Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonano

Numero di risultati: 41 in 1 pagine

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Come devo comportarmi?

172354
Anna Vertua Gentile 2 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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E tutti si abbandonano al piacere senza preoccupazioni, senza timori. Nelle passeggiate o nelle salite alpiniste, misura prima le forze di chi vi prende parte; persuade a rinunciare al divertimento chi soffre le vertigini dell'altezza o non regge alla fatica, perche l'indisposizione o la paura di uno guasterebbe il diletto di tutti. Si provvede di guide ben pratiche della montagna e camminando si mostra costantemente tranquillo e sereno, evitando di parlare di disgrazie incontrate da altri alpinisti, di bufere, di frane, valanghe o altro che possa impressionare. Con l'esempio, esorta a sopportare in pace la stanchezza ed il freddo, e offre a tempo opportuno un sorso di liquore o di cafiè freddo o altro, che sia suggerito dall'igiene e dall'esperienza, agli alpinisti. Agli asili, il gentiluomo fa in modo che le signore abbiano i posti migliori, e possano riposare in libertà. E lui stesso si occupa degli alimenti. Da persona inspirata al bello, al sublime della natura e delle scene alpine, egli poi intrattiene e diverte dolcemente tutti, con la sua schietta ammirazione, le scientifiche spiegazioni dei fenomeni che s'incontrano e rapiscono, l'entusiasmo per il grandioso, il solenne. E, grazie alla sua amabilità, alla sua cortesia, alla sua arte di interessare e divertire, la gita segna un ricordo soave nella mente e nel cuore di chi vi prende parte. In villeggiatura, il giovine può permettersi qualche bizzarria nel vestire. Può presentarsi, per es., a colazione in abito di flanella bianca, o di stoffa chiara inglese; ma a pranzo no. I costumi da cacciatore, da marinaio, da alpinista, da scudiero, devono essere eleganti, di taglio perfetto, pulitissimi; e usati solamente nelle occasioni che li giustificano.

Pagina 207

I bambini, i quali si abbandonano intieramente al dolore come alla gioia, hanno qualche volta una pienezza d'affanno, di cui le persone adulte sono incapaci. Ci sono bambini che soffrono crudelmente senza che nessuno ne sappia indovinare la causa; senza manco, che nessuno se ne avveda. O se qualcuno avverte l'espressione malinconica di un visetto infantile, o l'aria di abbattimento della piccola persona, ne cerca tosto la causa nella salute; e crede di guarire con ferro e olio di merluzzo un male morale, che avrebbe bisogno di affetto, di carezze, di dolce persuasione. Ora, chi può usare di tali rimedi per ritornare la serenità sul volto dei bimbi, mi pare ne abbia da risentire una dolcezza infinita. E una tale dolcezza se la può procurare senza fatica, anzi ubbidendo spontaneamente al proprio cuore, la signora nubile, che può consacrarsi allo studio dell'infanzia senza le distrazioni e gli impegni di chi ha famiglia.

Pagina 389

Le belle maniere

180017
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
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Pagina 138

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180673
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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Dopo ore e ore a tavola, anche le persone più eleganti imbruttiscono, si annoiano e si abbandonano a comportamenti sguaiati: gli uomini si tolgono la giacca, le signore le scarpe, i fumatori non resistono alla tentazione di accendere la sigaretta... Meglio prevedere un ricchissimo aperitivo «in piedi» con stuzzichini caldi e freddi, che sarà anche l'occasione per brindare alla felicità degli sposi bevendo champagne - che, come ben sanno le persone garbate, è un vino «da salati» che non deve assolutamente accompagnare i cibi dolci. II buffet dovrebbe essere all'insegna delle specialità locali, senza pacchianate a base di sushi e caviale: affettati, formaggi, fritti di pesce e di verdure. Il pasto inizia così con un primo piatto (uno: gli assaggi e i tris di primi sono eccessivi e volgari), continua con un secondo di pesce e uno di carne, ben cucinati e di ottima qualità, senza strafare e senza appesantire l'atmosfera e lo stomaco con mille portate, e termina con il tradizionale taglio della torta innaffiato da uno spumante dolce, servito nelle coppe, che vengono benissimo nelle fotografie. Se la maggioranza degli invitati sono giovani, si possono apparecchiare grandi tavoli-buffet a cui servirsi da soli, prevedendo il servizio ai tavoli da parte dei camerieri solo per gli invitati più anziani, o di carattere più tranquillo. Per un, pranzo «seduto» più tradizionale si pone il problema dei posti a tavola, che varia a seconda del numero dei tavoli. In questo caso gli sposi siederanno al tavolo centrale (o d'onore) insieme con i genitori, i testimoni, l'officiante e qualche invitato di particolare riguardo con cui vogliono condividere un momento significativo: il primo pasto che consumano da coniugi. Agli altri tavoli siederanno parenti e amici, alternando il più possibile gli invitati delle due famiglie, per farli conoscere. Nel caso si preferisca allestire una tavolata unica, questa di solito è a ferro di cavallo. Nella parte centrale, accanto agli sposi, siederanno i parenti più stretti, i testimoni e l'officiante. Qualunque sia la forma del tavolo, si cercherà di rispettare il più possibile l'alternanza donna-uomo. La sposa siede alla destra dello sposo. Vicino a lei siede il suocero, che avrà accanto una nonna o una testimone, che sarà vicina al padre della sposa, e così via. Alla sinistra dello sposo siede la madre della sposa, che avrà accanto un testimone, e così via. Questa disposizione dei posti non è obbligatoria, e volendo gli sposi possono optare invece per un'allegra tavolata di giovani, consigliabile soprattutto in caso di genitori divorziati e risposati, i cui nuovi compagni potrebbero offendersi se esclusi dai posti d'onore... Ecco qualche esempio di tavolata «a prova di critica».

Pagina 185

Il tesoro

182064
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Pagina 663

L'angelo in famiglia

183322
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Certuni ardiscono farsi beffa della nonna o del nonno, o di entrambi, perchè trascurati, zotici qualche volta nel muoversi e nel vestire, hanno il tabacco sul viso e si abbandonano ad atti che la civiltà non permette; ovvero perchè gli anni e le infermità li hanno resi deformi o difettosi li coprono di ridicolo e perfino talvolta di disprezzo o di scherno! Indegni! indegni! La terribile maledizione da Iddio scagliata contro lo snaturato figlio di Noè che ardì deridere il padre, non vi spaventa, non vi agghiaccia il cuore, non vi riduce a miglior consiglio? Ma Noè ebbe altri due figli, uno dei quali toltosi il mantello coprì il padre e lo difese e lo compensò dell'onta a lui recata dal fratello; quel figlio pietoso fu benedetto da Dio, benedetto fino alla più tarda generazione. Quell'Iddio benedice te pure, mia buona amica, sì, benedice te pure che amorevole, riverente, premurosa ti studii attorniare delle più solerti cure i tuoi avi, e copri di un velo i loro difetti; che, angelo del buon consiglio, con una di quelle arti che non s'insegnano, che non si apprendono altrove se non nel Cuore del nostro Gesù, inspiri loro di evitarli, rendi contenta la loro tarda età, nascondendo loro pietosamente tutto quanto può dar pena, procuri ad essi tutto quanto li può consolare. Sì, su te cade, su te riposa, tutta ti circonda la copiosa benedizione del Dio tre volte santo, e vivi sicura! per quanto il dolore possa venire a trovarti, la tua esistenza non perderà mai la pace, e la gioja e la calma non saranno mai straniere all'anima tua. Ho tutt'ora sott'occhi l'esempio di una famiglia una volta gaudente, prospera, felice, oggi miserabile, sconnessa, turbata. Erano due sposi circondati da tre carissimi figli, sani, intelligenti, affettuosi; gli affari andavano a gonfie vele, e l'industria del meccanico loro fruttava onore e guadagno oltre ogni speranza. Ma vi era una vecchia madre trascurata, sprezzata, alla quale quasi per elemosina si gettava un pezzo di pane ed una scarsa borsa che, se bastava appena a toglierla dall'indigenza, era ben lungi dal toglierla dal suo abbattimento, dall'avvicinarla, e dal comunicarle il benessere e la gioja comune. Io ero allora fanciulla, ed allorchè quella vecchia signora sfogava il suo cuore colla mia mamma, ed io sentiva il racconto delle sue pene, provavo una venerazione per la povera vecchia, ed un'indignazione pei giovani suoi figli, una specie di paura che non avesse a piombare sovra essi un tremendo gastigo. Un giorno la campana dà i mesti tocchi dell'agonia; un altro giorno una povera bara seguíta da pochi è portata al Cimitero; un altro giorno della vecchia si parla da pochi, poi non se ne parla più, non si ricorda nemmeno!... Quella famiglia quasi priva da un onere, continua a vieppiù prosperare, i figli si fanno essi pure un ridente ed agiatissimo stato... ma un giorno di morte repentina muore il capo di casa... un altro dì uno di quegli individui che incorniciati dal credito e dal buon nome pajono lanciati dal demonio nella società per sfasciarla, per annichilarla, quell'individuo fa morire di dolore una figlia, getta quasi nella miseria gli altri due; uno di questi ripristina la propria fortuna, ma a spese della pace e forse dell'onestà: l'altro maledice la madre, la quale se ne rimane così isolata nel mondo, abbandonata, infelice! Il mondo se degna di uno sguardo quelle membra staccate che formavano già un corpo solo, o non le cura o le disprezza; ma chi conosce quella storia oscura, non può a meno di ritornar con amarezza al pensiero una voce fioca ma concitata; una cuffia bianca ed un crine canuto su cui sdegnava posarsi la mano filiale... Buon Dio! perdona, perdona a tutti i loro errori; perdona a quel figlio forse più debole e sventurato che colpevole, perdona le sue colpe. Da quella famiglia dove tu sei sbandito, dove è sbandita fino l'immagine tua, leva i flagelli; ritorna tu colla tua presenza, porta la tua fede, la tua speranza, la tua carità, e quando tu avrai fatto ritorno in quella casa, tornerà il sereno, tornerà la calma, cesseranno le ire, cresceranno i figliuoletti nella tua legge, ed al fuoco delle passioni subentrerà il fuoco dell'amor tuo verace! Ma più frequenti, molto più frequenti io amo credere i casi in cui, non una prosperità fittizia, ma una prosperità vera, è il premio da Dio accordato a coloro i quali devoti al comandamento onorerai il padre e la madre tua venerano i cadenti genitori, o gli avi che la Provvidenza ha loro conservato per moltissimi anni. E se tu hai la grande ventura di avere ancora i tuoi nonni, ricordati di venerarne la canizie, perchè quella canizie riflette qualche cosa della maestà stessa dell'Onnipotente, perchè a quella canizie vanno attaccate le benedizioni del Signore. Te beata, se nel sentiero spinoso della vita avrai il conforto di non aver conturbato i vecchi anni degli avi tuoi! Te beata se, vecchia tu pure un giorno, potrai ricordare con compiacenza e con commozione che un dì sulla tua testa s'è posata una mano tremola e scarna, che una voce conosciuta presso a spegnersi per sempre, ha fatto un ultimo sforzo per benedirti... Oh! quella benedizione Iddio l'ha confermata, la conferma ogni giorno in cielo, e sarà feconda d'ogni bene al tuo corpo e all'anima tua!

