Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Malombra

670417
Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

Allora comincia intorno a questa ipotesi il paziente lavoro logico della ragione per veder se combaciano con le verità note e tra loro, per modificarle, abbandonarle ove occorra. Certo neppur con questo procedimento si spiegano i misteri, ma si ottiene però qualche volta il risultato mirabile d'indicarli dove la Rivelazione ci dice che realmente sono, presso a poco come quel pianeta indicato da un astronomo là dove poi fu visto. E allora sopravviene la fede, se non è giunta prima. So cosa rispondono i suoi razionalisti." "Ooh!" disse Steinegge come per iscusarsi. Un veemente soffio calò stridendo sui rovi del sasso, mise nel bosco una follìa frenetica, uno strepito che impediva di udire le parole. Don Innocenzo sempre acceso in viso, non potendo parlare, scoteva l'indice teso verso Steinegge, intendendo di dire che la risposta dei razionalisti non valeva nulla; poi alzò la testa, quasi a guardar in faccia quel diavolo di vento saltato senza riguardo in mezzo alla discussione per soffocarvi le buone ragioni, come un gran chiasso e un voto di volgo sovrano. Appena pot é, proseguì a parlare. "I razionalisti rispondono che questo modo di argomentare può essere buono per chi lo adopera, ma non prova nulla, non può servire a stabilire la verità. Stoltezza. Per essi non può servire, che sono induriti nel loro gretto sistema impotente, per altri sì. Noi parleremo e leggeremo, caro amico. Io spero di arrivare a persuaderla, con l'aiuto di Dio, che vi è una bellezza nella verità in cui si commuove e si appaga, non il cuore solo, ma tutta l'anima umana; una bellezza che noi possiamo vedere solamente in ombra e per immagine, ma con qual divino piacere! Vedere, sia pure in confuso, gli occulti accordi, le convergenze fra il creato e l'increato, per esempio fra i misteri più eccelsi della Divinità e i misteri più reconditi delle anime! Meditiamo e contempliamo insieme, sì. E adesso basta; non Le dico altro." "Caro amico" rispose Steinegge sospirando "può essere che Voi parlate molto bene, ma Voi non conoscete me. Questo che mi proponete sarebbe assai buono per un giovane, il quale sente bisogno di muovere il suo pensiero, ha una grande curiosità di mente e si compiace più di aver fatto da sé una piccola scoperta con travaglio, che di aver comodamente preso molto sapere preparato sul suo tavolo. Oh, io ho conosciuto e un poco sono stato anch'io così una volta. Adesso io sono un vecchio stanco; io ho la testa pie na di opinioni contro di Voi, che forse non sono giuste perché gli uomini e i libri dai quali le ho prese non valevano forse molto, ma che non potrei mandar fuori con ragionamenti perché non ho la forza. Io devo dire il vero, che alcune sono già partite da quando mia figlia è con me; io non so come sono partite; per ragionamenti no certo. Potrò dividermi amichevolmente anche dalle altre, potrò dir loro: tacete, perché mia figlia vuole; tacete interamente, quando io dirò questo e quando io farò quest'altro, perché non vi posso scacciare, ma sono risoluto a non ascoltarvi. Forse allora, col tempo, partiranno anche sole. Permettete, amico mio; io credo che avrò molta maggiore compiacenza facendo così, che se Voi mi persuadeste con dimostrazioni. Cosa posso io dare a Edith se non do questo? Cosa posso io lasciare a mia figlia quando muoio, se non le lascio una memoria interamente dolce, interamente cara? Guardate, non mi è mai passato per la mente, quando vedeva Edith andare a confessarsi, che sarei diviso da Lei nell'altra vita, perché non andava anch'io a inginocchiarmi davanti a un prete: è quello che più mi ripugna, ma se Edith lo desidera...! Oh, ma come, come mi ha nascosto questo!" Alzò le mani giunte al cielo, le scosse nervosamente. "La prima sera, sì, m'era venuto in mente e anche il mattino dopo, quando