Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonandosi

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221338
Via col vento 3 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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- singhiozzò Pittypat, abbandonandosi con gioia alla voluttà della sofferenza e nascondendo il capo sulla spalla di Melania. - Oh... - fece Melly mentre nell'udire il nome di suo fratello il suo labbro inferiore cominciava a tremare. - Sii coraggiosa, cara. Non piangere. Oh, Rossella! Rossella si era gettata sul letto e singhiozzava con quanta forza aveva in gola; singhiozzava sulla sua giovinezza perduta e sulle gioie che le erano vietate, singhiozzava con l'indignazione e la disperazione di una bambina che una volta otteneva, con le lagrime, tutto ciò che voleva ed ora sapeva che i singhiozzi non le servivano piú a nulla. Col capo nascosto fra i guanciali, piangeva percuotendo coi piedi il copripiedi imbottito. - Vorrei essere morta! - singhiozzò appassionatamente. Ma prima che ella avesse emesso quest'esclamazione dolorosa, le lagrime di Pittypat erano cessate e Melania si era precipitata verso il letto per consolare sua cognata. - Cara, non piangere! Pensa quanto ti amava Carlo: questo dev'essere un conforto per te! Cerca di pensare a quella gioia del tuo piccino. L'indignazione per essere fraintesa si mescolò in Rossella alla disperazione di essere fuori di ogni cosa e le soffocò le parole in gola. Fu una fortuna, perché se avesse potuto parlare avrebbe gridato la verità con schiette parole, alla maniera di Geraldo. Melania le accarezzò la spalla e Pittypat trotterellò pesantemente per la stanza chiudendo le persiane. - Non chiudere! - esclamò Rossella sollevando dai guanciali un viso rosso e gonfio. - Non sono ancora morta abbastanza perché si debbano chiudere le imposte... e Dio sa se vorrei esserlo! Oh, andatevene e lasciatemi sola! Sprofondò nuovamente la faccia nel guanciale; e dopo una conferenza fatta di mormorii, le due donne uscirono in punta di piedi. Ella udí Melania che diceva sottovoce alla zia, mentre scendevano le scale: - Zia Pitty, vorrei che tu non le parlassi di Carlo. Sai che le fa male. Povera creatura, ha un'espressione cosí strana; capisco che si sforza per non piangere. Non dobbiamo affliggerla maggiormente. Rossella percosse di calci il copriletto in una rabbia impotente, cercando qualche cosa di cattivo da dire. - Per la camicia di Giove! - gridò finalmente; e si sentí alquanto sollevata. Come poteva Melania contentarsi di stare in casa, senza mai un'ombra di divertimento, e portare il crespo per suo fratello mentre aveva appena diciotto anni? Sembrava che Melania non sapesse - o che non le interessasse - che la vita correva, con gli sproni tintinnanti. «Ma è talmente rigida!» pensò Rossella mentre prendeva a pugni il guanciale. «E non è mai stata corteggiata come me; perciò non sente come me la mancanza di tante cose. E poi... e poi, lei ha Ashley, mentre io... io non ho nessuno!» E a questa nuova constatazione, altre lagrime la sopraffecero. Rimase tristemente nella sua camera fino al tardo pomeriggio; ancora la vista dei gitanti che tornavano con le carrozze cariche di rami di pino, liane e felci non la rallegrò. Tutti sembravano beatamente stanchi mentre le facevano nuovamente cenni di saluto a cui ella rispose malinconicamente. La vita era monotona, senza speranza e non valeva la pena di esser vissuta. La liberazione giunse nella forma piú inattesa quando, durante l'ora del riposo pomeridiano, la signora Merriwether e la signora Elsing vennero alla villetta di mattoni. Stupite di una visita a quell'ora, Melania, Rossella e Pittypat si alzarono, si riagganciarono frettolosamente i corpetti, si ravviarono i capelli e scesero nel salotto. - I bambini di Mrs. Bonnell hanno la rosolia - annunciò la signora Merriwether bruscamente, mostrando chiaramente che riteneva la signora Bonnell responsabile personalmente, per aver permesso che una simile cosa accadesse. - E le ragazze McLure sono state chiamate in Virginia - proseguí la signora Elsing con la sua voce spenta, sventolandosi languidamente come se né questo né altro avesse molta importanza. - Dallas McLure è ferito. - Terribile! - fecero le tre visitate in coro. - Ed è grave? - No. Soltanto la spalla - rispose gaiamente la signora Merriwether. - Ma non poteva capitare in un momento peggiore. Le ragazze sono partite per ricondurlo a casa. Ma non abbiamo tempo di stare qui a discorrere. Dobbiamo tornare in fretta per finir di decorare il locale. Pitty, abbiamo bisogno di voi e di Melly stasera per prendere il posto di Mrs. Bonnell e delle McLure. - Ma non possiamo venire, Dolly! - Non dite «non posso», Pitty Hamilton - ribatté vigorosamente la signora Merriwether. - Abbiamo bisogno di voi per sorvegliare i negri che portano i rinfreschi. È quello che doveva fare Mrs. Bonnell. E Melly starà al banco di vendita delle due McLure. - Ma non è possibile... il povero Carlo è morto soltanto da... - Lo so; ma non vi è sacrificio troppo grande per la Causa - intervenne la signora Elsing con una voce dolce ma decisa. - Saremmo liete di aiutarvi ma... Perché non prendete qualche bella ragazza per i banchi di vendita? La signora Merriwether ebbe una risata beffarda che parve uscire da una trombetta. - Non so che cosa sono diventate le ragazze d'oggi. Non hanno il senso della responsabilità. Tutte quelle che non hanno già il loro banco trovano tante di quelle scuse che non vi so dire. Oh, non me la danno ad intendere! Vogliono soltanto non aver da fare per poter civettare con gli ufficiali: ecco tutto. E hanno paura che dietro ai banchi i loro abiti nuovi non si vedano abbastanza. Vorrei proprio che quel capitano che attraversa il blocco... come si chiama? - Il capitano Butler - suggerí la signora Elsing. - Vorrei che facesse entrare piú rifornimenti per gli ospedali e meno trine e gonne a cerchi. Oggi saranno entrati venti vestiti, ve lo assicuro! Dunque, Pitty, non c'è tempo di discutere. Dovete venire. Tutti comprenderanno. Del resto, nella stanza di dietro nessuno vi vedrà; e Melly non sarà molto in vista. Il banco delle ragazze McLure è proprio in fondo e non è molto bello; quindi nessuno vi noterà. - Credo che dovremmo andare - disse Rossella cercando di dominare la sua agitazione e di conservare un'espressione seria e semplice. - È il meno che possiamo fare per l'ospedale. Nessuna delle visitatrici aveva pronunciato il suo nome; esse si volsero a guardarla severamente. Malgrado il loro estremo bisogno, non avevano neppur pensato a chiedere a una vedova di pochi mesi di apparire in una riunione mondana. Rossella sopportò il loro sguardo con un'espressione infantile e innocente. - Credo che dobbiamo andare e fare del nostro meglio, tutte quante. Io andrò al banco con Melly perché... sí, mi pare che sia meglio essere in due. Non ti pare, Melly? - Ma... - cominciò Melly, smarrita. L'idea di apparire a una riunione essendo in lutto era cosí inaudita che ne rimaneva sbalordita. - Rossella ha ragione - affermò la signora Merriwether, osservando segni di indebolimento nella resistenza. Si alzò e si rassettò i cerchi della gonna. - Tutt'e due... sí, dovete venire tutte quante. Non ricominciate a cercar delle scuse, Pitty. Pensate che l'ospedale ha un gran bisogno di quattrini per nuovi letti e medicinali. E so che Carlo sarebbe contento di sapere che voi aiutate la Causa per la quale egli è morto. - Va bene - fece Pittypat, debole come sempre di fronte a personalità piú forti della sua. - Se credete che la gente capirà le ragioni... - Troppo bello per esser vero! Troppo bello per esser vero! - cantava in cuor suo Rossella mentre s'insinuava modestamente dietro al banco delle ragazze McLure. Finalmente si trovava in una riunione! Dopo un anno di segregazione, di veli di crespo e di voci sommesse, dopo aver creduto quasi d'impazzire per la noia, ora si trovava in una riunione, la piú grande che Atlanta avesse mai visto. Vedeva gente e luci, udiva musica e contemplava le trine, gli abiti, le guarnizioni che il famoso capitano Butler aveva portato attraverso il blocco, dal