spandesse e venisse notato dai rivieraschi o dai canottieri di Koromeh, ed il grosso volatile fu messo ad arrostire sotto la sorveglianza del buon sardo. Una mezz'ora dopo tutti davano vigorosamente l'assalto alla deliziosa colazione, mentre verso l'opposta riva del fiume si udivano rullare cupamente i tamburi di guerra.

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