Pagina 354

Abbiamo riflettuto assieme più d'una volta, che coloro i quali vengono colpiti dalla sventura senza essere contrabbilanciati dalla fiducia e dalla speranza del premio futuro a quella promesso, si abbandonano a smanie, alla disperazione, fino al suicidio se non sono cinici, e se non sono riusciti ad attutire ogni loro sentimento. Ad evitare simili eccessi, noi abbiamo in pronto le virtù cardinali, le quali ci sollevano da un gran peso, e se non arrivano ad asciugare le nostre lacrime, per non privarci del merito ad esse congiunto, le rendono però meno amare, e comunicano loro una soavità ignota per sempre al mondo ed ai mondani. E chi leggendo la stupenda poesia del Torti sulla Fede, allorchè egli parlando della vecchierella della sua montagna dice: O del raccolto le godesse il core, O la gragnuola i tralci le schiantasse, Benedisse nel gaudio e nel dolore, Nè fu il suo ragionar che una parola: La volontà sia fatta del Signore. chi non si sente profondamente intenerito, ed invogliato a ripetere con essa la difficile parola la volontà sia fatta del Signore? È un errore credere esservi bisogno di una simigliante rassegnazione soltanto nei grandi dolori i quali ci capitano a lunghi intervalli, mentre ci e più che mai indispensabile in tutte le circostanze della vita, se non in grado uguale, almeno nella sostanza, tanto nei piccoli contrattempi e nelle leggiere indisposizioni, quanto nelle più fiere sventure e nelle mortali infermità. Oggi mi duole il capo od il petto, mi sento senza lena, svogliata, ed ho una matta inclinazione ad inquietarmi di tutto e con tutti; se avrò il pensiero costante di tutto prendere dalla mano di Dio, non farò sentire il peso del mio male a coloro che mi circondano, ma sarò dolce con essi, paziente, e mi guarderò dal riuscir loro di flagello forse maggiore di quanto nol sia il mio stesso male. Ecco la pazienza, la rassegnazione cristiana produrre naturalmente l'uguaglianza di carattere, quell'uguaglianza invidiabile che conserva la pace nelle famiglie, accresce il vicendevole attaccamento, migliora gli animi, e genera una lunga serie di benedizioni. Mia cara amica, io spero che questi miei consigli ti sieno superflui, e tu già possieda quella dolcezza, quella tranquillità inalterabile la quale proviene dall'aver donato la mente ed il cuore a Dio, dal quale tutto accetta; ma, pur troppo, alla tua età le passioni sono vigorose, la fantasia agitata, e molto facilmente potresti cadere in preda della sfiducia, dello scoraggiamento. No, no, figliuola, non cedere alle tentazioni; è l'angelo delle tenebre che soffia nel tuo fuoco per unire alle sue le tue fiamme; non ti accorgi che l'angelo tuo benedetto nol vuole, e che lui, proprio lui, ti suggerisce al cuore quel buon consiglio, quella specie di rimorso, per strapparti dal cuore quella sublime parola che l'Unigenito Figlio di Dio c'insegnò a dire quando nell'orto del Getsemani, immerso in un sudore di sangue, esclamò al Padre: la vostra volontá sia fatta, e non la mia? Disprezza i piccoli acciacchi, le piccole miserie della vita; renditi ad essi superiori, tieni il tuo spirito rivolto a Dio, ed allorchè ti sopravverranno le disgrazie, saprai accoglierle con animo rassegnato, offerendo al Signore le tue pene in espiazione delle colpe tue e delle altrui. Allorchè ad Abramo fu fatto il terribile comando di sacrificare ed uccidere il suo unico figlio sospirato tanto tempo, e tanto teneramente amato, egli dovette provare uno smisurato dolore; pure egli pensa all'obbligo di rassegnarsi al voler del sommo Iddio e di prestargli l'atto della sua obbedienza; e, caricato Isacco delle legna sulle quali doveva essere svenato ed arso, si reca con lui sulla sommità del monte, lega il proprio figlio, gli benda gli occhi, ed impugnato un coltello e fatto un supremo sforzo di rassegnazione, solleva la mano per ferirlo ed ucciderlo. Ma il Signore ha veduto l'obbedienza del suo servo, ha accettato il sacrificio già consumato nel suo cuore, ed inviato un Angelo, arresta la mano al santo Patriarca, e gli restituisce il figlio. E chi può ridire la gioja immensa di quel padre virtuoso e fortunato? E chi può enumerare la lunga catena di benedizioni riservatagli da Dio pel suo eroico coraggio, per la sua eroica rassegnazione? Orbene, il Signore non pretende da te un simigliante eroismo; pure pretende qualche cosa, anzi molto da te, ed è che tu rinunci alle tue passioncelle, alle tue inclinazioni per servire Lui solo, ti uniformi completamente alla sua divina volontà in tutte le cose, diventi tutta di Dio e per Iddio. Desideri tu vivamente un collocamento onesto, e vedi sempre fuggirti dinanzi quell' ombra che prima ti aveva cotanto lusingata? Pensa che soltanto pel tuo bene Iddio ti lascia nella tua casa; Egli conosce le cose future come le presenti, e vede che quanto forma il tuo sospiro, sarebbe invece la tua rovina. Pronuncia adunque generosamente quel fiat mediante il quale la tua volontà sarà unita ed uniformata a quella di Dio, e ti renderà meno pungenti le perdite amarissime ch'io prego ti vengano risparmiate, ma che pur troppo facilmente verranno a colpirti. Entriamo in uno spedale; da un letto una donna ti guarda con occhio bieco quasi a vendicarsi del benessere che tu hai e ad essa tolto; t'avvicini ad essa, le dici parole pietose, le porgi un soccorso, ma l'inferma conserva alcunchè di selvaggio e d'irritato; si lagna del letto, del vitto, dell'infermiera, del medico, e finisce col bestemmiare che Dio ha fatto male ad aggravarla così... Col cuore accasciato ti allontani da quella malata, e t'accosti ad un'altra la quale ha un occhio più mite ed un'apparenza più tranquilla. Leggendo sulla tabella sovrapposta al letto, cancrena, chiedi tremante all'inferma se il suo male è tormentoso; essa affermando china dolorosamente il capo, e soggiunge non volerci che la somma carità delle infermiere a tollerarla cogl'infiniti suoi bisogni e cogl'interminabili suoi ahimè! Essa trova ottimo il trattamento usatole dai medici, dalle suore, dalle inservienti; dice e crede di non meritare tanta bontà; si sforza di ringraziar il Signore il quale si degna, colle pene temporali, accorciarle le pene del purgatorio, ed avendo sentito il medico susurrare all'orecchio dell'infermiera che quella vita non potrà prolungarsi oltre una quindicina di giorni, ha frenato un primo movimento di timore per dar luogo ad una vera esultanza. La terra si dilegua ai suoi occhi; non vede che il cielo. Tu le chiedi se ha parenti che la visitino, e la poveretta traendo un sospiro e levando al cielo uno sguardo ti dice che spera rivederli lassù: tu non sai distaccarti da quel povero letto, e mentre la povera inferma ti ringrazia commossa d'averla visitata senza pur conoscerla, ti dice che sei l'inviata di Dio e ti promette di pregare per te. Io lo vedo, sulle gote ti scorrono calde due lagrime, e giunta all'altarino della Madonna, e piegato il ginocchio nascondi il viso tra le mani volgendo nell' animo: Io sono veramente un nulla; quella è vera grandezza! Non sai allontanarti da quella sala senza volgere un ultimo sguardo alla povera inferma, senza riavvicinarti ad essa, raccomandarti nuovamente alle sue preghiere come a quelle d'un'anima santa, ed il suo limpido sguardo figgendosi nel tuo ti riempie di confusione, e come eco insistente e pur cara ti ripete al cuore: rassegnati, rassegnati al voler di Dio! Oh! sì la rassegnazione è una virtù difficile se la consideriamo astrattamente; ma se la vediamo praticata, posta in atto, leggiamo come in un libro lucente la soavità da cui è costantemente accompagnata. E dimmi; coloro i quali tolgono alle anime afflitte la rassegnazione cristiana, sforzandosi considerarla dote delle anime piccole, dimmi, cosa danno loro in compenso? Essi come popoli vandali e selvaggi non sanno che abbattere e distruggere, senza pensare nè aver modo alcuno a riedificare. Io ho una casina modesta se vuoi, ma ben salda sui fondamenti, comoda e pulita, adattata ai miei bisogni e rispondente a tutto il confortevole alla vita: viene un mestatore e mi dice che quella casa è piccola, indecente, rovinosa, e, senz'aver mezzo alcuno di rifarmela poi pretende la mia adesione per atterrarla, o tenta passare dal detto al fatto colla violenza; non sarei io sommamente sconsigliata, assoggettandomi alla stolta prepotenza del temerario? Oh! non lasciamoci abbattere questo edificio: non lasciamoci rapir dal seno questo tesoro!

Pagina 821

Come devo comportarmi. Le buone usanze

184880
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Per finire questo capitolo di miserie, resterebbe a parlare di certi atti sconvenienti, ai quali le persone poco fini si abbandonano non di rado: tali sarebbero, grattarsi, pulirsi le unghie in pubblico o mordersele, ficcarsi le dita nel naso, ecc. ecc. Ma noi non ci spenderemo sopra parole inutili. Sono atti, questi, che tutti sanno non esser permessi alle persone per bene; sono atti che si proibiscono perfino ai bambini, all'inizio della loro educazione. Tanto più dunque debbono astenersene i grandi, per i quali non vale la scusa dell'ignoranza o del poco giudizio, che invece vale tanto per i bambini. Del resto, questi ed altri simili atti o cattive abitudini sono ormai così universalmente condannati dal moderno galateo, che non c'è da temere che qualcuno possa innocentemente crederli leciti. Riassumendo, l'uomo civile deve, in ogni circostanza della vita, attenersi rigorosamente a quelle regole di vita sociale, sancite dalla lunga esperienza di secoli e affinate e ingentilite con l'avvento della moderna civiltà. Più egli si atterrà scrupolosamente ad esse, più osserverà le norme universalmente conosciute e approvate, più avrà fama di persona corretta e finemente educata. Sappia egli adattarsi all'ambiente in cui vive, e, se gira il mondo, sappia anche, pur mantenendo intatti i fondamenti della propria educazione, rispettare le abitudini degli altri paesi; accolga le usanze straniere, se è in paese straniero, senza maravigliarsene, senza criticare, senza alterarsi. Si ricordi che, accanto a certe regole fisse, alle quali ogni galantuomo deve sottostare, ce ne sono tante altre, che dipendono dalla moda, dalle diverse abitudini, dal clima, dal carattere, dalla razza, le quali cambiano da paese a paese, da regione a regione, da città a città; e non si può dire quali siano le migliori, quali siano da preferire. Tutte son buone, quando non contraddicono alla legge suprema della morale, della decenza e della civiltà.