suo ultimo viaggio. Sedette su uno degli sgabelli dietro al banco e guardò la lunga sala che fino a quel pomeriggio era stata un ambiente nudo e disadorno. Come dovevano aver lavorato le signore oggi per renderlo cosí grazioso! L'effetto era veramente riuscito. Tutte le candele e i candelieri di Atlanta dovevano essere in quel luogo, pensò; d'argento con dodici braccia, di porcellana con graziose figurine che ne adornavano la base, d'ottone antico, rigidi e dignitosi, carichi di candele di ogni misura e di ogni colore, odorose di resina, posati su cavalletti da fucile che occupavano la sala nella sua lunghezza, sulle lunghe tavole fiorite, sui banchi di vendita, e perfino sui davanzali delle finestre aperte, dove il lieve soffio della tepida aria estiva bastava ad agitare le fiammelle. Nel centro della sala l'enorme lampadario di pessima fattura, che alcune catene arrugginite sospendevano al soffitto, era completamente trasformato da tralci di edera e di vite selvaggia che il calore cominciava già a far appassire. Le pareti erano decorate di rami di pino, che diffondevano un odore acuto e trasformavano gli angoli della sala in graziose nicchie, dove sedevano le accompagnatrici e le vecchie signore. Graziosi festoni di edera e di rampicanti drappeggiati al disopra delle finestre pendevano ovunque e si attorcigliavano sui banchi adorni di tarlatana colorata. E fra il verde, su bandiere e orifiammi splendevano le stelle della Confederazione sul loro sfondo rosso e blu. La piattaforma costruita per l'orchestra era particolarmente artistica. Era completamente nascosta alla vista dai tralci verdi e dalle bandiere stellate; e Rossella sapeva che quivi erano state trasportate tutte le piante in vaso della città: begonie, geranii, oleandri, ninfee, muse... e perfino le quattro preziose piante da gomma della signora Elsing, alle quali era stato dato il posto d'onore nei quattro angoli. All'altra estremità della sala, di fronte alla piattaforma poi, le signore avevano superato se stesse. A questa parete pendevano grandi ritratti del presidente Davis e del «piccolo Alec» Stephens, il georgiano vicepresidente della Confederazione. Al di sopra era un'enorme bandiera e al di sotto, su lunghe tavole, era il prodotto di tutti i giardini della città: felci, fasci di rose gialle, bianche e vermiglie, steli orgogliosi di gladioli dorati, mazzi di nasturzi variopinti, alti e rigidi rami di agrifoglio che drizzavano le loro sommità marrone e rossicce sugli altri fiori. Frammezzo, le candele ardevano tranquillamente come dinanzi a un altare. I due volti guardavano in basso la scena, due volti tanto diversi quant'era possibile in due uomini a capo di cosí gloriose imprese: Davis con la faccia magra e gli occhi freddi di un asceta, la bocca sottile chiusa con un'espressione decisa; Stephens con gli occhi neri e ardenti profondamente incavati in un viso che aveva conosciuto soltanto malattia e dolore ed aveva trionfato su questi con fervore giocondo: due volti che erano molto amati. Le signore piú anziane del comitato, nelle cui mani era la responsabilità di tutta la vendita, andavano qua e là con l'importanza di navi bene attrezzate, spingendo frettolosamente le ritardatarie, signore e fanciulle, a prender posto, e poi si recavano nelle stanze adiacenti dov'erano preparati i rinfreschi. La zia Pitty le seguiva ansimando. I musicanti si arrampicarono sulla piattaforma, neri e ridenti, coi larghi volti lucidi di sudore, e cominciarono ad accordare i violini. Il vecchio Levi, cocchiere della signora Merriwether, che aveva diretto le orchestre di ogni vendita, ballo, o matrimonio fin da quando Atlanta si chiamava ancora Marthasville, picchiò l'archetto sul legno per richiamare l'attenzione. Erano giunte fino allora ben poche persone oltre le signore che dirigevano la vendita; ma tutti gli occhi si volsero verso di lui. Allora i violini, le viole, le fisarmoniche, i banjos e i cròtali proruppero in una esecuzione di «Lorena» lentissima, troppo lenta per essere danzata; la danza incomincerebbe piú tardi quando i banchi fossero vuoti di merci. Rossella sentí il cuore batterle piú rapidamente all'udire la dolce melanconia di quel valzer: «Gli anni passano lentamente, Lorena! La neve copre nuovamente l'erba. Il sole è lontano nel cielo, Lorena...» Uno-due-tre; uno-due-tre, una scivolata... tre, giro... due-tre. Che bel valzer! Ella tese leggermente le mani, chiuse gli occhi e accompagnò il ritmo triste con una lieve oscillazione del corpo. Vi era qualche cosa di avvincente, in quella tragica melodia e nell'amore perduto di Lorena, che si mescolava alla sua eccitazione e le faceva nodo alla gola. Allora, come se fossero stati suscitati dalla musica del valzer, dalla strada buia giunsero dei rumori: scalpitar di cavalli e strepito di ruote; risate nell'aria tepida e la dolce asprezza delle voci dei negri, che si levavano discutendo per il luogo ove fermare i cavalli. Vi fu una certa confusione per le scale; gaiezza di cuori spensierati, voci fresche di fanciulle unite a quelle piú profonde di chi le accompagnava, grida di saluto e scoppi di gioia di giovinette che riconoscevano le amiche da cui si erano separate solo poche ore prima. A un tratto l'ambiente fu pieno di animazione; in un attimo una quantità di fanciulle in abiti variopinti come farfalle, sorretti da cerchi enormi, con mutandine di pizzo che s'intravedevano al di sotto; piccole candide spalle rotonde, nude; e lievi accenni di morbidi seni che trasparivano sotto i corsaletti di trina; sciarpe di merletto gettate incurantemente sul braccio: ventagli splendenti di pagliuzze o dipinti, di piume di struzzo e di pavone, sospesi al polso da sottili nastri di velluto; fanciulle coi capelli neri pettinati a bande sulle orecchie e raccolti in nodi cosí pesanti che il capo pendeva alquanto all'indietro; fanciulle con masse di trecce d'oro sulla nuca e lunghi pendenti d'oro che si agitavano insieme ai riccioli ribelli. Trine, sete, alamari, nastri, tutta roba portata attraverso il blocco, e tutta preziosa e indossata con orgoglio, perché sembrava cosí di fare maggiore affronto agli yankees. Non tutti i fiori della città erano stati posti come tributo dinanzi ai ritratti dei capi della Confederazione. I bocciuoli piú piccoli e piú fragranti ornavano le giovinette. Rose tea appuntate dietro alle orecchie di madreperla, gelsomini del Capo e rose muschiate in piccole ghirlande disposte su cascate di boccoli laterali; mazzolini timidamente nascosti fra le pieghe delle cinture; fiori che prima del terminar della notte troverebbero riparo nelle tasche interne delle uniformi grige, come preziosi ricordi. Vi erano numerosissime uniformi nella folla; uniformi di uomini che Rossella conosceva, uomini che ella aveva veduto sulle brande degli ospedali, nelle strade, o sul campo di manovre. Uniformi risplendenti di lucidi bottoni e di galloni d'oro sui colletti e sui paramani, con bande rosse, gialle, o blu sui calzoni, secondo i diversi servizi; e sul grigio facevano un bellissimo vedere. Cinture d'oro e scarlatte si vedevano qua e là; sciabole che scintillavano e battevano contro gli stivaloni lucidi, sproni che risonavano e tintinnavano. «Che begli uomini» pensò Rossella con un senso d'orgoglio, mentre quelli salutavano, facevano cenno agli amici, si curvavano a baciar la mano alle signore anziane. Tutti d'aspetto giovanile, anche coi lunghi mustacchi biondi e le barbe nere e castane; belli, indifferenti, chi col braccio al collo, chi con la testa bendata da una candida fasciatura che contrastava stranamente col volto abbronzato. Alcuni camminavano con le stampelle; e com'erano orgogliose le ragazze che li accompagnavano, rallentando premurosamente il passo per adattarlo al loro! Fra le uniformi si vide splendere a un tratto una brillante macchia di colore che oscurò perfino gli abiti delle fanciulle e sembrò, in mezzo alla folla, un uccello tropicale: uno zuavo della Luisiana, coi calzoni rigonfi a strisce bianche e azzurre, le uose crema e una giacchettina rossa: un ometto bruno, sorridente come una scimmia, col braccio in una fascia di seta nera. Era lo spasimante