Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Psicologia delle menti associate

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Cattaneo, Carlo 1 occorrenze

Qual è codesto principio che infonde lo spirito della vita nell'intelletto delle nazioni, e poi di repente può abbandonarle ad un sopore di morte? E viceversa l'ipotesi della disparità delle stirpi non può spiegare come le genìe sì lungamente barbare degli Scandinavi, dei Germani, degli Slavi, dei Magiari, quasi d'improviso, mentre l'Europa meridionale imbarbarita anch'essa non poteva communicar loro un impulso scientifico ch'essa medesima più non aveva, poterono determinarsi alla vita nuova del pensiero, e per l'intermedio di lingue straniere e morte, iniziarsi nelle scienze tanto spregiate dai loro padri. A risolvere il problema dell'improviso trapasso dei primitivi selvaggi dall'errare ferino alla vita agricola, Vico ricorse alla imaginaria ipotesi del primo fulmine e dell'improviso culto di Giove Tonante. Ma forseché quelle tante tribù che rimasero tuttavia selvagge e che vivono nude e canibali ancora oggidì, non hanno udito mai lo scoppio del tuono? Vico aveva ben avvisato, primo fra tutti, che il mondo delle nazioni si doveva spiegare colle leggi dell'intelletto; ma sul bel principio sottoponeva poi le leggi dell'intelletto al caso delle meteore, e lasciava intentato all'analisi il problema iniziale. 3. A me parve sempre che l'inefficacia dei nostri studii si debba al metodo prediletto ai fondatori della Psicologia. Essi per conoscere le umane facultà presero a scrutarle nel senso intimo, nella coscienza, nell'io. Ma parve a me che per apprezzar l'artefice convenisse studiar le opere, che per conoscere le facultà, ssia le attitudini a fare onvenisse studiare i fatti h'esse compiono veramente; che pertanto convenisse perlustrare tutto il circuito delle scienze fino al punto più eccentrico delle loro scoperte, e vedere di quali facultà si potesse discernere in esse lo speciale intervento. Tracciata la circonferenza, resta determinato il centro; ma non viceversa. Nel centro psicologico tutto si unifica e si confonde in una vaga e indeterminata capacità, mentre sull'ampio giro della circonferenza scientifica si possono segnalare distintamente tutti i fatti ell'intelletto e per essi irrefragabilmente le sue facultà, essendo evidente che chi ha fatto poté fare. i sono entro di noi certe forze alle quali noi non abbiamo assegnato parte veruna nell'origine delle nostre idee, e le quali anzi si considerano come estranie all'intelletto; e tuttavia, se scrutiamo i fatti, troviamo essere state coefficienti potentissimi d'ogni nostro lavoro scientifico. Considerate l'istinto. 'istinto è la facultà di compiere certi atti senza previa cognizione. L'istinto è l'azione senza l'idea. È una facultà che per ciò appunto può dirsi estrania all'intelletto. Eppure molti degli istinti nostri non possono dirsi superflui ed indifferenti alla complessiva elaborazione del nostro sapere. Colui che trovò il primo teorema della geometria, avrebbe potuto inventare anche il secondo e il terzo, avrebbe potuto compiere tutta la scienza. Ma la vita dell'uomo ha un limite; il breve suo lavoro vien troncato dalla morte. Bisognò dunque che ad un geometra succedesse un altro e un altro, raccogliendo ciascuno l'eredità del suo predecessore, sicché alla fine tutta la catena delle verità ch'erano a dimostrarsi rimanesse compiuta. Fu dunque necessario che la scienza divenisse una tradizione in seno ad una stabile società. alete vide nell'acqua l'elemento per eccellenza. Noi vediamo nell'aqua una combinazione; noi ne siamo certi, perché possiamo disfarla e rifarla: il vero è il fatto, ice Vico. Avrebbe potuto Talete ne' tempi suoi pervenire a tanto? Da Talete a