Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il cappello del prete

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Sentendo che le forze stavano per abbandonarlo, ebbe piú paura della sua debolezza che del morto. Se egli si lasciava vincere e cadeva estenuato, era perduto. Da quando in qua aveva imparato ad avere paura dei cani? Aveva egli parlato a quel cane? Come poteva dire di non temere lo spettro di Banco, se la vista d'un cane lo spaventava tanto? Guardò ancora una volta con occhio di sfida per tutti gli angoli del cortile, nella stalla, nella legnaia... Nulla. Ma aveva paura a tornare indietro, paura di quel cane. Dio non aveva accettato il suo patto, segno che Dio non esiste. Altrimenti avrebbe avuto compassione. Bisognava cominciare da capo e soprattutto non perdere la testa. Bisognava ragionare, ragionare. Salvatore era morto due o tre giorni dopo il fatto e d'un colpo improvviso. In quei due o tre giorni nel suo lungo far nulla poteva esser passato dal cortile e aveva raccolto il cappello. O forse l'aveva portato in casa il suo cane... A questa idea corse fuori in giardino. Se avesse potuto parlare quel maledetto cane! Trovato il cappello, nulla di piú naturale che Salvatore lo portasse intanto in camera sua. "U barone" corse a vedere nella stanza. Il morto non aveva lasciato che il canterano, e il fusto del letto con un pagliericcio. Aprí un cassettone e non vi trovò nulla. Aprí un altro, un terzo, guardò sotto il canterano, sotto il letto, toccò, palpò il pagliericcio da tutte le parti... Nulla. Allora tornò fuori in giardino. Il cane poteva benissimo aver portato il cappello in giardino o nella vecchia serra dei fiori. "U barone" fece il giro del giardino, entrò nel boschetto, cercò presso la fontana, corse in serra, dove era la cuccia del cane, e non vi trovò che delle ossa spolpate. In preda a uno spaventoso parossismo, che gli impediva di fermarsi, entrò nel palazzo e cominciò a correre per le vuote stanze, guardando in ogni angolo; risalí, dopo tanti anni che non vi poneva il piede, l'antico scalone sparso di calcinacci, traversò una lunga fuga di sale quasi cadenti, infilò delle scalette, discese in luoghi non mai visti, persuaso già di non potervi trovar nulla, ma cacciato dalla sua paura, dalla sua irragionevole curiosità, dal desiderio acuto e pungente di mettere la mano su quel maledetto cappello che si sottraeva al suo dominio. Una volta si arrestò e si chiese: - E non l'avrei io sepolto col suo padrone? E si chiese ancora se si sentiva pronto per comperare la pace di rimovere di notte il mucchio dei mattoni, di rimovere tutta quella sabbia, di sollevare la pietra, di guardare... Ma egli era troppo sicuro che non aveva piú cappello quella testa rotta quando scese nella tomba... Come se queste idee fossero la peste, "u barone" fuggí innanzi a loro, saltò sul cavallo, uscí e si ricompose nella sua abituale rigidezza, quando vide venire incontro il segretario. Questi chiuse il cancello e consegnò con molto ossequio la chiave al signore, che non volendo partire senza aprire la bocca, uscí con queste parole: - Che cosa avete detto del nipote di Salvatore? - Che gli ho consegnato certe robe ch'erano nella stanza del defunto... - Ah! - esclamò "u barone" aprendo la bocca a una enfatica esclamazione. - E dove abita questo giovinotto? - Alla Falda, eccellenza, all'osteria del Vesuvio!... Il cavallo si mosse lentamente. Splendeva un bellissimo sole, e l'aria, lavata dalla recente pioggia, mandava un mite bagliore celeste.

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