particolare di Maribella Merriwether, Renato Picard. Certamente tutto l'ospedale era presente; per lo meno tutti quelli che erano in grado di camminare; e tutti quelli che erano in licenza ordinaria o per malattia, e quelli che prestavano servizio alla ferrovia, alla posta e all'ospedale, e ai commissariati di Atlanta e di Macon. Come sarebbero contente le signore! L'ospedale doveva fare un sacco di quattrini stasera. Dalla strada giunse un rullar di tamburi, uno scalpiccio e grida d'ammirazione dei cocchieri. Uno squillo di tromba e poi una voce tonante che diede il comando di «rompete le righe!» In un attimo le Guardie Nazionali e la Milizia Unitaria, nelle loro uniformi brillanti, fecero scricchiolare l'angusta scaletta ed entrarono nella sala, salutando, inchinandosi, stringendo le mani. Nella Guardia Nazionale erano ragazzi fieri di giocare alla guerra e che si ripromettevano di essere nella Virginia l'anno venturo a quell'epoca, se la guerra durava ancora; vecchi con la barba bianca che rimpiangevano di non esser piú giovani, ma erano felici di marciare in uniforme, nella gloria riflessa dei figliuoli che avevano al fronte. Nella Milizia erano parecchi uomini di mezz'età e alcuni anche piú anziani; e un discreto gruppo di uomini adatti al servizio militare, che si comportavano meno gaiamente dei loro maggiori e dei loro minori; gente di cui ci si chiedeva sommessamente perché non erano con Lee. Come potevano accalcarsi tutti in quella sala? Sembrava cosí grande pochi minuti prima, ed ora era stipata, con l'aria surriscaldata dagli odori della calda notte estiva, di acqua di Colonia, di sacchetti profumati, di cosmetico per capelli e delle torce resinose, fragrante di fiori, e un po' densa perché lo scalpiccio di tanti piedi sollevava un pulviscolo leggero. Lo strepito e la confusione di tante voci rendeva quasi impossibile distinguere qualche parola, e - come se avesse compreso la gioia e l'eccitazione del momento - il vecchio Levi interruppe «Lorena» a metà battuta, battendo sul leggio col suo archetto; poi attaccando con nuova foga, l'orchestra intonò «Bella bandiera azzurra». Cento voci si unirono al ritornello, cantandolo, gridandolo come un urlo di gioia. Il trombettiere delle Guardie Nazionali si arrampicò sulla piattaforma e si uní alla musica proprio nel momento in cui cominciava il coro; e le note argentine squillarono sulla massa delle voci in modo da dare i brividi; un'emozione intensa percorse la folla. «Urrà Urrà! Per i diritti degli abitanti del Sud, urrà! Urrà per la bella bandiera azzurra che porta una sola stella!» Rossella, cantando insieme agli altri, udí il dolce soprano di Melania salire dietro a lei, chiaro e limpido come le note argentine della tromba. Si volse e vide Melly in piedi, con le mani strette al petto, gli occhi chiusi, una lagrimetta che spuntava negli occhi. Sorrise stranamente a Rossella, quando la musica finí con una smorfietta di scusa mentre si asciugava gli occhi col fazzolettino. - Sono tanto felice - mormorò - e cosí orgogliosa dei nostri soldati che mi è venuto da piangere. Nei suoi occhi era una luce profonda, quasi di fanatismo, che per un momento illuminò il suo visetto rendendolo bello. La stessa espressione era sul volto di tutte le donne quando la canzone terminò: lagrime di gioia sulle guance rosee o grinzose, sorrisi sulle labbra, una luce ardente negli occhi che esse volgevano ai loro uomini, l'innamorata all'amante, la madre al figlio, la moglie al marito. Erano tutte belle, di quella bellezza che trasforma anche la donna piú brutta quando si sa protetta ed amata e ricambia l'amore a mille doppi. Amavano i loro uomini, credevano in loro, avevano fede fino al loro ultimo respiro. Come poteva la sventura abbattersi su simili donne, difese com'erano da un esercito di prodi? Vi erano mai stati uomini come questi, dalla creazione del mondo in poi: cosí eroici, giovanili, teneri e galanti? Com'era possibile che qualche cosa impedisse la vittoria di una Causa giusta come la loro? Una Causa che esse amavano non meno di quanto amavano i loro uomini; una Causa che servivano con le loro mani e i loro cuori, una Causa di cui parlavano, a cui pensavano, di cui sognavano... una Causa a cui avrebbero sacrificato quegli uomini se fosse necessario, sopportando la loro perdita con la stessa fierezza con la quale gli uomini portavano le loro bandiere sul campo. Nei loro cuori era una piena di devozione e di orgoglio, di sicurezza nella vittoria finale. I trionfi di Stonewall Jackson nella Vallata e la disfatta degli yankees nella battaglia dei Sette Giorni presso Richmond lo mostravano chiaramente. Come poteva esser diversamente, con dei capi come Lee e Yackson? Un'altra vittoria come quella, e gli yankees sarebbero in ginocchio a chieder la pace; gli uomini tornerebbero a casa accolti da risa e da baci! Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita! Senza dubbio, vi erano delle sedie vuote e dei bimbi che non vedrebbero mai il volto del loro babbo; e tombe senza nome presso le piccole baie solitarie della Virginia e nelle montagne del Tennessee; ma era forse un prezzo troppo grande da pagare per la Causa? Era difficile avere seta per gli abiti, e zucchero e tè; ma queste erano cose sulle quali si poteva scherzare. Del resto, quelli che attraversavano il blocco portavano di tutto, passando sotto al naso degli yankees, e rendendo il possesso di tutto ciò molto piú emozionante. Fra breve Raffaele Semmes e la Marina della Confederazione darebbero da fare alle navi da guerra yankees; e allora i porti si riaprirebbero. E l'Inghilterra aiuterebbe la Confederazione a vincer la guerra, perché le fabbriche inglesi erano inoperose non avendo il cotone del Mezzogiorno. E naturalmente l'aristocrazia inglese simpatizzava con l'aristocratica gente del Sud, contro quella razza avida di dollari che erano gli yankees. Cosí le donne facevano frusciar le loro sete e ridevano e, guardando i loro uomini col cuore gonfio di orgoglio, sapevano che l'amore diveniva piú ardente di fronte al pericolo e che la morte era doppiamente dolce per la strana eccitazione che l'accompagnava. Appena volti gli occhi sulla folla, Rossella aveva sentito il proprio cuore battere piú celermente per l'insolita animazione che le dava il trovarsi a una riunione mondana; ma quando vide l'espressione ispirata dei visi accanto a lei, pur comprendendo solo a metà, la sua gioia cominciò ad affievolirsi. Tutte le donne presenti ardevano di un'emozione che ella non sentiva. Ciò la sgomentava e la deprimeva. La sala non le sembrava piú cosí bella né le ragazze cosí brillanti; e l'intensità dell'entusiasmo per la Causa che ancora illuminava tutti i volti, le sembrò... ma sí, le sembrò proprio stupida! In un subitaneo lampo di conoscenza di se stessa che le fece spalancare la bocca per lo stupore, si rese conto che non condivideva in alcun modo la fierezza e l'orgoglio di quelle donne, il loro desiderio di sacrificare se stesse e tutti i loro averi alla Causa. Prima ancora che l'orrore le facesse riflettere: «No, no... non debbo pensar questo! È un errore... un peccato...», comprese che la Causa non aveva alcuna importanza per lei e che era stufa di sentirne parlare da quella gente che aveva negli occhi un'espressione fanatica. La Causa non le sembrava sacra; ma piuttosto la riteneva una calamità che uccideva inutilmente degli uomini e costava molto denaro e rendeva difficile avere le cose di lusso. Ed era anche stufa dell'infinito lavoro a maglia e dell'infinita preparazione di fasciature e filacce che le rovinavano le unghie. Ed era stufa dell'ospedale! Stufa, annoiata e nauseata dello stomachevole odor di cancrena, e dei gemiti continui, e spaventata dall'espressione che l'avvicinarsi della morte dava ai visi distrutti. Si guardò attorno furtivamente, mentre questi empi e perfidi pensieri le attraversavano la mente, col timore che qualcuno potesse scorgerli scritti chiaramente sul suo viso. Ma perché, perché non poteva sentire come le altre donne? Cosí piene di cuore, cosí sincere nella loro devozione! Esse pensavano realmente ciò che dicevano e facevano. E se qualcuna potesse