Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonarsi

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Fisiologia del piacere

170760
Mantegazza, Paolo 7 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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Le trepide paure del pudore, le leggi severe dell'opinione pubblica, le abitudini solitarie della famiglia le pongono ostacoli da ogni parte ad amare, ma la prepotenza del bisogno vince ogni cosa; e, dapprima peritosa, poi riservata, infine confidente, appassionata, si getta a precipizio giù per la china della passione, per abbandonarsi coll'impeto più veemente alle richieste del cuore. È uno spettacolo che commuove insieme e sorprende quello della donna che, debole e soggetta, si fa forte e sovrana quando è infiammata dal sacro fuoco dell'amore. Nell'esaltazione del sentimento, nelle sublimi imprudenze del coraggio, e nei temerari impulsi del cuore di una donna, si vede ad ogni istante una forza gigantesca che sempre risorge più impetuosa e più forte, per spiccare nuovi voli e ritentare prove più perigliose e più ardite. Chi ha conosciuto una donna innamorata e ha saputo intenderla, non può nè deve sprezzare un essere, che merita di stare a livello del sesso più forte per gli slanci del cuore. All'uomo lo scettro, alla donna la corona; ma sovrani entrambi, che reggono con eguali diritti d'impero due esistenze. Nessuno primo, nessuno secondo; l'uno è re dell'intelletto, l'altra regina del sentimento. Non si ama, come è stato già detto, che nell'età feconda. Le gioie che può dare il sentimento dell'amore prima dei quattordici anni e dopo i cinquanta, sono nei nostri paesi pallide ombre o giuochi di fantasia. I fiori più splendidi e più profumati dell'amore si colgono nella giovinezza, quando ci si abbandona alla prima passione col cuore vergine e coi tesori del sentimento ancora incorrotti. Si ama in tutti i paesi e in tutti i tempi; ma credo che la civiltà abbellisca queste gioie di molti delicati ornamenti, ed è innegabile l'influenza che esercitano su questi piaceri le diverse condizioni sociali. Tutti possono nella vita passare qualche istante di piacere con una persona di sesso diverso, ma non tutti possono amare. Per provare questa passione in tutta la sua perfezione fisiologica bisogna avere nel cuore un certo materiale di forza e di fuoco che non tutti posseggono. Per godere le maggiori gioie di questo sentimento bisogna prenderlo a grandi dosi alla volta. La donna e i più generosi amatori tracannano quasi sempre la tazza dell'amore in un sol fiato, sicchè non possono inebbriarsi che una sola volta nella vita; e se amano ancora, non è che spandendo sopra qualche creatura le ultime stille di affetto rimaste nel fondo del calice. Alcuni altri, invece, sono per natura tanto spilorci, che libano sempre a sorsi e a centellini. Questi usurai dell'amore dicono di essere stati innamorati centinaia di volte, e negli archivi polverosi delle loro memorie conservano pacchi di letterine profumate e spasimanti, ciocche di capelli e residui di fiori secchi. Essi però non hanno mai amato. La natura non concede che una sola tazza del nettare dell'amore, e per inebbriarsi bisogna vuotarla di un sorso. Chi mostra di bevervi continuamente, o finge o fa da barattiere, diluendo coll'acqua il santo liquore. Vi sono però alcuni genii o mostri del cuore, che sanno mare più volte e sempre più caldamente, ma sono vere eccezioni.