l'ho accompagnata a Messa, qui nella Vostra chiesa: ma poi ella era sempre così affettuosa, così tenera con me! Mi parlava spesso di religione, ma solo raccontando i suoi pensieri, i suoi sentimenti, come se questa cosa riguardasse lei e non me. Io ascoltava con gran piacere, come Voi che siete Italiano e volete restare italiano ascoltereste mia figlia, se vi parlasse del nostro mondo tedesco, della nostra poesia e della nostra musica . Quando ho cominciato a venire in chiesa, a pregare con lei, godeva sì, ma pareva quasi temere che io mi tediassi, che io facessi per compiacere a lei. Solo di una cosa mi pregava con passione: ch'io perdonassi." "E ha perdonato?" disse don Innocenzo. "Io ho fatto i più grandi sforzi" rispose Steinegge commovendosi. "Io ho, non perdonato, dimenticato quelli che hanno fatto male a me; e anche per gli altri..." La voce gli morì in gola soffocata. "Ho fatto quel che ho potuto" diss'egli. Don Innocenzo, pure commosso, tacque. Forse la coscienza lo accusava di ricordare con soverchio sdegno, egli prete, certe offese troppo men gravi di quelle patite dal povero Steinegge, cristiano senza saperlo, più cristiano di lui. Il vento parlava per le macchie, per i capi frondosi degli alberi: lo si vedeva correre sul velluto dell'erba, cangiarne il verde. "Bel tempo!" disse Steinegge, lottando ancora con l'emozione. "Bello" rispose il curato. Steinegge stette un po' silenzioso, poi abbracciò appassionatamente don Innocenzo, lo baciò sulla spalla, gli disse con voce inintelligibile: "Andiamo da Edith." "Bene, ma non gliene parli per adesso, aspetti e poi mostri che la Sua risoluzione è spontanea." Steinegge, per tutta risposta, prese il braccio del suo interlocutore, glielo strinse forte e si pose in cammino. Fatti pochi passi, udirono Marta che gridava in su dall'orto della canonica. "Oh, signor curato! Oh, signor curato!" C'era della gente nell'orto, uomini e donne. Don Innocenzo sorpreso, affrettò il passo. V'erano la Giunta, il presidente della Congregazione di Carità e il capitano della guardia nazionale venuti per parlare al curato delle esequie del conte che dovevano seguire l'indomani mattina. Era corsa voce di grossi legati ai poveri del paese. Il capitano, un ex garibaldino barbuto, aveva prese informazioni dirette al Palazzo. C'erano infatti 70.000 lire per un asilo d'infanzia e 30.000 lire per tre doti annue alle ragazze povere del paese. Il capitano avea subito fatto il suo programma di onoranze fune bri al generoso testatore e intontitone il sindaco e il presidente della Congregazione di Carità, chiamandoli con amichevole compatimento "gran villanacci p..." perché essi imbarazzati e non avendo la menoma idea di "quel che si fa adesso", come diceva lui, esitavano, si guardavano in faccia, brontolavano che non erano pratici che la era "pazzia" buttar via dei denari per un morto che finalmente, diceva il sindaco, al Comune, propriamente al Comune, non aveva lasciato nulla. Per movere quei due fossili il c apitano avea dato fuoco all'opinione pubblica, li avea portati con un gruppo di amici suoi dal curato, a domandarne l'autorevole parere. Costoro attorniavano don Innocenzo, parlandogli tutti in una volta, gridandosi l'un l'altro di tacere, discutendo un guazzabuglio di progetti e di emendamenti. Guardia nazionale, piccola tenuta, alta tenuta, una salva, tre salve, musica del tal paese, musica del tal altro, discorso in chiesa, discorso al cimitero. Don Innocenzo ottenne a stento che si chetassero e lo segui ssero in casa. Allora si fecero avanti cinque o sei ragazze, le più briose civettuole del paese, che avevano prima assalita Marta e ora affrontarono il signor curato, rosse, rosse, con gli occhi ancor lucidi di riso. Venivano a nome delle ragazze del paese, a domandar fiori da farne ghirlande pel feretro del loro benefattore. Marta aveva dato loro un rabbuffo, aveva detto ch'erano "sfacciatone" di