Pagina 36

Il galateo del campagnuolo

187549
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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E quel che è più strano di tutto si è che diffidano piuttosto delle persone di studio; mentre si abbandonano ciecamente alle persone ignoranti. Il maestro, il medico, il segretario spiegheranno coi dati della scienza un fenomeno naturale, il fulmine, l'aurora boreale, e il contadino ascolterà con quell' aria che dice: a me non la si fa bere; oppure: chissà se sarà così! Un paltoniere qualunque dirà d'aver visto la Madonna sopra un albero, oppure l'ombra di un morto sulla porta del cimitero, e ci si crede come al Vangelo! Se qualche male vien addosso a loro, o al bestiame, i prescritti del medico o del veterinario o non li eseguiscono, o lo fanno con infiniti ma e se; vi passa una cialtrona di donnicciuola, che consiglia il più matto empiastro che si possa immaginare, quello senza indugio vien applicato. Esaminate pure ma troverete quasi sempre la diffidenza più oltraggiosa verso chi sa e la credulità più sciocca ne' farabutti. Ciò che fa ancora più contrasto coll'onestà abituale della gente di campagna è la volgare credenza nella venalità di chi comanda. Fa male al cuore vedere come i contadini credono che tutto si ottenga col danaro; non v'è onestà di magistrato, che essi non credano, che si possa corrompere coll'oro. In una lite si dà loro la sentenza contro? L'avversario, dicono tosto, acciecò il giudice con marenghini. Un giovane tisicuzzo vien dichiarato inabile al servizio militare? Sono i rotoli d'oro che il padre fece sguazzare nelle tasche del medico e del commissario. Un bravo giovane prende bene il suo esame? Il padre chiuse gli occhi ai professori con buoni biglietti di banca. Uno spunta un intrigo? È il prefetto che fu comprato. E chi toglie loro di capo che le imposte, che essi sudano a pagare, non siano mangiate dai ministri, dai deputati, dai senatori? e lo dicono piano e forte. Insomma la diffidenza dappertutto. La giustizia, l'onestà, la virtù, il galantomismo, l'onore, sono vane parole; col danaro si ottiene tutto; e vengono poi fuori co' loro provverbi: le braghe di tela con quel che segue; danaro e amicizia rompono il collo alla giustizia; ed altri su questo andare; e se v'è qualche tristo fatto lo tirano sempre in campo; ma non citano mai quegli esempi di onestà a tutta prova, di rettitudine d'animo fino all'abnegazione, che pur tanti ve ne sono, d'uomini che consumarono il loro avere per beneficare altrui, di gente che sacrificò il meglio della vita a pubblico vantaggio. Massimo d'Azeglio nel 1852 usciva dal ministero, del quale era stato Presidente, e vendette subito i cavalli e licenziò le persone Di questi già non se ne tien conto, si trova di servizio; perchè scrive egli « non avendo più lo stipendio di ministro, se spendessi in cavalli spenderei quel che non ho. » E nel 1849 si diceva che aveva ricevuto milioni dall'Austria! Nel 1859, dopo esser stato Commissario nelle Romagne, ove per aver carattere militare, da colonnello, era stato promosso generale di brigata, così scriveva al ministro della guerra. «Ora la conclusione della pace avendo determinato S. M. a richiamarmi dalle Romagne, sopprimendo la carica, colla quale m'aveva voluto onorare, prego l'E. V. a voler presentare al Re la dimanda delle mie dimissioni. La carriera militare, breve ed interrotta, che ho corsa, non mi dà nessun diritto al grado che occupo, al quale non è conveniente si giunga se non dopo lunghi e segnalati servizi.» Nel 1861 così si rivolse al ministro dell'Interno: «Quand'io lasciai il posto di governatore di Milano, fui messo in disponibilità con metà dello stipendio. Trovo di poter far a meno della somma, che importa. Mi par dovere nelle attuali condizioni delle finanze di rinunziare al soldo di disponibilità!» E giova rammentare che d'Azeglio non era ricco; viveva del lavoro del suo ingegno. Camillo Cavour, accusato di infiniti monopolii; alla sua morte, lasciò il patrimonio avito tutt'altro che moltiplicato. Vincenzo Miglietti, fu due voìte ministro; quando venne a morire, non lasciò che un nome onorato; o come avvocato guadagnava le suo trenta mila lire all'anno! Ed è lunga la schiera d'intemerati cittadini, che ben lungi dal lucrare sulle pubbliche cariche a danno dello Stato, scapitarono anzi ne' ìoro privati interessi. più facile pensar male. Che ci sia qualche caso, che loro dia ragione, pur troppo è a confessarsi; ma sono eccezioni, che non debbono punto servir di regola generale. Ora vi s'aggiungono ancora le amministrazioni provinciali e comunali. Chi non pensa che il sindaco mangi sul Comune, che mangi il segretario e l'assessore? Porgete l'orecchio qui e qua, e troverete che ne' paesi non v'è più una persona onesta, una coscienza intemerata, se state alle dicerie volgari. E badate contraddizione; ciascuno per sè stima il sindaco, il consigliere, il segretario, come uomini incapaci di azioni meno che oneste, la loro rettitudine è proverbiale, ognuno loro affiderebbe la borsa a custodire; tuttavia trattandosi di roba del Comune, bah! mangiano anch'essi; come se prendere al Comune non fosse rubarizio. Oh in che mondo viviamo? O siam tutti ladri? Ripeto, che fa stizza sentir dar addosso alle persone più stimabili con tanta leggerezza! Mettiamo ora per un momento che qualcheduno di costoro abusi dell'autorità e della carica sua, e volga a suo pro il danaro del Comune; chi è in colpa? Chi li ha portati là? siete voi, voi che loro avete dato il voto. E se avevate qualche dubbio sulla loro fede; perche li avete eletti? Pecchè non avete cercato persone probe, oneste, intelligenti, incapaci del male? Il torto è vostro, picchiatevi il petto, e gridate: mea culpa. Ma voi bandite la croce addosso ad uno, e poi alla sua scadenza lo rieleggete; che logica è questa? Quando siete in tempo di riparare al male, nossignore, andate colla testa nel sacco; e poi vi mettete alle querimonie. Nel tempo delle elezioni, pensate bene a' casi vostri, badate chi eleggete, osservate se è galantuomo prima di tutto, se amministra bene le sue sostanze, se ha ordine in casa propria, se è onesto, e poi smettete le diffidenze, che vi fanno torto e torto marcio; vi fanno passare per incontentabili, pigoloni, maldicenti, di mala fede, e capaci voi di far quello che credete degli altri; giusta il proverbio di chi non si fida, non è a fidarsi; oppure chi mal fa, mal pensa. Da questo sistema di recriminazioni e querimonie, sapete che seguirà? Che le persone oneste, che han cura del loro buon nome, che non amano le brighe, piuttosto che esporsi alla maldicenza del pubblico, alle critiche insensate del primo barbagianni venuto, si terranno infuori da ogni amministrazione, e allora?... Allora i guasta-mestieri, i ciarlatani, i furbi, gl'intriganti, gli arruffa-popolo si faranno innanzi, e viva finchè ce n'è; costoro sì che penseranno al vostro vantaggio!... Dunque un po' di buona fede, e quando conoscete uno probo e dabbene, non date retta a tutte le ciancie, che l'invidia e la gelosia potranno mettere in giro per sorprendere la vostra credulità, per allontanare i buoni, per far strada ai tristi. Tutti abbiam de' nemici, e le autorità più che ogni altro, perchè è naturale, che coloro che non vogliono filar dritto, tutti i cattivi soggetti insomma, non possano veder di buon occhio la legge e chi debbe farla eseguire; il malvagio è certamente nemico del galantuomo, il vizio è l'eterno avversario della virtù.

Pagina 62

Galateo per tutte le occasioni

187901
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Gli animali non si abbandonano. Mai! tre gattini con al collo un cartello che recita "for ever!"

Pagina 171

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188229
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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E intanto si mostrano trasandate nel vestiario e nei modi; non hanno cura della nettezza e dell'ordine delle mobilie; chiedono o rispondono con mal garbo, ricevono senza ringraziare, si abbandonano al cattivo umore, addivengono inquiete, noiose, insopportabili, e con quelle persone poi con le quali devono passare la maggior parte della loro vita; poichè guai a coloro che disaffezionate al tetto paterno s'immaginano di dovere star meglio altrove! Ma guai anche a chi non sa rendere gradevole e beato il soggiorno nelle pareti domestiche! I figliuoli devono in tutto consolare e abbellire la vita dei genitori, il chè principalmente dalla religiose e dalla morale deriva; ma anche la civiltà vi ha molta parte. I doveri dei padri e delle madri verso i loro figliuoli sono cosa della maggiore importanza; non s'appartiene a questa operetta il parlarne; ma non sarà fosse inopportuno ricordare che la educazione, affinchè non apparisca goffa e affettata, vuol essere annoverata fin dal bel principio tra le utili istruzioni da dare all' adolescenza. Quest'avvertenza è viepiù a proposito per le convenienze della società, imperocchè facilmente si acquistano con la imitazione: perciò la gioventù educata sotto gli occhi di genitori o di precettori, che le buone usanze conoscono e seguono, a poco a poco vi si assuefà e vi si conforma, senza che, per così dire, sia necessario farlene la spiegazione. Sonovi da osservare questi doveri anche verso i parenti prossimi, come zii, zie, cugini, ai quali già ci lega affetto di famiglia. Invero i diversi gradi di parentela, d'età e di stato possono indurre qualche differenza nella nostra condotta riguardo a ciascuno di essi, quanto al rispetto, alla familiarità, all'intimità; ma a tutti dobbiamo voler bene, usare attenzione, portar rispetto quand'anco la nostra condizione ci facesse essere al di sopra di loro nella scala sociale. Chi sfuggisse di riconoscere parenti che il caso abbia posto in istato inferiore, darebbe indizio di orgoglio ridicolo e imperdonabile. Non dovete dunque studiarvi di tenerli lontani da voi, o di farli accorti che vi reputate da più di loro; chè anzi quanto maggiore vi sembrerà la distanza, tanto più vi conviene usar con essi delicati riguardi, procurando di far dimenticare la differenza di condizione che passa tra voi e loro. Se aveste maggior trasporto d' affetto per alcuni che per altri, non dovreste addimostrarlo in presenza di questi, che sarebbe lo stesso che mortificarli. E da ciò nascono talora quelle avversioni di famiglia che fanno divenir nemiche le persone tra le quali esser dovrebbe affettuosa e durevole amicizia. In una parola, non dimenticate mai questa massima: Onorare la famiglia, è lo stesso che fare onore a noi medesimi. Dobbiamo: Portar rispetto e usare attenzione ai genitori; ascoltare i loro consigli; mostrare riconoscenza delle loro cure paterne; essere affetto per tutti i parenti, e darne lor prova in ogni miglior modo e occasione. Non dobbiamo: Far trapelare agli estranei quelle dissenzioni leggiere che talora si suscitano in seno della famiglia; diportarsi con orgoglio verso i parenti di condizione inferiore; mostrare più affetto verso gli uni che verso gli altri.

Pagina 34

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189216
Pitigrilli (Dino Segre) 4 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
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I soli che si salvino sono coloro che giocano senza metodo, quelli cioè che «non sanno giocare», perchè si abbandonano all'istinto, alla fantasia, all'ispirazione, e non credono al metodo, non credono che essendo usciti certi numeri, debbano uscire degli altri, e che certi numeri essendo già usciti, non escano più. Ma non è tutto: per vincere è necessario immergersi in uno stato di ipnosi, di estasi, di sogno, di «trance», lasciare che il nostro «demone» - una specie di angelo custode in smoking, - ci guidi la mano. A tutti i giocatori si avvicina a un certo punto l'invisibile angelo custode in smoking, che impartisce silenziosi ordini e guida la mano. Per obbedirgli è necessario il silenzio, la passività, la sottomissione. Il vicino che tossisce, che urta il braccio, che fuma un sigaro cattivo, basta a rompere l'incantesimo. E il nostro buon genio se ne va. Il marito che interviene con un consiglio o con un sorriso ironico non fa altro che rompere l'incanto. E la signora comincia a perdere perchè il genietto benefico se ne è andato. Il genietto benefico è un artista e perciò non ha simpatia per i mariti. Spero che la signora vinca la propria causa alla roulette della giustizia; questa vittoria le darà la forza per vincere alla giustizia della roulette.

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Quando passa un reggimento con la banda in testa, i pedoni si mettono a camminare al ritmo della marcia, e alcuni abbandonano il proprio itinerario, per seguire quello del reggimento; se qualcuno ha eseguito una moltiplicazione sul marmo del tavolino di un caffé, tutti gli avventori che si siederanno a quello stesso marmo verificheranno l'operazione, e se ci sarà un errore lo correggeranno. Voi sapete che il cappello da uomo è simmetrico; si può mettere il davanti di dietro e viceversa. La sola asimmetria è nella posizione del nodo del nastro. Provate a mettervi il cappello col nodo a destra, il che non turba né l'equilibrio del cappello, né il funzionamento del cervello che c'è sotto. Ma troverete degli sconosciuti che vi fermeranno per avvertirvi che avete il cappello nel senso opposto semplicemente perchè il nastro avrà il nodo a destra, e non ve lo siete messo «come si deve», cioè come lo mettono tutti. «Tutti» è un Moloch implacabile che si nutre delle eccezioni che gli vengono a tiro. Non essere un'eccezione! Per vivere tranquilli bisogna iscriversi al sindacato della Gente Qualunque, alla Società di Mutuo Soccorso fra gli Inesistenti. Alcuni anni or sono avevo conosciuto a Losanna un brav'uomo al quale dovevo della riconoscenza per un'ininterrotta serie di piaceri che mi faceva, e che io, rifugiato politico in Svizzera, non potevo ricambiare. Mi regalava bottiglie di vino e di vermouth e mi dimostrava la sua bontà, la sua indulgenza e la sua sopportazione. Sentivo però che mi considerava un ribelle, un irregolare, un refrattario. Ciò che gli dicevo io e come lo dicevo io non gli piaceva, e io sapevo che mi giudicava uno strano animale che è meglio cercare di non comprendere. Mi avvolgevano le onde della sua diffidenza, e sentivamo, ciascuno per conto suo, che nè io nè lui avremmo potuto consegnare la nostra anima nelle mani dell'altro. Un pomeriggio d'estate eravamo seduti in una birreria e ciò che egli mi raccontava con voce monotona non interessava. Tuttavia, per fargli credere che seguissi il suo racconto e condividessi le sue idee, emettevo ogni tanto quei monosillabi e quelle paroline che usa il compiacente interlocutore per confermare all'altro e a se stesso di essere sempre sveglio. A un tratto, quando egli scese nei particolari di non so più quale ingiustizia che lo aveva colpito, io che ho orrore dei modi di dire e delle frasi fatte, mi lasciai sfuggire senza nessuna convinzione questo commento: - Ci vuole un coraggio da leone. Il mio amico si arrestò. Mi guardò. Mi fissò. Ripetè in tono solenne: «ci vuole un coraggio da leone». Ordinò un'altra birra e degli altri salami di Vienna con crauti, e sentii che il suo cuore fino allora diffidente ora si abbandonava a me. Io avevo parlato finalmente il suo idioma! Si persuase che avevo anch'io la tessera del mediocre buonsenso, il baccellierato del luogo comune, la capacità di dire «cose da pazzi, roba da chiodi, gente dell'altro mondo, spiegato l'arcano, bevi Rosmunda, l'eccezione conferma la regola, grazie non fumo». Che ero cioè un essere come tutti gli altri - e come lui.