mai sospettare che lei... No, no, nessuno doveva saperlo! Bisognava che ella continuasse a fingere un entusiasmo e una fierezza che non sentiva, recitando la sua parte di vedova di un ufficiale confederato, che sopporta coraggiosamente il suo dolore, che ha il cuore nella tomba di lui, e che sente che la morte di suo marito non ha alcuna importanza se è stata per il trionfo della Causa. Ma perché era cosí diversa, cosí lontana da quelle donne amorose? Ella non poteva amar nulla né nessuno con quell'altruismo. Era una sensazione di solitudine... e non si era mai sentita sola di corpo e di spirito prima d'allora. Dapprima tentò di soffocare quei pensieri; ma la schietta onestà verso se stessa che era in fondo alla sua natura non glielo permise. E cosí, mentre la vendita continuava, e mentre insieme a Melania attendeva i clienti, la sua mente lavorava attivamente, cercando una giustificazione di fronte a se stessa... compito che di solito non le riusciva difficile. Le altre donne erano semplicemente sciocche e isteriche coi loro discorsi patriottici; e gli uomini erano quasi altrettanto fastidiosi quando parlavano dei Diritti di Stato. Solo lei, Rossella O'Hara Hamilton, aveva un chiaro buon senso irlandese. Non si sarebbe rimbecillita per la Causa; ma non sarebbe neppur diventata la favola di tutti quanti rivelando i suoi veri sentimenti. Aveva abbastanza equilibrio per considerare la situazione e per fronteggiarla. Come sarebbero rimasti stupiti tutti quanti se avessero conosciuto i suoi pensieri! Che scandalo se fosse improvvisamente salita sulla piattaforma dell'orchestra e avesse dichiarato che riteneva che la guerra ormai doveva finire, in modo che tutti potessero tornare alle loro case a occuparsi del loro cotone, e che vi fossero di nuovo ricevimenti, spasimanti e una quantità di abiti verde chiaro! Per un attimo la sua auto-giustificazione le diede coraggio; ma ella continuò a guardare la sala con disgusto. Il banco di vendita delle ragazze McLure era poco in vista, come aveva detto la signora Merriwether; e vi erano lunghi intervalli durante i quali nessuno si avvicinava e Rossella non aveva nulla da fare se non guardare con invidia la folla felice. Melania sentiva il suo malumore, ma, attribuendolo al ricordo di Carlo, non faceva alcun tentativo di conversazione. Si occupava di disporre gli articoli sul banco in modo piú attraente, mentre Rossella guardava cupamente la sala. Perfino i fasci di fiori sotto i ritratti di Davis e Stephens la urtavano. «Sembra un altare» pensò arricciando il naso. «E il modo come tutti si spingono lí intorno, come se fossero il Padre e il Figliuolo!» Presa da improvviso terrore per la propria irriverenza, cominciò frettolosamente a farsi il segno della Croce come per scusarsi, ma si fermò in tempo. «Sicuro, è proprio cosí» discusse con la propria coscienza. «Tutti si spingono come se si trattasse di santi e non sono che uomini; e non sono neanche particolarmente simpatici a vedersi.» In realtà, Stephens non poteva avere un aspetto diverso, essendo sempre stato di salute cagionevole, ma Davis... Guardò il volto altero simile a un cammeo. Era la sua barbetta che le dava soprattutto fastidio. «Gli uomini» pensò «dovrebbero essere interamente rasati oppure avere i baffi o la barba piena. Quei quattro peli danno l'impressione che siano tutto ciò che han potuto fare.» E non riconosceva in quel volto la fredda e tenace intelligenza che governava un'intera nazione. No, non era felice adesso; la gioia che aveva provato da principio nel trovarsi in mezzo alla gente ora non le bastava piú. Ella era alla vendita ma non ne faceva parte. Nessuno si occupava di lei: era l'unica donna senza marito che non avesse un corteggiatore, mentre per tutta la vita le era sempre avvenuto di essere il centro del quadro, qualunque esso fosse. Non era giusto! Aveva diciassette anni e i suoi piedini battevano nervosamente il pavimento, nel desiderio di ballare e saltare. Aveva diciassette anni, e un marito nel cimitero di Oakland e un bimbo in culla a casa di Zia Pitty; e tutti erano convinti che ella dovesse esser contenta di ciò che la vita le aveva assegnato. Aveva il seno piú bello di qualsiasi fra le ragazze presenti; la vita piú sottile e il piede piú piccino; ma nessuno badava a lei piú che se fosse stata coricata accanto a Carlo con «sua amata sposa» scolpito sulla pietra. Non era una ragazza che poteva ballare e civettare e non era una moglie che poteva sedere con le altre a criticare la smania di ballare e di civettare delle ragazze. E non era abbastanza anziana per atteggiarsi a vedova. Queste dovevano esser vecchie, tanto vecchie da non aver piú alcun desiderio di ballare e di civettare, e di essere ammirate. No, tutto questo era ingiusto; ed era ingiusto dover parlare con voce sommessa e tener gli occhi bassi quando gli uomini, anche simpatici, si avvicinavano al suo banco. Tutte le ragazze di Atlanta erano circondate; anche le piú brutte. E tutte quante avevano dei vestiti cosí belli! Lei invece sembrava una cornacchia, vestita di soffocante taffettà nero, con le maniche lunghe sino ai polsi, il corpetto chiuso fino al mento e neppur l'ombra di pizzo o di gallone, non un gioiello, eccetto la luttuosa spilla d'onice di Elena; e guardava le ragazze appese al braccio di uomini piacevoli ed eleganti. Tutto questo perché Carlo Hamilton aveva avuto la rosolia. Non aveva neanche avuto una fine gloriosa in battaglia, sicché ella potesse trarne vanto. Con un senso di ribellione appoggiò i gomiti al banco e fissò la folla, infischiandosi dell'ammonizione di Mammy tante volte ripetuta che non bisognava appoggiare i gomiti perché questo li faceva diventare brutti e grinzosi. Che gliene importava se diventavano brutti? Probabilmente non avrebbe mai piú la possibilità di metterli in mostra. Guardava avidamente gli abiti che le passavano dinanzi; seta color crema con ghirlandine di bocciuoli di rosa; raso rosso con diciotto volanti bordati da un vellutino nero; taffettà azzurro chiaro, con la gonna larga dieci metri ornata di cascate di trina; seni esposti; fiori preziosi e profumati. Maribella Merriwether si avvicinò al banco accanto al suo, al braccio dello zuavo; il suo vestito di tarlatana verde mela era cosí largo da fare apparire la vita come quella di una vespa. Era tutto increspato e guarnito di un pizzo Chantilly color avorio giunto da Charleston con l'ultima spedizione che aveva attraversato il blocco; e Maribella lo ostentava orgogliosamente come se fosse stata lei e non il capitano Butler a compiere quella bravata. «Come starei bene vestita cosí» pensò Rossella col cuore pieno di un'invidia selvaggia. «Lei ha la vita larga come quella di una mucca. Quel verde è proprio il mio colore e darebbe risalto ai miei occhi. Perché diamine le bionde si arrischiano a mettere quel colore? Alla sua pelle dà la tinta del formaggio vecchio. E pensare che non potrò portarlo mai piú, neanche quando mi toglierò il lutto! No; neanche se riesco a rimaritarmi. Mi toccherà portare il grigio, il tané, il viola; al massimo il lilla.» Per un attimo considerò l'ingiustizia di tutto questo. Com'era breve il tempo di divertimento, dei bei vestiti, della danza, della civetteria! Solo pochi anni, troppo pochi! Poi ci si sposava e si portavano degli abiti scuri e malinconici; i bambini sciupavano la linea del corpo e la vita si ingrossava; si rimaneva a sedere negli angoli con altre donne serie e posate e ci si alzava solo a ballare col proprio marito o con qualche vecchio signore che vi pestava i piedi. Se non si faceva in questo modo, le altre signore sparlavano; la reputazione di una donna era rovinata e la sua famiglia messa al bando. Che sciupio di tempo, passar tutta l'infanzia ad imparare come si fa ad attrarre gli uomini e a conservarli, e poi godere di queste cognizioni solo per un anno o due! Considerando la sua educazione compiuta da Elena e da Mammy, si rendeva conto che era stata buona, perché aveva sempre dato ottimi risultati. Vi erano delle regole che bisognava seguire: se le seguivate vedevate coronati i vostri sforzi. Con le vecchie signore bisognava esser dolci e