Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Se non ora quando

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Levi, Primo 1 occorrenze

Non vorrai mica abbandonarlo. Oltre a tutto ci serve, metà dei bagagli li porta lui. Gedale si rivolse di nuovo a Piotr: _ Che treni passano su questa linea? _ Treni merci, quasi tutti; a volte c' è a bordo anche qualche passeggero, gente che fa la borsa nera. Se portano materiale per i tedeschi, sono scortati, ma non è mai una grossa scorta: due uomini sulla locomotiva e due in coda. Tradotte militari di qui non ne passano mai. _ Qual è la stazione più vicina? _ È Kolki, quaranta chilometri a sud: è una piccola stazione. _ C' è il piano caricamento? _ Non lo so. Non ricordo. Intervenne Dov: _ Ma perché ci vuoi far prendere il treno? Gedale rispose con impazienza: _ E perché non dovremmo prenderlo? Camminiamo da più di mille chilometri; e la ferrovia è a due passi; e insomma io voglio entrare in terra polacca in una maniera che la gente si ricordi di noi. Ci pensò su un momento e aggiunse: _ Abbordare un treno in stazione è troppo pericoloso. Bisogna fermarlo in aperta campagna, ma allora il cavallo non può salire. Ecco, il grosso dei bagagli li prendiamo noi, tanto la tappa è breve; tu Pavel vai avanti col cavallo e ci aspetti a Kolki. Pavel non era convinto: _ E se non arrivate? _ Se non arriviamo ci vieni incontro col cavallo. _ E se il piano caricamento non c' è? Gedale scosse le spalle: _ E se, e se, e se! Solo i tedeschi prevedono tutto, ed è per questo che perdono le guerre. Se non c' è ci arrangeremo. Vedremo sul posto, il modo non ci mancherà. Parti, Pavel; ricordati che sei un contadino, e non farti vedere troppo nell' abitato. Da queste parti, i tedeschi i cavalli li requisiscono. Pavel partì al trotto, ma era ancora in vista quando il Tordo ricadde nel suo solenne passo abituale. Gedale e i suoi si misero in marcia e in poco più di due ore raggiunsero la ferrovia. Era a un solo binario, e tagliava la prateria da un orizzonte all' altro diritta come un raggio di luce. È facile confondere la speranza con la probabilità. Tutti si aspettavano che il treno venisse da nord e fosse diretto al confine polacco; dopo qualche ora di attesa lo videro invece arrivare da sud. Era un merci e viaggiava lentamente. Gedale fece appostare uomini armati dietro i cespugli ai due lati dei binari, poi, in maniche di camicia e disarmato, si pose fra le rotaie sventolando uno straccio rosso. Il treno rallentò e si fermò, e dalla cabina di guida incominciarono immediatamente a sparare. Gedale scattò via in un lampo e si defilò dietro un nocciolo; tutti gli altri risposero al fuoco. Mendel, mentre anche lui sparava cercando di centrare le feritoie della locomotiva, ammirò la preparazione militare dei gedalisti. Da quanto aveva visto delle loro maniere fino a quel momento, si sarebbe aspettato che fossero spericolati, come infatti erano; ma non aveva previsto la precisione e l' economia del loro fuoco, e la tecnica corretta con cui si erano disposti. Sarti, copisti e cantori, diceva la loro canzone: ma avevano imparato presto e bene il loro nuovo mestiere. L' inesperto e lo spaurito si riconoscono subito, perché cercano il riparo massiccio, la roccia o il grosso tronco, che proteggono sì, ma impediscono di spostarsi e di sparare senza esporre il capo. Invece tutti si erano appiattati dietro cespugli folti, e sparavano attraverso le foglie, spostandosi spesso per disorientare l' avversario. Anche la scorta del treno, al riparo delle lamiere, sparava preciso e fitto: dovevano essere almeno quattro uomini, e non facevano economia di munizioni. Nel vagone di coda, invece, non c' era difesa. Mendel vide a un tratto Mottel balzare fuori ed avventarsi al convoglio. In un attimo si arrampicò sul tetto dell' ultimo vagone; lassù era al riparo, e del resto dalla cabina non lo