Pagina 260

Nei collegi femminili le ragazze si formano con uno spirito motteggiatore, «taquin», e si abbandonano a una gara di piccole prepotenze contro la dignità e la suscettibilità delle compagne. Nei collegi maschili gli anziani perseguitano i novizi, per antica tradizione, con scherzi di cattivo genere, che nei collegi inglesi si chiamano «fagging» e in quelli francesi si chiamano «brimades». Non so se questi esercizi formino il carattere, ma certarnente abituano a una mancanza di rispetto verso il prossimo, il che aiuterà forse a conquistare gradi e medaglie nella Legione Straniera, ma non serve a chi, più pacificamente, si accontenterebbe di essere un gentleman, un homme de bien, un caballero, un signore. Dirà il lettore che io lo spingo in quella «Scuola dell'ipocrisia» dalla quale al capitolo 37 ho strappato lui e i suoi teneri figli. Legga meglio. Questa non è ipocrisia. E' la «riserva mentale». La «riserva mentale» è una nobile arte inventata dai Gesuiti e forse più anticamente ancora, dagli Stoici. E' la conciliazione della saggezza con la necessità. Il Padre Sanchez, nelle sue Opere Morali, diceva che si può giurare di non aver fatto una cosa pur avendola fatta, pensando entro di sè di non averla fatta prima di essere venuti al mondo, ed Escobar spiega che la promessa non impegna: basta dire «lo farò», e aggiungere mentalmente «se non cambierò di idea». Secondo Pascal la restrizione mentale non è altro che la menzogna. Anche per me. Ma quante volte nella giornata dobbiamo difenderci contro coloro che ci fanno domande indiscrete o esigono promesse assurde. Nella vita di società la maggior parte delle nostre frasi è l'applicazione della restrizione mentale, l'impiego di frasi a doppio senso e di spiritose anfibologie, rallegrate dallo schizzo di seltz di un sorriso.

Pagina 300

Il male è che quando le cose sono stanche di noi, ci abbandonano sfacciatamente. Gli ultimi tre bicchieri di una dozzina di baccarat, le ultime tre statuine di una serie delle Nove Muse sono testimoni superstiti del tradimento dei nove bicchieri di baccarat o delle sei Muse e sono tornate nell'Empireo del nulla, per ammonirci che bisogna amare le cose, ma non fino al punto di rendercene schiavi. Fra qualche anno la Regina Giuliana, ritrovando in fondo a un cassetto i suoi «paradisi bianchi», oltraggiati dalle tarme, direbbe, se avesse letto questo mio ultimo periodo, che dopo tutto io ho ragione.

Pagina 333

Nuovo galateo

190178
Melchiorre Gioja 5 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Pagina 198

Pagina 218

Pagina 270

Pagina 41

Pagina 98

La gente per bene

191866
Marchesa Colombi 1 occorrenze
  • 2007
  • Interlinea
  • Novara
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Gli uomini, un po' più positivi delle signore, si abbandonano più facilmente ai loro gusti, e diventano più presto abitudinari. Uno non può discorrere il mattino appena svegliato e vincere un certo malumore che gli rimane dopo il sonno, e dovunque sia, in viaggio con amici, ospite in casa altrui, o nella propria famiglia, resterà imbronciato e brutto, finchè il malumore mattutino si sia dissipato con tutto comodo. Un altro non può soffrire certi piatti a tavola, e non saprà imporsi il menomo sacrificio per nascondere la sua ripugnanza agli ospiti che l'hanno invitato; e se un vino non è di suo gusto, lo lascerà scorgere con una lieve smorfia, o almeno lo lascerà nel bicchiere con ostentazione. Alcuni sono avvezzi ad una temperatura molto alta, e si fregano le mani, si raggrinzano, si accartocciano inurbanamente in un salotto, che, secondo loro, non è riscaldato a sufficienza; oppure sono calorosi, e smaniano, soffiano, sbuffano come locomotive, se l'ambiente è troppo caldo. Vi sono degli scapoli avvezzi a pranzar soli, che si fanno tirare gli orecchi, per accettare un pranzo in casa altrui e non sanno nascondere che s'impongono un sacrificio. Ad un pranzo d'invito un signore è naturalmente il cavaliere della signora che ha accanto, e non trascurerà menomamente questa parte, troppo comune perchè metta conto di ricordargliela. Non è però inutile rammentargli che dopo aver pranzato con persone che gli furono presentate per la prima volta, dovrà entro le 24 ore portare in persona una carta di visita alla porta di quei commensali. Soltanto nel caso che le commensali fossero delle signorine, la formalità si dovrebbe tralasciare. Un dono poi li offende addirittura, lo rifiutano, o lo accettano come per forza e di mala grazia, poi lo ricambiano troppo presto e con ostentazione, come per far capire che non vogliono accettar nulla da nessuno. C'è alle volte par generosità nell'accettare che nel dare, ed un gentiluomo deve saper accogliere con garbo e con riconoscenza gli inviti ed i doni, e ricambiarli con tatto, senza fretta, per scambio di cortesia, non per sdebitarsi. Molti hanno contratta la dolce abitudine di abbandonarsi ad un pisolino riconfortante durante il chilo; e subito dopo un pranzo, in compagnia, cominciano ad inghiottire sbadigli con ogni sorta di boccacce come se ruminassero, se pure non cedono al bisogno prepotente di lasciarli partire come razzi, comunicandoli a tutta la società, che finisce per sbadigliare in coro fino a smontarsi le mandibole. Questi signori abitudinari, che hanno il loro lato buono, perchè facendo tutto per abitudine, anche l'amore, sono dei modelli di costanza, debbono essere gli inventori di quel motto che è la quintessenza dell'egoismo: «Il primo prossimo è se stesso.» Ma sarebbero assai più amabili se si ricordassero un pochino delle giuste suscettività dell'altro prossimo, il secondo. Se un signore sa di dover essere presentato ad un pittore, ad uno scultore, ad un musicista, ad un autore, ad un uomo politico, ad un'illustrazione del teatro, deve se non li conosce già, informarsi dei quadri, delle statue, delle opere, dei libri, delle opinioni e gesta dei trionfi del nuovo personaggio, per poterne parlare con cognizione, e non con quegli accenni vaghi, quegli elogi generici e banali che fanno parer stupido lui, ed offendono l'altro. Si rammenti a questo proposito la bella storiella di quelle vicine del signor De-Amicis, che gli fecero dire che desideravano di conoscerlo, perchè ammiravano tanto i suoi lavori e poi quando lo videro gli dissero: «Lei si diverte a scrivere, nevvero? Ma bravo! bravo! e nel congedarsi gli ripetevano: Scriva sa, scriva!» Ed era chiaro che de'suoi lavori non conoscevano che il titolo, o tutt' al più la copertina, soltanto di vista.

Pagina 215

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192659
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 1 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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Quando hanno germogliato, si sarchian, si bagnano, e quando le pianticelle sono bene avviate, si abbandonano a sè stesse. Il prezzemolo riesce in ogni terra un po' arabile, e non abbisogna di concime se non quando allo stato di seme, se viene piantato in terra che si può solcare. In settembre si taglia rasente terra, perché nell'autunno dia nuove foglie. Queste sono verdi e tenere. Durante il gelo e la neve copresi la pianta con un gran letto di strame, oppure le si conservano le antiche foglie, che allora servono di riparo al cuore della pianta e la preservano. Nell'ottobre si fanno seccare le foglie di prezzemolo, che suppliranno le foglie verdi, le quali mancheranno nella cattiva stagione. A questo effetto si lavano, si mondano, si gettano per un momento nell'acqua bollente, si stendono al sole sopra graticci, e si espongono al forno tiepido, quindi si ritirano, si rinchiudono in un luogo asciutto, involte in sacchi di carta o in iscatole, oppure si lasciano seccare all'ombra, divise in pacchetti e sospese al soffitto. Il prezzemolo secco è però inferiore al fresco, il quale solo comunica squisitezza alle vivande. E ad averlo mai sempre fresco supplisce il vaso da prezzemolo coltivato in cucina. È desso un vaso di zinco, di legno o meglio di terra cotta, della forma di un cono tronco alla base, aperto al vertice, mezzo metro di altezza, un metro e 46 centimetri di larghezza, e forato in i 150 o 200 luoghi, nei quali si pianta il prezzemolo. A questo fine si semina in poca quantità nel marzo, e nell'autunno si forma il vaso. Disponesi sul fondo del vaso un primo strato di terra e vi s'introducono le radici del prezzemolo per modo che il collare della radice della pianta esca dal vaso. Quando la schiera inferiore dei fori è guarnita, si sovrappone uno strato di buona terra e s'inaffia lievemente. Via via dal basso all'alto ed in ogni foro s'introducono piante e terra fresca ; quando il vaso è tutto guarnito, lo si corona con qualche pianta di prezzemolo o di fiori di stagione, ed è bello e preparato. Quando la pianta ha messo radice e vegeta, s'incomincia la raccolta. Ogni qualvolta si ha bisogno di prezzemolo, lo si taglia da uno o due fori secondo la quantità che occorre. In capo a qualche settimana il ramo tagliato mette nuove foglie, e così se ne ha una provvista sufficiente per tutto l'inverno. Il vaso da prezzemolo si può trasportare da un luogo all'altro a piacere. Nell'inverno lo si porta nella serra od in cucina per sottrarlo ai grandi freddi. Per evitare che le foglie si scolorino, si espone il vaso alla luce. Si avrà cura che di mese in mese da un foro all'altro tutto il prezzemolo sia tagliato ; il secondo anno bisogna anzi tagliarlo più di sovente, perchè non si formino rami. - Si rinnovano le piante ogni due anni. Anche i semi si conservano per lo stesso spazio di tempo. S'inaffia il vaso secondo il bisogno. Per agevolare l'assorbimento lungo tutto il vaso fu immaginato un tubo stretto di terra cotta, tutto bucherato dall'alto al basso, chiuso di sotto, aperto di sopra. Lo si colloca nel vaso quando vi s'introduce la terra in cui si fa la piantagione. Per inaffiare la pianta si riempie d'acqua il tubo collocato nel centro del vaso, e l'irrigazione si espande da sè in tutto l'apparato.

Pagina 288

Saper vivere. Norme di buona creanza

192949
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Molti fra questi sono scapoli impenitenti; molti sono vecchi aristocratici, che non escono mai di casa; molti sono professionisti, deputati, senatori, talvolta ministri, che non hanno mai tempo per nulla, eppure, tutti, tutti quanti, di diversa condizione, età ed occupazione, tutti abbandonano il loro lavoro,il loro comodo, il loro piacere, per fare da testimoni. Bene! Benissimo! E quando vi è gente che ha proprio la vocazione della testimonianza, perché privarla di questo piacere? Dunque, il testimone deve essere invitato al suo ufficio, almeno venti giorni prima del matrimonio: è naturale che a lui si dirigano lo sposo, la sposa o i parenti, per questo invito. Il testimone dello sposo se non conosce la sposa e la sua famiglia, deve esserle precedentemente presentato: viceversa la sposa e la sua famiglia presentano allo sposo, quei testimoni che egli non conosce. Il testimonio non può cavarsela con un bouquet di fiori, anche magnifico, anche messo in un vaso prezioso: le spose detestano i bouquet di fiori dentro i vasi, rammentarselo! Non è necessario che il dono sia molto ricco: deve essere fine ed elegante. Si manda il giorno prima delle nozze, per un servitore, con una carta da visita, dove sia una parola d'augurio. Il testimone porta la redingote, pantaloni chiari, panciotto nero o bianco, cravatta grigia, o bleu, o verde, non chiarissima, con qualche bello spillo: cappello a tuba, quanti grigioperla. Il testimone prende posto nelle prime carrozze; dopo quella della sposa, sta presso la tavola dell'Ufficio di Stato Civile, sale sull'altare, alla Chiesa, dà il braccio, andando e venendo, a qualche parente importante della sposa e dello sposo, e siede alla tavola d'onore. Dopo le nozze, i doveri e i diritti del testimone, spariscono: e restano, fra lui e gli sposi quelle relazioni di amicizia, di affetto, di stima o di semplice conoscenza mondana, che vi erano prima delle nozze.