ingenue, perché le vecchie sono furbe e sorvegliano le ragazze con gelosia, come dei gatti, pronte a graffiare alla piú piccola indiscrezione della lingua o degli occhi. Coi vecchi signori una ragazza doveva esser vivace e impertinente e quasi - ma non completamente - civetta; cosicché la vanità dei vecchi imbecilli veniva solleticata. Questo li ringiovaniva; allora vi pizzicavano le guance dicendo che eravate una birichina. In queste occasioni bisognava arrossire; altrimenti i pizzicotti sarebbero diventati piú audaci e poi i signori avrebbero detto ai loro figliuoli che eravate una sfacciata. Con le ragazze e con le giovani spose dovevate essere tutta dolcezza, baciandole ogni volta che le vedevate, anche se ciò avveniva dieci volte al giorno, e metter loro il braccio intorno alla vita, sopportando che facessero altrettanto con voi, per quanto la cosa vi desse noia. Ammiravate il loro abito o il loro bimbo indifferentemente; le stuzzicavate parlando dei loro corteggiatori o le complimentavate per i loro mariti; e ridevate un po' scioccamente affermando con modestia che il vostro fascino era nulla a confronto del loro. E soprattutto, non dicevate mai quello che veramente pensavate su qualsiasi argomento; come esse non dicevano mai a voi i loro veri pensieri. Lasciavate in pace severamente i mariti delle altre donne, anche se un tempo erano stati vostri spasimanti e anche se vi piacevano. Se eravate troppo gentili coi mariti giovani, le mogli avrebbero detto che eravate una spudorata; era quello il modo di acquistare una cattiva reputazione e di non trovar piú un corteggiatore. Ma coi giovanotti... ah, la cosa era ben diversa! Potevate ridere tranquillamente di loro, e quando venivano di corsa a chiedere perché ridevate, potevate rifiutare di dirglielo e ridere sempre piú forte sfidandoli a indovinarne la ragione. Con gli occhi potevate promettere tutte le cose piú eccitanti, sicché ciascuno cercava di manovrare in modo da trarvi sola in disparte. E quando qualcuno vi riusciva, allora dovevate essere molto molto offesa, o molto irritata se tentava di baciarvi. Lo costringevate a chiedervi perdono per essersi comportato come un villanzone e poi gli perdonavate cosí soavemente che egli vi rimaneva intorno cercando di baciarvi una seconda volta. A volte, ma non spesso, glielo permettevate. (Elena e Mammy non glielo avevano insegnato; ma lei sapeva che era una cosa di grande effetto). Allora vi mettevate a piangere e dichiaravate che non sapevate che cosa vi aveva sopraffatta e che eravate certa che egli non vi avrebbe mai piú rispettata. Egli vi asciugava gli occhi e il piú delle volte vi chiedeva di sposarlo, appunto per dimostrarvi quanto vi rispettava. E allora... oh, allora vi erano tanti modi di comportarsi coi giovanotti, ed ella li conosceva tutti: la sfumatura del lungo sguardo obliquo, il mezzo sorriso dietro al ventaglio, l'ancheggiare in modo che le gonne si allargassero come campane, la risata, l'adulazione, la dolce simpatia. Tutti questi armeggi non avevano mai mancato allo scopo... eccettuato con Ashley. No, non vi era ragione di imparare tutte queste manovre per servirsene cosí breve tempo e poi metterle in disparte per sempre. Come sarebbe bello non sposarsi mai, ma continuare a indossare dei bei vestiti verde pallido ed esser sempre corteggiata. Ma se si continuava per troppo tempo, si diventava delle zitelle come Lydia Wilkes; e tutti dicevano «poverina» con un tono di odiosa compassione. No; in fin dei conti era meglio maritarsi e conservare il rispetto di se stessa, anche se non ci si poteva divertire mai piú. Ma che pasticcio era la vita! Perché lei era stata cosí idiota da sposare proprio Carlo e terminare cosí la sua vita a sedici anni? Il suo trasognamento indignato e disperato fu interrotto quando la folla cominciò ad ammassarsi lungo le pareti, con le signore che trattenevano i cerchi delle gonne per impedire che un urto le sollevasse mettendo in mostra piú che non fosse corretto delle loro mutandine. Rossella si drizzò in punta di piedi al disopra della folla e vide il capitano della milizia che saliva sulla piattaforma dell'orchestra. Egli gridò un ordine e metà della compagnia si mise sull'attenti. Per qualche istante essi eseguirono una brillante esercitazione che provocò il sudore della loro fronte e le grida e gli applausi degli spettatori. Rossella batté le mani debitamente insieme agli altri e quando i soldati dopo avere avuto l'ordine del «rompete le righe» si sospinsero verso i banchi dove si distribuivano ponce e limonata, ella si volse verso Melania sentendo che era preferibile continuare il suo inganno sul conto della Causa il meglio possibile. - Belli, non è vero? - fece. Melania stava riordinando sul banco alcuni articoli di maglieria. - Molti di loro starebbero assai meglio in uniforme grigia e in Virginia - rispose senza curarsi di abbassare la voce. Parecchie madri, orgogliose dei loro figliuoli che erano nella milizia, udirono l'osservazione. La signora Guinan divenne scarlatta e poi pallida, perché il suo venticinquenne Guglielmo era nella compagnia. Rossella fu sbalordita nell'udire simili parole da Melly e dinanzi a tutti. - Melly! - esclamò. - Sai benissimo che è vero, Rossella. Non parlo dei ragazzi e dei vecchi. Ma vi sono nella milizia molti che potrebbero tenere in mano un fucile; ed è ciò che dovrebbero fare in questo momento. - Ma... ma... - cominciò Rossella che non aveva mai pensato a questo - qualcuno deve pur rimanere a casa per... - Che diamine le aveva detto Guglielmo Guinan per giustificare la sua presenza in Atlanta? - Qualcuno deve pur rimanere a casa per proteggere lo Stato da un'invasione. - Nessuno ci ha invaso e nessuno ci invaderà - replicò freddamente Melania, guardando verso il gruppo della milizia. E il miglior mezzo per tenere lontani gli invasori è andare in Virginia a battere gli yankees. Quanto alla storia che la milizia deve impedire una sollevazione dei negri... è la cosa piú sciocca che io abbia mai udita. Perché dovrebbe sollevarsi il nostro popolo? È un'ottima scusa, questa, per i codardi. Scommetto che sconfiggeremmo gli yankees in un mese se la milizia di tutti gli Stati andasse a combattere. Ecco! - Ma Melly! - esclamò di nuovo Rossella guardandola sbalordita. Gli occhi neri di Melania ardevano di collera. - Mio marito non ha avuto paura di andare e neanche il tuo. E preferirei che fossero morti tutti e due piuttosto che vederli qui a casa... Oh, cara, perdonami! Come sono crudele e imprudente! Afferrò il braccio di Rossella come per scusarsi e quella la fissò. Ma in quel momento non pensava a Carlo morto. Pensava ad Ashley. Se morisse anche lui? Si volse in fretta e sorrise automaticamente al dottor Meade che si avvicinava al loro banco. - Brave, figliuole - fece salutandole. - Siete state molto gentili a venire. So che per voi è stato un sacrificio; ma tutto si fa per la Causa. Ora vi dirò un segreto. Ho trovato un modo per fare parecchio denaro per l'ospedale; ma temo che qualche signora sarà scandalizzata. Si fermò e ridacchiò mentre si grattava la barbetta caprina. - Che cosa? Ditecelo, siate buono! - Veramente è meglio farvelo indovinare. Ma voialtre ragazze dovrete difendermi, se i membri della chiesa propongono di espellermi dalla città per questo. Del resto, è per l'ospedale. Vedrete. Non è mai stato fatto niente di questo genere. Proseguí pomposamente verso un gruppo di accompagnatrici in un angolo e proprio mentre le due giovani si volgevano l'una all'altra per discutere sulle possibilità di quel segreto, ecco avvicinarsi due vecchi signori i quali dichiararono ad alta voce che desideravano dieci metri di merletto. «Beh, meglio vecchi che niente» pensò Rossella misurando il merletto e rassegnandosi pudicamente ad essere accarezzata sotto il mento. I vecchi si rivolsero poi verso il banco dei rinfreschi ed altri presero il loro posto. Il loro banco non aveva tanti clienti come gli altri, dove risuonavano la risata squillante di Maribella Merriwether e la risatina sommessa di Fanny Elsing e le allegre risposte delle ragazze Whiting. Melly vendeva oggetti inutili ad uomini che non sapevano