Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonandosi

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Il marito dell'amica

245205
Neera 3 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Sofia ebbe un risolino furbo abbandonandosi sui guanciali, in una posa provocatrice: Maria si rifece, di ghiaccio, dura, immobile presso alla finestra, torcendo gli occhi dal letto. Sentiva come un ronzio, le tre voci; quella fioca di Emanuele che domandava i ragguagli della malattia, quella del dottore compassata, quella di Sofia squillante in note argentine; ma non seguiva il filo del discorso. Nel suo cervello indolorito le sensazioni si confondevano. Vedeva la pelle d'orso nero foderata di velluto rosa, lì, in quella camera; e sovr'essa Emanuele e Sofia abbracciati. - Un po' di distrazione le farà bene - prescriveva il dottore - nei mali delle donne i nervi formano la prima metà e l'immaginazione la seconda. - Aix... San Maurizio... L'odore della verbena, nell'atmosfera umida e rinchiusa, dava il capogiro a Maria; essa ora vedeva Emanuele cogli occhi sbarrati che diceva a Taziana: «Ti amo!» - Taziana rideva. Chi rideva erano Sofia e il dottore, accomiatandosi. Gli occhi di Emanuele però stavano veramente davanti a lei, sbarrati, pieni di amore. E Maria rise, rise forte, sonoramente, con una scossa convulsa in tutte le membra. Era finita; si sentiva scettica.