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Quando però i dispetti non oltrepassano una certa misura di decente moderazione, bisogna tollerarli, e perdonare ai loro autori, perchè essi provano un vero stimolo insopprimibile, un bisogno invincibile di abbandonarsi a questi innocenti piaceri. Per quanto innocente, il dispetto è un'azione immorale, ci procura un piacere che derive da un dispiacere altrui. Se la nostra vittima non s'accorge del nostro dispetto, o non dà segno di avvedersene e di soffrirne, noi godiamo poco o nulla; è la gioia invece tanto più viva, quanto più doloroso è lo stupore, e ridicola la posizione del nostro avversario; non si può quindi negare che questa gioia sia colpevole. Si comprende sotto il concetto di odio un'infinità di elementi diversi, dei quali alcuni spettano ai delitti, ed altri agli affetti che confinano coi sentimenti più nobili e generosi. Vi sono odii grandi e quasi perdonabili, come vi sono odii così piccoli che si compatiscono e ci fanno ridere. A questi spettano le compiacenze del far dispetti. Un'altra gioia meno innocente consiste nella smania della distruttività, che si svela sotto la forma più innocente nel bisogno di rompere, di tagliare, di demolire. L'uomo che ne è affetto, e che può essere il primo galantuomo del mondo, si arresta nel suo cammino per rompere un coccio di argilla, per mozzare alle pianticelle dei prati i fiori più belli, o sfrondare con rabbiosa compiacenza i rami d'un arbusto. Se la distruttività cresce di un grado, gli esseri inanimati non ci bastano, e allora schiacciamo con piacere i poveri insetti che il caso invia sotto i nostri passi, o godiamo nello strappare ad una ad una le ali di una farfalla. In qualche caso la manìa di distruggere o di uccidere si accresce con furore. Se ne ha un esempio in un giovane di delicato sentire e di miti costumi, obbligato dal caso a svenare una mezza dozzina di polli. Egli si accinse a questa operazione senza ripugnanza, ma con tutta calma e tutta indifferenza. Non abituato a tale macello, fece soffrire innocentemente una lunga agonia alla prima vittima, e gli aneliti del pollo incominciarono a turbarlo. Si accinse alla seconda esecuzione colla mano tremante; e involontariamente si soffermò a contemplare le vicende dell'agonia, e la mano intenta sentì le scosse della vita che sfuggiva e l'umidore del sangue. Ammazzò il terzo con crudeltà e con gioia; e fuori di sè, tutto tremante si gettò sulle ultime vittime da furibondo, tagliando e sbranando, sicchè una di esse fu fatta a pezzi. Lo sgozzatore, in mezzo ai cadaveri e ai moribondi, con le mani palpava avidamente le viscere ancora calde. Egli godè una crudele gioia, ed io che lo vidi ne ebbi paura. L'innocente sanguinario mi confessò che il sangue sparso lo aveva eccitato; e che egli avrebbe ucciso altre centinaia di vittime con voluttà. Aggiunse ancora che in mezzo a quel furore era stato assalito da un accesso di libidine. Questo fatto ha una grande importanza, perchè fa prevedere che l'istinto dell'assassinio e la facoltà di generare, devono aver nel cervello un rapporto anatomico o fisiologico. La storia, d'altronde, ci mostra come fra gli orrori del saccheggio, la crudeltà si associ sempre alla più sfrenata libidine, e come dal sangue delle vittime sorgano fumi che accecano la mente, cambiando l'uomo in un bruto che fa paura e ribrezzo.

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Alcuni provano un piacere così grande nel ricopiare alcuni frammenti dei libri che leggono, o nel farne un riassunto, che leggono quasi soltanto per poter abbandonarsi poi alla loro passione. Questo piacere è più naturale nei vecchi, e quando si trova nei giovani è quasi sempre indizio sicuro di precoce prudenza o di debolezza di memoria. Il lavoro intellettuale che procura le gioie più vive è la creazione, sia che a un tratto la nostra mente venga solcata da una verità luminosa che inaspettata l'attraversa, sia che lo sguardo paziente dell'intelligenza riesca a scoprire una scintilla in mezzo a una profonda oscurità. L'istante della scoperta è uno dei momenti più deliziosi della vita. I piaceri dell'osservazione e delle piccole scoperte costituiscono quasi tutta l'attrattiva delle scienze naturali, le quali sono feconde di tanta gioia, che bastano da sole a riempire un'intera esistenza. Sono piaceri calmi e sereni che si mantengono imperturbati sotto le intemperie dell'età e della politica. Il maneggiare la materia e il cambiarne la forma è uno dei più originali e primitivi piaceri che si provano nelle belle arti e nei lavori meccanici. Queste gioie possono costituire un gruppo naturale di piaceri, ch'io chiamerei plastici, i quali constano sempre dell'azione di una forza intellettuale associata all'esercizio del senso del tatto e spesso anche di quello della vista. I piaceri matematici possono formare un'altra classe molto naturale nel mondo delle gioie mentali. Essi sono freddi e calmi, ma possono salire a un grado straordinario di forza. Quasi sempre il profondo matematico prova la deliziosa coscienza di un ordine invariabile e di un meccanismo di rapporti, del quale egli conosce a fondo le leggi e regola i movimenti. Le scoperte impreviste, ch'egli fa nelle sue ricerche, scattano altrettante scintille, che ravvivano la fiamma calma del piacere ch'egli prova, e la certezza della verità suggella poi la gioia colla più sublime delle ricompense. Egli ha il diritto di chiamarsi il più sicuro fra tutti gli operai della grande officina intellettuale. I piaceri della lettura, della compilazione e della creazione si associano fra loro e costituiscono le gioie dei lavori letterari e filosofici, nei quali mancano quasi sempre gli altri elementi plastici e matematici. I piaceri dell'osservazione, associandosi a una piccola proporzione di gioie plastiche, formano l'attrattiva dei lavori di anatomia, di fisica, di chimica e di medicina. I piaceri plastici, combinati coi matematici, formano la delizia degli ingegneri, degli architetti e dei meccanici.