che cosa farne, tranquilla e serena come una negoziante, e Rossella modellava il suo contegno su quello della cognata. Dinanzi a tutti i banchi, eccettuato il loro, era una folla di ragazze che ciarlavano e di uomini che compravano. I pochi che si avvicinavano al loro banco parlavano della propria camerateria universitaria con Ashley, dicevano che era un bravo soldato, oppure accennavano rispettosamente a Carlo, affermando che la sua morte era stata una grande perdita per Atlanta. Quindi la musica attaccò il ritmo irregolare di «Johnny Booker, aiuta i negri!» e Rossella ebbe voglia di urlare. Desiderava ballare. Ne sentiva il bisogno. Guardò il pavimento e batté i piedi in cadenza; i suoi occhi ardevano di una fiamma verde. Attraverso la sala un uomo, appena arrivato e ancora fermo sulla soglia della porta, li vide, sussultò riconoscendoli e osservò piú attentamente quegli occhi dal taglio obliquo nel volto caparbio e ribelle. Quindi ghignò fra sé riconoscendo l'invito che qualsiasi uomo avrebbe potuto leggervi. Era vestito di panno nero; alto in modo da superare tutti gli ufficiali che gli erano accanto, con le spalle larghe ma la vita sottile, e dei piedi assurdamente piccoli nelle scarpe verniciate. Il suo abito severo, con la camicia finemente pieghettata e i calzoni elegantemente allacciati sotto le uose molto alte, contrastava stranamente col suo volto e con la sua figura; appariva tutto agghindato, con gli abiti di un «dandy» su un corpo da atleta, e segretamente pericoloso sotto la sua graziosa indolenza. Aveva i capelli nerissimi e i baffi piccolini erano anch'essi neri, tagliati corti come quelli di uno straniero in paragone a quelli lunghi e sfioccati degli ufficiali di cavalleria che gli erano accanto. Sembrava - ed era - un uomo di appetiti viziosi e svergognati. Aveva un aspetto di sicurezza e di spiacevole impertinenza; vi era anche un lampo di malizia nei suoi occhi che fissavano audacemente Rossella, finché questa, sentendo finalmente il suo sguardo, si volse verso di lui. Ebbe l'impressione di riconoscerlo, pur non riuscendo dapprima a ricordare chi fosse. Ma era il primo uomo che, da molti mesi, le mostrasse un certo interesse; perciò gli sorrise gaiamente. Rispose con un piccolo cenno al suo inchino; ma quando egli mosse verso di lei con una singolare andatura, flessuosa come quella degli indiani, ella portò la mano alla bocca con un gesto d'orrore, riconoscendolo. Rimase paralizzata, come colpita dal fulmine, mentre egli si apriva un varco attraverso la folla. Quindi si voltò, pronta a fuggire nella sala dei rinfreschi; ma la sua gonna si impigliò in un chiodo del banco. La tirò furiosamente, lacerandola; ma intanto egli era giunto accanto a lei. - Permettete - disse chinandosi a staccare delicatamente il volano. - Non speravo che vi ricordaste di me, miss O'Hara. La sua voce suonò bizzarramente piacevole al suo orecchio; era la voce ben modulata di un signore, sonora e col leggero accento strascicato di Charleston. Ella lo fissò implorante, col volto che si era coperto di rossore al ricordo del loro ultimo incontro, e si trovò di fronte gli occhi piú neri che avesse mai visto, che brillavano di una gaiezza spietata. Fra tutti gli uomini del mondo che avrebbero potuto capitare in quel luogo, bisognava che fosse proprio quel tremendo individuo che aveva assistito a quella scena con Ashley che le dava tuttora degl'incubi; quell'odioso mascalzone che rovinava le fanciulle e non era ricevuto dalle persone perbene; quell'uomo spregevole che aveva detto - e con ragione! - che lei non era una signora. Al suono di quella voce Melania si volse e, per la prima volta in vita sua, Rossella ringraziò il cielo per l'esistenza di sua cognata. - Ma... è il signor Butler, non è vero? - E Melania sorrise lievemente tendendogli la mano. - Vi ho conosciuto... - Nella felice circostanza dell'annunzio del vostro fidanzamento - la interruppe egli chinandosi a baciarle la mano. - Siete molto gentile a ricordarvi di me. - E che cosa fate cosí lontano da Charleston, Mister Butler? - Affari, Mrs. Wilkes, e affari poco divertenti. Da ora in poi dovrò andare avanti e indietro dalla vostra città. Non soltanto debbo portar dentro le merci, ma anche sorvegliare come vengono distribuite. - Portar dentro... - cominciò Melania aggrottando la fronte; e subito dopo ebbe un sorriso di piacere. - Ma allora... voi siete il famoso capitano Butler di cui ho sentito tanto parlare... quello che attraversa il blocco! Figuratevi, tutte le ragazze qui dentro indossano abiti che sono stati introdotti da voi. Rossella, non sei emozionata... Che hai, tesoro? Ti senti male? Siedi... Rossella piombò sulla sedia, respirando cosí affannosamente che ebbe paura che le stringhe del suo busto si rompessero. Oh, che cosa tremenda! Non aveva mai pensato di poter nuovamente incontrare quell'uomo. Egli prese dal banco il suo ventaglio nero e cominciò a sventolarla con sollecitudine, troppa sollecitudine; il suo volto era grave ma gli occhi brillavano ancora maliziosamente. - Fa troppo caldo qui - disse poi. - Non fa meraviglia che miss O'Hara si senta poco bene. Volete che vi accompagni a una finestra? - No. - Il monosillabo fu pronunciato con tanta durezza che Melly la guardò stupita. - È un pezzo che non è piú miss O'Hara - riprese poi Melania. - È la signora Hamilton.. mia cognata. - E le lanciò un breve sguardo affettuoso. Rossella si sentí soffocare vedendo l'espressione del bruno volto di pirata del capitano Butler. - Sono sicuro che è una gioia per entrambe queste graziose signore - replicò questi con un lieve inchino. Era l'osservazione che facevano tutti gli uomini; ma detta da lui, a Rossella sembrò che significasse proprio il contrario. - Immagino che i vostri mariti siano qui stasera, in questa lieta occasione? Sarebbe un piacere per me rinnovarne la conoscenza. - Mio marito è in Virginia - rispose Melania alzando fieramente la testa. - Ma Carlo... - La sua voce si spezzò. - È morto al campo - disse Rossella con voce atona. Quasi masticò le parole. Oh, non se ne andava mai quell'uomo? Melly la guardò stupita e il capitano ebbe un gesto di rimprovero verso se stesso. - Care signore... non immaginavo...! Dovete perdonarmi. Ma permettete a un estraneo di dirvi che morire per il proprio paese è vivere per sempre. Melania gli sorrise attraverso le lagrime, mentre Rossella sentí dentro di sé un impeto di collera e d'odio impotente. Egli aveva nuovamente fatto un'osservazione gentile, il complimento che qualunque gentiluomo avrebbe fatto in simili circostanze; ma certo senza pensarne neanche una parola. Si burlava di lei. Sapeva che ella non aveva amato Carlo. E Melly era tanto sciocca da non capire quello che vi era sotto le sue parole. «Dio mio, speriamo che nessuno lo capisca!» pensò con un sobbalzo di terrore. Avrebbe detto quello che sapeva? Certo non era un gentiluomo; e perciò sarebbe stato capacissimo di spiattellare ogni cosa. Lo guardò e vide che la sua bocca era un po' abbassata agli angoli con beffarda simpatia, mentre egli continuava ad agitare il ventaglio. Qualche cosa in quell'espressione fu per lei come una sfida e le fece tornare le forze in un impeto di antipatia. Bruscamente gli strappò di mano il ventaglio. - Sto benissimo - disse sgarbatamente. - È inutile sventolarmi per scompigliarmi i capelli. - Rossella, cara! Capitano, dovete scusarla. Non è... È fuori di sé quando sente parlare di Carlo... e forse non saremmo dovute venire qui stasera. Siamo ancora in lutto, come vedete; e per lei è uno sforzo... tutta questa gaiezza e la musica... povera figliuola! - Capisco - rispose egli con studiata gravità; ma nel rivolgere a Melania uno sguardo che penetrò fino in fondo nei suoi dolci occhi turbati, la sua espressione mutò. Sul suo volto bruno si dipinse il rispetto e una certa gentilezza. - Credo che siate una piccola donna molto coraggiosa, Mrs. Wilkes. - E non una parola per me! - disse fra sé, indignata, Rossella, mentre Melly sorrideva un po' confusa e rispondeva: - Oh Dio, no, capitano Butler! Il comitato dell'ospedale ci ha pregate di tenere questo banco perché all'ultimo momento... Un