avevano visto. Aveva appesa alla cintura una granata a mano tedesca, di quelle a forma di clava, che esplodono a tempo, e correva verso la locomotiva di vagone in vagone, saltando le giunzioni. Quando fu sul tetto del primo vagone lo si vide strappare l' innesco della granata e aspettare qualche secondo; poi, con la granata stessa, ruppe il vetro del lunotto della cabina e lasciò cadere la granata nell' interno. Ci fu l' esplosione ed il fuoco cessò. Nella cabina trovarono che i tedeschi della scorta erano solo tre; uno era ancora vivo, e Gedale lo finì senza esitare. Anche il macchinista e il fuochista erano morti; peccato, disse Gedale, loro non c' entravano e ci sarebbero stati utili: beh, chi serve i tedeschi ha dei rischi e lo sa. Faceva il broncio come un bambino. L' iniziativa di Mottel era stata brillante ma aveva guastato i suoi piani: _ E chi la fa muovere, adesso? Chissà la tua bomba che guai ha combinato sulle leve di comando; e oltre a tutto bisogna invertire la marcia. _ Tu, comandante, sei una testa dura e non sei mai contento, _ disse Mottel che si aspettava un elogio. _ Io ti regalo un treno e tu mi critichi. Un' altra volta voi andate all' attacco e io accendo la pipa. Gedale non gli diede ascolto, e disse a Mendel di salire in cabina e di vedere se se la cavava a rimettere la macchina in moto. Altri uomini intanto stavano ispezionando il convoglio. Ritornarono delusi: non portava roba pregiata, solo sacchi di cemento, calce e carbone. Gedale fece sgomberare dal cemento due vagoni coperti, per gli uomini e per il cavallo: non aveva abbandonato l' idea della scampagnata ferroviaria. Era molto eccitato; ordinò di tagliare tutti i sacchi col coltello, poi ci ripensò e ne fece accatastare un buon numero fra i binari davanti alla motrice: _ Con meno fretta si sarebbe potuto fare un buon lavoro; ma anche così, con un po' di pioggia e un po' di fortuna, farà un bel blocco _. Poi salì in cabina da Mendel: _ Allora? Che cosa mi sai dire? _ Una locomotiva non è un orologio, _ rispose Mendel seccato. _ Nu, sempre ingranaggi sono, e la tua non è una risposta. Una locomotiva non è un orologio, e un orologiaio non è un ferroviere, e un bue non è un porco, e uno come me non è un capobanda, ma fa il capobanda e lo fa meglio che può; anzi, fa il capobandito _. Qui Gedale rise, di quel suo riso facile che rischiarava l' aria in un attimo. Rise anche Mendel: _ Adesso scendi, che proviamo. Gedale scese e Mendel armeggiò fra i comandi. _ Attento, ora do il vapore _. Il fumaiolo sbuffò, i respingenti gemettero, e il convoglio si spostò a ritroso di qualche metro; tutti gridarono "urrà", ma Mendel disse: _ C' è ancora pressione in caldaia, ma durerà poco. Non basta il macchinista, ci vuole anche il fuochista _. Quanto erano efficienti i gedalisti nel combattimento, altrettanto erano confusionari nelle scelte di pace. Nessuno voleva fare il fuochista; dopo un' intricata discussione, a Mendel fu assegnata come aiutante una donna, che però era forte come un uomo: Ròkhele Nera, che doveva scontare una punizione perché diversi giorni prima, nel corso della pulizia delle armi, aveva smarrito la molla di un moschetto. Si chiamava Ròkhele Nera per distinguerla da Ròkhele Bianca: era scura in viso come una zingara, magra e svelta. Aveva gambe lunghissime, lungo anche il collo, che reggeva un piccolo viso triangolare illuminato dagli occhi ridenti ed obliqui. Portava i capelli neri raccolti in una crocchia. Era anche lei una veterana di Kossovo, benché avesse poco più di vent' anni. Ròkhele Bianca invece era una creatura semplice e mite, che non parlava quasi mai, e quando parlava lo faceva con voce così bassa che si stentava a capirla. Per questi motivi nessuno sapeva nulla di lei, né lei sembrava desiderosa di far sapere qualcosa a qualcuno: seguiva passivamente il cammino della banda, obbediva a tutti e non protestava