Lavoisier corsero ventiquattro secoli, seco portando tutto il lavoro della scienza degli antichi Greci, delli Arabi e dei moderni. La scoperta dei componenti dell'aqua era un ultimo gradino in una lunga scala di pensieri, a edificar la quale avevano collaborato molte generazioni. Essa non era l'opera delle facultà solitarie 'un uomo, bensì quella delle facultà associate di più individui e di più nazioni. dunque una necessità della costruzione scientifica ch'essa surga nel seno d'una società, anzi di molte società, imodoché al mancar dell'una per qualche avversità l'opera possa venir continuata da un'altra. All'elaborazione della scienza non basterebbero dunque tutte le facultà dell'intelletto, se l'uomo non fosse già per istinto di natura un essere socievole, 'egli avesse, non l'istinto del castoro, ma quello dell'aragno il quale abita solitario nel centro della sua tela. Ecco dunque l'istinto entrare nell'opera scientifica come un necessario coefficiente. E v'entrano altri istinti. V'entra quel bisogno di communicare altrui i proprii sentimenti e pensieri, che vediamo nella più inculta feminetta. Quindi lo spontaneo sforzo d'imparar la parola e di formarla; lavoro che noi andiamo proseguendo coll'imporre un nuovo vocabolo ad ogni nuova scoperta, all'ossigene, al silicio, alla locomotiva. E se analizziamo le nostre lingue, noi troviamo che le voci scientifiche più astratte sono traslati o derivati d'umili vocaboli d'ordine concreto e sensuale. E se spingiamo l'analisi più avanti e riduciamo i derivati alle radici, troviamo residuare al fondo d'ogni più dotta lingua un capo morto di pochi monosillabi, di suono per lo più imitativo. E qui ci si affaccia un altro degli istinti umani, quello dell'imitazione; he se si eccettua qualche specie d'augelli e di scimie, è uno dei più caratteristici della specie umana; ed è di supremo momento non solo alla formazione della parola, ma in tutte le arti. E questo medesimo istinto imitativo, combinato ad altri, ci spiega il fatto della tradizione domestica e della tradizione scientifica, onde proviene l'associazione delli avi ai posteri, dei maestri agli allievi, e la perpetua successione nell'immortale opera del sapere. vi sono altri istinti che possono svolgersi solamente in seno alla società. E son quelli che la scôla scozzese chiama istinti morali che altre scôle preferiscono di chiamar piuttosto col nome di sentimenti. ale è la credulità, l'adesione all'amicizia e all'autorità, l'amor della lode, il terror dell'infamia. Signori, io non vi leggo un trattato; io vi propongo l'idea d'uno studio. La psicologia delle scienze come quella delle lingue, come quella delle leggi e delle religioni e delle istituzioni tutte è un ramo d'una psicologia delle menti associate, h'io vorrei non contraporre, ma bensì sovraporre alla psicologia della mente individuale e solitaria. utti i pensatori sentirono che dall'intelletto dell'individuo non si poteva salire alle alte astrazioni e alle sublimi verità. Epperò furono astretti a supplire con ipotesi più o meno infelici, come l'anamnesi i Platone, che considerava l'idea come una fioca reminiscenza d'una vita anteriore; - come le idee innate, - come la visione di Malebranche, - come le categorie del pensiero anteriori ad ogni pensiero, - come l'idea dell'essere anteriore ad ogni idea. E con tutto ciò non davano ragione della differenza che stava tra Polifemo e Archimede. Perocché la reminiscenza platonica, e le idee innate, e la visione divina e le categorie e l'idea dell'essere, com'erano in Archimede, scienziato, così erano anche in Polifemo, idiota e canibale. Signori, il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola; il genio si tien per mano alla catena de' suoi precursori. Perché si destino le idee, devono attuarsi i più generosi istinti, devono infervorarsi gli animi. La corrente del pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti. Io devo scorrere a volo su queste idee. Lascio l'istinto; e tocco per un istante la sensazione. 