copricuscino? Eccone uno graziosissimo, con la bandiera. Si volse a tre soldati di cavalleria che si erano avvicinati al banco. Per un momento, Melania pensò che il capitano Butler era molto gentile. Poi si augurò che qualche cosa di piú sostanziale che la tarlatana fosse tra il suo abito e la sputacchiera che era di fianco al banco, perché la mira dei soldati con la bocca piena di tabacco masticato non era cosí esatta come quella che essi dimostravano con le loro pistole. Quindi dimenticò il capitano, Rossella e la sputacchiera, perché nuovi clienti circondavano il banco. Rossella era rimasta tranquillamente seduta a sventagliarsi, senza osare alzare gli occhi e augurandosi di vedere il capitano sulla tolda della sua nave. - Vostro marito è morto da un pezzo? - Oh sí. Quasi da un anno. - Un'eternità, naturalmente. Rossella non ne era ben certa; ma sulla qualità adescatrice di quella voce non potevano esservi dubbi. Comunque, non rispose. - Siete stata maritata per molto tempo? Perdonate la mia domanda, ma sono stato a lungo assente da questi luoghi. - Due mesi - rispose Rossella involontariamente. - Una vera tragedia - proseguí la voce tranquilla. «Che Dio lo maledica» pensò Rossella con violenza. «Se fosse un altr'uomo non farei altro che prendere un'aria glaciale e congedarlo. Ma egli sa di Ashley e sa che non amavo Carlo. Ed ho le mani legate.» Non rispose e guardò il suo ventaglio. - E questa è la vostra prima comparsa in società? - So che la cosa può sembrare strana - si affrettò a spiegare. - Ma le ragazze McLure che dovevano vendere a questo banco son dovute partire e non vi era nessun altro; quindi Melania ed io... - Nessun sacrificio è troppo grande per la Causa. Strano: le stesse parole della signora Elsing. Ma quando le aveva pronunciate lei, le erano sembrate tutte diverse. Le salí alle labbra una risposta bruciante ma la inghiottí. Dopo tutto, lei si trovava colà non per la Causa ma perché era stanca di stare in casa. - Ho sempre pensato - aveva ripreso il capitano riflessivamente - che il sistema del lutto e di imprigionare le donne nel crespo per il resto della vita impedendo loro le gioie piú naturali, è tanto barbaro quanto il sutti indiano. - Il sutti? L'uomo rise ed ella arrossí della propria ignoranza. Detestava le persone che usavano parole che le erano sconosciute. - In India quando un uomo muore, lo bruciano invece di seppellirlo; e sua moglie si arrampica sul rogo funerario e viene arsa con lui. - Che cosa orribile! E perché lo fanno? La polizia non lo impedisce? - No davvero. Una donna che non si facesse bruciare insieme al proprio marito sarebbe socialmente una fuori casta. Tutte le donne indú di una certa importanza parlerebbero di lei perché non si è comportata come deve una donna ben nata... precisamente come quelle degne signore in quell'angolo parlerebbero di voi se stasera foste apparsa qui vestita di rosso e se vi metteste a dirigere una danza. Personalmente io ritengo il sutti un uso molto piú misericordioso che il nostro simpatico costume meridionale che seppellisce vive le vedove. - Come osate dire che io sono una sepolta viva! - Come ci tengono le donne alle catene che le imprigionano! Voi ritenete barbaro il costume indú... ma avreste avuto il coraggio di apparire qui questa sera se la Confederazione non avesse avuto bisogno di voi? Gli argomenti di questo genere confondevano sempre Rossella. Questo poi la confondeva doppiamente perché ella aveva una vaga idea che contenesse un fondo di verità. Ma adesso era venuto il momento di prendere la rivincita. - È naturale che non sarei venuta. Sarebbe stato... oltre che irrispettoso... si sarebbe potuto credere che io non am... Gli occhi di lui attesero le sue parole con un'espressione cinicamente divertita; ed ella non riuscí a proseguire. Egli sapeva che Rossella non aveva amato Carlo, e non le consentiva di fingere i bei sentimenti che non provava. Che cosa terribile, terribile, aver a che fare con un individuo che non era un gentiluomo! Un gentiluomo aveva sempre l'aria di credere a una signora, anche quando sapeva che mentiva. Questa era la cavalleria del Sud. Il sesso forte obbediva alle regole e diceva soltanto le cose corrette, cercando di render facile la vita alle signore. Ma costui sembrava che non si curasse in alcun modo delle regole ed evidentemente si divertiva a parlar di cose di cui nessuno parlava mai. - Attendo con ansia. - Siete detestabile - disse ella smarrita, abbassando gli occhi. Egli si appoggiò sul banco chinandosi finché la sua bocca fu accanto al suo orecchio e bisbigliò, in un'ottima imitazione del tiranno che si vedeva a volte sulle scene: - Non temete, bella signora! Il vostro colpevole segreto è chiuso nel mio cuore. - Oh, - mormorò Rossella febbrilmente - come potete dire una cosa simile? - L'ho fatto per tranquillizzarvi. Che cosa volete che vi dica? «Siate mia, o bella, altrimenti rivelerò ogni cosa?» Ella incontrò involontariamente i suoi occhi e vide che erano canzonatori come quelli di un bambino. E allora rise. Dopo tutto la situazione era buffa. Anch'egli rise, e cosí forte che alcune delle signore che erano nell'angolo si voltarono a guardare. Vedendo che la vedova di Carlo Hamilton si divertiva, o sembrava divertirsi con 'un estraneo, avvicinarono le teste, disapprovando.

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Sospirò abbandonandosi; e dopo uno spazio di tempo che poteva essere un anno o un minuto, si trovò sola; la stanza era illuminata dalla luna che gettava i suoi raggi sul letto. Non sapeva di essere ubriaca; ubriaca di stanchezza e di whisky. Sapeva soltanto di aver lasciato chi sa dove il suo corpo stanco e di galleggiare in un luogo ove non era sofferenza né stanchezza; e il suo cervello vedeva le cose con una chiarezza non umana. Vedeva ogni cosa con occhi nuovi, poiché, nella lunga strada che la avvicinava a Tara, aveva lasciato tutto ciò che era la sua infanzia. Non era piú una creta molle che riceveva una nuova impronta ad ogni nuova esperienza. La creta si era indurita. Stasera per l'ultima volta era stata assistita come una bambina. Ormai era una donna e l'adolescenza era finita. No, non poteva e non voleva rivolgersi alle famiglie di Elena e di Geraldo. Gli O'Hara non accettavano l'elemosina. Ella porterebbe il proprio fardello, poiché le sue spalle erano ora abbastanza forti da sorreggerlo; poteva sopportare tutto, avendo già sopportato il peggio. Non poteva abbandonare Tara; apparteneva a quella terra rossa com'essa apparteneva a lei. Rimarrebbe e troverebbe modo di far vivere suo padre, le sue sorelle, Melania e il bimbo di Ashley e i negri. Domani... oh, domani! Domani metterebbe il collo sotto il giogo. Vi erano tante cose da fare. Andare alle Dodici Querce e alla piantagione di MacIntosh e vedere se negli orti abbandonati era rimasta qualche cosa; andare alle paludi e batterle per rintracciare polli e maiali smarriti, andare a Jonesboro e a Lovejoy coi gioielli di Elena... Doveva essere pure rimasto qualcuno che vendeva roba da mangiare! Domani... domani... La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre piú lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva. Dai vecchi racconti che aveva ascoltato nella sua infanzia, qualche cosa emergeva chiaramente. Geraldo, senza un soldo, aveva costruito Tara; Elena aveva superato qualche misterioso dolore; il nonno Robillard, sopravvivendo alla caduta di Napoleone, aveva fondato nuovamente la fortuna della sua famiglia sulla fertile costa della Georgia; il bisnonno Prudhomme si era fatto un piccolo regno nella giungla di Haiti, lo aveva perduto, e poi aveva vissuto abbastanza per vedere il suo nome onorato a Savannah. Vi erano le Rosselle che avevano combattuto coi volontari irlandesi per la libera Irlanda e gli O'Hara che erano morti sul Boyne combattendo fino all'ultimo respiro per difendere la loro proprietà. Tutti avevano sopportato le piú grandi sventure. Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere. Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno? - Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do' la buona notte... e vi ringrazio.