venir lì dal curato a portar via fiori, magari per metterseli in testa o per donarli a quel mucchio di amorosi che avean sempre alle sottane. Una delle ragazze le aveva risposto per le rime tra le risate della compagnia. Il curato non badò alle occhiatacce né ai borbottamenti di Marta, abbandonò senza difesa i suoi poveri fiori. Steinegge era impaziente di vedere Edith, non per parlarle, ma per leggere attraverso quel viso, per assaporare meglio la compiacenza segreta di aver in cuore una buona, insperata notizia da confidarle alla prima occasione; presto, senza dubbio. Ella non era nell'orto. Steinegge si congedò con profonde scappellate dalle autorità e corse su nella camera di sua figlia. Non era neppur lì. C'erano però sul letto il suo cappellino, i guanti e un piccolo album. Steinegge l'aperse, vide uno schizzo preso dalla riva del lago, sotto i pioppi. Riconobbe subito i denti pittoreschi dell'Alpe dei Fiori, quelle stesse cime che otto mesi prima, coperte di nuvoloni minacciosi, avean fatto dire a Edith: andiamo nella tragedia. La disegnatrice avea scritto in un angolo "Am Aarensee". A Steinegge venne subito in mente la canzone malinconica: Ach tief im Herzen da sitzt ihr Weh, Das weiss nur der vielgrüne Wald. Il paesaggio morto, freddo, a luci di neve e ombre di piombo, ricordava più lo spirito afflitto che il bosco verde. Steinegge si accorò, sentì confusamente che il male doveva essere più profondo di quanto gli avesse detto don Innocenzo. Dov'era dunque Edith? Perché non poteva egli porgerle subito almeno una consolazione, almeno il premio del sacrificio ch'ella aveva compiuto? Il chiasso che si faceva in salotto e nell'orto, le voci rozze dei contadini, le risa spensierate delle ragazze lo irritavano. Se Edi th udisse tutto quello strepito, come si sentirebbe amaramente sola! Gli parve di udir camminare nell'orto, e andò alla finestra. Era Edith, uscita dal salotto dove stava apparecchiando la tavola prima che entrasse il curato con le autorità. Steinegge la rimproverò amorosamente di stare al sole senza ombrellino, volle portarglielo malgrado le sue proteste; ma sceso nell'orto, non la vide più. La cercò in casa, non v'era; finalmente la scoperse presso il cancello dell'orto che parlava con le ragazze affaccen date a spogliare i rosai. Non la chiamò ne le portò l'ombrellino, temendo riuscire importuno, figurandosi che non amasse ora trovarsi con lui. Si ritirò dietro l'angolo della casa per non farsi nemmeno vedere da sua figlia. Gli parve, guardando l'orizzonte lontano, che sarebbe andato via per sempre, avrebbe rinunciato a Edith pur di tornare indietro a quel momento in cui Silla avea portato il suo libro. Sì, sì, come ricordava adesso le proteste appassionate di lei! E dire che tanto male, tanto dolore veniva dalla cecità sua, dal non aver egli mai capito l'angustia segreta di sua figlia! Intanto nel salotto si giunse a un accordo. Le voci si chetarono, si abbassarono, il curato e gli altri uscirono nell'orto discorrendo tranquillamente. "Niente di meglio" diceva don Innocenzo, soddisfatto, guardando Steinegge. "Ma!" rispose il capitano "a me l'ha proprio detto il signor commendatore Vezza. Io non gli domandavo niente; mi disse lui che stasera il signor Silla va via e che non bisogna credere a tutte le chiacchiere." "Oh!" esclamò Steinegge con due occhi scintillanti di lieta sorpresa. "Perdonate se io entro nei vostri discorsi. Come vi ha detto veramente il signor Vezza?" Il capitano ripeté quanto aveva detto prima, soggiunse poi quel che sapeva dello stato di Marina. Seguirono i commenti degli uditori, ciascuno dei quali aveva un'ipotesi diversa. Edith avea messo un po' di soggezione alle ragazze turbolente. Le raccontarono che il signor capitano aveva suggerito di far venire la ghirlanda da Como o da Milano, ma che loro avean voluto fiori del paese. L'armatura della ghirlanda si stava già preparando; quanto