4. La sensazione pare a primo aspetto il dominio nel quale è grande e forte la vita selvaggia. Quante volte non si leggono meraviglie della vista acuta del selvaggio che discerne nella sabbia le pedate della tribù nemica! Come paragonarle la fioca vista nutante che si logorò alla lampada notturna e che Galileo spense nei cristalli del telescopio? Signori, questa è un'illusione. Confrontiamo la somma intera delle sensazioni che si schierano innanzi alla mente del selvaggio e alla mente dello scienziato. È vero che il selvaggio vive assorto nei sensi; è vero che l'esercizio assiduo e la dura necessità glieli rendono vigili e acuti. Ma s'egli avesse pure la vista dell'aquila e l'odorato del cane, sempre è vero che le sue sensazioni non hanno varietà. Sono le sensazioni che si possono raccogliere entro quell'orizzonte di selve in cui si chiudono le sue consuetudini, i suoi timori. Poche specie di piante, la più parte neglette e inosservate a lui perché inutili a' pochi suoi bisogni; pochi animali; una riva di fiume, o di lago; gli antri e i tugurii che ricettano la nuda tribù; le vestigia dei nemici o il loro terribil grido. Quando noi pensiamo alle selve primeve, la nostra imaginazione può affollar quasi in un punto tutte le più varie e molteplici apparenze. Ma non è così. Ogni terra ha un aspetto suo; climi piovosi o aridi; le vaste arene dell'Australia o le vaste paludi dell'Orenoco; òasi sparse di palmizii; o alpi uniformemente annegrite dagli abeti; praterie su cui regna tale o tal famiglia d'erbe, con aspetto nuovo e grato a chi arriva, uniforme e tedioso a chi rimane. Nella nostra patria, più di cinquecento specie vegetanti, un quinto incirca delle piante fiorifere, appartengono alle due sole famiglie delle graminee e delle composite, le più delle quali si possono appena fra loro con attentissimo studio discernere. Ma il regno della sensazione scientifica abbraccia tutte le terre e tutti i mari; i vulcani e i ghiacciai, le pianure e i monti, gli arcipelaghi dispersi nell'Oceano e il deserto senz'aque. Li animali delle varie zone e dei singoli continenti, il camelo e il renne, l'elefante e il cangaroo passano a rassegna inanzi a lui, vivono nelle sue stalle o nei suoi serragli; stanno ordinati ne' suoi musei, disegnati e coloriti sulle pareti delle sue case. Qual Samoiedo vide mai le piante o li animali o li uomini della Nigrizia? Il selvaggio può veder solo le cose della sua patria; la sensazione scientifica abbraccia tutta la terra. L'uomo civile non solamente riceve le sensazioni; ma le fa. Egli si àncora inanzi alle isole dell'Oceano e assorda i selvaggi col tuono e col lampo delle sue armi. La luce delle sue notti festive eclissa il chiarore delle stelle. I colori di tutti i metalli, il fulgore di tutte le gemme; i fiori e i frutti raccolti d'ogni parte e modificati dall'arte in varietà infinite che la natura non conosce; le innumerevoli combinazioni dei suoni e dei tempi, tutta la creazione della musica di cui nel seno della natura troviamo appena la prima intonazione, sono tutti nuovi fenomeni che la facultà motoria attuata da altre più sublimi facultà fornisce alla facultà sensitiva. Anche le sensazioni più connesse all'appetito animale, si vanno variando e moltiplicando colla civiltà. Noi non badiamo, ma pure sono oggetti ignoti alla vita selvaggia il vino, il pane, e tutte le mille combinazioni dei sapori e di profumi. V'è un mondo invisibile all'occhio nudo, rivelato alla scienza dal telescopio e dal microscopio. Noi possiamo discernere i monti della