Pagina 33

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193890
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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Giovanette, per un istinto di civetteria e per le previdenze delle madri, si tengon lontane dalle grosse fatiche della coltivazione; ma appena maritate, tutto si muta, abbandonano la casa e seguono il marito ne’ campi. Voi le vedete curve sulla terra, come manovali, o cariche di fasci enormi, quasi bestie da soma. V’ha contrade in Francia, non dico già in Africa, dove si aggiocano all’aratro col bue e coll’asino. Quindi la loro pelle s’aggrinza, il loro viso si carbonizza, i loro tratti s’induriscono a scambiarsi per uomini, e poverette cadono in una decrepitezza anticipata più orrida della vecchiaia. Ma in quella che fanno i lavori degli uomini, i lavori delle donne, que’ lavori, rammorbidiscono tutti gli altri, restano sconosciuti e trascurati. Nulla v’ha di più sudicio, di più malsano, che l’interno d’un casolare. Spesso le galline, le anitre, i maiali si disputano l’umido suolo. La porta s’immerge nella melma, le finestre, quando ve n’ha, s’aprono sul letamaio. E tuttavia là in un buco fangoso, come la tana del selvaggio, in mezzo ai grugniti degli animali, e le loro fetide emanazioni, là nulla attrae i loro sguardi; il desco è vuoto, e il focolare spento. Lì infine altri lavori attendono la donna, e prima che possa badare alla cena del marito e alle cure de’ ragazzi,deve pensare al governo della stalla e al pasto delle bestie. " Eppure quale diversità se, lasciati all’uomo i rudi lavori della terra, e limitando i suoi all’interno della casa, la moglie colla sua gentile previdenza avesse tutto ammannito per l’ora del ritorno. La fiamma brillerebbe sotto il caminetto; sul desco ben pulito dalla sua mano, fumerebbe subito la minestra col suo buon pezzo di lardo, e le alte piramidi di castagne o di patate ammezzate e fumanti. La buona massaia non s’offrirebbe al suo marito che in mezzo all’abbondanza e circondata dallo stuolo ridente de’suoi ragazzi. Così una vita dolce e facile dovrebbe essere la vita naturale del contadino. Ma nulla gli somministra l’idea di questa felicità; ignora il bello stare, l’incanto delle carezze, e perfino la potenza dell’amore. I suoi figliuoli gli tremano innanzi, la moglie paventa la vigoria del suo braccio. Nemico, non protettore di queste creature così deboli, non riconosce altra legge che la sua forza. L’ultima ragione del contadino, nel suo tugurio, come ne’ campi, è il peso del suo pugno" " Si dirà che ritrarre la donna dai rozzi lavori della terra, sarebbe un mandar a rovina i campagnoli. Noi risponderemo,noi,che ben lungi dal mandarlo a rovina pensiamo di arricchirlo. Certamente, le occupazioni della casa sono né meno numerose, né meno feconde di quelle campestri; se si richiedono braccia vigorose per maneggiare la zappa, ci vogliono mani sagaci per ricevere il raccolto, per cogliere i frutti, aver cura del bestiame, preparare i latticinii, filar la lana e il lino, e mantenere dappertutto l’ordine e la pulizia. La terra non produce che sotto il vomero che la squarcia; la casa non prospera, dove la donna si dà ai lavori dell’uomo, i lavori donneschi rimangono a farsi, vale a dire, nessuna luce del cuore, nessuna ispirazione morale vengono a mescolarsi alle abitudini della vita materiale, i servi sono senza guida, i mariti senza consiglio, e i ragazzi dimenticati.,, Conchiude lo stesso Martin: " Che la rozzezza e la miseria di quasi tutti gli abitanti della campagna sono un'onta al mondo civile; " Che il miglior mezzo di far cessare questa barbarie sta nel rendere alle donne le occupazioni del loro sesso; " Che rendere alle donne le occupazioni del loro sesso, è, in altri termini, prolungare la loro vita, la loro giovinezza, la loro beltà, è rientrare sotto le leggi umane; stando a quest'osservazione di Buffon, che le donne di campagna invecchiano più presto, e muoiono anco in più gran numero che gli uomini, per i rozzi lavori, onde sono aggravate (1),,. La signora Bianca aggiungeva, che oltre all'oppressione materiale, v'è la degradazione morale che annichila la donna di campagna. Il contadino tiene la moglie come un peso, una seccatura; un mezzaiuolo un dì si doleva come un disperato per la morte d'un bue, e punto punto della morte di sua moglie, avvenuta in pari tempo. In casa son continui rimbrotti e improperii: non un momento di pace, non una parola di amorevolezza. V'ha uomini così brutali che si fan belli presso gli amici di picchiar la moglie, e si credono con ciò di mostrarsi uomini a modo, che san far valere la loro autorità; bell'autorità davvero, bell'onore misurare le forze di un facchino con una creatura delicata e debole; siete la vigliaccheria in persona! E quel che più monta è che ciò succede in faccia ai figliuoli, i quali hanno un bell'esempio innanzi per rispettare la madre! Ricordatevi bene che codeste sono onte, che muovono tutte le fibre (1)Education des mères de famille. del cuore, anche de' piccoli, i quali per la generale vogliono più bene alla madre; perchè è senso di natura tener per l'oppresso; e un dì se ne ricorderanno. Ho inteso io ragazzetti tant'alti dire: lasciatemi venir grande, e poi voglio io far le vendette di mia madre! Ecco il bel cuore che formate ne' vostri figli; e se poi si dànno alle birbonate, se si mettono nella via della galera, non avete che da picchiarvi il petto e gridare: mea culpa! Vi son di quelli che pare abbiano scordato il nome della moglie e de' figliuoli, e li chiamano sempre coi più brutti nomacci che si siano foggiati mai: soma, bestia, asino, sono sempre all'ordine; e accenno solo ai più discreti, i più usati il rossore mi vieta di scriverli: vien qua bestiaccia! che il diavolo ti porti, somaro maledetto! va all'inferno, brutta strega! E le imprecazioni, e i moccoli che attaccano, Dio ne liberi! E poi vi lagnate che i vostri ragazzi parlan male, dicono di brutte parolacce, bestemmiano!Santo cielo, chi gliele ha insegnate le bestemmie, le parolacce? Gli è vero, che anche le donne hanno la loro colpa. Ve n'ha di quelle che non terrebbero la lingua per l'oro del mondo. Son sempre lì, stuzzicano, ripicchiano, raffacciano cento volte la stessa cosa, tormentano sì, che farebbero uscir di pazienza un santo. A volte quando vedono il marito sdegnato, se usassero un po' di prudenza a non rispondere, la burrasca passerebbe liscia; ma andatele a tenere; a una parola ne rispondon dieci; e pare proprio che se le vadano a cercare le busse. Un vizio riprovevolissimo, che la signora Bianca non poteva, comportare era la sordidezza e la sporcizia che qualche volta trovava nelle case de' contadini, e di ciò incolpava in tutto e per tutto le donne. La cucina serve di mondezzaio, de' paiuoli il dentro non si distingue dal fuori, un po' di cibo si fa alla carlona, senza cura di sorta; onde rimane insipido, e tale da far più male che bene; le vedete lì colle mani sucide e nere impastare i tagliatelli, forbire il cucchiaio o il coltello col grembiule unto e bisunto, che manda un tanfo lontano di qua là; i ragazzi con vesti lacere, imbrodolate, malconci i capelli, le mani sporche, colla ruggine sulla faccia da fare pietà, toccano tutto, sciupano ogni cosa. E pensare che l'acqua non costa niente; e che la pulizia non dipende che da un po' di cura e di pazienza; e che un po' di nettezza ridonderebbe a tanto di salute, e di risparmio; chè non si vedrebbero più tutte quelle schifose malattie della pelle, crostole quà e là sul viso e per le mani; e se negli abiti, come si fa uno strappo, subito si rattoppasse, si scanserebbe un vestito nuovo; gli utensili di cucina puliti e lucidi si conservano assai più a lungo, la ruggine li rode e li consuma; le vivande allestite con più cura e con un po' di condimento divengono più nutritive e più gustose, e il corpo se ne avvantaggia con tanto di robustezza; e que' soldi, che si sciupano al lotto, e in nastri, se si spendessero in un po' di carne, non fosse che alla domenica, la complessione si farebbe più salda, e le membra più forti, e quindi più atte alla fatica; giacchè è provato che là dove il nutrimento è più sostanzievole, anche gli uomini sono più intelligenti, più gagliardi, e più operosi. Onde quel che più si spende in vitto, si guadagna in lavoro, e si risparmia in malattie. A ciò devono badare le donne di campagna, dalle quali si deve ripetere tutto il miglioramento della famiglia. E le superstizioni, e i pregiudizi, e gli errori, e il così faceva mia nonna, sono proverbiali nelle campagne. Marina diceva, che in nessuna classe sociale si trova tanta cocciutaggine, come ne' contadini. Avete un bell'ammaestrarli sui nuovi trovati della scienza, sulle migliorie nell'agricoltura, nell'orticoltura, nell'allevamento delle bestie, nella cura de' bambini, ma sì, è un predicar al vento, il sistema della nonna è sempre il migliore. Eppure vedete contraddizione singolare, dove trovate tanta credulità, come nelle campagne? V'è da notare ciò, che i contadini non prestano fede agli studiosi, ai dotti, quasi temano il malefizio; ma se una cosa vien detta da un tanghero zoccolato, oh allora la tengono come parola di vangelo! Guardateli nelle malattie; il medico prescriverà il tal farmaco, una persona di studio suggerirà di far così, piuttosto che così, e le contadine faranno sempre il viso dell'incredulo; passa una sucida donnaccia, che non saprà fare un o coll'imbuto, ordina un empiastro della malora, che avrà appreso dal cerretano sulla piazza, ed eccoti subito alla prova, e tengono il male bello e sparito. Già la ragione di tutto questo è nell'ignoranza, la quale fa sì che si creda negli sciocchi, e si insospettisca di chi sa. Le quali ubbie, pregiudizii, e credulità non si potranno levare dalla campagna, finchè la donna non sarà istruita daddovero; perchè è dessa che le alimenta e le moltiplica. Fate la donna illuminata, e che le metta in ridicolo, e l'uomo si vergognerà di conservarle. Così ragionava la signora Bianca, la quale era tutta in promuovere l'istruzione femminile in quel villaggio; dove aveva impiantato un asilo infantile, una scuola per gli adulti; e per ultimo aveva istituito di suo una biblioteca circolante di libri semplici e educativi, riguardanti l'igiene, l'agricoltura, la storia e geografia; e li mandava essa stessa alla lettura per le case. Il che riuscì di un profitto incredibile; perchè in pochi anni si vide quel paese mutato di faccia; pareva tutto un giardino; non un lembo incolto, e ogni terra aveva quella coltura che più le s'addiceva; le casette si alzavano pulite e bianche in mezzo al verde delle viti e delle piante; i letamai non erano innanzi alla porta o sotto le finestre; ma in scavi dietro le case a mezzanotte; le camere aerate ed esposte a levante o a mezzodì; nel paese poi le contrade pulite e ben ciottolate; guai a chi gettasse le immondezze o le spazzature dalle finestre nelle vie. Le donne cortesi accudivano alle faccenduole di casa, mandavano i ragazzi ravviati alla scuola, se li conducevano alla chiesa con sè, facendoseli inginocchiare da canto, con i loro libricciuoli aperti, nè li lasciavano correre alle monellerie; ma raccolti e quieti, che era un amore. E fu una bella consolazione un anno, che imperversando il cholera asiatico e portando il terrore e lo sterminio in tutti i paesi del contorno, neppure una vittima fece in quel fortunato paesello!