a' fiori, non avevano ancora pensato come li disporrebbero. Edith consigliò un intreccio di frondi d'ulivo e di rose bianche con una croce di viole. Volle coglier le rose ella stessa perché le povere piante non fossero straziate e i bottoni sciu pati senza necessità. Udiva gli altri parlare, e, immaginando che parlassero del Palazzo, si pungeva le mani senza avvedersene, tagliava gli steli o troppo lunghi o troppo corti. Era tanto pallida che le ragazze credettero si sentisse male e la pregarono di smettere. Ella confessò d'avere un po' di mal di capo, ma non volle smettere temendo esser chiamata da suo padre, avere a restar sola con lui e non sapergli nascondere il suo turbamento. Sopraggiunsero gli uomini, la salutarono, si fermarono a guardare i fiori, a chiacchierare con le ragazze della loro fortuna, dei tanti matrimoni che si farebbero quind'innanzi in paese. Steinegge era rimasto indietro. Edith lo vide. Egli pareva impaziente che il crocchio si sciogliesse. Camminava in su e in giù, dava un'occhiata ogni tanto alla gente che aveva preso radice, fra i rosai. Anche Marta venne a guardar dall'angolo della casa, facendosi schermo agli occhi con la sinistra. Ella disse poi qualche cosa a Steinegge, il quale accennò a Edith di venire, e le andò inc ontro porgendole l'ombrellino aperto. La rimproverò di volersi pigliare per forza un mal di capo e le disse scherzosamente ch'era in collera con lei perché quella mattina lo aveva abbandonato ed era corsa via come una farfallina capricciosa. Dove mai avea svolazzato la signorina? Già si saran fatte delle imprudenze, si sarà andati in qualche luogo pericoloso, vicino a qualche acqua infida, piena di malinconie, per raccogliervi canzonette gittate via mesi addietro. "Oh, papà" disse Edith "non va bene, prima di tutto andar a guardare nel mio album, e poi non va bene far certe supposizioni. Le ho lasciate dove sono, io, le malinconie; nel lago, nell'Aarensee. E della canzonetta, lì sulla riva, non ho trovato che il titolo. Quello non fa male. E poi non ti ricordi come abbiamo riso l'anno scorso? Lo finirò quello schizzo e ci metterò Lei, signore, che corre poco rispettosamente dietro sua figlia, con l'ombrello sotto il braccio. Vorrei poterci mettere anche quelle risate ." "Ne metteremo delle altre" disse Steinegge. "Vedi questo sole, questo verde, questo vento se non è tutta una grande risata! Pensa se noi fossimo a Milano! È giovinezza che si beve qui. Non vogliamo camminare, oggi. Sei stanca?" "No, papà; ma dove vuoi andare?" "Così, a passeggio. Signora Marta! Signora Marta! Posso io domandare quando si pranza?" "Alle tre" gridò Marta dalla cucina. "Allora possiamo andare, per esempio, fino alla cartiera." "Bravi, bravi! Vengo anch'io" disse don Innocenzo, che avea congedato allora allora tutta la brigata. "Devo parlare all'ingegnere direttore dei lavori." Edith salì alla sua camera per il cappellino e i guanti. Quando ridiscese, suo padre ed il curato, che parlavano insieme, s'interruppero. Ella vide loro in viso una contentezza nuova, si fermò, interrogandoli con lo sguardo. "Andiamo! Presto!" disse Steinegge, e dimentico questa volta delle solite cerimonie, s'incamminò per il primo. Don Innocenzo colse il destro di sussurrare a Edith: "Non c'è più niente tra quei due: egli parte stasera". Edith aperse la bocca per domandare qualche cosa, ma suo padre si voltò a chiamarla e anche Marta gridava dalla cucina: "Facciano presto che non hanno mica tanto tempo!". Edith non ebbe più modo di domandare spiegazioni. Solo all'uscir dal cancello il curato le gittò nell'orecchio altre due parole. "Forse il Suo biglietto!" "Il mio?..." rispose Edith. Don Innocenzo fe' cenno di sì e andò a prendere il braccio di Steinegge. Edith, trasalì. Il curato non le aveva detto che il suo biglietto era stato consegnato. Come mai, dopo quei fatti? Anche questa partenza di Silla era ella una fortuna