luna, le fasi di Venere, le agitazioni della superficie solare, i punti lucenti della via lattea e delle nebulose. Noi discerniamo li infinitamente piccoli che vissero in un grano di tripolo, che vivono in una goccia d'aqua, che nuotano nelli umori della nostra pupilla. Tutta la chimica è una rivelazione di fenomeni naturalmente inaccessibili ai sensi. Qual selvaggio potrebbe veder sollevarsi dalle feccie d'una fonte salmastra i vapori verdastri del cloro o i vapori violacei dell'iodio? È questo un ordine nuovo di sensazioni che la scienza crea a sè stessa. E li apparati elettrici sono come nuovi sensi; poiché con essi possiamo apprender fenomeni che sfuggono a quei sensi che abbiamo da natura; possiamo entrare in commercio con poteri della cui presenza nell'universo il selvaggio non ha percezione. È lecito imaginare che come da natura ebbimo un senso che avverte le vibrazioni luminose e un senso che avverte le ondulazioni sonore, così avremmo potuto nascer muniti d'altro organo che indicasse come fa la bussola le oscillazioni magnetiche. Forse è qualche interno sensorio di tal fatta che dirige certe specie di rosicanti nelle loro migrazioni dal levante al ponente della Siberia. Ebbene chi ci diede a scorta l'ago calamitato tra le nebbie dei mari, tra il polverio del deserto, tra i labirinti delle miniere, chi tese un telegrafo elettrico dall'uno all'altro declivio d'una montagna, dall'uno all'altro lido d'un mare ci fornì dunque un equivalente ad un nuovo senso, utile e reale quanto i sensi della vista e dell'udito. Nulla poi rileva all'effetto se sia un organo corporalmente inserto nel nostro encefalo, o se i nuovi fenomeni rappresentandosi nello spazio colle vibrazioni d'un ago o d'un manubrio si traducano el senso della vista. Per esso la mente nostra venne iniziata a un ordine d'idee che la vista per sè non poteva donarci, e che più delli altri s'interna negli arcani dell'universo. Le poche sensazioni del selvaggio sono sterili all'intelligenza, perché vaghe, incerte, incommensurabili. Il selvaggio non può paragonare il calor di due estati, il gelo di due inverni. Noi sì, col mezzo degli strumenti, precisiamo quanto varia il freddo da neve a neve, quanto varia l'ardore da fornace a fornace. Noi sappiamo a quale calore precisamente si liquefà il piombo, a quale il ferro, quante calorie devonsi accumulare in una stagione per addurre a maturanza un grappolo d'uva. L'apparato di Melloni accusa l'aggiunta infinitesima di calore che ci apporta una persona che si affaccia all'opposta estremità d'una camera. Fin qui vediamo moltiplicarsi sotto la mano della scienza i fenomeni della sensazione; ma tuttavia ciascuno di essi rimane oggetto d'una percezione individuale. Or bene, vi sono fenomeni che un individuo solo non potrebbe mai percepire nella loro pienezza, nemmeno col ministerio degli strumenti, se non vi si associano i sensi di molti. Li uomini che videro il ritorno della cometa di Halley non sono più quelli che ne osservarono, settantacinque anni prima, l'altro arrivo. Per determinare lo spazio su cui vibra un terremoto, bisogna che più uomini si avvertano fra loro d'averne percepito la scossa ai limiti estremi. Li osservatori che sparsi in diverse stazioni esplorano la tensione magnetica del globo sono come le parti d'un commune sensorio elle nazioni pensanti. Signori, lo splendido imperio della sensazione non è nei sensi dei selvaggi; esso è nella scienza esperimentale, cinta di tutti i suoi mirabili strumenti, accampata sulle mobili cupole degli osservatorii. E il poter della scienza si svolge nel giro di tutte le facultà e tocca il sommo nello sviluppo delle facultà riflessive. A questo chiamerò l'attenzione vostra in altra lettura.

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