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Nuovo galateo. Tomo II

194676
Melchiorre Gioia 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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L'amor proprio, che non abbandona gli uomini se non quando essi abbandonano la vita, fa loro temere sopra ogni altro male la derisione, e scuote loro didosso l'indolenza, e delle più care follie gli spoglia per non rimanere esposto ai frizzi del ridicolo, il che spesso non ottiene la più lampante verità ed agguerrita ragione. Se Aristofane avesse dato agli Ateniesi in una concione quegli ammaestramenti che diede loro nelle commedie, l'avrebbero tagliato a pezzi; laddove in teatro ridevano smascellatamente e dicevano ch'egli aveva ragione. Benché i Gentili avessero veduto Cicerone assalire l'edificio dell'idolatria con armi prestategli dalla filosofia, pure non sapevano indursi ad abbandonarne i tempii. Comparve in mezzo d'essi Luciano, il quale fece la guerra al gentilesimo col motteggio, e se non ne distrusse gli altari, ne disperse in gran parte gli adoratori. ll buon senso aveva già proscritto le pazzie cavalleresche in Ispagna, pria che nascesse Cervantes; ma quella nazione non riuscii a spogliarsene se non dopo che egli ebbe presentato al pubblico il suo ridicolissimo Don Chisciotte. Tanto é vero ciò che dice Orazio:

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L' esperienza dimostra che gli uomini dotati delle più felici disposizioni, di talenti distinti ed anche di virtù stimabili, s'abbrutiscono del tutto, se troppo imprudentemente all'impeto delle loro inclinazioni sensuali si abbandonano; ed altri non arrivano giammai al grado di perfezione intellettuale e morale al quale sembrano chiamati dalla sensibile superiorità de' doni che dalla natura avevano ricevuto. Osservate Antonio, pensate all'eminenza del suo genio come guerriero, come oratore, come politico, e ricordatevi la vergogna e l'infelicità del suo destino. Antonio sarebbe forse stato uguale a Cesare, certamente vincitore d' Ottavio, se meno dall'impeto del suo temperamento si fosse lasciato dominare e da' suoi gusti sensuali. Tra tutte le sensualità quelle che più istupidiscono lo spirito, sono l'ubbriachezza e la ghiottoneria. Combinando gli antecedenti riflessi colle idee esposte nel capo 1.°, non resteremo sorpresi, se, rimontando il corso de' secoli, ritroveremo l'ubbriachezza e la ghiottoneria dominanti presso tutti i popoli barbari e semi-barbari, principalmente ne' climi freddi, uniti ai sozzi e feroci vizi che le accompagnano. 1.° (Secolo XVIII) Nelle isole occidentali della Scozia si riguardava come atto di coraggio il bere finché si fosse ubbriaco. Gli abitanti occupavano 24 e talvolta 48 ore a bere. Alle porte di queste orgie si trovavano due uomini muniti di barella, i quali l'uno dopo l'altro trasportavano gli ubbriachi alle loro case. In Edimburgo (almeno sino al 1779) davasi tutti gli anni un concerto per soscrizioni nel giorno di Santa Cecilia. Le più belle dame della città vi erano con speciale biglietto invitate. Dopo il concerto i soscrittori si univano in una taverna e cenavano insieme. Collocavasi sulla tavola una cassetta la quale portava il nome d'Inferno. Si presentavano i biglietti delle dame che avevano assistito al concerto, e l'una dopo l'altra si proclamavano. I biglietti di quelle che non trovavano alcun campione pronto a bere per salvarle, venivano gettati nella cassetta; e quegli che beveva di più (purchè potesse terminare quella bravura bevendo in un solo fiato un gran bicchiere che chiamavasi S.Cecilia, e che d'ordinario rovesciava ubbriaco sul suolo il bevitore più potente) era autorizzato ad andare il giorno appresso dalla sua dama, presentarle il suo biglietto, gloriandosi d'avere avuto l'onore d'ubbriacarsi per salvarla. Ciò che é più strano si è, che quand'anco ella non avesse avuto relazione alcuna con lui, egli era sempre ben accolto, gentilmente ringraziato, ed invitato a rinnovare le sue visite a suo piacere. Ho conosciuto delle dame, dice Odier che racconta il fatto, in onor delle quali uno di questi bravi avea bevuto 17 in 18 bottiglie di punch (giacché non il vino, ma il punch serviva a questo stravizzo), e le quali altamente se ne gloriavano. Le Grand d'Aussy che scriveva verso la metà del secolo XVIII, ricordando l'antico costume vigente in Francia di costringere i commensali a bere, e le leggi che lo condannarono, aggiunge: « II tempo non ha potuto guarirci di questa riprensibile » stravaganza. La si trova tuttora in molte » parti del regno ed in più d'una classe. Fu anche » un tempo in cui, quando taluno assisteva ad un » pranzo di bevitori, e ricusava di bere come essi, » il costume voleva che gli si tagliasse il cappuccio » a segno d'insulto». Anche dopo la metà del suddetto secolo i Francesi cantavano a mensa una canzone, ciascun ritornello della quale in ciascuna strofa, citando Ipocrate, dichiarava

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Pagina 248

Galateo morale

196395
Giacinto Gallenga 2 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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I grossi eserciti poi vengono schiacciati, più ancora che dal valore e dalla scienza dei nemici, dall'ozio e dalla corruzione a cui si abbandonano in tempo di pace. Ed è cosa ormai fuori di dubbio che l'insolenza è per l'ordinario la maschera della viltà; giacché il vero coraggio non ha d'uopo d'essere strombazzato ai quattro venti.

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L'abito inoltre che essi acquistano di prestare fede al soprannaturale, al fantastico, al favoloso, ha per effetto di renderli tardi e restii al ragionare, creduli, maninconiosi, sfiduciati; diventeranno insomma della razza di quei minchioni che credono all'influenza del destino, senza pensare che il proprio destino ciascuno può crearselo più o men buono collo studio, colla fatica, colla perduranza; che si abbandonano sfiancati a ogni menomo urto, incapaci di lottare colle difficoltà, coi pericoli, colle disgrazie; che diventano in una parola zimbello dei furbi, facili ai pregiudizi, tenaci negli errori, vittime delle cabale e delle superstizioni.

Pagina 52

Come presentarmi in società

199875
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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E allora nasce l'imitazione, più a buon mercato, che consente anche a questi di cavarsi la loro voglia, mentre i ricchi abbandonano allora la prima foggia che decade di prezzo «e diviene accessibile anche alle persone quasi povere, le quali perciò vengono messe a parte di piaceri, da cui, per le variazioni della moda, resterebbero escluse». E qui è il punto vulnerabile dal lato morale, perchè la voglia di questi cosidetti piaceri è stimolo troppo frequente, nelle classi umili, a errori d'ogni sorta. Basta guardarsi attorno, ai tempi nostri, per vederlo. Conclude però saggiamente che la moda, presentandosi sotto diverse forme, eccita anche svariate invenzioni, e dà stimolo a intelletti che forse resterebbero inattivi. E aggiunge che non è vero che la moda sia causa di corruzione, anzi afferma che le epoche più corrotte sono anche le più rozze. Discuter su questo, sarebbe veramente uscir dal limite del nostro argomento. Basti quanto s'è detto qui, per affermare i diritti di benemerenza della volubile dea. Ma quando essa si fa complice di scostumatezza, quando si oppone alle leggi dell'igiene, allora chi ha senno e decoro si dichiara indipendente dal giogo tirannico. Ora, per esempio, siamo nel regno delle gonnelle corte. E fu una benefica e salutare riforma quella che liberò le signore dal fastidio di reggersi continuamente il lembo e di tornar a casa, ciò nonostante, quasi sempre impolverate e inzaccherate. Ma dalla caviglia si andò sempre più in su, a mostrar gli stinchi e i polpacci, e talvolta si mostrano allegramente le ginocchia. Ciò è esagerato e indecoroso: senza contare che è penoso vedere come troppe donne, sorde agli ammonimenti del decoro, della religione, dell'estetica, del buon senso, siano pronte ad obbedire ciecamente solo alla moda. Lasciamo ora andar l'eterno argomento in quanto riguarda il sesso femminile, e veniamo al sesso maschile. Anche l'uomo serio e ben educato sceglie e adatta opportunamente i suoi vestiti. L'abito a giacchetta, scuro d'inverno, e nell'estate anche a tinte più chiare, è presentemente il più usato nelle ore della mattina e del pomeriggio, per recarsi all'ufficio e per attendere comunque ai propri interessi. Ed è anche quello che si tiene per casa, giacché solo un malato o un vecchio possono indossare fuor di camera la veste da camera o il pigiama che ora tanto è di moda. A pranzo, in famiglia, il vestire maschile sarà press'a poco lo stesso che si usa per fuori; scorrettissimo lo stare in maniche di camicia, compatibile solo in campagna, nei grandi calori, ben inteso. Ai pranzi di lusso o ufficiali è di rigore l'abito nero, marsina o frac, cravatta bianca, guanti chiari, panciotto bianco. Molto si usa adesso anche il tosi detto smoking che è una via di mezzo tra l'abito di gran gala e l'abito di confidenza: si usa però solo nelle riunioni della sera e per i pranzi. In visita ufficiale a una signora, il gentiluomo indosserà l'abito scuro, cravatta assortita al tono del vestito. Ai thè o ricevimenti pomeridiani, si usa press'a poco lo stesso vestiario, adattandolo alla riunione, secondo che è più o meno familiare, più o meno aristocratica. In campagna, nelle gite, l'uomo, specialmente giovane, starà bene col costume sportivo, e potrà anche permettersi abiti un po' singolari, di velluto scuro, di flanella bianca, di stoffe fantasia. Ma non mai a pranzo, nemmeno nell'intimità. Soltanto, se prima di partire per qualche gita si fa una colazione, è lecito che si presenti come richiede la libertà dell'aria aperta e la comodità dell'escursione che si sta per intraprendere. L'uomo che segue tutte le mode, che si adorna effemminatamente, che si profuma e si pettina artificiosamente, che si carica le dita di anelli, dimostra cervello meschino e riesce assai disgustoso. Ma ci sono anche uomini, e talvolta di gran merito, che cadono nell'eccesso opposto. Sono quelli che escono di casa male abbottonati, che buttano il soprabito sulle spalle invece d'infilarlo, che sono nemici mortali dei guanti. E il cappello! Talvolta se lo caccian sino agli occhi, e danno l'impressione del malumore e della scontrosaggine; talvolta se lo lasciano andar sulla nuca, e fanno l'effetto di goffi e sbadati. Se poi lo lascian pendere sull'orecchio, corrono il rischio d'essere, e proprio senza colpa, giudicati per arroganti e pretenziosi. L'ombrello non va tenuto obliquo sotto braccio... Ognuno sa poi quanta importanza abbia la calzatura ai tempi nostri, in cui l'eleganza e la varietà sono diventate una vera mania. Chi ha i mezzi di concedersi scarpine finissime e calze di seta, faccia pure; sarà un complemento necessario, badi almeno che la calzatura sia pulitissima, ben tenuta, e non dia nell'occhio per colori vistosi o singolarità di cattivo gusto. Regole speciali sono prescritte per le vesti da lutto, a seconda del grado di parentela, del paese, delle circostanze. E' vero che ora tali regole par si vadano rilassando, e per motivi che non fanno punto onore al cuore umano: tuttavia, eccole quali sono nell'uso più comunemente osservato. Per le vedove il lutto dura due anni; e il primo anno, o almeno i primi sei mesi, si può portare con velo o crespo. L'abito di semplice lana guarnito di crespo o liscio; il soprabito di panno nero. La pelliccia anche di colore non rompe il lutto. Nel secondo anno si ammette qualche guarnizione sul vestito e si toglie il crespo. Verso la fine dell'anno, comincia ad essere ammessa qualche lieve guarnizione bianca, grigia o violacea, che segna poi il passaggio al così detto mezzo lutto. Allora predomina il grigio con guarnizioni nere, il viola e il lilla, ed è anche ammesso il bianco, ma con qualche accenno al nero. Se però la vedova si rimarita prima, tronca il lutto e veste come le piace. Per i genitori il lutto grave è di sei mesi, indi il mezzo lutto, e così per i suoceri. Per i nonni sei mesi tra lutto grave e mezzo lutto, e così per i fratelli e i cognati; per gli zii quaranta giorni di lutto grave, pei cugini sei settimane di mezzo lutto. Tali sono le regole generalmente osservate nell'alta Italia. Ma nell'Italia meridionale i lutti si prolungano molto più, e quello delle vedove dura spesso tutta la vita. E siccome tali dimostrazioni non sono esteriori soltanto, ma corrispondono a una reale condizione dell'animo, dobbiamo farne la debita stima. Come s'è detto sopra, si tende però ora generalmente ad abbreviare o a sopprimere addirittura il lutto, specialmente per parenti che non vivevano nella stessa città. Dai parenti da cui si eredita, siano essi anche lontanissimi prozii o cugini, è obbligo il lutto. E aggiungo un'avvertenza che veramente dovrebbe suonare umiliazione per chi sente di doversela applicare. Il lutto indica un sacro dolore, un senso di rispetto e di rimpianto per l'estinto. Non profaniamoli dunque con fogge vistose, con mode sconvenienti. Le signore sovraccariche di perle nere, di vezzi cascanti, quelle che fanno ondeggiare il loro velo su una gonna che mostra i polpacci, quelle che al severo emblema del dolore uniscono le scollacciature e le sbracciature, o mal nascondono le carni sotto veli trasparenti, abbiano piuttosto la franchezza di smetterlo, e di non presentare lo spettacolo di una vanità vergognosa, unita all'assenza di sentimento e di decenza. Per gli uomini, il gran lutto è il vestito tutto nero; ma molti ora usano semplicemente il crespo al cappello o al braccio. Non si può dar una regola assoluta, ed è meglio prender norma dalle circostanze.