così grande? Non veniva dopo mali irreparabili? Sì, ma però era un bene, senza dubbio. Pazienza, pensava, se il suo biglietto aveva fatto del bene, pazienza essersi posta senza saperlo, fra così turpi intrighi, aver parlato meglio che amichevolmente a chi se n'era reso indegno. Vi si rassegnava, ringraziava Dio, che si fosse servito di lei per un atto di misericordia. Ma sentiva in pari tempo che il sacrificio proprio sarebbe diventato in avvenire più difficile, tormentoso, che quest'uomo avrebbe tentato riavvicinarsi a lei, discolparsi de' suoi errori. E allora? Allora la lotta sarebbe ricominciata nell'animo suo, quanto fiera! Perché se a Milano avea sperato esser tocca nella immaginazione soltanto e s'era studiata di convincersene con un attento e forse imprudente esame di se stessa, adesso non s'illudeva più: era il cuore che mandava sangue. "Edith!" chiamò suo padre perch'ella era rimasta qualche passo indietro. Ella alzò gli occhi, lo vide a braccio del curato, un lampo di speranza le attraversò l'anima. Balzò a fianco di suo padre. "Eccomi" disse. Entravano allora nella strada nuova che spiccandosi dal villaggio recideva i prati sino al fiume: una brutta cicatrice a vederla dall'alto, come di qualche gran fendente calato sul verde: bianca, dritta, fra due righe di pioppi nani, sottili. Piacevole passeggio, però. Era voluttuoso mettersi per quell'ampio mar verde, morbido, magnifico nel suo disordine di fiori, potente nell'odor di vita che ne saliva, nelle ondate d'erba che slanciava da destra e da manca ad assalir l'argine della strada, ad ascenderlo per ricongiungere un giorno sopra di esso la sua pompa, i suoi amori eterni. I piccoli pioppi si movevano al vento; qualche grossa nube bianca vagava pel cielo, e l'ombre ne correano sui prati, sulla celeste lama scintillante del lago, la tingeano di viola. "È magnifico tutto questo verde" disse Steinegge guardandosi in giro. "Pare di essere in fondo a una tazza di Reno." "Vuota" osservò don Innocenzo. "Oh, questa è un'idea triste, non affatto necessaria. Vi è pure in questa tazza, che Voi dite vuota, una fragranza, uno spirito che exhilarat cor, che rischiara il cervello, non è vero? Io mi meraviglio di Voi: io sono molto spiritualista adesso, amico mio, sono capace di trovare che l'acqua del fiume dove andiamo, bevuta lì sulla riva sotto quei grandi pioppi, contiene sole, ha un sapore di primavera ilare che inebbria meglio del Johannisberg." "Si voltino" disse don Innocenzo "guardino la mia casetta come sta bene." Stava bene infatti la piccola casetta, al di sopra delle altre e in disparte, bianca sotto il suo tetto inclinato. "Pare che ci guardi anche lei" osservò Edith "e ci sorrida come una buona nonnina che non si può muovere." "Oh" esclamò Steinegge "io sarei felice di viver qui." "E io, papa? Pare di sentirsi voler bene da tutto, qui. A Lei, signor curato, ci trovi un nido." "C'è il mio" diss'egli. "Bravi, vengano a stare col vecchio prete. Perché no? Non sarebbe una bella cosa? Non starebbero bene in casa mia? Mi par che Marta s'ingegni abbastanza, non è vero?" Edith sorrideva, suo padre si confondeva in esclamazioni e proteste di gratitudine. "No, no" disse Edith. "Prima, è una cosa impossibile per noi lasciar Milano, e poi così non andrebbe. Ci vorrebbe un'altra casettina." "Veramente? Lei starebbe qui, per sempre, in questa solitudine?" Edith rispose con gli occhi gravi, meravigliati. Don Innocenzo ammutolì. "Non sarebbe il solo tesoro sepolto in questo paese" disse Steinegge volgendosi al curato con un gesto ossequioso. Don Innocenzo si schermì, arrossendo e ridendo, dall'incensata. "Anche Lei ci sarebbe, non è vero?" diss'egli. "Oh no, io sarei qui un tegame preistorico. Io vi starei molto bene, ma mia figlia non deve, oh no!" "Perché mai, papà?" Egli rispose impetuosamente in tedesco, come faceva sempre nel bollore dell'affetto o dello sdegno. Si voltò quindi