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L'esercizio di una data facoltà e dei relativi piaceri tende a perfezionarli sempre più in questi, per cui spesso diventano insensibili ad altri piaceri, che hanno trascurati per abbandonarsi alle gioie predilette. Qualche volta la monomania cresce a tal segno da far loro avere in odio alcuni piaceri, che pur sono innocentissimi, ma che hanno l'unico torto di non essere i loro prediletti. La maggior parte degli uomini però è dotata in proporzione mediocre di tutte le facoltà, e nessuna predomina in modo prevalente, per cui anche i piaceri si riducono a una media proporzionale che si può adattare a quasi tutta la massa delle generazioni di ogni tempo e di ogni paese. Molti individui non si dànno la briga di cercare una formula di piacere che si adatti ai propri bisogni. Alcuni arrivano perfino alla ridicola enormità di voler godere secondo un celebre autore. Queste però sono eccezioni mostruose, e, in generale, l'opinione pubblica, facendo da cerretano, vende a buon patto, a quasi tutti gli uomini volgari, alcune formule di piacere che si adattano ai tempi che corrono.

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Le isteriche che sgretolano sotto i denti con infinito piacere un pezzo di carbone, o che si nascondono per abbandonarsi con trasporto a un lauto pasto di cenere, di terra o di calce, provano piaceri morbosi. Il piacer patologico in ogni caso è prodotto da un vizio congenito o avventizio e passeggero dell'organismo. Un signore bergamasco era privo affatto del senso dell'olfatto e quasi interamente di quello del gusto; egli non sentiva che il sapore dolce, per cui teneva sempre sulla tavola un'abbondante quantità di zucchero, col quale condiva la minestra, il manzo, il salame ed ogni vivanda che non fosse dolce per se stessa.