Pagina 40

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

201065
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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Una stretta di mano, insomma, non deve essere troppo energica ma nemmeno troppo fiacca: stringere certe mani che si abbandonano nell'altra come se fossero prive di vita fa quasi impressione. Ma neanche stringete la mano con troppa violenza, quasi voleste stritolarla. Non scuotete la mano altrui. Non tenetela troppo a lungo nella vostra. Non lasciatela cadere di colpo come se vi scottasse tra le dita. Non tendete la mano sinistra. Non dimenticate di stringere prontamente la mano che vi viene tesa: lasciare una persona con la mano inutilmente tesa significa metterla in imbarazzo, anche se non l'avete fatto apposta. La mano va tesa intera: e questo vuol dire che non si tende pigramente un dito, quasi con aria di degnazione. Gli errori in un semplice gesto come il saluto sono tantissimi. Basta che vi guardiate intorno per accorgervi dei peccati altrui e forse anche dei vostri. Osservate quel signore che saluta con la sigaretta in bocca, quell'altro che non toglie la sinistra dalla tasca dei pantaloni, quell'altro ancora che tiene il cappello ben calcato sulla testa. Per non calcolare, poi, gli esempi di cattiva educazione (i saluti gridati a distanza, i "ciao" mormorati con la bocca piena, i frizzi idioti, e così via). Se siete affacciato alla finestra non mettetevi a urlare per salutare un amico che sta passando per la strada. Non date pacche sulla schiena. Il saluto deve essere esplicito. Molte persone hanno il vezzo di salutare con un lieve sorriso, anzi una piccola inclinazione delle labbra che potrebbe anche essere una smorfia. Il "buongiorno" a voce alta si usa ancora. Non è passato di moda, anche se certe persone che si credono snob decidono da un giorno all'altro di licenziare come "superate" certe vecchissime regole di buona educazione. Non salutate con "ciao" o "salve" una persona con la quale non siete in rapporti di amicizia confidenziale o che comunque, per età o altre ragioni, merita rispetto. E se vi trovate in un salotto, non rivolgetevi a tutti con esclamazioni sciocche come "tesoro!" "amore mio!" "carissimo!" "carissima!". Se salutate una persona, quando siete in compagnia di un'altra, e il saluto precede lo scambio di qualche parola, a necessario fare le presentazioni. Se viceversa il saluto consiste in un semplice "buongiorno", non è assolutamente necessario informare la persona con la quale si è in compagnia sul conto di quello che si è appena salutato.

Galateo della borghesia

201630
Emilia Nevers 1 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Il pane si rompe, non si taglia: le salse si abbandonano al gatto, nè si fa spugna della midolla di pane: si tien il coltello nella destra, la forchetta nella sinistra, tagliando la carne man mano e non mai sminuzzandola prima come cibo preparato pei polli. - La porzione si prende piccola, in casa privata, perchè se il cibo vi piace sapete di poterne riprendere, se non vi piace evitate così di lasciarlo sul piatto, il che è un'offesa alla padrona di casa. In certi luoghi predomina tuttavia il falso concetto che per mostrare che non si è golosi, bisogna accumulare una catasta sul piatto... e lasciarvela, sciupando il ben di Dio. Ignoro davvero dove si sia pescata sì balzana norma di civiltà. L'ho però veduta a metter in pratica, in casa mia, da due sposini, i quali, dopo aver sequestrate la maggior parte delle cose servite, non le assaggiarono neppure, con affettazione così burlesca che nemmeno il gelato, le torte e le frutta trovarono grazia ai loro occhi. Usciti da casa mia andarono difilato al caffè... dove passando li vidi un'ora dopo mangiare a due palmenti. Era civiltà il loro rifiuto? Era impaccio? Non sapevano come mangiare davanti a gente di soggezione? - Forse: quell'inconveniente tocca spesso a quelli che si abituano, per comodità, a mangiar male. Non si beve a bocca piena: non si mettono pesche, biscotti e zuccaro nel vino: non si tocca il cibo nel piatto comune con la propria forchetta: non si prende una gran porzione, offrendone metà al vicino, ed in genere non si offrono cose che possono dispiacere agli schifiltosi: non si da ad assaggiare roba propria, non si chiede di assaggiare quella di altrui, nè vino, nè bibite. Per quanto possibile si evita di soffiarsi il naso e sputare. Se si è troppo infreddati non si accettano inviti. Le ossa si spolpano col coltello; non si pigliano mai con una mano, men che meno con due, imitando il gesto famigliare delle scimmie. Si mangia con misura per non rimaner intorpiditi come serpenti boa, o non essere costretti, l'uomo a sbottonarsi il gilè, lasciando che ne trabocchi la bedaine, le signore, chiuse nel busto, a soffrir una specie di supplizio del medio evo, diventando violetta e correndo rischio di rimaner basite lì per lì. I ragazzi,che hanno forse meno giudizio ancora degli adulti, non vanno esortati a mangiare: l'ospite renderebbe loro un cattivo servizio e moralmente, facendo eco alla loro gola naturale e, fisicamente, compromettendo il loro stomaco. Non si beverà in modo eccessivo, per evitare..... Qui non occorre dir altro, eh? perchè da Noè in poi gli effetti del vino si conoscono. Le frutta presentano un grave quesito. Non vanno prese in mano che per pelarle, poi si tagliano a fette col coltello e si recano alla bocca colla forchetta: mele, pere, pesche, fichi vanno soggette a quella legge; le noci, in una tavola ben servita, si recano già spezzate; riguardo all'uva, chi segue il sistema igienico di non inghiottirne la buccia (ed è igienico davvero, sapete, care signore!) deve mangiarla... in camera propria. Non c'è che un frutto che mi abbia gravemente preoccupato,senza che potessi sciogliere il quesito. Indovinate: Sono le ciliege. Evidentemente non si può, come nel caso delle pesche, estirparne il nocciuolo con la punta del coltello; non si può nemmeno sputarlo nella mano, come fanno taluni. Vi sono certe forme di pulizia che riescono più disgustose della stessa mancanza di mondezza. E dunque che si farà?... Davvero non lo so e non ho veduto questo caso citato in nessuno dei dieci o dodici galatei che esistono a mia conoscenza. Non vedo modo d'uscire dal perfido dilemma: sputar i nocciuoli... o inghiottirli, un dilemma che somiglia un pochino a quello che Bernabò poneva sul Ponte del Naviglio ai due frati latori della scomunica: O mangiare o bere... Care lettrici, studiatelo voi il quesito, e se scoprite altra soluzione - mi raccomando - comunicatemela. Portar in tavola quei certi bicchieri a sottocoppa in cui si risciacquava la bocca anni fa, è usanza tanto vieta che è il caso di ridere di chi la mette in pratica piuttosto che degli ingenui, i quali, vedendo quell'acqua fumante sparsa di buccie dorate di limone...... la recano alle labbra. Si costuma però in certe case recar delle coppe di cristallo piene d'acqua profumata dove il commensale intinge le dita. Intascar frutta o dolci... pei bimbi che sono a casa, è una sconvenienza. Però l'anfitrione può senza ledere la creanza, quando si tratti di parenti od intimi, dare all'ospite qualche confetto in belle carte colorate o dorate da portare alla sua famigliuola. Nei conviti di nozze quei dolci si danno sempre, mettendoli in appositi e ricchi sacchetti. È formola vieta il chieder dopo pranzo al vicino se ha pranzato bene. Più vieto ancora il congratularsi seco stessi del buon pranzo con ingenue esclamazioni: - Ah! che scorpacciata! Come ho mangiato bene! Son sazio fino agli occhi! - senza contar le terribili espressioni: - Grazie, sono stufo; son obeso, non ne posso più... Come qualificare poi le persone che, sia da un ospite, sia all'albergo, s'incoraggiano a vicenda a mangiare più del bisogno con le frasi: - Non costa nulla, - oppure: - Dal momento che si paga a pasto!... - Esistono simili persone? direte voi. Eh! altro, care signore! esistono. E sono spesso persone facoltose, gente che se ne tiene e mangia tartufi e guarda d'alto in basso l'uomo cortese... che per mediocre fortuna è costretto a mangiar male!

Pagina 82

Eva Regina

203078
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 9 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Queste ore nere che travagliano per solito la donna nella sua prima giovinezza, e le dànno malinconie, impazienze, irascibilità, cambiamenti d'umore, inesplicabili per gli altri, non l' abbandonano, purtroppo, neppure nella nuova fase della sua vita. Essa lo aveva sperato dapprima, nella sua letizia di fidanzata, nel suo luminoso tripudio di sposa: si era creduta libera per sempre dalla schiavitù del dolore che pesa sulla povera umanità e quando non la strazia con le sventure, la tormenta con le tristezze arcane. Ma ecco che nel bel mezzo della sua gioia, il nemico, come un nero nibbio, cala rapace e l'avvolge nella cupa ombra delle sue ali. È in un giorno di malessere, in un'ora di solitudine. L'inutile ed elegante ricamo le sfugge dalle dita; il libro rimane aperto sempre alla stessa pagina... La giovane signora ha sottocchio un calendario, ricorda che quello stesso giorno, quella medesima sera, fu per lei una data felice... Oh, un ballo, una prémière al teatro, un five o' clock, una gita, un piccolo lieto avvenimento qualunque della sua vita di fanciulla, ma che basta per farle rivolgere in dietro il capo, verso la dolce riva lasciata, verso la sua innocente verginità che non torna.... E quasi senza volerlo è tratta a paragonare la sua esistenza d'allora, così spensierata, così rosea, così gaia fra le amiche e i corteggiatori, alla sua vita del presente dove anche le dolcezze più profonde appaiono rivestite della severa maestà del dovere. Ella pensa a quelle fra le sue giovani compagne ancora libere di svolazzare di festa in festa, di lasciarsi rapire dall' armonioso turbine della danza; di uscire alle passeggiate mondane; di accettare degli inviti in villa; di fare dei viaggetti; di stare in ozio anche, o di suonare il piano e imparare qualche bel lavoruccio artistico nuovo: mentre lei... mentre lei..., lei ha un padrone : un padrone benigno, tenero, indulgente, ma sempre un padrone, e sospira....

Pagina 101

Gli uomini soffrono più superficialmente della morte dell'amore, forse perchè non vi si abbandonano interi, con tutto l'essere pensante e sensibile, e in tutti i minuti della giornata, come fa la donna quando ama con passione e tutto il mondo scompare per lei che s'è fatta un mondo nel suo cuore. Si disse che l'amore per l'uomo è un episodio, per la donna un poema; e tutte le donne che sanno che cos' è amare e soffrire, sentiranno la triste verità di questa definizione. Un poema drammatico, aggiungo io, per la fatalità che presiede all'epilogo, Oh quel giorno! un estremo bacio ad una stazione : una stretta di mano angosciosa all'angolo d'una via; uno sguardo carico di strazio all'uscire da una sala ; una breve e solenne parola, un addio scritto fra i singhiozzi in fondo a una lettera... e poi la solitudine, il silenzio, il deserto, come quando è passata la morte. Oppure, in piena fioritura, in piena sicurezza, una delazione, un tradimento, un sospetto che acquista basi di realtà, e la lettera scritta nell'abbandono assoluto, dov'è tutto l'ardore dell'anima, tutta la confessione della colpa, è nelle mani dello sposo offeso e ingannato : oppure il nascondiglio fido è bruscamente invaso e la colpevole è sorpresa dove le prove dell'infedeltà sono così evidenti che il negare sarebbe un' assurdità.

