Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254897
Saltini, Guglielmo Enrico 3 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Però non crederemmo avere sodisfatto intiero l’obbligo nostro, se dopo aver parlato della Scultura, non ricordassimo quel bravo CLEMENTE PAPI, che ha fatto rivivere tra noi V arte di fondere in bronzo statue ed altri oggetti di plastica, dopo Giovan Bologna e Ferdinando Tacca quasi affatto abbandonata tra noi. Il Papi (n. in Roma il 31 agosto 1806) venne per tempo in Toscana e qua dopo ostinata perseveranza e studio indefesso, giunse ad eseguire getti di finitura e delicatezza mirabile. Nel 1837 fece il busto di un giovinetto da esso modellato sul vero; dopo di che avuto modo per favore di chi reggeva il paese, di erigere una fonderia, gettò in bronzo una statua di tutto rilievo che fu la Diana succinta, trovata a Gabi. Riprodusse quindi la Venere della villa della Petraia e il Mercurio volante della Galleria degli Uffizi, bronzi di Giovan Bologna; nel 1839 il Perseo di Benvenuto Cellini, poi la testa del David di Michelangelo, e in fine le statue del Duprè, Abele e Caino, per la reggia de’ Pitti. Tutti questi getti sono di una straordinaria bellezza, sebbene condotti e finiti nella forma, senza bisogno di altre rinettature o ritocchi, eccetto gl’inevitabili in cosiffatti lavori. I contorni delle statue rimangono tali, quali escono dalla forma, senza essere alterati da lime o ceselli. E per far meglio conoscere l’effetto di questo suo bellissimo metodo, il Papi gettò anche in bronzo piante, fiori e animali formati sul vero, la superfice dei quali non può alterarsi con ritoccature, mostrandone! conservare i più delicati rilievi e sottosquadri della forma tale maestria, non più veduta ai nostri tempi.

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Abbandonata la imitazione della natura, e la scelta di quel bello, che in gran parte nel vero risiede, volle seguitare i più strani capricci, e si ridusse una matta convenzione, quasi diremmo una parodia. Pietro Leopoldo I, salito al trono della Toscana, volle fare dipingere alcune sale della villa del Poggio Imperiale, ma in veder poi codeste pitture scoperte, ebbe ad esclamare sdegnato: «Io pago e aiuto questi miserabili, ed altri prenderà cura di far imbiancare le volte!» Non pertanto vennero i nuovi tempi per l’arte: ma noi prima di studiarne il risorgimento, vogliamo far sosta un poco, e vedere quali cose operassero questi pittori toscani dell’ottocento, non pochi di numero, nè affatto privi d’ingegno. Incominciamo dai fiorentini.

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I suoi lavori, da lui condotti con rara facilità, vuolsi che sommino a meglio di mille cinquecento: ricorderemo prima il più famoso, la Clizia abbandonata da Apollo, dal quadro di Annibale Caracci (1772); ma non meritano minor lode, la morte di lord Chatham in Parlamento, da Copley (1791); il Diploma Accademico, sul disegno dell’amico suo Cipriani; la partenza d’Abramo colla famiglia, dallo Zuccarelli; Giove e Leda, e Narciso al fonte, dal Viera; l’Orlando e Olimpia e la Vergine del silenzio, dal Caracci; Didone sul rogo, da un disegno del Cipriani; e la Circoncisione, dal Guercino. Invitato in Portogallo (1806) dal principe reggente, morì pochi anni appresso a Lisbona in povero stato.

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