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Chi ha osservato un fumatore di buon gusto nell'atto che fa i suoi preparativi per abbandonarsi al prediletto piacere, deve ammettere che quel momento è delizioso: e non può essere altrimenti, dacchè la speranza di godere e la compiacenza di farne i preparativi con le proprie mani e senza fatica, sono elementi che devono produrre una sensazione piacevole. Del resto, basta osservare il giovane fumatore nell'atto di prepararsi a fumare una sigaretta. II secondo elemento cha entra a far parte di questo piacere tanto complesso è la sensazione del gusto, la quale nella pipe si limita al sapore del fumo, e nel sigaro consta anche della sensazione della saliva che imbeve le parti solubili delle foglie del tabacco. Le infinite varietà dell'acre e dell'aromatico formano mille combinazioni di piaceri conosciute a fondo soltanto dai consumati fumatori. In generale però i nervi gustatori e tattili della bocca sono in uno stato di irritazione piacevole, di vero orgasmo, e l'uomo gusta senza nutrirsi. Il senso tattile delle labbra e dei muscoli della bocca concorre pure al piacere nei moti alterni e delicati che sono necessari ad aspirare il fumo, a ritenerlo nella bocca e a farlo uscire in volute. L'olfatto ha grandissima parte in questo piacere, ma certamente meno degli altri elementi. In ogni modo non è indispensabile, perchè si può essere privi interamente dell'olfatto e quasi del gusto, e provar piacere nel fumare. Il profumo del tabacco, d'ordinario, viene aspirato dalle narici col fumo che esce dalla bocca; ma può passare anche dal retrobocca nel naso per le fossa nasali. Quelli che sanno fare uscire in colonne il fumo dal naso, provano anche il piacere d'una leggera irritazione della pituitaria, al quale si unisce la compiacenza di un giuoco bizzarro. La vista paga il suo tributo ai fumatori, svagandoli cogli scherzi della lenta combustione e delle vicende presentate dal fumo che sale in volute per l'aria. Gli effetti fisiologici della nicotina e degli altri principii volatili odorosi che vengono assorbiti e che agiscono a preferenza sul sistema nervoso, hanno pure una grande influenza sui piaceri del fumare, e vi contribuiscono specialmente col facilitare la digestione e coll'indurre la sensibilità generale in uno stato particolare di torpore eretistico, che può arrivare fino alla voluttà. I novizi vengono intossicati e soffrono; gli adepti s'inebbriano e se sono molto sensibili, provano in tutta la superficie cutanea un senso di tepore particolare o di prurito leggero molto piacevole. Infine i veterani provano una sensazione indefinita di benessere che li esalta. Tutti questi piaceri però non esistono da soli, ma si combinano fra loro in un accordo che li unifica e armonizza, formando un'unica sensazione piacevole. Sono futili tutte le questioni che si agitano ogni giorno sulla vera essenza del piacere del fumare, e se esso spetti al gusto, all'olfatto o alla vista. Nessuno di questi sensi gode da solo, ma concorre nella sua parte a produrre il piacere. L'elemento però che collega tutti i piaceri in un solo, facendo, direi quasi, da cemento, è il piacere di far qualche cosa, di esser distratto di quando in quando dal lavoro, o di interrompere l'ozio. L'ozio completo è insopportabile anche ai più inerti; ma il lavoro stanca e piace a pochi. Ora il fumar tabacco è una vera transazione, un vero trattato di pace tra l'inerzia e l'attività, fra l'odio al lavoro e l'avversione all'ozio. I più volgari, e quindi anche i più numerosi fumatori, non hanno mai saputo trovare nel fumare altro piacere che questo. In ogni modo i piaceri del fumare non sono patologici per la più parte degli uomini. I piaceri dell'olfatto, per quanto siano labili, sono troppo trascurati nei progressi della civiltà, ed essi non hanno ancora dato luogo a invenzioni relative di qualche importanza. In Europa il limitato uso del tabacco, le essenze di cui profumiamo i nostri abiti, e il tributo che ci offre l'orticoltura colla coltivazione di piante odorose, sono gli unici sollievi concessi a questo senso. In Oriente il naso è meno dimenticato che da noi, e nelle camere dei ricchi ardono profumi deliziosi. Queste gioie però sono elementari, e non costituiscono ancora un complesso di mezzi atti a produrre veri piaceri olfattivi. La civiltà futura riempirà questa lacuna? L'armonia e la melodia degli odori devono esistere, come esiste l'accordo in tutte le altre sensazioni.

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Fino ai primi gradi dell'ebbrezza, noi possiamo assistere allo spettacolo di un eccitamento di tutte le nostre facoltà; ma, più tardi, l'esaltazione disordinata ed eccessiva di alcuni piaceri trascina con prepotenza la ragione in una sarabanda, in cui i fremiti confusi portano ad una frenesia di sensi, nella quale tutti gli elementi del bene e del male, rotte le dighe che li rinchiudevano, vengono a darsi la mano per abbandonarsi in comune alla più sfrenata licenza. Un altro carattere generale dei piaceri dell'ebbrezza, che ne costituisce la fisonomia caratteristica, è quella di dominare tutti i vasti campi della mente e del cuore in modo da scacciarne le cure importune, le segrete angosce del presente, o i rimorsi del passato.

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Come presentarmi in società

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