La scelta del legislatore della riforma fiscale di abbandonare, quale rimedio alla doppia tassazione su società e socio, il credito d'imposta, sostituendo con una parziale detassazione degli utili e una totale esenzione delle plusvalenze da cessioni di partecipazioni, amplifica il problema della qualificazione degli apporti alla società, in quanto solo i proventi classificabili come utili ottengono la detassazione e nel contempo restano in linea di principio indeducibili per l'erogante.
La scelta del legislatore della riforma fiscale di abbandonare, quale rimedio alla doppia tassazione su società e socio, il credito d'imposta, sostituendo con una parziale detassazione degli utili e una totale esenzione delle plusvalenze da cessioni di partecipazioni, amplifica il problema della qualificazione degli apporti alla società, in quanto solo i proventi classificabili come utili ottengono la detassazione e nel contempo restano in linea di principio indeducibili per l'erogante.
Si fa cenno, poi, alle ulteriori incertezze interpretative delineatesi in questa materia, circa il tentativo di abbandonare una concezione unitaria dell'insolvenza e negando l'identificazione dell'insolvenza di cui all'art. 5 con quella dell'art. 67, o proponendo infine la oltre che la conoscenza dello stato di insolvenza anche la sua sussistenza.