mai. Veniva da un remoto villaggio della Galizia ucraina. Mendel mostrò alla Nera come doveva fare per alimentare la caldaia, tutti gli altri salirono sui due vagoni liberi e il treno si mosse, spinto invece che trainato. Mendel bloccò la manetta del vapore su una velocità molto bassa, perché dalla cabina non poteva vedere la via. Jòzek si era installato col mitra nell' abitacolo del frenatore, sull' ultimo vagone che ora era il primo, e faceva da battistrada; ogni tanto si sporgevano entrambi, e Jòzek segnalava a Mendel se la via era libera. La fuochista rideva come a un gioco e impalava carbone con entusiasmo infantile; in breve fu tutta sudata, e nera sul serio, da capo a piedi, tanto che occhi e denti brillavano come fanali nel buio. Mendel, invece, non si divertiva affatto. La soddisfazione per aver domato quel bestione meccanico si spense presto; il sangue sul pavimento di lamiera lo metteva a disagio, si sentiva inquieto per quella marcia fatta quasi alla cieca, e l' intera impresa gli sembrava una follia gratuita e un' imprudenza estrema. Non capiva quali lontane intenzioni avesse Gedale. A metà strada si dovette convincere che Gedale aveva raramente intenzioni lontane, e preferiva improvvisare: si era sporto dal vagone e gli faceva cenno di fermare. Fermò, e scesero tutti e due. _ Senti, orologiaio, mi è venuto in mente che sarebbe bene danneggiare questo treno più che possiamo. Che cosa si può fare? _ Qui, proprio niente, _ rispose Mendel. _ Se andassimo per diritto invece che a rovescio, potremmo sganciare i vagoni e bloccarli in qualche modo, ma così è un altro discorso. Ecco, il solo lavoro che si può fare è di ribaltare le sponde dei vagoni scoperti; così, con le scosse, tutta la calce e il carbone finiranno sparsi sulla scarpata. _ E i vagoni stessi e la locomotiva? _ Ci penseremo dopo, _ disse Mendel. _ Quando tu ne avrai avuto abbastanza. Gedale ignorò la provocazione, mandò tre uomini a ribaltare le sponde, e il treno ripartì seminando allegramente il materiale dai due lati. Arrivarono a Kolki nel primo pomeriggio, e i vagoni erano quasi vuoti: Pavel col cavallo li aspettava sul piano caricamento. Nella stazioncina non c' era nessuno, salvo il capostazione, che però vide il mitragliatore in mano a Jòzek, fece una specie di saluto militare e si ritirò. Mendel frenò, caricò in un istante Pavel e il Tordo, e ripartì. Gedale era felice, e fece segno a Mendel di andare avanti, e più in fretta: "A Sarny! A Sarny!" Al di sopra dello strepito della macchina, dai due vagoni arrivavano fino a Mendel grida e canti, e i nitriti di Tordo spaventato. Poco dopo fu Mendel che prese l' iniziativa di fermare il treno presso un fiumiciattolo che solcava la steppa disabitata. Non solo per riposarsi e per dar modo a Ròkhele di lavarsi un poco, ma anche per avvisare che l' acqua del serbatoio stava per finire. Tutti si misero al lavoro, facendo la spola al fiume con i pochi recipienti disponibili: qualche pentola di cucina e un secchio trovato sulla motrice. L' operazione andava per le lunghe, e Mendel ne approfittò per ascoltare Pavel, che stava raccontando quanto aveva visto a Kolki. _ Non abbiamo corso nessun rischio, né il cavallo né io. Nessuno si è occupato di noi né ci ha rivolto la parola, eppure credo proprio che nessuno mi abbia preso per un contadino. Tedeschi non ne ho visti; ci devono pur essere, perché davanti al municipio c' erano i loro manifesti di propaganda, ma in strada non si fanno vedere. La gente non ha più paura di parlare, o ne ha meno di prima; sono entrato in un' osteria, c' era la radio accesa, e la voce era quella di Radio Mosca: diceva che i russi hanno ripreso la Crimea, che tutte le città tedesche sono bombardate di giorno e di notte, e che in Italia gli alleati sono alle porte di Roma. Ah, come è bello passeggiare nelle strade di un paese, vedere i balconi con i vasi di