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Dimenticò presto le sue preoccupazioni di massaia, abbandonandosi alla gaia filosofia del piacere, lasciandosi ripetere in un orecchio dal dottore che: - Se tanto sensibili si mostrano le zitellone di quarant'anni, guercie, con un porro sul sopraciglio, quanto maggiormente deve ascoltare la voce dell'amore una creatura bella, gentile, amabile, amata... La litania sarebbe continuata ancora; ma Sofia girando gli occhi incontrò gli occhi di Maria che la guardavano con una espressione singolare, che a lei parve di rimprovero. Qualcuno intanto aveva aperto il piano tasteggiando a caso. Il dottore era un buon dilettante e Sofia lo pregò di suonare alcune romanze, alle quali egli sapeva dare un tocco particolare di sensualismo poetico. Erano romanze d'amore, calde, vibranti, che sprigionavano nella sala legioni alate di silfidi, attraverso raggi di luna e sussurro di zefiri, con cadenze prolungate di baci. Maria, che aveva cercato un nascondiglio per la sua faccia sbattuta nell'angolo più remoto, si trovò accanto Emanuele, sullo stesso divano, incapace di dominarsi. Già una volta o due la Guidobelli, co' suoi occhietti socchiusi, aveva lanciato un'occhiata indagatrice da quella parte, mordendosi le labbra; ma Emanuele nulla vedeva. Egli era sotto l'esaltazione di un progetto ardito, di cui solamente poteva essere capace un uomo al massimo punto dell'ebbrezza. - Lontano, lontano, lontano... con te. Così egli aveva susurrato, colle labbra frementi, a Maria, che non osava nè rispondergli, nè scacciarlo. Attenta, in apparenza alla musica, ella seguiva il passaggio di una visione tentatrice. Vedeva la sua casa al di là dei mari perduta nella verde solitudine delle praterie, sepolta in mezzo ai fiori con una grazia selvaggia e raccolta di nido; e vedeva sè stessa libera e felice in compagnia di Emanuele. Perchè non sarebbe fuggita con lui? Il fine della sua vita si ricongiungeva al principio. Emanuele era stato il suo primo amore, Emanuele doveva essere l'ultimo; e in questo secondo stadio di una stessa passione si concentravano tutte le scintille d'amore, i fochi fatui, le fiamme passeggiere che le erano apparse nella vita, portando ognuna il suo bagliore, il suo guizzo. Desideri fluttuanti di vergine, intuizioni segrete, rivelazioni lente e paurose, fino al primo sguardo, alla prima lagrima, al primo bacio; e poi l'amore materiale della donna maritata, e le seduzioni che circondano la vedovanza: un giovane bruno, alto e pallido, cogli occhi divorati da una fiamma interna, che l'aveva seguita un giorno a Buenos-Ayres e che adesso le attraversava la mente perchè solamente adesso capiva il significato di quegli occhi: un walzer ballato, non sapeva più quando, con un capitano inglese, sulla tolda di un bastimento illuminato a luce elettrica, con davanti il mare fosforescente e sopra il cielo; la stretta violenta di un povero ragazzo, un mezzo selvaggio al quale ella aveva fatto del bene e che la salvò una notte, da un incendio, portandola di peso nelle braccia e morendo per lei. Tutti palpiti, desideri, concupiscenze che venivano ora, come vassalli a tributare i loro tesori al signore unico e che le ingrossavano il cuore di un lungo anelito insoddisfatto. - Ieri... Ella disse: ieri, avvicinandosi colla spalla alla spalla di Emanuele, volendo raccontargli la storia angosciosa della sua notte; ma si fermò improvvisamente, stringendo i denti. Egli non insistette; pensava al domani, all'avvenire. Il dottore chiuse il piano, le signore domandarono i loro mantelli. -Tu che abito metti? - chiese l'Elvira: Bonamore alla padrona di casa. - Lo sai bene, quello color fragole, colla guernizione di chantilly. - Credi che non farò una figura troppo meschina col mio vecchio foulard chinese? - Tutt'altro, è originalissimo; e poi siamo tra noi. - Ma vedrai la Guidobelli... chi sa che pompa! Sofia fece spalluccie, sorridendo. Si trovava accanto Maria, che aveva lasciato il divano e volle infilarle il braccio con un movimento grazioso per metterla a parte di quell'alta discussione femminile; ma trovò Maria così fredda e impacciata che le morirono sul labbro le parole. Accompagnò i suoi ospiti fino all'anticamera, seguita dal professore che disimpegnava macchinalmente i doveri di padrone di casa. Quando rientrarono nel salotto, Maria non c'era più; si era già ritirata nella sua camera. E nella sua camera si svestiva in fretta, per entrare prontamente nella oscurità e nel silenzio. Un colpo leggero picchiato all'uscio le trasse un grido di spavento; balzò sulla chiave e la girò, tenendovi sopra una mano, mentre coll'altra si stringeva sul petto lo scollo della camicia. - Apri - susurrò, fuori, una voce indistinta. - No, no - balbettava Maria pazza di terrore. - Apri, voglio dirti una parola... Riconobbe la voce di Sofia e aperse, gettandosi sulle spalle un mantello. Sofia entrò tutta vestita, con un viso compunto, quasi malinconico. - Perchè non volevi aprire? Chi credevi che fosse? Maria non rispose; era ancora tutta tremante. Quella domanda così naturale: chi credevi che fosse? le parve una accusa terribile. - Forse hai sonno, poverina, scusami... Alla fine Maria balbettò qualche parola insignificante. Essa rispose: - Scusami, ma non potevo coricarmi così. Già da qualche giorno ho un peso, qui, come un nodo che mi stringe... La guardò fissa. Maria, quasi barcollante, chinò gli occhi. - Tu non sei più la stessa. Tenti invano di nasconderti... io ti leggo nel cuore. Maria gemette, stremata di forze, appoggiata con tutto il corpo alla sponda del letto. Quel momento le sembrava il più orribile della sua vita. Aveva paura e tremava. - Non rispondi? Indovino dunque? Sofia fece un passo verso l'amica. - Per pietà! implorò Maria, tendendo avanti le mani, smarrita. Sofia si arrestò. Quel pallore, quel turbamento la sorprendevano; non è così ch'ella credeva di trovarla. - Maria che hai? Sono io che devo implorare la tua indulgenza. Le si accoccolò ai piedi come una fanciulletta davanti alla madre, e prendendole per forza le mani e baciandogliele: - Maria, sei in collera con me, lo vedo... lo sento... I tuoi sdegni silenziosi sono un eloquente rimprovero alla mia leggerezza... Zitta! Non dir nulla. Capisco. Tu vuoi dirmi che ho mancato alla mia parola, che dopo aver scacciato Bandini non ho avuto la forza di respingere anche il dottore... Sono una cattiva moglie e una cattiva madre... è questo, non è vero? Maria la guardava adesso, intensamente, colle pupille febbrili, rispondendo da automa alle sue strette. - Se sapessi - Sofia le si fece ancor più vicina, passandole un braccio intorno al collo - se sapessi, in certe ore, come mi sento triste! Io non ho il tuo ingegno, non ho il tuo carattere, non ho il tuo cuore, ma qualche cosa ho pure anch'io; un ideale di felicità, un bisogno di tenerezza... infine non chiedo altro che di essere amata. Non posso vivere senza amore. Tu lo puoi, perchè sei una donna forte; io non sono altro che una femminuccia... e voglio amare. Maria schiuse le labbra per parlare. Sofia non gliene lasciò il tempo, incalzando con una foga sincera che le metteva un tremito nella voce. - Emanuele non si cura di me; non mi ha mai amata, ma da qualche tempo si direbbe che mi odia. Io speravo, sai, che portando a casa il bambino, i nostri vincoli d'affetto si dovessero stringere maggiormente. Voglio bene a mio figlio, oh Dio, sì, lo idolatro, ma mi trovo sempre sola alla sua culla... Singhiozzava, adagio, asciugandosi le palpebre colla pezzuola. - Mi pare che so Emanuele volesse, potrebbe rendermi la casa più bella e i miei doveri più facili. Sostò un momento, incerta, e poi con uno scatto improvviso: - Digliene tu qualche cosa. - Io?... Oh!... Maria si ritrasse bruscamente; Sofia interpretando male quell'atto, mormorò con dolcezza umile. - Mi abbandoni anche tu?... - No... Completò con un gesto affettuoso le parole che le uscivano a stento. Quella scena terminava di abbatterla; era scossa fin nel midollo delle ossa. - Mi comprendi, nevvero? Dimmi che non mi credi poi tanta perversa... e che sono sempre la tua Sofia, la tua pazzerella, eh?... Abbracciami, tanto che me ne possa tornare consolata... Dammi un bacio. Le si avvinghiò com'edera, cercando le sue labbra. Maria, pur prestandosi all'amplesso, deviò leggermente il capo, così chè il bacio sonoro dell'amica, le sfiorò appena la guancia.