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Era in tutto e per tutto un arredamento di gran lusso, e Rossella camminando sui tappeti e abbandonandosi all'abbraccio dei cuscini di piuma, ricordava i pavimenti freddi e i materassi di paglia di Tara; ed era soddisfatta. Le sembrava che la sua fosse la casa piú bella e elegante che si potesse vedere; ma Rhett sosteneva che era un incubo. Comunque se ciò la rendeva felice, egli ne era ben lieto. - Uno straniero a cui non fosse stata detta una parola sul nostro conto, comprenderebbe immediatamente che questa casa è stata costruita con denaro mal guadagnato. È la vera casa di un profittatore. Ma Rossella, orgogliosa e felice, e tutta dedita a pensare ai suoi prossimi ricevimenti, gli tirava scherzosamente un'orecchia, esclamando: - Storie! Oramai aveva capito che Rhett si divertiva a stuzzicarla e che le avrebbe sempre guastato qualsiasi divertimento. Se ella lo avesse preso sul serio, avrebbe dovuto litigare con lui in continuazione; si limitava quindi a non badare a quanto egli diceva, e quando non poteva farne a meno, lo prendeva come uno scherzo. Cosí per lo meno tentò di fare per un certo tempo. Durante la loro luna di miele e il loro soggiorno all'Albergo Nazionale, erano andati abbastanza d'accordo. Ma appena entrati nella nuova casa, aspre questioni sorsero fra loro. Dispute brevi, perché era impossibile prolungarle con Rhett che rimaneva freddamente indifferente alle sue parole violente ed aspettava il momento per colpirla in un punto debole. Era lei che litigava: Rhett no. Egli si limitava ad affermare la sua inequivocabile opinione sopra di lei, sulle sue azioni, la sua casa e i suoi nuovi amici. E alcune di queste opinioni erano di tal natura, che ella non poté continuare ad ignorarle o considerarle come scherzi. Per esempio, quando Rossella decise di mutare il nome dei «Magazzini Generali Kennedy» in qualche cosa di maggiore effetto, pregò, suo marito di consigliarle una iscrizione in cui fosse inclusa la parola «Emporium». Rhett suggerí Caveat Emporium assicurandola che sarebbe una scritta adatta al tipo di merce che era in vendita. A Rossella sembrò che queste parole fossero altisonanti e aveva già fatto fare l'insegna, quando Ashley Wilkes, con un po' d'imbarazzo, le tradusse il vero significato. E Rhett rise fragorosamente della sua ira. Vi era poi la maniera in cui egli trattava Mammy. Questa non aveva mai ceduto di un pollice nella sua convinzione che Rhett era un mulo con finimenti da cavallo. Con lui era educata, ma glaciale. Lo chiamava «Capitano Butler» invece di «Mist' Rhett». Non gli aveva neanche fatto un inchino quando egli le aveva donato la sottana rossa, e non l'aveva mai indossata. Sempre che poteva, teneva Ella e Wade lontani da lui, benché il bambino adorasse lo zio Rhett e questi lo ricambiasse con molto affetto. Ma, invece di licenziare Mammy o di trattarla con severità, Rhett aveva per lei la piú cordiale deferenza e assai maggior cortesia di quella che usava con le piú recenti conoscenze di Rossella; perfino maggior cortesia di quanto usava con Rossella stessa. Chiedeva sempre e il permesso di Mammy per condurre Wade a passeggio e la consultava prima di comprare le bambole per Ella. Rossella trovava che Rhett essendo il capo della casa, avrebbe dovuto avere maggior fermezza con la vecchia negra; ma Rhett rise, dicendo che il vero capo di casa era Mammy. Fece poi andare sulle furie Rossella dicendole tranquillamente che si stava preparando ad avere molta compassione per lei negli anni futuri, quando la Georgia non fosse piú sotto il Governo repubblicano e i democratici fossero tornati al potere. - Quando i democratici avranno un Governatore e un Parlamento, tutti i tuoi nuovi amici repubblicani saranno spazzati via e torneranno alle bettole e alle spelonche a cui appartengono. E tu lasciata in disparte senza un amico, né democratico né repubblicano. Beh, non pensiamo al domani! Rossella rise; e non aveva torto, perché in quell'epoca Bullock era ben saldo sul seggio del Governatore; ventisette negri erano nel Parlamento e migliaia degli elettori democratici della Georgia erano privati dei diritti civili. - I democratici non torneranno mai. Non sanno fare altro che irritare gli yankees e ritardare cosí il giorno in cui potranno tornare. Fanno delle grandi chiacchiere e vanno in giro la notte a «Ku-Kluxare». - Torneranno. Io conosco i meridionali. Conosco i Georgiani. Sono cocciuti e caparbi. Se dovessero fare un'altra guerra per poter tornare, la faranno. Dovessero comprare i voti dei negri come hanno fatto gli yankees, li compreranno; e dovessero far votare diecimila morti come hanno fatto gli yankees, tutte le salme dei cimiteri georgiani saranno alle urne. Le cose andranno cosí male sotto il governo del nostro buon amico Rufus Bullock, che la Georgia lo espellerà con violenza. - Non osare termini cosí volgari, Rhett - esclamò Rossella. - Parli come se io non fossi contenta di veder tornare i democratici! E sai benissimo che ne sarei lieta. Credi che mi piaccia vedere in giro questi soldati che mi ricordano... dopo tutto sono una georgiana anch'io! Sarei ben contenta di veder tornare i democratici. Ma non torneranno. E se anche tornassero, che male farebbero ai miei amici? Questi avranno ancora il loro denaro, no? - Se lo avranno. Ma dubito che essi abbiano l'abilità ai farlo durare piú di cinque anni, dato il loro modo di spendere. Denaro facilmente guadagnato, si spende facilmente. Sono quattrini che non profittano loro, come a te non fa profitto il mio denaro. Certamente non ho ancora fatto di te una cavallina, non è vero, mia graziosa muletta? Quest'ultima osservazione suscitò una lite che durò parecchi giorni. Dopo il quarto giorno di broncio da parte di Rossella, che col suo silenzio pretendeva evidentemente che le si chiedesse scusa, Rhett partí per Nuova Orléans conducendo seco Wade, malgrado le proteste di Mammy, e rimase assente finché a Rossella fu passata la collera. Quando egli tornò, freddo e tranquillo, ella ringhiottí la sua ira meglio che poté, ricacciandola in fondo al suo cervello per ripensarvi piú tardi. Ora non voleva avere pensieri spiacevoli. Voleva essere felice per occuparsi soltanto del ricevimento che intendeva dare nella sua nuova casa. Sarebbe stata una grande riunione serale con la casa adorna di palme che nascondevano l'orchestra; tutto il porticato adorno di arazzi e un rinfresco che le faceva venire l'acquolina in bocca. Pensava di invitare tutte le sue conoscenze: i vecchi amici e i nuovi cosí simpatici. L'eccitazione dei preparativi le faceva mettere in non cale le frecciate di Rhett: ed ella si sentiva felice come non lo era stata da molti anni. Che cosa piacevole essere ricca! Offrire ricevimenti senza badare a spese! Comprare i mobili e gli abiti piú dispendiosi, i cibi migliori e piú fini senza preoccuparsi dei conti da pagare! Che bellezza, poter mandare dei grossi assegni a zia Eulalia e a zia Paolina a Charleston, e a Will a Tara! Che imbecilli invidiosi quelli che dicevano che il denaro non era tutto! E com'era cattivo Rhett nel dire che la ricchezza non aveva fatto di lei una dama!

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