a don Innocenzo senz'aspettare la replica di Edith. "Non è vero" diss'egli "che questo paese non è per una giovane signorina, a meno che non fosse una Nixe?" "Una Nixe? Chi sa?" disse Edith. "Amo le acque limpide, i prati, i boschi..." "Oh sì, ma io non credo che le Nixen amino anche dei brutti vecchi gialli come me e vadano a spasso col signor curato. Sai cosa vedo io adesso nella mia fantasia?" Il bizzarro uomo si fermò, allargando le braccia e chiudendo gli occhi. "Vedo il molto onorevole signor Andreas Gotthold Steinegge che ha i capelli un poco più bianchi di adesso e sta in casa del suo carissimo amico qui vicino, il quale non ha affatto più capelli. Io vedo questo signore tedesco che tiene un giornale in mano e sta fortemente discutendo sulla questione dello Schleswig-Holstein con il suo amico il quale gli fa portare... un dito, un solo di Valtellina per mandar giù il duca di Augustemburg. Eh? Non è questo?" Aperse gli occhi un momento per guardar don Innocenzo che rideva e tornò a chiuderli. "E adesso vedo... Oh, cosa vedo? Una giovane Nixe vestita da viaggio che entra in salotto come una stella cadente, abbraccia il vecchio gufo tedesco e dice che è venuta a passare due giorni fra le acque limpide, i prati, i boschi. "Sola?" dice il gufo. Allora questa Nixe fa un piccolo gesto con un piccolo dito che io conosco..." Steinegge aperse gli occhi, prese la mano di Edith per baciarla; ma Edith la ritrasse in fretta ed egli, lasciatala, fece quattro gran passi avanti ridendo, e si voltò a guardarla. "Non è una bella visione?" diss'egli. Edith tardò un momento a rispondere. Non sapeva che pensare. C'era in quel discorso di suo padre una occulta intenzione, un proposito deliberato? "Dunque sei stanco di me?" diss'ella. "Vuoi viver solo?" "Come solo?" esclamò don Innocenzo. "Non sente che vivrebbe con me?" "Io sono stanco, molto stanco di te" rispose Steinegge "ma non vorrei vivere solo. Verrei a riposarmi della tua compagnia, qui con il signor curato, per qualche mese dell'anno. Vedi, io non scherzo più adesso, io avrei bisogno di stare molto, molto tempo qui con il signor curato." Edith guardò quest'ultimo. Era egli entrato nel grande argomento? Si avviavan bene le cose? Il curato guardava con attenzione un baroccio che veniva dalla cartiera, faticosamente, sulla strada male assodata. "Noi vogliamo cercare una pietra filosofale" continuò Steinegge "una pietra che cangi in oro tutto quello che è brutto, scuro fuori di noi, e, molto più, dentro di noi." "E la si trova qui, questa pietra preziosa?" disse Edith, palpitando. "Io non so, io spero." "E perché non la cercherei anch'io con voi?" "Perché non ne hai bisogno, perché non vogliamo." "Ma cosa ne farai di me, papà?" "Oh, non si sa ancora." A queste punto sopraggiunse il baroccio e divise Edith da' suoi due compagni. Don Innocenzo si accostò rapidamente a Steinegge e gli disse all'orecchio: "Non vada troppo avanti." "Non posso" rispose l'altro. Il barroccio passò. Erano giunti presso al fiume dove la strada faceva un gomito, scendeva per la sponda destra, lungo i grandi pioppi, fino alla cartiera. "Lei va" disse Steinegge al curato. "Noi L'aspetteremo qui." Scese con sua figlia dal ciglio della strada sul pendìo erboso, sino all'ombra d'un macigno enorme ch'entrava dritto nel fiume. Erano un delizioso poema le acque verdi e pure, un poema popolare antico, di quelli che l'ingenuo cuore umano, troppo pieno di amore e di fantasie, versava. Passavano tra i margini sassosi o fioriti, saltando, ridendo, cantando, serene sino al fondo scabro. Blandivan l'erbe, mordevano i sassi; anche dal filo della corrente venivan su tratto tratto de' fremiti appassionati, si spand evano in leggere spume. A tante voci rispondeva dall'alto il gaio stormire de' pioppi appuntati al cielo di zaffiro. "Ah" disse Steinegge. So viel der Mai auch Blumlein beut Zu Trost und Augenweide... Edith lo interruppe: "Perché, papà, mi hai detto quella cosa?" "Quale?" "Che vorresti un giorno esser diviso da me." "Oh no, non diviso. Solamente io verrei a passare qualche tempo qui. Mai diviso. In niente diviso. Capisci? In niente." Disse quest'ultime parole sottovoce, prendendole ambedue le mani. "Sì, io penso ora per la prima volta che non dobbiamo più esser divisi in qualche cosa qui dentro." Si strinse quelle mani sul cuore. Le labbra, le nari di Edith si contrassero; le si strinse la gola. Egli la trasse giù senza parlare a sedere sull'erba, sedette accanto a lei. "Io non posso" diss'egli, quasi parlando a se stesso. "Ho il petto pieno di questa cosa. È vero, Edith, noi non siamo stati bene uniti mai. Ti ricordi la sera che sei venuta, quando io entrai in camera e tu pregavi alla finestra? Che angoscia fu per me allora! Io pensai che non mi avresti amato perché non credevo come te. E il giorno dopo, mentre tu eri a Messa, ti ricordi che io sono uscito? Sai cosa ho fatto durante la Messa?" Egli parlava come uno che non sa se deve ridere o piangere. "Ho parlato a Dio, l'ho pregato di non mettersi fra te e me, di non togliermi il tuo amore." Edith gli strinse convulsamente la mano, serrando le labbra, sorridendogli con gli occhi umidi. "E tu sei poi sempre stata così tenera, così buona con me che mi hai fatto il paradiso intorno e io ho inteso che Dio mi aveva ascoltato. Questo mi ha commosso perché sapevo di non meritar niente. Oh no, credi. Mi ha commosso, dunque, di vedere che Dio ti permetteva di essere tanto amorosa con me. Ero felice, ma non sempre. Quando noi andavamo in chiesa insieme, io pregavo, ringraziavo Dio, vicino a te; ma pure vi era qualche cosa nel mio cuore, qualche cosa di freddo e di penoso, come se io fossi fuori del la porta e tu avanti a tutti, presso l'altare. Insomma mi pareva esser tanto lontano da te. Mi odiavo in quel momento ed ero così stupido di amar meno anche te. Quando poi..." Esitò un istante, quindi accostò la bocca all'orecchio di Edith, le sussurrò parole cui ella non rispose e ripigliò forte: "Quanto soffrivo! Una cosa che mi ripugnava tanto! Forse per le memorie irritanti ch'erano nel mio cuore, forse perché ero geloso di quell'uomo nascosto a cui tu confidavi i tuoi pensieri. Non solo, geloso; pauroso anche. Sentivo che anche restando invisibile, sconosciuto, poteva ferirmi, togliermi un poco della tua stima, del tuo amore. Sai che qualche notte non ho dormito per questo? Dopo ti vedevo sempre uguale con me, dimenticavo, tornavo ilare. Ieri, trovandomi ancora con don Innocenzo, stando nella su a chiesa, ho sentito quanto lunga strada avevo fatto in pochi mesi, quasi senza saperlo. Ho avuto l'impressione, come di essere sulla porta aperta di un paese sospirato e non poter entrare. Adesso... senti. Edith, figlia mia." Ella, silenziosa, piegò il viso verso di lui, stringendogli sempre una mano fra le sue. "Sono entrato" diss'egli, a voce bassa e vibrata. Edith abbassò la testa su quella mano, vi fisse le labbra. "Sono entrato. Non domandarmi come. So che il mondo mi pare inesprimibilmente diverso da quello di prima, ora che ho nell'anima il proposito di abbandonarmi interamente alla tua fede. Come si può dir questo, che io riposo sopra tutto quello che io vedo? Eppure è così; io non ho mai provato una sensazione di riposo simile a questa che mi viene per gli occhi nel cuore. Tu riderai se io ti dico che sento un grande amore per qualche cosa che è nella natura intorno a me. Cosa ne dici, Edith, di tutto questo?" Ella alzò il viso bagnato di lagrime. "Mi domandi, papà? Mi domandi?" Non poté dir altro. Il suo sacrificio era stato accettato da Dio, ricompensato subito. L'anima sua traboccava di questa fede mista allo sgomento, allo sdegno di non sentirsi felice. "Contenta?" disse Steinegge. Scese a intingere il fazzoletto nell'acqua e lo porse a Edith che sorrise, se ne deterse gli occhi. "Sai" diss'egli "sono contento per un'altra cosa, anche." Ella non parlò. "So del nostro amico Silla che va via dal Palazzo. Pare che non ci è stato affatto il male che si credeva." "Papà" disse Edith alzandosi "lo sa don Innocenzo quello che mi hai detto prima?" "Un poco, solo un poco." Ella guardò un momento il grosso macigno a cui era quasi appoggiata e si rizzò sulla punta de' piedi per cogliere un fiorellino che usciva da un crepaccio. Lo chiuse nel medaglione d'onice e disse quindi a suo padre: "Un ricordo di questo luogo e di questo momento. Dimmelo ancora" soggiunse teneramente "dimmi che sei felice e che questi pensieri sono proprio nati nel tuo cuore. Tornamelo a dire. papà." "Guarda dove sono!" disse una voce dalla strada. Edith non la udì, si ripose a sedere sull'erba presso a suo padre, che riconobbe la voce di don Innocenzo, ed esclamò volgendosi a lui raggiante: "Così presto?" Don Innocenzo vide, comprese, non rispose. "Signor curato" disse Edith risalita con suo padre sulla strada. "Ella ritrova un'altra Edith." Don Innocenzo si provò a far l'ingenuo, ma ci riusciva solo quando non lo faceva apposta. "Possibile?" disse, con tale accento di meraviglia da far credere che prendesse alla lettera queste parole: un'altra. Ma poi non vi ebbero più domande né spiegazioni. Edith camminava a braccio di suo padre, appoggiandogli quasi il capo alla spalla. Don Innocenzo teneva lor dietro soffiando perché il capitano aveva preso un passo di carica. Attraversarono così i prati senza parlare. Don Innocenzo non ne poteva più; si fermò trafelato. "Bella" diss'egli "quella striscia di lago, non è vero?" Forse non la vedeva neppure. Gli Steinegge si fermarono. "Povero conte Cesare" disse il padre dopo un momento di contemplazione. "A proposito, signor curato, avete inteso anche voi che il signor Silla parte questa sera dal Palazzo?" Edith si staccò da lui, si girò a guardar i prati da un'altra parte. Oh, furia amorosa di fiori protesi al sole onnipotente, erbe tripudianti, ubbriache di vento, qual ristoro esser voi, viver la vostra vita d'un giorno, sentirsi tacere la memoria, il cuore, quel tumulto faticoso di pensieri assidui a lottar insieme, a fare e disfare l'avvenire; non essere che polvere e sole, non aver nel sangue che primavera! "Andiamo, Edith" disse Steinegge. Quella cara voce la scosse, la tolse al pensiero non degno. Salendo alla canonica, Edith precedeva d'un passo a capo chino, il curato e suo padre, vedeva le loro due ombre spuntarle a fianco sulla via. Steinegge incominciò ancora a parlare del Palazzo, ed ella vide l'ombra del curato accennar con la testa; dopo di che Steinegge lasciò cadere il discorso. Quando rientrarono in casa, Marta li avvertì che il pranzo sarebbe pronto fra pochi minuti. Edith si fece dare da lei la chiave della chiesa, corse via, sorridendo a suo padre. Tutto era vivo per la campagna, tutto si moveva e parlava nel vento; tutto era morte nella vôta chiesa fredda, tranne la lampada dell'altar maggiore. Una luce debole si spandeva dagli alti finestroni laterali sugli angeli e i santi vinosi del soffitto estatici nelle loro nuvole di bambagia. Edith si inginocchiò sul primo banco, ringraziò Dio, gli offerse tutto il suo cuore, tutto, tutto, tutto; e più ripeteva il suo slancio di volontà devota, più la fredda chiesa muta e persino la fiamma austera della lampa da le dicevano: no, non lo puoi, non è tuo; tu speri che quegli ti ami ancora e torni degno di te, sino a che tu possa appoggiarti per sempre al suo petto virile, affrontare con esso e attraversar la vita. Ma ella non voleva che fosse così, e pareva ritogliere quello che aveva liberamente offerto, e si sentiva invadere il cuore da un arido disgusto di se stessa. Marta venne a chiamarla. "Signora! Oh signora! Presto ch'è in tavola! Oramai il Signore lo sa cosa ci vuole per lei." Edith sorrise.

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