Pagina 258

Ve ne sono di quelli che si abbandonano all' impulso della loro ira, della passione gelosa, e colpiscono ciecamente o scacciano la colpevole. Le cronache dei giornali sono sempre piene di mariti ingannati che uccidono, feriscono, maltrattano la loro compagna, mutando il dramma in tragedia. Eppure, quante volte, il fatto che li esaspera fino a trasformarli in assassini non è che una conseguenza naturale e fatale della loro condotta, del loro modo d' agire verso la moglie, dei loro vizii, delle loro stesse infedeltà ! Se la legge dovesse accordare ad ambedue i coniugi il diritto di uccidere quello fra i due che manca alla data fede, il primo ad andarsene all'altro mondo sarebbe sempre, ne son certa, il marito. Chi porta seco la maggior quantità d' illusioni nel matrimonio è la donna; chi soffre più dei disinganni è lei, e tanto ne soffre talora, che un mutamento radicale avviene nel suo mondo morale. Da fiduciosa diventa scettica, da tenera e pietosa diviene sdegnosa e aspra, da zelante osservatrice del proprio dovere si muta in trascurata e spergiura. E questo, perchè ? Perchè la vita dopo i disinganni che l'hanno percossa le appare sotto un altro aspetto, e nell' amara evoluzione ella si sente sciolta dai propri obblighi, dal momento che il suo compagno non osserva i suoi. Egli le ha dato il cattivo esempio, ella lo segue ed eccede perchè è più debole, più impulsiva, più inesperta di lui. «Ce ne sont pas les trahisons des femmes qui nous apprennent le plus â nous défier d' elles. Ce sont les nôtres» ha scritto Bourget. Francesca da Polenta tradì lo sposo, ma Gianciotto l' aveva preceduta sulla via dell' inganno quando la fece chiedere in isposa dal fratello Paolo, bellissimo, lasciandolo prendere in isbaglio per lui, brutto e zoppo d'un piede. Offesa per offesa. Oh, prima di scacciare, prima di colpire, prima d' uccidere, interrogate la vostra coscienza, o signori! E se la troverete sgombra di ogni rimorso, se non vi rimprovererà proprio nulla nella vostra condotta del passato o del presente verso colei che vi ha tradito, allora — ma solamente allora — colpite, uccidete !

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Questa è l'ambizione di molti genitori ed è l'ideale di molte fanciulle, e vi si abbandonano a prezzo di non lievi sacrifici, con tenacità singolare, senza riflettere prima se non convenisse meglio scegliere altra via più modesta ma più proficua : senza interrogarsi profondamente — la fanciulla — se la missione grave, ardua, delicata dell'insegnante si confaccia davvero al suo carattere, alle sue attitudini. Invece la giovinetta dovrebbe se sta in famiglia e studia per farsi una coltura d'ornamento, non affrettarsi al termine e continuare a studiare, ad apprendere, anche oltre i quindici anni, nell'età in cui appunto la sua mente si apre meglio ad accogliere le spiegazione delle conquiste della scienza e le visioni della bellezza ideale, e continuare a imparare, ad esercitarsi finchè prenderà marito ed anche dopo, perchè non c'è condizione di vita od età in cui si possa dire: « io so abbastanza » e non desiderare di andare più oltre. Se poi la signorina studia per professione, procuri almeno di applicarsi a quelle discipline verso cui le sue facoltà intellettuali e i suoi gusti la portano maggiormente. E se invece di andare alla scuola Normale andrà ad una scuola professionale non dovrà vergognarsene, giacchè potrà diventare un'abile cucitrice, una brava modista, piuttosto che una cattiva insegnante e sarà tanto di guadagnato per gli altri e per lei. Io vorrei particolarmente insistere perchè alle ragazze d'oggi, in cerca di professione, si desse qualche altro avviamento, per impedire che si agglomerasse intorno a certi pochi rami determinati un soverchio numero di postulanti che divengono poi le spostate. Il commercio, per esempio, la contabilità, la scrittura a macchina, la stenografia, le lingue straniere, la chimica, la botanica, i corsi d'igiene e di infermeria. L'estetica ha una grande importanza nell' istruzione, ma io vorrei che vi fosse infusa più generalmente anzichè vederla limitata all' esercizio delle belle arti che si riduce spesso ad un ozioso dilettantismo o ad una misera profanazione. Vorrei che tutte le fanciulle potessero gustare la bella musica, ammirare i bei quadri, le belle statue, i bei versi, la bella prosa; potessero analizzare, conoscere, preferire, invece di udirle suonare l'obbligato pezzo con variazioni, o vederle insudiciare coi colori dei lembi di tela e scrivere un bozzetto o una lirica piena di luoghi comuni. Le vorrei interpreti, insomma, più che esecutrici o creatrici, a meno di una tendenza speciale verso qualche arte, che allora sarebbe delitto misconoscere o soffocare.

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Si abbandonano le velette aderenti, e si portano i larghi veli fluttuanti che riparano dalla polvere e dal sole senza far caldo : quelli leggermente azzurri o verdi sono buoni per chi ha gli occhi delicati, facili a irritazione provocata dal riflesso del sole. Del resto il bianco essendo cattivo conduttore del calorico è da preferirsi nell' estate, specialmente quando si è costretti ad uscire nelle ore calde o a rimanere esposte a lungo ai raggi del sole.

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Le signore modernissime, forse per questo complesso di ragioni o per un' educazione più razionale, sdegnano tutte la sigaretta, che, del resto, anche molti uomini delle nuove generazioni abbandonano. Ed io segno questo come un piccolo guadagno, fra i grandi, del progresso.

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Entrambe possono fare del male a sè stesse e agli altri per gli eccessi a cui spiritualmente si abbandonano. L'ottimista è una eterna illusa. Si persuade d'essere bellissima, d'essere amata da tutti per la sua seduzione e le sue qualità, con disinteresse unico al mondo. Se ha delle delusioni nella sua giovinezza se ne consola presto, pensando che sarà più fortunata un'altra volta. Quando si marita, il suo sposo è il più simpatico, il più educato, il più intelligente, il più fedele; anche se è brutto come il peccato, rozzo come un facchino, ignorante come un analfabeta, ottuso come una talpa, traditore come un gatto. I suoi bambini saranno i più sani, i più belli, i più svegli e ne magnificherà di continuo le qualità. Si proclamerà felicissima: troverà che la sua casa è un paradiso terrestre e il padrone di casa un arcangelo di condiscendenza: i vicini persone stimabili, onorate : la città dove abita, la più bella del mondo. Le malattie, la sventura, possono visitare la sua dimora ella non se ne sgomenterà: il male è cosa leggera, le altre disgrazie non saranno poi irreparabili. E la morte può seguire la malattia; la disgregazione e la rovina possono succedersi ai disaccordi e alla cattiva amministrazione, che l' ottimista piegherà per poco il capo e troverà presto altri motivi per amare ancora la vita e trovarla buona ancora. Il contrario accade nell' anima e nell' esistenza della pessimista. Il più comune disinganno la farà cadere sotto il peso d' una croce che proclamerà troppo grave per le sue forze ; nelle persone care ella vede prima di tutto le deficenze, i difetti, e se ne accora e se ne lagna con tutti. La più leggera indisposizione è per essa il principio d'una malattia insanabile; un cattivo affare, il preludio della rovina: l' avvenimento più comune della vita, un viaggio, un matrimonio, una nascita, un trasloco, sono per la pessimista minacce oscure del destino. Ella rende a sè stessa e agli altri l' esistenza pesante, difficile, cupa : l'atmosfera che la circonda è irrespirabile perchè ella trarrà da ogni atto, da ogni circostanza, da ogni parola, motivo di lamento e di offesa. Se poi le disgrazie piombano davvero sulla sua casa, ella può risentirne tale turbamento psichico da diventare pazza o maniaca. L'ottimista per cecità, per imprevidenza, per l'abitudine di negare il brutto e il pericoloso onde non turbare la sua quiete serena, rischia di cadere nel pèlago e di affogare, d'essere la causa involontaria della rovina propria ed altrui. La pessimista coi suoi dubbi, le sue paure, la sua negazione perpetua, si toglie ogni possibile conforto della vita, ogni forza di reazione, aggrava ogni male, ne allontana il rimedio.

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Forse eccessi di tal genere non si ripetono fuori delle regioni meno evolute d' Italia : ma in ogni luogo abbiamo però donne, e fra esse signore della piccola borghesia, che chiedono insistentemente questa o quella grazia a un dato Santo e non ottenutala ne abbandonano il culto, disgustate come di un medico che non avesse conseguita una guarigione. Altre esigono a tutta forza miracoli, e per averli si espongono a disagi di pellegrinaggi, interrompono cure, peggiorando le loro condizioni fisiche, se si tratta di salute, giacchè è assurdo violare le leggi naturali, dal Creatore stesso decretate, per poi pretendere il sovrumano. Anche certe devozioni composte di formule ripetute centinaia di volte : certe immaginette o certe medaglie a cui si attribuiscono virtù particolari e piccine, certe penitenze di digiuni e di privazioni, compiute magari a scapito della salute, sono tanto lontane dalla religione vera quanto il paganesimo dal cristianesimo.

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L'amore nasce da piccolo seme, ma muore anche per una piccola causa: non è dunque stoltezza osservare che la negligenza nell'acconciatura e nelle consuetudini a cui certe sposine si abbandonano passati i primi mesi, possono determinare nel marito un disgusto, dapprima lieve, che facilmente degenera in freddezza e lo allontana sospingendolo nello stesso tempo verso quelle che trova ancora graziose e seducenti. Bisogna invece che la donna sua si prefigga di non scapitare a nessun confronto: di tener alto il proprio prestigio fisico come il proprio prestigio morale. Se è bella, continui ad aver cura di sè come quando cercava ogni giorno un mezzo nuovo per accrescere la sua bellezza e piacere di più all' innamorato : se è solamente simpatica, continui a scegliere l'acconciatura e le mode che mettono in miglior evidenza il suo tipo; e procuri di abbellirsi con la grazia, lo spirito, o la soavità, secondo il suo carattere. Sia elegante, anche nel vestire dimesso, giacchè l' eleganza, non è lo sfarzo ma l'armonia delle tinte, la semplicità, la cura dei particolari : sopratutto sia linda nella persona e negli indumenti. Pare impossibile, eppure molte signore che se s' incontrano per le vie sembrano figurini di moda, si permettono poi di portare nell'intimità certe vestaglie, certi colletti, certi grembiuli che potrebbero dare un' efficace ma triste idea del loro senso d' ordine e di pulizia, e spiegherebbero il disgusto dei loro mariti o ne ginstificano la trasandataggine degli abiti e della persona. Una signora maritata ha doppio obbligo di essere linda, d'una donna nubile, giacchè oltre che per rispetto a sè stessa, deve esserlo per rispetto al suo compagno ed ai rapporti della loro vita comune. Quindi bagni, abbondanti lavacri, nitidezza nella biancheria, minuziosa cura in ogni dettaglio della toilette intima: semplice eleganza negli abiti e nella acconciatura. Come nella persona, così nei modi. Lo sposo rimanga sempre un poco il fidanzato a cui si desidera esser cara e gradita. Nulla di più poetico e di più dolce che il vedere fra marito e moglie di vecchia data, continuate quelle premure, quelle cortesie, quegli atti d'urbanità, quelle minute e tenere dimostrazioni d'affetto che abbellirono il primo periodo della loro vita in due. E la casa, il nido, rispecchi sempre, per opera della donna, l' accordo, la serenità, la freschezza inalterabile dei cuori. Sentite in che modo delicato e commovente madame Rostand, che vi citavo dianzi come esempio di moglie, esprime il proposito di conservare intatto il suo prezioso tesoro d' amore attraverso la fuga degli anni e le offese del tempo:

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