fiori, le insegne dei negozi, le finestre con le tendine! Guardate che cosa vi ho portato: l' ho staccato io dal muro, ce n' è su tutte le cantonate. Pavel mostrava in giro un manifesto, stampato in grossi caratteri su brutta carta gialliccia, in russo e in polacco. Diceva: "Non lavorate per i tedeschi, non date loro informazioni. Chi fornirà grano ai tedeschi verrà ucciso. Lettore, ti stiamo spiando; se strappi questo manifesto ti spareremo". _ E tu lo hai strappato? _ chiese Mottel. _ Non l' ho strappato, l' ho staccato: è un' altra cosa. L' ho staccato con rispetto, chiunque si sarebbe accorto che lo portavo via per farlo vedere a qualcuno; e difatti non mi hanno sparato. Vedete? è firmato dal Reggimento Stella Rossa: comandano loro. _ Comandiamo anche noi, _ interruppe Gedale con impeto. _ Entreremo a Sarny a modo nostro: in modo da farci ricordare. Chi conosce Sarny? La conosceva Jòzek, che ci aveva fatto il servizio militare nell' esercito polacco: una cittadina modesta, forse ventimila abitanti. Qualche fabbrica, una filanda e un' officina per la riparazione del materiale ferroviario. La stazione? Jòzek la conosceva benissimo perché ci era stato di presidio poco prima che scoppiasse la guerra; Sarny era l' ultima città polacca prima della frontiera, i russi ci erano entrati senza combattere, subito dopo l' inizio delle ostilità. Era una stazione abbastanza importante, perché ci passava la linea per Lublino e Varsavia, e per via dell' officina di riparazioni. C' era un gran capannone e una piattaforma girevole, appunto per avviare le locomotive all' officina. Gedale si illuminò, e disse a Mendel: _ La tua macchina farà una fine gloriosa _. Mendel disse che sperava di non farla anche lui. Gedale fece fermare il treno a notte, all' imbocco dello smistamento, e fece scendere tutti dai vagoni. Il cavallo, impaurito dal buio, si imbizzarrì: rifiutava di scendere, tentava di inalberarsi, nitriva convulso e scalciava contro la parete di fondo del vagone. Lo tirarono e spinsero, alla fine si decise a saltare, ma atterrò malamente rompendosi una zampa anteriore; Pavel si allontanò senza dire parola, e Gedale lo finì sparandogli nella nuca. Anche la stazione di Sarny sembrava deserta: nessuno reagì allo sparo. Gedale disse a Mendel di spingere i vagoni su un binario laterale, e a Jòzek e Pavel di andare avanti cauti, e di deviare gli scambi in direzione della piattaforma; tornarono a lavoro compiuto, e riferirono che il ponte della piattaforma era in posizione trasversale rispetto al binario di arrivo: benissimo, disse Gedale. Avrebbe mandato la locomotiva a fracassarsi nella fossa della piattaforma, l' officina sarebbe rimasta bloccata per almeno un mese. _ Non sei convinto, orologiaio? Ti ci sei affezionato, eh? Un poco anch' io, ma ad andare più avanti non mi fido, e non la voglio regalare ai tedeschi. E ti dirò una cosa che ho imparata nei boschi: le imprese che riescono meglio sono quelle che il tuo nemico non crede che tu possa fare. Su, spingi via i vagoni, metti in moto la macchina e salta giù. Mendel obbedì. La locomotiva senza equipaggio sparì nel buio, visibile soltanto per le faville che scaturivano dal fumaiolo. Tutti aspettarono col fiato sospeso; pochi minuti dopo si udì un fracasso di lamiere sfondate, un rombo di tuono, e un sibilo acuto che andò estinguendosi lentamente. Ululò una sirena d' allarme, si sentirono voci concitate, i gedalisti fuggirono in silenzio verso la campagna. Mentre camminava a tentoni, nel buio dell' oscuramento, inciampando nelle rotaie e nei cavi, ronzavano nella testa di Mendel, incongrue, le parole della benedizione dei miracoli: "Benedetto sii Tu o Signore Dio nostro, re del mondo, che hai fatto per noi un miracolo in questo luogo". In questo modo la banda di Gedale segnò il suo ingresso nel mondo abitato.

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