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Il corpo di Maria si piegò come un giunco, abbandonandosi, provando l'impressione di una ferita acutissima. Sotto la dolcezza dell'amante ella sentiva fremere, repressa, una brutalità ignota. Eppure mentre tremava in quella violenta rivelazione, mentre un senso nuovo, quasi doloroso, si destava in lei dal bacio di Emanuele, una tenerezza struggitrice, un bisogno di darsi, di sacrificarsi le faceva mormorare: «ti amo, ti amo!» Al che egli non rispondeva altro che stringendola maggiormente, con un rantolo nelle fauci. Ed ora, coricata su quel letto straniero, cogli occhi aperti nella oscurità di una camera ignota, Maria rivedeva quella scaletta, risentiva quel primo bacio al quale molti altri erano seguiti di poi senza cancellarne la profonda impressione. Sostò per poco, ondeggiando col pensiero in un periodo di deliziosi incanti, durante il quale i giorni volavano in una continua ricerca di furberie e di astuzie per stringersi in un amplesso rapido, per ripetersi che si amavano. Nelle lettere, Emanuele diceva ancora che bisognava combattere una passione insensata, le chiedeva scusa per aver turbato co' suoi ardori la casta tranquillità di lei; le prometteva di frenarsi, di soffrire, di non chiederle più nulla. Un solo istante però distruggeva tutte queste saggie teorie. Così nel cuore di Maria ardeva sempre la fede, alimentata dai giovanili entusiasmi e dall'immenso amore. Ad onta delle sue letture, ella, dotata di molto idealismo, era rimasta ignorante sulle verità materiali dell'esistenza; come un cieco che abbia studiato a perfezione il meccanismo della vista, ma che non vede. Istintivamente sentiva che nell'amore di Emanuele per lei c'era qualche cosa che non poteva capire, differente dalle sensazioni sue proprie; ma che cosa fosse preciso non cercava. Non era curiosa, non era maliziosa. Quando la bocca di Emanuele così piccola, così gentile, le dava nel buio quei baci virili che la sorprendevano e la turbavano, ella rimaneva per poco sotto l'assillo di una curiosità indeterminata, che svaniva poi nei tranquilli colloqui intorno alla lucerna, allora che il giovane professore, calmo, colla sua voce monotona, rispondeva alle controversie del padre; e l'impressione violenta svaniva per lasciar posto a una idealità piena di dolcezza. Maria non pensava neppure che vi potesse essere un pericolo per lei in quell'amore. Era cresciuta con un principio di morale, non bigottamente ristretta, ma di una conclusione rigida e inflessibile. A' suoi occhi, l'abbandono completo di una donna, quando non fosse reso legittimo, metteva capo a una vergogna incancellabile. Certe parole grosse, brutte, ch'ella aveva udite per caso, le sembravano applicabili a tutte le donne che cedono; e nei momenti di maggior debolezza, il ricordo di quelle parole le faceva salire alla fronte una fiamma di vergogna. L'uomo ha un altro, diverso e vasto campo in cui esercitare la virtù; egli ha le virtù cittadine, politiche, patriottiche e guerriere; ha l'onestà della carica che occupa e dei commerci che intraprende. La donna non ha che questa povera, modesta virtù del resistere, che cresce nell'ombra, spoglia di gloria, quasi sempre inapprezzata. Non importa; Maria aveva fede in essa; sperava che Emanuele avrebbe superati gli ostacoli che li dividevano e si sarebbero alfine sposati. Si voltò dolorosamente nel letto; la successione delle idee che le presentava in quadri spiccati le scene principali nella sua vita, l'aveva condotta ad una scena ch'ella non poteva ricordare senza sentirsi dare un tuffo nel sangue. Sempre la tetra casa, l'abbandono, la miseria e suo padre morto - questa la cornice. Nel mezzo, lei, disperata, folle, abbracciata come un naufrago ai ginocchi di Emanuele... A questo punto, con tutte e due le mani, prese il guanciale e se lo pose sul volto, premendo, non trovandosi abbastanza nascosta nelle tenebre, desiderando nascondersi a sè stessa in un bisogno di annientamento; ma anche soffocata dal guanciale vedeva gli occhi di Emanuele senza lagrime intanto che la sua voce misurata le diceva: Non posso farti mia. E l'amava, sì, l'amava; ma non aveva la fede che ispira, non aveva il coraggio che spinge alla lotta, non si sentiva la forza di darle la sola prova d'amore che un uomo possa dare ad una donna onesta: soffrire con lei, lavorare per lei... E dopo tanti anni, lì, in quella camera che apparteneva a lui, su quel guanciale dove egli aveva forse appoggiata la testa sognando di un'altra, i singhiozzi della povera donna scoppiarono alti, irrefrenati.

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